ORSI ITALIANI MAGAZINE


La Vendemmia (Prima parte)

Un racconto di Ste

 

Ottobre, le colline oltrepadane si rivestono dei vivaci colori dell'autunno. Le brume ovattano le vallate ed il silenzio e' rotto solo dal crepitio dei gorghi dei ruscelli che scorrono fra gli alberi. Le foglie rossastre delle viti che rigano i versanti dei monti cominciano a scoprire i ricchi grappoli di uva pronta per la raccolta.

Ermanno, il mio vicino di casa, un agricoltore di 55 anni, il fisico tonico di chi ha sudato per ogni zolla di terra rivoltata, aveva conservato il suo piccolo mondo di quando era bambino. La casa natale, poche pertiche di vigna arrampicate su una ripida salita, un fienile e tanti rimpianti per non avere mai avuto un figlio maschio a cui tramandare la passione per il lavoro.

Venne a cercarmi il pomeriggio precedente: avevo 28 anni ed ero disoccupato. Dopo nove anni di ferma volontaria nell'Esercito ero stato costretto al congedo con disonore. Amavo il mio lavoro, amavo stare insieme ai miei compagni, nelle notti passate a parlare e nelle missioni dove ci si incoraggiava ed incitava a vicenda, stretti in un abbraccio innocente. Avevo dato tanto per il mio Paese, mi ero preso una pallottola che mi aveva spezzato la clavicola e in cambio avevo chiesto pochi minuti di attenzione al mio maresciallo.

Avevo bisogno di lavorare ed accettai subito l'offerta di Ermanno.

-Partiamo alle sei cosi' riusciamo a cominciare prima dell'alba. Se tutto va bene staremo via due notti.-

Non avevo granche' da fare a casa, poco mi importava quanto tempo saremmo stati via.

-Va bene, saro' pronto per le sei- risposi.

 

-A proposito, vestiti perche' fara' fresco-.

La mattina seguente mi svegliai alle cinque, ero molto nervoso e non ne capivo la ragione. Conoscevo Ermanno da sempre, ero cresciuto con sua figlia Ilaria, giocavamo insieme da bambini, me la ero anche scopata alcuni anni prima, insomma ero uno di casa. Tuttavia ero nervoso.

Alle sei in punto, come mi avevano insegnato al Corpo, uscii in strada. L'auto di Ermanno, una vecchia Croma station wagon, era ferma a motore acceso davanti a casa sua. Mi avvicinai. Era vuota. Suonai il campanello di casa e quasi contemporaneamente quattro persone uscirono, percorsero il vialetto salutandomi. Oltre ad Ermanno c'erano un suo cugino di Pavia, Franco di qualche anno piu' giovane, un ex muratore che dopo un incidente di cantiere era rimasto a casa, spiantato come me ma aveva mantenuto un fisico muscoloso ed asciutto che spuntava, insieme ad una foresta di peli scuri sulle spalle e sul torace, da una eccitante salopette elasticizzata in vita indossata, con sensuale sapienza, senza t-shirt.

Piero era il piu' anziano del gruppo, appena al di sotto dei sessanta, era un mio lontano cugino ma i nostri rapporti non erano del tutto parentali. Le nostre famiglie in passato avevano litigato per una eredita' e da allora avevamo interrotto ogni rapporto. Mi parve strana la sua cordialita' iniziale, ma del resto io non avevo colpa di quanto era capitato fra lui e mio padre. Ammirai le sue possenti cosce da ciclista amatoriale che costringevano i pantaloncini di jeans sfilacciati ad uno sforzo di contenimento notevole. Altrettanto faticoso doveva essere contenere il suo membro che riempiva un vistoso ed imbarazzante gonfiore. La camicia a quadri era aperta sul davanti ed un lenzuolo riccioluto e vellutato di peli grigi gli decorava il petto, gli avambracci, il dorso di quelle ruvide e callose mani da ex operaio.

