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omoerotico: e' pertanto riservata a persone maggiorenni
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La
stagione degli O'Hara
Un racconto di
Ferdinando Neri
I
racconti pubblicati possono contenere descrizioni di sesso non
sicuro: ricordate, sono opera di fantasia! Nella vita reale
praticate sempre il Sesso Sicuro usando il preservativo.
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unsafe sex: remember, it's fiction! In real life always practice
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Mio padre stava bevendo un bicchiere con Joe quando si misero a parlare del mio ingaggio come bracciante per la stagione dagli O’Hara. Joe lo disse chiaramente:
- Cazzo, Mackie, bracciante, da solo, un ragazzo di quell’età. Sai benissimo come finirà: gli altri braccianti glielo metteranno in culo già la prima sera.
Sentii quella frase mentre stavo per entrare nella stanza e mi fermai, nascosto dallo stipite.
Mio padre replicò tranquillo:
- Cose che succedono, Joe. Deve imparare com’è fatta la vita. Aveva solo da studiare, se voleva fare il dottore o l’avvocato.
Tra me e la scuola non c’era mai stato molto amore, anche perché mio padre cambiava città ogni tre mesi e a me giravano i coglioni a dovermi ogni volta abituare a nuovi compagni, che regolarmente prendevano in giro l’ultimo arrivato, e a nuovi insegnanti. Avevo imparato presto a farmi valere e finii per essere sbattuto fuori da ogni nuova scuola dopo pochi giorni. A Saint Louis mi mandarono via a calci in culo due ore dopo il mio arrivo. In ogni caso, mio padre non mi avrebbe fatto studiare a lungo, anche se fossi stato il primo della classe: voleva che mi mettessi a lavorare il prima possibile e a dieci anni non ci provò più a mandarmi a scuola.
Le parole di Joe mi avevano disorientato. Lui intanto riprese:
- Cazzo, che cosa vuol dire “cose che succedono”? La prima volta quasi mi mandavano all’altro mondo. Avevo sedici anni e mi infilzarono in venti o giù di lì. Sanguinavo e stetti male per tre giorni. Cagavo merda e sangue.
- Piantala, Joe. Ci siamo passati tutti.
Già, mio padre lo sapeva benissimo quello che succedeva: era stato anche lui bracciante. Ma evidentemente alla faccenda non dava nessuna importanza. Per lui era uno dei tanti inconvenienti che possono capitare a chi deve guadagnarsi da vivere faticando e sudando per conto di altri. Ne aveva viste ben altre, lui: quando era arrivato nelle Devil Hills, c’erano ancora gli indiani, che un giorno avevano assalito la fattoria e fatto strage della sua famiglia. Se aveva alzato un po’ il gomito, cosa che faceva ogni volta che poteva permetterselo, mio padre raccontava che al nonno gli indiani avevano tagliato i coglioni, per fabbricarsi una borsa per il tabacco con lo scroto. Da allora, orfano e ancora ragazzino, non aveva avuto una vita facile, anche perché era una testa calda e attaccava briga con tutti. Si ritrovava a cinquant’anni senza un lavoro fisso, costretto ad arrabattarsi per sbarcare il lunario.
- Sì, però…
- Silas deve imparare a guadagnarsi da vivere e a cavarsela da solo.
Io mi allontanai. Dovevo incominciare il giorno dopo, alle sei. Sapevo che mi aspettava un’estate di fatica, ma c’ero abituato: avevo cominciato a spaccarmi la schiena quando non avevo neanche dieci anni, aiutando mio padre nei vari lavori stagionali. E mio padre di certo non mi risparmiava. Ma, lavorando con lui, non avevo mai subito violenze. Avevo preso tante botte, questo sì, per ogni piccolo errore o anche solo perché non ero stato abbastanza solerte. Conservo ancora oggi due cicatrici che mi lasciò mio padre.
Non avevo previsto che i maschi adulti con cui avrei lavorato avrebbero potuto interessarsi a me. Benché avessi diciotto anni, non avevo mai scopato con un uomo. E poche volte con donne, qualche puttana che me l’aveva data gratis. Non è che fosse stato quella gran meraviglia. Mi facevo qualche sega, quando il bisogno era molto forte.
Quel giorno, pensai alla faccenda. Non ci potevo fare niente. Un po’ mi spaventava, ma devo dire che mi incuriosiva anche. Non mi sembrava un dramma: in fondo la pensavo come mio padre. Poteva essere una scocciatura, soprattutto se mi avessero fatto male davvero, ma non era la fine del mondo. Probabilmente meglio delle botte. In ogni caso, era meglio che mi premunissi. Nel pomeriggio presi il coltello di mio padre e lo nascosi fuori dalla casa, tra le rocce. Mio padre non se ne accorse fino a sera. Mi chiese dov’era. Io finsi di cadere dalle nuvole. Due ceffoni me li presi, ma lui, dopo aver messo a soqquadro le mie cose, si convinse che l’aveva preso qualche ladruncolo.
Non è che intendessi ammazzare qualcuno, ma pensavo che il coltello sarebbe potuto tornare utile, se mi fossi trovato in una situazione insostenibile. In realtà, se avessero cercato di prendermi in tanti, non sarebbe stato certo un coltello a fermarli.
Incominciavamo il giorno dopo, lunedì. Mi alzai che era ancora notte: dovevo trovarmi dagli O’Hara all’alba ed era un’ora di strada. Se avessi avuto un cavallo, sarebbe stato uno scherzo. Per quello un cavallo era meglio della fica.
Presi le mie (pochissime) cose, recuperai il coltello e mi avviai. Arrivai quando stava schiarendo. C’erano già diversi braccianti. Guardandoli pensai che probabilmente qualcuno di quelli me l’avrebbe messo in culo in serata. Pensai che tutto sommato sarebbe stato meglio scegliere, invece di lasciare che fossero loro a decidere. Li guardai tutti, ma nessuno mi sembrava offrire qualche garanzia. C’erano anche altri due ragazzi, che avevano la mia età o un anno o due in più. Per un momento pensai di aggregarmi a loro, ma se le cose stavano come diceva Joe – e come mio padre non aveva negato – saremmo diventati il bersaglio comune.
Per ultimi arrivarono due che si assomigliavano molto. Pensai che dovevano essere fratelli e non mi sbagliavo. Erano sui quaranta, tutti e due alti e ben piantati, con una barba scura e pochi capelli in testa. Avevano l’aria simpatica e mi piacque il modo in cui tennero testa al sovrintendente che li rimproverava per essere giunti tardi (in realtà tardi non era, perché il carro che doveva portarci non era ancora arrivato, come gli fecero notare).
Decisi che se proprio doveva succedere, era meglio che fossero loro. Perciò mi avvicinai e, quando infine arrivò il carro e salimmo tutti, feci in modo di finire “casualmente” accanto a loro due.
