ORSI ITALIANI MAGAZINE
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over 18
Il rinnegato e lo schiavo
Un racconto di Ferdinardo Neri
Amavo
Philip come non sapevo che si potesse amare. Era l'aria che respiravo,
l'acqua che bevevo, la terra che mi sosteneva, il cibo che mangiavo.
Philip era il mondo ed il mondo non esisteva senza di lui, non poteva
esistere. Avevo vent'anni e sapevo, con assoluta certezza, che avrei
amato Philip e solo lui per sempre e che lui avrebbe amato me e solo me
per tutta la vita.
Non avevo avuto un'esistenza facile: mio padre
era morto quando io avevo appena dodici anni ed avevo dovuto
interrompere gli studi per guadagnarmi da vivere. Avevo lavorato nella
bottega di un fabbro e li' avevo imparato ad apprezzare le armi,
percio' avevo scelto di diventare soldato. Ero molto forte e resistente
alla fatiche, ma la vita che conducevo era avara di soddisfazioni.
Vivevo sotto un cielo perennemente grigio, che spegneva i colori.
Philip
fu il sole che squarcia le nuvole e di colpo illumina il mondo. Vivevo
per lui ed anche se potevamo vederci solo una o due volte la settimana,
sapevo che lui viveva per me. La sua bellezza incredibile mi
apparteneva, mi sarebbe appartenuta per sempre.
Volai alto per sei
mesi, respirando l'aria rarefatta dei monti, guardando il mondo dalla
vetta. Ero convinto che avrei continuato a salire, a salire.
Precipitai
al suolo un pomeriggio di giugno, quando seppi che avevano arrestato
Philip: faceva parte di una banda di briganti che aveva commesso
diversi furti ed alcuni omicidi nelle case della regione.
Pensai
ad un errore, ma non c'era nessun equivoco. E non era neanche
un'invenzione quello che venni a sapere subito dopo: Philip ed uno dei
suoi complici erano stati arrestati mentre scopavano.
Non ci credetti. Non credetti a nulla, fino a che le prove si accumularono e non mi fu piu' possibile dirmi che non era vero.
Ma non avevo ancora toccato il fondo.
Incominciarono
a circolare altre voci: si scopri' che Philip aveva una relazione con
un uomo, nella citta' in cui vivevo. Mi vidi scoperto, temevo un
processo per sodomia, un'accusa di complicita'. Avrei voluto fuggire,
ma non potevo andarmene senza conoscere la sorte dell'uomo che amavo.
Poi salto' fuori che l'amante di Philip era un facoltoso commerciante.
Ma non c'era solo lui, ce n'erano diversi altri, di molti dei quali si
diceva apertamente il nome. Philip era insaziabile e per lui io ero
stato solo uno dei tanti.
Impiccarono Philip ed i suoi complici ed
io mi congedai, lasciando l'Inghilterra. La mia vita era finita. Non
avrei amato mai piu', non avrei mai piu' sofferto per amore. Avevo
vent'anni.
Mi arruolai come soldato mercenario, prima in
Fiandra, poi, seguendo la compagnia con cui combattevo, in Italia.
Cambiai due volte ingaggio, mentre alleanze e guerre nascevano e
morivano. Re e principi non erano piu' fedeli di quanto fosse stato
Philip ed il mondo mi sembrava un immenso pantano. Il cinismo e
l'avidita' dei potenti non valevano di piu' della ferocia e della
meschinita' dei soldati al cui fianco combattevo. La violenza gratuita
di cui davano prova molti dei miei compagni mi disgustava, ma quello
era ormai il mio mestiere.
Non mi fu difficile tenere rigorosamente
fede all'impegno che avevo preso con me stesso. Ebbi spesso rapporti,
osservando la dovuta prudenza: essere scoperti era un rischio mortale.
Ebbi alcune relazioni che durarono nel tempo. Ma non amai e non soffrii
per amore.
In una grande battaglia molti dei miei compagni trovarono
la morte. La sconfitta subita dal sovrano per cui combattevo porto' ad
una conclusione della guerra ed allo scioglimento di cio' che rimaneva
della nostra compagnia.