Giovanni, detto Gian, era un energumeno di almeno un metro e ottanta, una pancia pronunciata e pelosa, pelosa la schiena, le spalle, il collo, un vero orso bruno con una barba incolta e ruvida. Le sue mani avrebbero strappato un elenco telefonico senza problemi, i suoi piedi enormi calzati da stivali in gomma verde. Malgrado la frescura di quella mattina di ottobre sudava e sudando cominciava a puzzare. Gli avreste dato piu' dei 45 anni che aveva. Indossava pantaloni di tela ruvida e una maglietta grigia che necessitava di urgenti rattoppi. Da uno di questi buchi spuntava un grosso capezzolo turgido circondato da una corona di peli neri. Mi avrebbe otturato una narice tanto era grosso.

Salimmo in auto. Ermanno guidava, Piero gli sedeva al fianco. Io ero seduto dietro, con Franco alla mia destra e Gian alla mia sinistra.

L'odore acre del sudore di Gian impestava l'aria. Mi voltai verso Franco che interpretando il mio gesto come interlocutorio mi mise una mano sul ginocchio, la fece scorrere sulla mia coscia plastica, modellata da ore di allenamenti e irsuta e vibro' una sonora manata chiedendomi :-Come va? Sei in licenza? Tu sei sempre nell'esercito?-.

 

-No, mi sono congedato, l'esercito non e' piu' quello di una volta- la buttai li' ­ adesso invece degli uomini comandano le donne. - -Hai ragione, ai miei tempi le donne le comandavi con questo - e si palpo' il pacco, - adesso devi stare attento al tuo culo che e' pieno di mezzi froci la dentro. - Se solo avesse intuito che c'era un mezzo frocio di meno nell'esercito ed uno in piu' seduto al suo fianco mi avrebbe buttato dalla macchina in corsa. La conversazione continuo' su quello stesso tenore per alcuni chilometri.

Franco disse :-Non ne ho mai sfondati di culi pelosi, che bello deve essere sentirli miagolare come i gatti mentre lo prendono dentro. - Piero rispose : -Potrebbe succedere prima di quanto credi. Gian aggiunse: -Io un bel pompino me lo farei fare anche adesso- e mi cinse, forse involontariamente, le spalle con il suo poderoso braccio. Quel contatto cosi' determinato ed inaspettato mi fece trasalire. Non sentivo piu' il puzzo di quell'ascella rivolta verso di me, ma solo una piacevole umidita' negli slip che si gonfiavano. Allargai le gambe e finsi di assopirmi pregando che la cosa inducesse in tentazione uno dei due telamoni di fianco a me. Non accadde nulla. Deluso, finsi di risvegliarmi che l'auto stava gia' faticando sui bricchi.

Curva dopo curva e salita dopo salita l'auto cominciava ad arrancare finche' rumoreggio' un paio di volte e si rifiuto' di continuare. Da qualche chilometro avevamo incontrato la pioggia, una pioggia fine, diffusa e fredda. L'auto si era fermata nel mezzo della strada. Ermanno tento' di riavviarla ma non bastarono le minacce e le bestemmie.

-Tutti giu', dobbiamo spingerla fino alla piazzola. Spingemmo in salita come dei muli e dopo trecento metri abbondanti, fradici all'inverosimile, parcheggiammo nel campo.

-Forzaadesso.vediamo di muoverci- ansimo' Franco, e marciammo come soldati sotto l'acquazzone fino alla porta di casa.

Ermanno estrasse la chiave e la giro' un paio di volte nella toppa. La porta si apri' con un cigolio e noi ci riversammo all'interno in cerca di un caldo rifugio.

-Andate a sinistra che accendo la stufa. Franco, dammi una mano con la legna.

Dopo aver frugato un po' nel sottoscala, Ermanno e Franco tornarono con quattro grossi ceppi (e due mirabili ceppe), li infilarono nella stufa di ghisa ed accesero il fuoco.

-Manno, ce le hai ancora le coperte di sopra? ­Si Franco, andiamo a prenderle. Poi rivolto a noi: -Conviene che cominciate a spogliarvi senno' vi prendete qualcosa.

Il calore della stufa comincio' a diffondersi. Piero fu il primo, si denudo' in pochi secondi. Lo guardai tentando di dissimulare il mio interesse per quel corpo robusto e peloso. La sua spada scappellata era inaspettatamente turgida. Si accorse della mia attenzione, levai gli occhi nei suoi ed arrossii.