Il viaggio durava mezz’ora, perché si incominciava dai terreni sulla collina, piuttosto lontani. Il fratello seduto alla mia sinistra si rivolse a me:
- Come ti chiami, ragazzo?
- Silas. E voi?
Ero contento che lui avesse attaccato bottone, così potevo ignorare il tizio alla mia destra, che si stringeva un po’ troppo a me.
- Io sono Eliah. Lui è Abraham. È più vecchio, ma è meno intelligente.
- Eliah, quando sono passati a distribuire i cervelli, tu eri andato a cagare, così non hai avuto la tua razione.
Abraham lo disse ridendo e anche Eliah sorrise, continuando:
- Non ti ho detto che Abraham ha un pessimo carattere, ma questo lo avrai capito da te.
Io risi.
- Ma litigate sempre?
- No, figurati: lo sopporto. Doveva chiamarmi Job, mio padre, non Eliah.
Abraham non rimase zitto:
- Doveva chiamarti Satan. Non so come faccio a sopportare questa zecca, Silas, ma almeno quando muoio avrò già scontato tutti i miei peccati.
- Tutti i tuoi peccati? Per quelli brucerai all’inferno, Eliah, per un milione di anni.
I due sembravano davvero simpatici ed ero contento della mia scelta.
- Da dove venite?
Non mi interessava saperlo, ma volevo mantenere il contatto che si era creato. Continuammo a parlare e scoprii che avevano avuto una vita alquanto avventurosa. Erano stati anche cacciatori di pellicce nell’Ovest e poi dopo essere sopravvissuti miracolosamente a un attacco indiano sul fiume Platte, avevano deciso che era preferibile rinunciare ad arricchirsi e vivere un po’ più a lungo, per cui si erano spostati nel Tennessee. Erano intenzionati a comprarsi una piccola fattoria, grazie a quello che avevano guadagnato con il commercio di pellicce. Avevano già avviato le trattative e a settembre la fattoria sarebbe stata loro. In attesa di concludere, avevano deciso di lavorare come braccianti e mettere da parte qualche soldo in più, invece di spendere quello che avevano rimanendo inoperosi.
Rispondendo alle loro domande, raccontai anch’io la mia vita, che non era certo stata avventurosa come la loro, ma che comunque era stata abbastanza movimentata. Il breve viaggio creò tra di noi un certo affiatamento e incominciammo a lavorare vicini. Abraham ed Eliah erano due tipi tosti: ci davano dentro nel lavoro, senza smettere. Anch’io avevo l’abitudine a lavorare, ma non la loro forza. Ogni tanto mi davano una mano e procedemmo molto spediti. Il sovrintendente non ci richiamò mai, anche se i due fratelli gli avevano tenuto testa quel mattino: aveva capito che erano due gran lavoratori e per lui era la cosa più importante.
Ci fu una pausa nelle ore centrali e mangiammo tutti insieme. Eravamo tutti stanchi, ma Eliah e Abraham scherzavano e si pigliavano per il culo l’un l’altro senza pietà. Pensai che si dovevano volere davvero bene e provai una fitta di invidia: i miei fratelli, tutti decisamente più grandi di me, se n’erano andati di casa da anni e tra noi non c’era mai stato un grande legame, anche per la differenza di età.
A sera ci portarono al fienile, dove avremmo dormito.
Prima di entrare, Abraham mi disse:
- Noi ci cerchiamo un angolino tranquillo. Se non vuoi correre rischi, puoi rimanere con noi.
Eliah intervenne:
- E non ti preoccupare di Abraham, da lui ti difendo io.
Abraham scosse la testa, come per dire che non valeva neppure la pena di replicare. Io mi dissi che i due erano simpatici e che se doveva proprio avvenire, era meglio che fosse con loro, per cui risposi:
- Volentieri.
Abraham ed Eliah si presero un buon posto in alto, in cui stavamo giusto in tre.
Ci lavammo tutti alla vasca. Qualcuno si lavò appena le mani e la faccia. Abraham ed Eliah fecero un lavaggio accurato, mettendosi in mutande. Ebbi modo di osservarli bene. Erano molto muscolosi, ma avevano un po’ di pancia. Il torace e il ventre era ricoperto da una peluria scura, molto fitta nel caso di Eliah, meno in quello di Abraham. Anche le braccia erano piuttosto pelose. Il rigonfio nelle mutande non lasciava dubbi sul fatto che dovessero avere tutti e due una buona attrezzatura e questo mi spaventò un po’. Erano gentili e io non mi sarei opposto, ma temevo che mi facessero male.
Cenammo intorno al fuoco. Diversi braccianti parlavano con gli altri due ragazzi. Uno, che si chiamava Paul, sembrava a suo agio e rideva spesso. Mi dissi che doveva già esserci passato e che non gli era dispiaciuto. L’altro invece era chiaramente intimidito e rispondeva a monosillabi, tenendo gli occhi bassi. A me non si avvicinò nessuno, ma Eliah e Abraham si erano messi uno da una parte e l’altro dall’altra. Qualcuno guardò verso di me, ma in qualche modo dovevano ritenermi proprietà dei due fratelli.
Ci coricammo presto: il mattino ci saremmo alzati prima dell’alba, per essere al campo allo spuntare del sole.
Mi fecero mettere nell’angolo, contro la parete, e loro due si misero di fianco a me. In questo modo se qualcuno si fosse avvicinato, sarebbe dovuto passare su di loro. Mi aspettavo che ci fosse qualche battuta e che poi incominciassero i fuochi d’artificio, ma mi diedero la buona notte. Eliah incominciò a russare poco dopo. Abraham, che era vicino a me, ci mise qualche minuto in più ad addormentarsi, ma presto sentii anche lui russare. Rimasi un po’ sorpreso, ma alquanto sollevato. Il russare dei due non era molto forte e cercai di sentire se c’erano rumori nel fienile. C’erano, senz’altro. Dal piano di sotto si sentiva un ansimare, accompagnato da gemiti e qualche battuta. Dovevano essere in diversi.
Dall’altra parte del fienile, dove si era coricato il ragazzo che appariva spaventato, si udivano pure voci sommesse. A un certo punto ci fu un mezzo grido, subito soffocato. Rimasi in ascolto un buon momento, poi mi addormentai.
Il martedì mattina scendemmo tutti e uscimmo per la colazione. Era ancora buio e i volti si vedevano appena. Paul sembrava soddisfatto: la serata era stata di suo gradimento. L’altro ragazzo teneva la testa bassa. Intorno a lui stavano tre dei braccianti, che ridevano. Uno gli mise un braccio sulle spalle, un altro gli palpò il culo e fece un apprezzamento. Parecchi risero.
Fu un’altra giornata di lavoro molto intenso. Con Eliah e Abraham mi trovavo benissimo e, nonostante la differenza di età, mi sembrava che fossimo vecchi amici.