Avevo ventotto anni, poco denaro in tasca e
nessun sogno. Sentii parlare delle truppe del conte di T., un nobile
che aveva perso il suo feudo ed aveva organizzato una compagnia di
ventura, nella speranza di riconquistare la contea. Erano soldati
particolarmente disciplinati ed agguerriti. Decisi che avrei cercato di
entrare in quell'esercito.
Il conte di T. combatteva allora
nell'Italia settentrionale, non lontano da dove mi trovavo. Quando
raggiunsi il suo esercito, avevo dato fondo al mio scarso denaro.
Fortunatamente il conte aveva bisogno di uomini.
Il vicecomandante mi mise alla prova: lo dovetti affrontare in un duello.
Capii
subito di avere a che fare con un avversario imbattibile. Non potevo
fare altro che cercare di resistere il piu' a lungo possibile. Mi
assali' con impeto, dimostrando un'agilita' che il suo aspetto
imponente non lasciava sospettare. Dovetti rinunciare ad attaccare ed a
lungo rimasi sulla difensiva. Lo studiai e cercai di individuare i
punti deboli, ma non ce n'erano. Quando ebbi capito come si muoveva,
riuscii ad attaccare anch'io, senza mai minacciarlo davvero, ma
riuscendo almeno a frenarne l'impeto. Ero esausto e fradicio di sudore.
Gli sfiorai il braccio con la lama, graffiandolo appena. Lui reagi' con
una carica che mi travolse. Mi trovai la punta della lama contro il
ventre e per un attimo pensai che mi avrebbe ucciso, ma devio' la lama
e non mi scalfi' neppure.
Mi guardo', sorridendo:
- Bravo, sei un ottimo combattente. Complimenti!
Il suo apprezzamento mi fece molto piacere: veniva da un uomo che se ne intendeva.
Prima
di assoldarmi l'uomo mi fece un discorso molto duro sulla disciplina,
assai piu' severa di quanto non fosse di solito in quelle formazioni:
in particolare il saccheggio di villaggi e citta' poteva avvenire solo
su esplicita autorizzazione del conte ed entro limiti rigorosi. Se non
avessi obbedito, sarebbe stata la morte.
Mi piacquero quelle norme.
Mi piacque anche l'uomo che le enunciava. Ruggero di Monfalcone era
mezzo italiano e mezzo francese ed aveva un viso circondato da una
folta barba nera, occhi scuri, un fisico possente. Eravamo molto
diversi: io non ero certo esile, ma ero assai meno massiccio di lui ed
ero biondo, con i capelli molto chiari e la barba un po' piu' scura.
Nei
primi tempi tutti i nuovi arrivati rimanevano sotto il suo comando
diretto. Ci valutava nelle esercitazioni come in battaglia e nella vita
all'accampamento.
Stavo bene
vicino a lui, lo stimavo e lo ammiravo. Non sono mai stato uno di
quegli uomini che fanno di tutto per mettersi in mostra ed ottenere
lodi e riconoscimenti dai loro superiori. Ma stavo volentieri al suo
fianco. Anche Ruggero stava bene con me e non lo nascondeva. Spesso nei
momenti di riposo si sedeva vicino a me e parlavamo. Io avevo
un'istruzione superiore a quella della larga maggioranza dei soldati,
che perlopiu' erano analfabeti. Ruggero era istruito e con me poteva
affrontare argomenti di cui gli altri non sapevano niente.
Mi
rendevo conto che quell'uomo mi piaceva, moltissimo, ma non conoscevo i
suoi gusti. E poi era il mio superiore: non spettava a me farmi avanti.
Mi guardai bene dal fargli capire che mi attraeva fisicamente, ma non
nascosi che ero ben contento di stare al suo fianco. Gli altri soldati
entrati insieme a me o nel periodo successivo, dopo un certo tempo
trascorso sotto il comando diretto di Ruggero, venivano inviati in
altre squadre. Io rimasi nella sua guardia personale ed era un onore
non da poco: erano tutti uomini valorosi ed esperti, disciplinati e
formidabili in battaglia.
La vita al campo si svolge quasi sempre
sotto gli occhi di tutti. Quando venne la primavera, ebbi modo di
vedere Ruggero bagnarsi in fiumi e stagni e mi resi conto di quanto lo
desiderassi.
Era un desiderio fisico, non c'era altro, non doveva
esserci altro. Un desiderio violentissimo, perche' erano mesi e mesi
che non scopavo. Ma non c'era altro.