Ritornarono Ermanno e Franco, appoggiarono alcune voluminose coperte su di una seggiola e si spogliarono velocemente. Franco era come me lo immaginavo, un bronzo di Riace. Se me lo avesse chiesto avrei fatto di tutto per lui pur di assaggiare la sua maschia virilita'. Ermanno aveva messo su qualche chiletto, ma restava un bocconcino prelibato e del resto capivo benissimo che fatica fosse mantenersi asciutti e tonici, dopo la mia fuoriuscita dall'Esercito solo l'esercizio fisico quotidiano mi permetteva di essere una gioia per gli occhi. La mia erezione raggiunse il massimo quando Ermanno attiro' la nostra attenzione sull'enorme pene di Gian. Ermanno disse: -Non vorrai mica approfittare di noi con quel coso, vero? -Non ti preoccupare- intervenne Piero -scommetto che preferisce la carne giovane. Mi osservavano. Aspettavano che mi togliessi gli slip. La mia cappella stava esplodendo, mi tolsi gli slip e non potei nascondere la mia erezione.

Avevo le braccia alzate mentre appendevo la biancheria ad asciugare quando improvvisamente Franco mi afferro' da dietro. Emisi un suono rauco, mi dimenai con poca convinzione tenendo le braccia in alto mentre Franco disegnava con le dita callose il contorno dei miei pettorali e mi pizzicava i capezzoli

Mi allontanai da lui. Egli rise, sadicamente. Ermanno mi lancio' una coperta e mi disse: -Copriti signorina". Dietro le risate generali se ne andarono nell'altra stanza.

Rimasi seduto su di una sedia a riflettere.

 

-Vuoi del caffe'? -Hai capito o no, cazzo! Risposi di no due volte: la prima fu un suono strozzato dall'emozione e da una eccitazione che non avevo mai provato. Quattro maschioni dotati, quattro orsi pelosi e spietati, come piacciono a me, erano di la', immaginavano la mia voglia. Cio' che non sapevano era che io li desideravo tutti contemporaneamente.

Sentii dei passi su per le scale. Gli zoccoli di legno di Ermanno strisciavano sulla pietra ruvida degli scalini. Scesero le scale, sentii i quattro bisbigliare, poi si presentarono in fila indiana, nudi ed eccitati. Ermanno era il primo e aveva una corda di canapa in mano.

Mi alzai dalla sedia e feci appena in tempo a realizzare i loro movimenti, quando mi trovai a terra supino. Gian si inginocchio' davanti a me, mi blocco' la testa stringendomela fra le gambe. Ermanno si inginocchio' sulla mia schiena puntando la sua ossuta rotula proprio sulla spina dorsale. Gemetti per il dolore lanciando un forte -Noooooooo!!!!. Gian mi teneva le braccia dietro la schiena ed Ermanno mi lego' i polsi con la corda.

Il pavimento era freddo e umido, mi batteva forte il cuore nel petto. Si stava realizzando un sogno. Mi voltarono prono e io rimasi ai loro piedi completamente nudo, inerme, indifeso, pronto a subire le peggiori umiliazioni e le piu' crudeli violenze che il loro sadismo, soprattutto quello di Piero, era pronto ad infliggermi.

Gian, con la sua mole che passava, di almeno venti chili il quintale si sedette sul mio stomaco e comincio' a pizzicarmi dolorosamente i capezzoli. Emisi un sospiro lungo come quello di un uomo in agonia, sapevo solo invocare -Ti prego, ti prego- e non saprei dire se era per chiedere che si fermasse o che continuasse. Lui continuo', insensibile come un automa, come una macchina programmata per torturarmi. Lo vidi sogghignare. Ermanno e Franco mi allargarono le cosce con i piedi trattenendo una gamba a testa e lasciando in questo modo la via spianata a Piero che concentro' le sue attenzioni sul mio attrezzo. Urlavo di dolore e di piacere per le sevizie che mi impartiva Gian, ed era solo l'antipasto. Fu cosi' che Piero ebbe un'idea: prese gli slip di Gian, che l'uomo doveva avere indossato ininterrottamente per tutta la settimana precedente e me le infilo' in bocca per impedirmi di disturbare il loro sadico lavoro. Sapevano di cazzo e di urina. Le callose mani di Piero sfregavano la mia cappella, che temevo cominciasse a sanguinare tanto era il dolore.