La sera li osservai di nuovo lavarsi con cura: erano senza dubbio i due più puliti e, dormendo accanto a loro, questo non mi dispiaceva. Non che fossi molto sensibile agli odori altrui, ma avere vicino un caprone puzzolente, come quello che chiamavano Stinky, non è mai piacevole. E mi piaceva vedere i loro corpi seminudi, osservare l’acqua che gocciolava sul petto villoso.
La serata si svolse come la precedente. I miei due compagni si addormentarono quasi subito, mentre in almeno due altri punti del fienile ferveva un’intensa attività. Mi dissi che avevo scelto proprio bene. Con Abraham ed Eliah ero al sicuro. Ma mentre ascoltavo gemiti e sospiri, provavo una certa curiosità.
Il mattino dopo, mercoledì, mi svegliai prima che ci chiamassero. Era completamente buio, ma l’alba non doveva essere lontana. Qualcuno vicino a me ansimava leggermente: doveva essere stato quel suono a destarmi dal sonno. Mi chiesi se uno dei due fratelli non stesse sognando. Con cautela spostai la mano in direzione di Abraham, ma non era steso accanto a me. Il respiro pesante arrivava da poco oltre, dove dormiva Eliah. Ci fu un piccolo gemito, molto leggero, e l’ansimare cessò. Poco dopo sentii qualcuno sussurrare parole che non distinsi e Abraham tornò a stendersi accanto a me.
Abraham ed Eliah scopavano insieme? Non avrei saputo dare un’altra spiegazione.
Ci chiamarono poco dopo. I due fratelli non sembravano diversi dal solito. Notai solo che quando Eliah si appartò per i suoi bisogni, rimase più a lungo del giorno prima. Ma questo non voleva dire niente.
La giornata trascorse come le precedenti fino a sera. Subito dopo cena però, in un momento in cui Eliah e Abraham non erano vicino a me, mi si avvicinò Harry, uno dei braccianti, un vero ercole.
- Silas, questa sera vieni a dormire con noi, che ci divertiamo un po’.
Alcuni dei braccianti risero. Uno aggiunse:
- Sì, dai.
Harry rincarò la dose:
- Non è mica giusto che il tuo bel culo se lo gustino solo i due fratelli. Lo vogliamo assaggiare anche noi.
Abraham ritornò in quel momento. Harry si rivolse a lui:
- Vero che ce lo prestate, il vostro protetto?
Abraham lo squadrò:
- Silas fa quel che cazzo gli pare. Non decidiamo noi per lui.
- Allora questa sera viene da noi. Così impara qualche cosa di nuovo.
- Solo se lo vuole lui.
Sul viso di Harry apparve una smorfia.
- Lui viene con noi.
Io scossi la testa. Dissi, con decisione:
- No. Dormo con loro.
Harry fece un passo avanti e fece per afferrarmi il braccio, ma Abraham si mise in mezzo. Harry sibilò:
- Togliti di mezzo, stronzo, o ti spacco la faccia.
Abraham non si spostò. Harry incuteva paura e non era abituato a trovare qualcuno con i coglioni che osasse opporsi a lui. Ebbe una smorfia di disprezzo, si voltò come per andarsene, ma con un movimento brusco si rigirò e mollò un pugno tremendo in pancia ad Abraham. Non lo prese impreparato: in qualche modo Abraham, più esperto del mondo di quanto non fossi io, se l’aspettava, per cui saltò all’indietro e il pugno lo sfiorò appena.
In quel momento qualcuno si avventò su Harry e i due finirono a terra: era Eliah, che era tornato e aveva assistito all’ultima parte della scena. Harry cadde malamente ed Eliah ne approfittò per prendergli la testa e sbatterla contro il suolo.
Il sovrintendente arrivò in quel momento e intimò a Eliah di lasciare la preda, cosa che lui fece subito, rialzandosi.
Harry aveva il viso sporco di polvere e sangue. Si rivolse a Eliah:
- Uno di questi giorni ti ammazzo, bastardo.
Poi guardò Abraham e aggiunse:
- Ce ne sarà anche per te.
Se ne andò, voltando le spalle al sovrintendente, nonostante questi lo chiamasse.
Dopo che ci coricammo, Eliah mi disse:
- Di sicuro l’hai già capito, ma è meglio che tu giri al largo da Harry.
Fu Abraham a rispondere:
- Questo vale anche per te, Eliah. Vale per tutti e tre.
Potevo solo confermare. Lo scontro mi aveva turbato e tardai a prendere sonno. I miei due compagni non fecero fatica ad addormentarsi. Da altri punti del fienile sentivo provenire i soliti rumori. Ero molto curioso e di certo mi sarei sporto per vedere, ma nel fienile si riusciva a scorgere a malapena un’ombra quando qualcuno passava nello spazio libero davanti alla porta: le aree in cui dormivamo erano immerse nel buio. Non mi sembrava proprio il caso di avvicinarmi per verificare se riuscivo a vedere qualche cosa.
L’ansimare e i gemiti destavano la mia curiosità e il bisogno premeva. Pensai di farmi una sega, poi ci rinunciai. Sentivo il respiro pesante di Eliah (si era messo lui di fianco a me) e mi chiedevo se avevo fatto un buon affare a mettermi con i due fratelli. Certo, non avevo nessun voglia di farmi fottere da Harry. Ma avevo voglia di provare e i miei due angeli custodi non sembravano intenzionati a prendere l’iniziativa.
Il giovedì non successe nulla di notevole. Harry ogni tanto ci guardava. Quando fissava me, aveva una luce maligna negli occhi. Quando il suo sguardo si posava su Eliah o Abraham, vi si leggeva l’odio. Però non si avvicinò e non fece nulla. Aspettava il momento giusto, certo che prima o poi sarebbe arrivato.
Il venerdì mattina mi svegliai nuovamente un po’ prima dell’ora a cui ci chiamavano e mi resi conto che a destarmi non era stato il leggero ansimare (che sentivo anche questa volta), ma la vibrazione delle assi di legno su cui dormivamo. Abraham ed Eliah scopavano, ormai ne ero certo. Il pensiero mi provocò una violenta erezione. Volevo partecipare anch’io.
La faccia tosta non mi mancava: con Susy Ann, la seconda puttana che me l’aveva data gratis, ero stato io a propormi, quando avevo visto che lei mi fissava. Mi ero avvicinato e le avevo detto: “Non ho un centesimo, ma questo non ci impedisce di divertirci tutti e due.” Susy Ann aveva riso e c’era stata.