La distanza che ci separava
era grande e questo costituiva un elemento di sicurezza, ma non ci misi
molto a capire che Ruggero stava superando questa distanza.
Trascorreva
molto del tempo libero con me e ci furono alcuni contatti fisici: una
volta mi mise una mano sul braccio, un'altra sulla mano. Erano piccoli
gesti, che potevano apparire insignificanti, ma di cui capivo il senso.
Ruggero si avvicinava a me e le sue parole, i suoi sguardi (aveva occhi
scurissimi, che sembravano scavare dentro di me), i suoi gesti mi
dicevano che cercava con me un rapporto che poco aveva a che fare con
quello esistente tra un soldato ed il suo comandante.
Fui
felice di questo. Lo desideravo, intensamente. Sognavo di scopare con
lui, di abbracciarlo, di stringerlo. Mi dicevo che era solo un violento
desiderio fisico, nient'altro.
Non so come potessi essere cosi'
cieco. Eppure mi rendevo conto che ogni suo minimo gesto ridestava echi
profondi dentro di me, che le sue parole mi cullavano, il suo sorriso
mi accarezzava. Mi sembrava di vivere nell'attesa di quelle ore in cui
era vicino a me, anche solo dormendo al mio fianco.
Aspettavo con
ansia il momento in cui Ruggero mi avrebbe parlato, in cui i nostri
corpi si sarebbero infine stretti. Sapevo che ormai era solo piu' una
questione di tempo.
Ruggero mi parlo' una sera di tarda primavera.
In quei giorni le nostre truppe si spostavano lungo la costa del Lazio,
per raggiungere ed affrontare l'esercito nemico, in una battaglia che
avrebbe potuto essere determinante. Ci eravamo fermati presto, perche'
prima di proseguire il conte di T. voleva avere informazioni precise
sulla posizione dell'avversario. Lo scontro era vicino, forse gia' il
giorno seguente i due eserciti si sarebbero trovati l'uno di fronte
all'altro.
Come spesso accadeva, accompagnai Ruggero in un giro
d'ispezione. Raggiungemmo alcune squadre che si erano accampate piu' in
alto, da dove si controllavano meglio le vie di collegamento. Scendemmo
che era gia' tardi, saremmo arrivati dopo che il rancio era stato
distribuito, ma ad un certo punto Ruggero lascio' il sentiero e ci
spostammo verso la costa. Ruggero si sedette in un punto da cui si
poteva vedere il mare e mi invito' a mettermi vicino a lui.
Era giunto il momento, il cuore mi batteva forte.
- Ben, ho bisogno di parlarti.
Annuii.
-
Ben, credo che tu sappia quello che intendo dirti, ma credo di
dovertelo dire ugualmente. Sono otto mesi che sei entrato nella nostra
compagnia. Ho avuto modo di conoscerti ed ho scoperto di stare bene con
te, come non mi era mai capitato. Poi ho capito che mi stavano
succedendo altre cose, che non avevo previsto.
Ruggero si fermo' un
momento, ma io non dissi nulla. Un'ondata di panico mi stava
travolgendo ed avrei voluto scappare via, nient'altro. Non sapevo
perche', non avevo ancora capito. O forse avevo perfettamente capito,
anche se non me l'ero ancora detto.
- A me piacciono gli uomini. Ne
ho avuti parecchi, ma si e' sempre trattato di scopate, niente di piu'.
Con te e' un'altra cosa, Ben.
Ci fu ancora una breve pausa, poi Ruggero concluse:
-
Mi sono innamorato, se questo e' possibile per un soldato di ventura.
Ma evidentemente lo e', perche' io mi sono innamorato di te. Questo e'
quanto, Ben, e tutto il resto sarebbe solo girarci intorno.
Provai
l'impulso di alzarmi e fuggire, senza dire una parola. Avevo paura. Io
che in battaglia non avevo mai vacillato, ora avevo davvero paura. Non
volevo innamorarmi un'altra volta, non volevo soffrire di nuovo. Volevo
scopare, nient'altro. Ma nelle parole di Ruggero mi ero ritrovato come
in uno specchio. Lo amavo, questa era la verita', che avrei dovuto
capire da tempo. Con lui non sarebbe stato solo il contatto rapido di
due corpi, come avevo pensato. Ed io non ero pronto. Avevo per anni
respinto anche solo l'idea di un legame che non fosse esclusivamente
fisico ed ora il sentimento che stava nascendo mi gettava nel panico.