-Alzati ippopotamo- sbraito' a Gian il quale, dopo dieci minuti di divertimento, cominciava a non resistere oltre alla tentazione di infilarmelo in bocca. Mi tolse gli slip dalla bocca e mi afferro' con violenza la testa. Mi si levo' dallo stomaco, resto' ginocchioni e mi disse: -Apri la bocca troietta. La sua enorme fragolona mi riempi'. -Prova a mordermi la cappella e ti strappo i coglioni a morsi. Dava dei colpi energici mentre mi penetrava, io soffocavo. In pochi secondi, con cinque schizzi violenti ed abbondanti sazio' la mia fame di sperma. A dispetto dell'uomo, sapeva di buono, aveva un gusto salino e una consistenza che mi impastava i denti e la lingua.

Mentre aveva via libera, Piero comincio' a spompinarmi e a mordermi la cappella. Io seguitavo a contorcermi dal dolore che era ormai incontenibile eccitazione. Gian si sedette sul pavimento e mi poso' la nuca sul suo basso ventre. ­Cosa c'e' qui? chiese raccogliendo con le dita il suo latte appena munto rimasto agli angoli della mia bocca. Me lo passo' sulle labbra ed io leccai avidamente. Ormai era chiaro a tutti, anche a me stesso, che non mi sarei ribellato a nulla. Mentre Piero mi lavorava il pisello, fu il turno di Franco. Ermanno disse subito che voleva farmi il culo, ma Franco non resisteva piu'. Si alzo', si inginocchio' di fianco a me e senza complimenti mi afferro' la testa ficcandomi il suo cazzone in bocca. Finalmente sborrai in bocca a Piero che comincio' a lavorarsi il mio buco del culo. Mi fotte' con una violenza inaudita, ci volle tutta la forza di Gian per tenermi fermo. Piero pompava senza fermarsi, era un treno, sentivo il suo randello salire lentamente, inesorabilmente dentro di me e non potevo fermarlo. Allora implorai che si fermasse, era un dolore lancinante, mi teneva le cosce appoggiate ai suoi fianchi muscolosi e mi diceva -Urla pure quanto vuoi brutta puttanella, adesso imparerai una bella lezione. La sborra di Franco cominciava a soffocarmi, dovetti ingoiarla senza gustarla come volevo. Ermanno prese un altro paio di slip, quelli di Franco che riconobbi dall'aroma del suo pube, e me li infilo' in bocca. Piero termino' esausto il suo lavoro e cedette il mio culo a Ermanno che finalmente dopo un'oretta di attesa e di masturbazioni poteva fare di me la sua troia. Ero esausto, ma mi rimase ancora del fiato per implorare un altro pieno di sborra da Gian. Non se lo fece ripetere, allargo' le gambe, mi volto' permettendo a Ermanno di fottermi alla pecorina e me lo infilo' in bocca a smorza candela. Ermanno me lo tenne dentro parecchi minuti gemendo dal piacere, poi passo' il testimone a Franco che non aveva ancora abusato a sufficienza di me. Mi fotteva mentre mi stringeva i coglioni con la mano e io tra la bocca piena del cazzo di Gian ed il culo aperto dai due bigoli gemevo di goduria e di avidita'.

L'ultimo a fottermi fu Gian. Si tenne per ultimo della mattinata perche' altrimenti mi avrebbe spannato lo sfintere e gli altri non avrebbero nemmeno toccato le pareti.

Per scoparmi mi lego' le caviglie alle gambe del tavolo e mi mise a novanta sul piano. Ermanno e Franco mi bloccavano le braccia ormai liberate dal laccio, Piero decise di sedersi sul tavolo con le gambe divaricate. La sua erezione era enorme ed invitante ma non riuscivo a connettere un granche' perche' una enorme trave mi sventro' il buco del culo, resistetti cosciente per qualche secondo, poi svenni.

Quando mi risvegliai ero a terra, tutti in piedi intorno a me che mi risvegliavano orinandomi addosso e dicendomi che la mattina era andata bene, ma nel pomeriggio non mi avrebbero lasciato scampo.

(Continua...)

Ste