Avrei potuto farmi avanti con Eliah e Abraham, ma in qualche modo mi intimidivano, senza che fossi in grado di capire il perché. Perciò, per quanto fossi sempre più infoiato, non mi decidevo ad agire. Stavo troppo bene con i miei angeli custodi: con loro avevo una confidenza che non avevo mai avuto con nessuno, né con i miei fratelli maggiori, che non avevo fatto in tempo a conoscere bene, né con mio padre, a cui importava ben poco di me. Con Eliah e Abraham parlavamo di tutto, dei miei problemi con la scuola e delle loro avventure nell’Ovest, degli indiani e dei negri, di quella che sarebbe diventata la loro fattoria e dei miei vaghi progetti per il futuro: su quest’ultimo punto avevo poco da dire, non sapevo che cosa avrei fatto. Erano loro a stimolarmi, a dirmi che era ora che io incominciassi a pensarci, a fare progetti e a rimboccarmi le maniche per realizzarli.
Stavo troppo bene con loro. Avevo paura di rovinare tutto rivelando i miei desideri.
Avrebbero potuto dire di no e mi sarei sentito umiliato. Avrebbero potuto togliermi la loro protezione e sarei rimasto indifeso davanti a Harry e agli altri. Avrebbero potuto guardarmi con disprezzo e anche solo questo mi avrebbe fatto male.
Semplicemente, mi stavo innamorando di loro, ma questo non lo sapevo. Non avevo mai amato, non ero in grado di riconoscere l’amore.
Andammo avanti così anche le notti seguenti.
Durante il giorno Eliah e Abraham mi davano una mano per tutto e vegliavano su di me. Harry girava alla larga, anche se continuava a guardarci torvo.
Nelle pause dei pasti e la sera chiacchieravamo. Scoprii che Eliah e Abraham erano rimasti separati sette anni: i tre fratelli maggiori erano partiti per l’Ovest non Abraham, quando lui aveva dodici anni e Eliah dieci. Sarebbero dovuti rimanere lontano uno o due anni, ma tornarono dopo sette. Da allora però i due fratelli non si erano mai più separati. Mi chiesi se fossero diventati amanti allora, oltre vent’anni fa. Mi sembrava probabile.
La sera si sentivano i soliti gemiti e sospiri nel fienile, ma né il sabato, né la domenica mattina Eliah e Abraham scoparono.
La domenica avevamo la giornata libera. Qualcuno, che abitava nella regione, era già partito il sabato sera per tornare a casa: tra questi era Harry e ne fui contento. In maggioranza però i braccianti erano rimasti alla fattoria, anche perché potevano avere i pasti.
Quando ci alzammo, più tardi del solito, Eliah e Abraham mi dissero che a loro sarebbe piaciuto andare al fiume a bagnarsi e mi chiesero se avevo voglia di andare con loro. Non me lo feci ripetere. Partimmo abbastanza presto e camminammo a lungo: come disse Eliah, non volevano avere nessuno a rompere i coglioni. Costeggiando il fiume, trovammo un affluente, poco più di un torrente, e lo risalimmo finché arrivammo a un posto piacevole, circondato da una boscaglia fitta, con uno spiazzo sulla riva che sembrava fatto apposta per stendersi.
Eliah e Abraham si spogliarono, prendendosi per il culo come al solito:
- Vediamo un po’ se stai a galla o affondi, pancione.
- Tu galleggi di sicuro, perché la testa è vuota e ti tiene a galla.
- Tu invece affondi, perché la testa ce l’hai piena di segatura.
Non badavano a me. Io mi sentivo teso, perché intuivo che si sarebbero spogliati completamente. Desideravo vederli nudi e nello stesso tempo l’idea mi spaventava. Eliah fu il primo a finire di spogliarsi e calando le mutande mise in mostra un grosso cazzo e un formidabile paio di coglioni. Non era certo il primo uomo che vedevo nudo, ma lo spettacolo mi tolse il fiato. Eliah aveva davvero un’attrezzatura notevole e Abraham non era da meno. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, per quanto mi vergognassi. Eliah si gettò in acqua, in una pozza più profonda. Invece Abraham camminò fino a che l’acqua gli arrivò all’altezza della vita. Eliah, arrivato alle sue spalle, gli spruzzò l’acqua addosso. Abraham si gettò, ma quando riemerse, assalì Eliah. Lottavano, ridendo. Infine Abraham mise la testa di Eliah sotto l’acqua e la tenne un buon momento, prima di lasciarlo riemergere.
Giocavano come due bambini. Io avrei voluto unirmi ai loro giochi, ben sapendo che mi avrebbero coinvolto volentieri, ma lo spettacolo me l’aveva fatto venire duro e mi vergognavo a spogliarmi.
Rimanevo a guardarli, affascinato dalla loro maschia vitalità e dai loro corpi forti, segnati dal tempo.
In quel momento sentii un rumore alle mie spalle, ma prima che potessi voltarmi, un braccio mi afferrò e contro la gola sentii la lama di un coltello.
- Adesso regoliamo i conti, stronzi.
Era Harry, che aveva solo finto di partire la sera prima – o forse era davvero partito, ma adesso era tornato. Vidi con la coda dell’occhio un altro uomo, anche lui alquanto massiccio e armato di coltello.
Eliah e Abraham si guardarono un attimo, poi si avvicinarono.
- Se fate ancora un passo, lo sgozzo.
Abraham replicò, tranquillo:
- Non dire cazzate, Harry. Se lo fai, finisci con una corda al collo.
- Ammazzo anche voi.
Eliah e Abraham erano usciti dall’acqua ed erano a pochi passi da noi, ma a una certa distanza l’uno dall’altro.
- Harry, sei ancora più coglione di quanto pensassi. Incredibile!
Eliah rise all’osservazione del fratello. Poi fecero ancora due passi avanti, avvicinandosi a noi e allontanandosi l’uno dall’altro. C’era qualche cosa, nel modo in cui si muovevano, un po’ chini, ma pronti a scattare, che rivelava la loro sicurezza e una lunga pratica di combattimenti. Avevano dovuto affrontare spesso lotte corpo a corpo e tutti e due ne portavano le cicatrici. Di certo non era un Harry a spaventarli.
Eliah era molto vicino a Harry, che si sentiva sempre più a disagio: lo avvertivo dalla presa, meno salda, e dai movimenti impacciati. Infine allontanò il coltello e mi spinse a terra: per lui ero ormai un ostacolo, voleva avere le mani libere per combattere. Fu come il segnale della battaglia. In un attimo Abraham si chinò, raccolse della ghiaia e la gettò in faccia al complice di Harry. L’uomo chiuse un attimo gli occhi e questo fu più che sufficiente perché Abraham lo colpisse con un calcio ai coglioni. Poi, mentre l’uomo si piegava in due per il dolore, Abraham gli vibrò un colpo al collo che lo fece cadere a terra, boccheggiante. Un calcio in faccia spense ogni velleità di resistenza e Abraham si impadronì del coltello senza fatica.