Non
potevo piu' tacere, ma rimasi zitto ancora a lungo. Ruggero non disse
nulla, ma continuo' a guardarmi, fino a che non fui piu' in grado di
reggere il peso di quello sguardo.
Mi alzai di scatto. Respirai a fondo e dissi quello che avevo da dire:
-
Ruggero, non c'e' uomo al mondo che io stimi ed ammiri di piu' di te,
ma non e' possibile. Chiudiamo la faccenda e non parliamone piu', mai
piu'.
Mi volsi e mi allontanai, senza dire altro. Camminavo
rapidamente, quasi avessi paura di essere inseguito. Stavo malissimo,
un dolore fisico, tanto forte che ad un certo punto dovetti appoggiarmi
contro un albero. Sentivo un peso sul petto e non riuscivo a respirare,
alla testa avevo un cerchio che si stringeva sempre di piu', le gambe
non mi reggevano.
Con uno sforzo mi staccai dall'albero e raggiunsi, barcollando, l'accampamento. Non mangiai e mi stesi subito sotto la coperta.
Non
avevo intenzione di dormire, sapevo benissimo che non sarei riuscito a
prendere sonno. Volevo solo evitare di dover parlare con qualcuno e
soprattutto di vedere ancora Ruggero, che dormiva sempre con i suoi
uomini.
Avrei voluto essere a centinaia di miglia. Il destino mi avrebbe accontentato, molto presto.
Per
parecchio tempo rimasi troppo agitato per riuscire a riflettere, ma
quando infine tutti si furono messi a dormire, mi rilassai e cercai di
analizzare che cosa era successo.
Ruggero mi aveva rivelato il suo
amore ed io gli avevo detto di no. Questo era tutto. Il problema e' che
io amavo Ruggero, di questo ormai ero perfettamente consapevole. Le sue
parole mi avevano spaventato, avevano risvegliato fantasmi che ormai
non avevano piu' motivo per esistere. Ero fuggito, come un vigliacco di
fronte al pericolo. Ero stato idiota, avevo ferito Ruggero ed avevo
detto di no all'uomo che amavo.
Provai l'impulso di alzarmi e di
andare a svegliarlo. Probabilmente non dormiva, di certo non poteva
prendere sonno facilmente dopo quello che era successo. Avrei potuto
dirgli che volevo parlargli, avrebbe capito benissimo. Ci saremmo
allontanati dall'accampamento, avrei spiegato, ci saremmo amati.
Non
mi piaceva l'idea di chiamarlo, di allontanarmi con lui: altri soldati
avrebbero potuto accorgersene, non era saggio destare sospetti senza
prima aver parlato con Ruggero di come intendeva affrontare questi
aspetti del nostro rapporto. Probabilmente stavo cercando delle scuse,
avevo ancora paura, ma ormai avevo deciso.
Il mattino mi alzai
prestissimo, con le idee chiare. Quel mattino stesso avrei detto a
Ruggero la verita': che l'amavo. Non volevo che affrontasse la
battaglia pensando che io non ricambiavo i suoi sentimenti. Piu' tardi,
quando fosse stato possibile, gli avrei spiegato le mie paure ed i
motivi del mio rifiuto.
Non fu cosi'. L'essermi alzato presto fu il
primo anello di una catena di avvenimenti, per cui quella stessa sera
la distanza tra me e Ruggero sarebbe stata incolmabile e nessuno dei
due avrebbe potuto raggiungere l'altro.
Mi ero appartato per i miei
bisogni e mentre ritornavo all'accampamento, un pescatore arrivo'
trafelato, supplicandoci di portare aiuto al suo paese, che durante la
notte era stato attaccato dai pirati saraceni: una parte della
popolazione era riuscita a rifugiarsi nel fortino e stava resistendo
agli attaccanti, ma solo l'arrivo di rinforzi avrebbe permesso ai
difensori di non essere sopraffatti.