Harry arretrava, vibrando fendenti per tenere lontano Eliah, che lo incalzava. Poi, vedendo il suo compare a terra, giocò il tutto per tutto: si lanciò su Eliah, cercando di colpirlo. Eliah saltò in alto, si aggrappò a un ramo e slanciando le gambe in avanti, mandò Harry a terra. Abraham gli afferrò il polso della mano che stringeva il coltello, mentre Eliah atterrava a piè pari sul suo torace, strappandogli un urlo.
In pochi minuti, i due assalitori erano a terra, alquanto malconci e disarmati. Eliah e Abraham si guardarono, poi presero a pisciare in faccia a Harry. Questi cercò di alzarsi a sedere, ma un violento calcio lo mandò a terra.
Quando i due fratelli ebbero finito, Eliah si chinò e appoggiò la lama del coltello sotto i coglioni di Harry.
Fu Abraham a parlare:
- Che ne diresti se ti castrassimo, Harry, come un porco? Così forse ti si calmano i bollenti spiriti.
Lessi il terrore sul viso di Harry.
- No! No! Io…
- Ascoltami bene, pezzo di merda. Adesso tu e il tuo amico ve ne tornate da dove siete venuti. Non rimettete più piede da queste parti finché ci siamo noi: la stagione te la fai da un’altra parte, se ti prendono. Perché se ritorni qui, Harry, te li taglio davvero. Hai capito?
E dicendolo punse con la lama la pelle. Harry spalancò gli occhi, ansimando. Poi annuì. A fatica si alzò. Il suo complice era ancora a terra, boccheggiante. Harry fece per andarsene, ma Eliah gli disse:
- Portati via anche questo stronzo.
Harry aiutò il tizio a sollevarsi e se ne andarono, barcollando.
Abraham scosse la testa.
Io chiesi:
- Credete che torneranno?
- No, Harry è un coglione, ma ha capito che noi non scherziamo. Di oggi non torna. Ma non so se deciderà di andarsene davvero.
Poi Eliah mi disse:
- Spogliati, Silas. Ci mettiamo a lavare i panni.
Abraham ed Eliah presero le loro camicie e le mutande e si misero a lavarle energicamente. Io mi spogliai: lo scontro aveva cancellato l’eccitazione e se la vista dei due fratelli l’avesse fatta tornare, avrei potuto tuffarmi nell’acqua fresca.
Abraham ed Eliah lavarono con cura, poi mi passarono il sapone e anch’io mi lavai camicia e mutande. Stendemmo ad asciugare ai rami degli alberi la nostra biancheria.
Eliah si stese a pancia in giù. Abraham si mise su un fianco, vicino al fratello, e incominciò ad accarezzargli la schiena, dalla nuca fino al culo. Eliah sorrideva. A me mancò il fiato. Le mani di Abraham risalirono lungo la schiena di Eliah, le sue dita indugiarono sulla nuca, poi la strinsero un po’ e infine ridiscesero e questa volta strinsero con forza le natiche. Poi Abraham mi guardò e disse:
- Se ti dà fastidio, Silas, smettiamo.
Io scossi la testa, senza fiato.
Eliah mi guardò, strizzò un occhio e disse:
- Se invece ti piace, ti toccherà pagare la tua parte.
Cercai di controllare la voce, per rispondere senza tradire la mia agitazione:
- E come dovrei pagare?
- Vedremo.
La mano di Abraham scivolò ancora una volta dalla nuca al culo, ma questa volta un dito
Il mio corpo reagì con intensità. Eliah mi lanciò un’occhiata e mi sorrise, strizzandomi di nuovo l’occhio. Il cazzo di Abraham cresceva ancora di volume. Mi sembrava impossibile che potesse entrare dentro Eliah senza provocare lacerazioni. Mi tornavano in mente le parole di Joe quando parlava con mio padre della sua esperienza.
Eliah mi tese una mano e mi disse:
- Vieni qui.
Eliah spinse la sua lingua dentro la mia bocca. L’aveva già fatto Susy Ann, ma questa volta la sensazione fu molto più intensa e molto più piacevole. Ora una mano di Eliah mi accarezzava il viso e poi scendeva sul collo. Eliah ritirò la lingua, staccò il viso e mi guardò sorridendo. Intanto la sua mano scivolava sul mio corpo, in una carezza delicata, fino al cazzo, ormai teso, e ai coglioni. Eliah strinse e in quel momento sussultò e disse:
- Cazzo! Abraham!
Abraham era entrato dentro di lui e ora era steso sulla sua schiena. Abraham rise e si ritrasse. Guardai il suo grosso cazzo uscire dal culo di Eliah.
Eliah mi guardò:
- Abraham non ci sa fare. È un animale. D’altronde, che cosa pretendi da uno che ha il cervello di una gallina?
Per tutta risposta, Abrahm lo infilzò come un pollo con il suo potente spiedo. Eliah sussultò di nuovo, ma doveva essere abituato a quel tipo di gioco. Strinse i denti e mi disse:
- Non prendere esempio da lui, Silas. Non imparerà mai, ma non è neanche colpa sua: proprio non ci arriva…
La frase finì con un gemito, perché Abraham aveva appioppato una forte spinta. Io guardavo, affascinato, i due corpi che aderivano uno all’altro. Abraham incominciò a spingere con forza, avanti e indietro. Il movimento deciso del suo grosso culo peloso e i gemiti di Eliah mi stordirono. Ero talmente eccitato che mi mancava il fiato. Pensai che sarei venuto soltanto guardandoli. Eliah ogni tanto strizzava gli occhi e il viso gli si era arrossato: ero certo che Abraham, che ci dava dentro senza pietà, gli facesse alquanto male, ma Eliah non sembra intenzionato a sottrarsi.
Abraham afferrò le natiche di Eliah e strinse con forza. Questa volta il gemito di Eliah fu quasi un urlo.
- Cazzo, bestia!
Due spinte ancora più vigorose parvero spegnere ogni velleità di resistenza di Eliah. Per un buon momento Abraham continuò, senza che Eliah dicesse più nulla. Poi il suo culo prese a muoversi a un ritmo più rapido e violento. Eliah emise una serie di gemiti più forti, bestemmiò due volte, poi lanciò un urlo strozzato, mentre Abraham assestava le ultime spinte, ancora più forti, come se volesse trapassare Eliah. Abraham emise un grugnito e si afflosciò su Eliah. Sembravano tutti e due esausti.
Poi Abraham uscì e si distese sulla schiena; Eliah lo imitò. Potevo guardare i loro grossi cazzi, ancora gonfi di sangue, ma non più rigidi, che poggiavano sulla peluria fitta del ventre. Eliah aveva una macchia umida: anche lui era venuto.
Ci volle un momento prima che Eliah parlasse e dicesse:
- Cazzo, Abraham! Dopo averti visto in azione in questo modo, Silas sta solo aspettando il momento per scappare il più rapidamente possibile.
Abraham si sollevò un po’, per guardare nella mia direzione.
- A giudicare dal cazzo duro, secondo me non è a scappare che pensa.
Poi si rivolse a me:
- Quando abbiamo ripreso fiato, facciamo un giochino a tre, se ne hai voglia.
Eliah replicò:
- Deve averne voglia come di farsi impiccare.
- In effetti agli impiccati spesso viene duro.
Lo scambio di battute mi strappò un mezzo sorriso, ma io ero troppo eccitato. Eliah lo capì, mi tese una mano, che io gli presi, e mi fece stendere su di lui. Era splendido sentire sotto di me quel corpo caldo. Incominciai ad accarezzare la peluria fitta.
Le mie carezze, inizialmente esitanti, si fecero via via più decise. E a un certo punto sentii sulla mia schiena la mano calda e forte di Abraham. Emisi un gemito. Mi resi conto che ormai ero sul punto di venire. Lo intuì anche Abraham, che si stese su di me. Ora il mio corpo era stretto tra i corpi vigorosi dei due fratelli. Contro il mio culo sentivo il cazzo di Abraham e contro il ventre quello di Eliah. Mossi leggermente il culo due volte e venni su Eliah.
Eliah mi prese la faccia tra le mani e mi baciò. Abraham scivolò di lato e mi accarezzò dolcemente, più volte, dalla nuca al culo.
Poi mi stesi di fianco a loro. Stavo bene come non mi era mai capitato. Sentii che il sonno mi prendeva e mi abbandonai.
Mi svegliai un’oretta dopo. Doveva essere intorno a mezzogiorno, perché il sole era molto alto in cielo. Eliah e Abraham erano di nuovo in acqua. Quando mi misi a sedere, raggiunsero la riva.
- Che ne diresti di mangiare, Silas?
In effetti avevo fame, anche se non solo di cibo.
Mangiammo, poi ci distendemmo, uno a fianco dell’altro, sull’erba. Io sentivo il desiderio crescere, ma mi vergognavo di dirlo, anche se mi rendevo conto che non aveva senso.
Eliah mi strizzò l’occhio.
- Direi che il nostro Silas ha ancora fame, anche se ha appena mangiato.
- Mangiato? Ha fatto appena uno spuntino, ma adesso può saziarsi, se vuole.
Abraham mi passò una mano sotto il collo e mi sollevò. Lasciai che mi guidasse fino al suo cazzo. Lo guardai, ammaliato. Abraham esercitò una pressione leggera e mi trovai a sfiorare con le labbra quel saporito boccone. Non l’avevo mai fatto, non sapevo come farlo, ma lasciai che mi guidasse il desiderio. Presi in bocca la cappella, incominciai a leccare e succhiare e sentii che dentro la mia bocca il cazzo acquistava volume e consistenza. Eliah si era messo dietro di me e le sue mani mi accarezzavano la schiena e il culo, scivolando poi davanti, fino a stringermi il cazzo. Io continuavo a succhiare, leccare e mordicchiare, mentre le mie mani stringevano i coglioni di Abraham o risalivano lungo il ventre, fino al torace.
Ora il corpo di Eliah aderiva al mio e le sue mani mi percorrevano, dai capezzoli, che stringeva con forza, al culo. Due dita scivolarono lungo il solco, raggiunsero l’apertura e la stuzzicarono. Si staccarono e ritornarono, umide. Questa volta non si fermarono sulla soglia, ma entrarono e io sussultai: era la prima volta che questo mi capitava.
Eliah mi sussurrò:
- Vuoi provare qualche cosa di più consistente?
Avevo paura, ma lo desideravo. Staccai la bocca e riuscii ad articolare un “Sì” appena percettibile.
- Vuoi provare la mazza di Abraham o la mia?
Guardai la formidabile mazza che avevo appena mollato per rispondere. Ripensai a quando Abraham era entrato dentro Eliah. Non me la sentivo.
- La tua, Eliah.
E mentre lo dicevo guardai in viso Abraham. Sorrideva e avrei giurato che era contento della mia scelta. Non capii. Non potevo capire che Abraham, pur desiderando essere il primo a gustare il mio culo, preferiva che lo fosse Eliah, perché sapeva che anche il fratello lo desiderava. Non conoscevo le scelte dell’amore.
Eliah mi accarezzò a lungo e io ripresi la mia opera con Abraham, ma ero teso, in attesa di ciò che sarebbe avvenuto. Eliah mi fece stendere, mettendomi in modo che potessi continuare la mia opera e contemporaneamente offrirgli il culo. Poi incominciò a mordicchiarmi le natiche. Anche questo era per me del tutto nuovo. Non mi era mai passato per la testa che si potesse fare. Eliah mordeva ora molto delicatamente, ora assestando morsi decisi, che mi facevano sussultare. Io intanto cercavo di tenere in bocca il più possibile il cazzo di Abraham, che aveva ormai raggiungo le sue dimensioni massime.
La lingua di Eliah lungo il solco e poi contro il buco mi fece gemere e chiusi gli occhi, preso da una vertigine. Eliah ripeté l’operazione due volte, poi si stese su di me. Potevo sentire il suo cazzo premere contro il solco. Eliah mi baciò sul collo, passò la lingua dietro l’orecchio, poi dentro, mi morse una spalla e, prima che avessi il tempo di realizzare, forzò l’apertura. Si fermò subito, dandomi un momento per riprendermi e abituarmi. Avevo smesso di succhiare il cazzo di Abraham, troppo assorto dalle nuove sensazioni che mi trasmettevano la bocca e il cazzo di Eliah. Solo la cappella era dentro di me. Avrei voluto dirgli di uscire, perché questa presenza nuova e ingombrante mi sgomentava. Ma avrei anche voluto dirgli di entrare ancora di più dentro di me, perché la sensazione di pienezza che mi trasmetteva era inebriante. Non dissi nulla. Abraham mi accarezzò la testa, con molta delicatezza.
Dopo un attimo Eliah avanzò ancora. Mi tesi e si fermò, ma quando mi rilassai nuovamente, spinse più a fondo. Ora era dentro di me, forte, grande, caldo. Era bellissimo, anche se era un po’ doloroso. Era bello sentire la sua forza dentro di me, sentirlo dilatare le mie viscere, riempirle completamente. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a questa sensazione splendida, dimenticando tutto il resto. Era perfetto.
Eliah mi lasciò tutto il tempo di abituarmi, mentre le sue mani e la sua lingua mi accarezzavano e mi stuzzicavano. Poi incominciò lentamente a muoversi avanti e indietro, spingendo a fondo, fino a che il suo sperone era tutto dentro di me, e poi ritraendosi. Due volte uscì, mi diede il tempo di tirare il fiato, poi rientrò, sempre con lentezza.
Io avevo lasciato il boccone di carne che avevo gustato: adesso tutto il mio corpo vibrava per la mazza che mi scavava dentro, trasmettendomi sensazioni intensissime. Eliah uscì ancora una volta, ma io gemetti: lo volevo dentro di me, avrei voluto averlo dentro per sempre. Eliah rientrò e riprese le sue spinte, che andarono lentamente intensificandosi. Poi il ritmo della cavalcata divenne intensissimo. Il piacere si dilatò ancora, ma ora era misto a un dolore che cresceva e che era impossibile ignorare. Gemetti ed ebbi la sensazione che dentro di me qualche cosa esplodesse. Il seme sgorgò violento e il piacere mi accecò. Poco dopo sentii dentro di me il seme di Eliah che si riversava nelle mie viscere. Abraham mi accarezzò la testa.
Quando Eliah uscì da me, ci sdraiammo tutti e tre sulla schiena. Eliah, che era tra me e Abraham, mise la mano sul cazzo del fratello e incominciò ad accarezzarlo, poi lo strinse e si mise a fargli una sega. Abraham sorrideva, tranquillo. Lo vidi solo socchiudere la bocca in un sospiro appena udibile quando venne. Si girò verso il fratello e lo baciò sulla bocca, poi ritornò nella posizione di prima.
In quel che rimaneva del pomeriggio, ci baciammo e ci accarezzammo ancora. Credo che avrei volentieri scopato ancora, ma loro non presero nessuna iniziativa e io non dissi nulla.
La sera tornammo al fienile. Harry non c’era, ma arrivò il mattino dopo. Guardò i due fratelli con un’aria di sfida, come a dire: “Sono qui e ora provate a mandarmi via.” Abraham ed Eliah non dissero nulla. Lo ignorarono completamente, ma Eliah mi disse:
- Non ti allontanare da solo o con qualcuno che non sia uno di noi due. Harry si vuole vendicare dell’umiliazione e tu sei il bersaglio più facile. Qualcuno degli altri può essere disposto a dargli una mano, per gustare il tuo culo.
Annuii.
- Va bene, Eliah.
Durante il giorno non successe niente e neppure la sera, ma nella notte fui svegliato di soprassalto dalla voce di Abraham, che diceva, forte:
- Che cazzo vuoi, Harry? Non è qui che dormi.
Mi tirai su a sedere. C’era qualcuno vicino, che si allontanò, senza dire nulla. Al buio era impossibile capire chi era, ma ero sicuro che Abraham non si fosse sbagliato. Mi sentivo inquieto, ma Eliah mi sussurrò:
- Dormi tranquillo, Silas. Abbiamo il sonno molto leggero: nell’Ovest chi ha il sonno duro non campa a lungo. Non ci prenderà di sorpresa.
Qualcuno bisbigliava in un angolo del fienile. Ci fu una risata, poi ancora un mormorio e infine tornò il silenzio. Mi riaddormentai, inquieto, ma sentendomi protetto dai miei due angeli custodi.
Nei giorni seguenti non successe niente di notevole. Harry non si avvicinava, ma intuivo benissimo che attendeva un’occasione favorevole per vendicarsi. Facevo molta attenzione a non allontanarmi da Eliah e Abraham e anche loro erano vigili, ma non per questo tesi: li vedevo molto più tranquilli di me. Erano abituati a ogni sorta di pericoli, avevano affrontato indiani, orsi, lupi, banditi, il gelo delle montagne in inverno, perfino un puma.
Due volte in settimana ci amammo nel buio del fienile e mi sembrò di essere in paradiso.
La domenica successiva ci scegliemmo un altro posto isolato, controllando che Harry non ci vedesse, e ci dedicammo ai nostri giochi. Quel giorno mi prese anche Abraham, con grande delicatezza. Fu doloroso, ma splendido.
Tornando alla fattoria, scoprii che mio padre era passato a ritirare la mia paga per i quindici giorni di lavoro. In realtà aveva chiesto l’intero mese, ma il responsabile si era rifiutato di pagare in anticipo. Aveva anche lasciato detto che partiva per Phoenix. Tipico di lui. Per qualche motivo aveva deciso di spostarsi. Di me non gliene fotteva un cazzo, come dei miei fratelli. Aveva pensato a me solo perché sperava di poter avere i soldi che stavo guadagnando. Non aveva lasciato un indirizzo, niente. Phoenix. Se volevo, potevo cercarlo là, alla fine dei lavori estivi. Sempre che lui non avesse già lasciato Phoenix o magari non avesse cambiato idea strada facendo.
Se non ci fossero stati Abraham ed Eliah, la faccenda mi avrebbe angosciato. Ma sapevo di poter contare su di loro e questo mi aiutò a incassare il colpo, che non era del tutto inatteso: sapevo che tipo era mio padre.
Un mese passò senza particolari problemi. Gli ultimi quindici giorni li avremmo trascorsi in un’altra fattoria. Io ero un po’ inquieto, perché non sapevo dove ci saremmo sistemati per la notte. L’angolo del fienile in cui eravamo stati fino ad allora, in alto, era un’ottima posizione, isolata e raggiungibile solo da una direzione o con la scala. Non era detto che avessimo una sistemazione altrettanto comoda.
I miei timori si rivelarono fondati. Dormivamo tutti in un edificio basso e lungo, sul cui pavimento erano stati stesi pagliericci. Abraham ed Eliah si assicurarono un angolo, ma questo non significava molto: niente ci separava dagli altri e fummo costretti a diventare molto più cauti nei nostri giochi notturni. Harry dormiva poco più in là, con alcuni dei suoi amici. Ero sicuro che prima o poi avrebbe cercato di vendicarsi, anche se sapeva di avere due avversari formidabili.
I giorni però passavano senza che succedesse niente. E man mano che si avvicinava la fine della stagione, un altro problema mi assillava: che cosa avrei fatto? Non avevo più una casa a cui tornare, se casa si poteva chiamare quella specie di baracca in cui vivevamo. Potevo cercare mio padre a Phoenix, era quello che avrei dovuto fare, anche se non era detto che lo trovassi. Oppure avrei potuto cercare lavoro da qualche parte. Ma in quel momento erano due possibilità che non mi interessavano per niente. Desideravo una sola cosa: andare a stare con Abraham ed Eliah. L’idea di non vederli più ogni giorno mi faceva stare male, tanto male che non riuscivo a nascondere la mia sofferenza.
L’ultima domenica della stagione, cercammo come al solito un posto isolato. Eliah si allontanò subito. Abraham allora mi chiese che cosa avessi.
- Sono diversi giorni che sei di umore nero, Silas. Qual è il problema?
Abraham mi sorrideva, ma io non sapevo da che parte incominciare. Poi mi feci coraggio e dissi:
- Penso a dopo, a domenica prossima, quando ce ne andremo. Sai che mio padre è andato via, a Phoenix. Non so bene che cosa fare.
Abraham parve stupito.
- Ma che cazzo dici, Silas? Non vuoi venire con noi? E perché?
Io mi ponevo tanti problemi e lui dava per scontato che io andassi con loro.
- A me piacerebbe, ma… non so…
- Non sai che cosa, Silas? Il nostro ranch è un bel posto. Non c’è da vivere nel lusso, ma quello che serve non manca. Che cos’è che ti fa esitare?
Abraham non capiva. Per lui era ovvio che io andassi con loro. Io ne ero ben felice, ma non sapevo più che cosa dire. Allora provai a chiedere:
- Sei sicuro che Eliah sia d’accordo?
- Eliah? Ma Eliah è sicuro che tu venga con noi. Figurati se non è d’accordo. E…
Si sentì il verso di un uccello e Abraham si interruppe di colpo. Si mise un dito davanti alla bocca. Poi prese dalla bisaccia una pistola. Non sapevo che ne avesse una.
Abraham si guardò intorno e mi sussurrò:
- Stenditi dietro quel sasso e non ti muovere.
Obbedii. Pancia a terra, mi guardai intorno, sporgendo la testa di lato. Abraham si spostò dietro un albero, con la pistola in pugno.
Non sapevo quale pericolo ci minacciasse, ma ero sicuro che si trattasse di Harry, deciso a regolare i conti una volta per tutte.
Non mi sbagliavo. Lo vidi arrivare, con altri quattro, tutti armati. Due lavoravano con noi alla fattoria, gli altri non li conoscevo, dalla carnagione scura li avrei detti messicani, ma erano i classici pendagli da forca, probabilmente due pistoleri.
Harry si guardava intorno, quando risuonò la voce di Eliah:
- Siete sotto tiro. Buttate le pistole.
Eliah doveva essere appostato da qualche parte: per quello si era allontanato subito. Lui e Abraham erano sicuri che Harry avrebbe agito oggi.
I due pistoleri si girarono, buttandosi a terra e spararono. Subito dopo risuonarono altri quattro spari e anche Harry e gli altri due uomini si gettarono a terra. Sentii un grido e una bestemmia, in spagnolo. Vidi Abraham scattare di corsa e sparare due volte. Sentii ancora un urlo.
Poi ci fu silenzio. Non osavo muovermi. Non avevo una pistola, che comunque mi sarebbe servita a poco: non ero un buon tiratore. Mi venne in mente il coltello, che avevo nella bisaccia. La sacca era a pochi passi e mi sporsi per prenderla, ma una pallottola fischiò a due dita dalla mia testa. Mi ritrassi dietro il masso.
Non sapevo dove fossero, ma erano in una posizione da cui potevano controllarmi. Ed Eliah? E Abraham? Abraham non era stato colpito: non c’erano più stati spari da quando lo avevo visto muoversi. Ma Eliah? E i cinque? Quanti erano feriti o morti, quanti erano appostati in attesa di poterci colpire?
L’idea di non poter far nulla mi rodeva. Loro erano in cinque, cinque contro due.
Ci fu un altro sparo. Poi due colpi. Un nuovo sparo e un urlo. Non avrei saputo dire di chi era la voce.
Mi dissi che dovevo prendere la bisaccia. Dovevo procurarmi un’arma. Il coltello lo sapevo usare bene. Mi tolsi la camicia, staccai da un cespuglio un ramo e la sporsi oltre il masso, ritirandola subito. Non successe nulla.
Riprovai. Anche questa volta non ci furono spari. Poi sentii due colpi, allora scattai fuori, raggiunsi la bisaccia, la presi e mi gettai di nuovo a terra. Ci furono altri colpi, ma non ero io il bersaglio.
Strisciai verso la roccia e mi misi nuovamente al riparo. Non sapevo però se la roccia era davvero un riparo: gli spari provenivano da punti diversi e gli assalitori potevano essersi spostati.
Me lo ritrovai addosso di colpo: saltò su di me e mi puntò la pistola addosso. Sentivo la canna alla tempia. Era uno dei due messicani.
- Non ti muovere.
Poi mi afferrò per i capelli, forzandomi ad alzarmi. Mi stringeva con un braccio e con l’altra mano mi puntava la pistola alla tempia. Io avevo la bisaccia in mano e non la mollai, ma non cercai di tirar fuori il coltello: prima che potessi servirmene mi avrebbe colpito.
- Vieni fuori, bastardo, o ammazzo il ragazzo.
Ci fu un momento di silenzio. Io rimanevo muto. Con un movimento molto lento, presi la bisaccia con la sinistra e ci infilai dentro la destra, finché non impugnai il coltello.
L’uomo ripeté:
- Vieni fuori o lo ammazzo.
Ci fu un movimento tra i cespugli e lui puntò la pistola in quella direzione, allentando la presa. Allora lasciai cadere la bisaccia e mi voltai di scatto, infilandogli il coltello nel fegato. Emise un grido strozzato e mi guardò, incredulo. Barcollò.
- Giù, Silas!
Al grido di Eliah mi buttai a terra: appena in tempo. Risuonarono due spari. Un proiettile, destinato a me, colpì il messicano, facendolo cadere a terra. Ci fu un urlo.
Eliah mi raggiunse.
- Rimani lì, Silas. Controlliamo che sia finita.
Eliah e Abraham tornarono dopo pochi minuti. Eliah mi disse:
- I due messicani e Charlie sono morti, Harry e Thomas sono feriti.
Abraham osservò il messicano.
- Cazzo, Silas! Con te è meglio non litigare!
Io sorrisi, contento di aver fatto anch’io la mia parte.
- Mi sa che anche con voi due sia meglio non litigare.
- Facciamo un bel terzetto.
E dopo aver detto questo, Abraham si rivolse al fratello, aggiungendo:
- Ma lo sai che questo stronzo non voleva venire con noi al ranch?
Eliah mi guardò stupito.
- Ma perché, Silas? C’è qualche cosa che non va?
Io scossi la testa.
- No, no, non mi avevate detto niente. Non sapevo se volevate.
Abraham storse la bocca:
- Mi sa che sai usare il coltello meglio del cervello.
Poi mi sorrise, si avvicinò e mi baciò sulla bocca.
- Adesso abbiamo altro da fare. Che rabbia! Ma appena possiamo, recuperiamo!
La settimana non ci offrì molte occasioni di recuperare, tra il lavoro e il processo. Prima che noi finissimo l’ultima settimana alla fattoria, Harry e Thomas vennero condannati per tentato omicidio e impiccati. I due messicani risultarono essere banditi ricercati per una lunga serie di delitti.
Quando però lasciammo la tenuta degli O’Hara, passammo una notte alla locanda prima di raggiungere il ranch e devo dire che dormimmo davvero poco.
Ferdinando Neri
Sito: http://www.calligrammi.com/ferdinandoneri/index.htm
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