Stavo accompagnando l'uomo
all'accampamento, quando arrivo' il conte di T. Questi ascolto' il
pescatore ed accolse la richiesta, cosa abbastanza insolita per una
compagnia di ventura, che combatteva solo per chi pagava. Non era pero'
possibile mandare molti uomini, perche' dovevamo raggiungere le altre
truppe che si stavano preparando per lo scontro decisivo. Dall'esito di
quella battaglia dipendeva anche la sorte del conte, che sperava di
recuperare il proprio feudo.
Il conte invio' percio' un piccolo
gruppo di soldati, scelti sul momento: sarebbero stati sufficienti a
mettere in fuga i corsari, che attaccavano di sorpresa e di solito
battevano in ritirata quando l'impresa comportava rischi non previsti.
Partimmo in venti, ma la nostra spedizione fini' in un'imboscata: i
pirati avevano espugnato il fortino ed avevano scoperto che un uomo era
stato inviato a chiedere soccorso ai soldati di un vicino accampamento.
Ci aspettavano e uccisero diversi di noi, catturando me ed altri
quattro.
Due ore dopo mi trovavo in una nave che veleggiava verso Algeri.
Il
mio cambiamento di condizione fu talmente rapido, che feci fatica a
realizzare. Avevo perso Ruggero e la mia liberta', le due cose a cui
tenevo di piu' al mondo. Avevo ben poche possibilita' di recuperare la
mia liberta': non avevo una famiglia in grado di pagare un riscatto.
Non avrei mai piu' rivisto Ruggero. Probabilmente sarei morto di fatica
e di stenti su una galeotta o in una cava.
La nave su cui ci
avevano imbarcati era uno sciabecco condotto da Redouane Rais, uno dei
tanti rinnegati che erano diventati corsari al servizio dei signori di
Algeri. Ci dirigemmo subito verso la costa africana, perche' il nostro
veliero era gia' a pieno carico: al bottino di un arrembaggio avvenuto
pochi giorni prima, si sommava quello del saccheggio del villaggio.
Parte di quel bottino eravamo noi, i prigionieri cristiani.
I venti
erano favorevoli ed arrivammo in pochi giorni. Sconvolto dal dolore,
non badai neppure alle condizioni durissime del viaggio. Avrei avuto
modo in seguito di scoprire che cosa significava viaggiare per mare
come schiavo. In quei giorni pensai solo a Ruggero: il suo pensiero era
talmente ossessivo, che mi sembrava di vederlo sulla nave, tra i
prigionieri o tra i marinai. L'idea che non l'avrei mai piu' rivisto mi
faceva impazzire.
Quando
sbarcammo, fummo condotti nelle prigioni. Pochi giorni dopo ci misero
in vendita al mercato. Ci fecero spogliare tutti e per l'intera
mattinata i possibili acquirenti vennero a vederci. Ci palpavano i
muscoli, ci guardavano i denti, come fossimo animali. Ma eravamo
davvero animali e nient'altro.
L'uomo che aveva l'incarico di
venderci parlava, vantando evidentemente le nostre virtu'. In
particolare si sforzava di mostrare come noi soldati fossimo
resistenti. Ma i compratori erano diffidenti: uno schiavo forte puo'
rivoltarsi ed uccidere il padrone, era gia' successo piu' volte.
Ad
un certo punto l'uomo mi prese in mano i coglioni e li strizzo',
ridendo. Disse qualche cosa che non capii, una battuta che poi uno
degli altri prigionieri mi tradusse: se qualcuno mi voleva come eunuco,
i coglioni del cristiano avrebbero saziato i cani. Rabbrividii: c'era
ancora spazio quindi per precipitare, non ero arrivato al fondo.
Non lo ero, infatti.
Mi
compro' Yusuf Murad, un uomo sui quaranta, di carattere impulsivo. Gli
servivano rematori per la sua galeotta, che sarebbe partita di li' a
pochi giorni per fare scorrerie lungo le coste dell'Italia. Murad era
il proprietario della nave, ma non la comandava personalmente: non
aveva nessuna intenzione di rischiare la pelle, preferiva affidare il
compito a qualche corsaro esperto che metteva a repentaglio la vita in
cambio di una parte del bottino.
Quando uno degli altri prigionieri
me lo disse, fui tanto stupido da esserne contento: pensai che forse
durante la spedizione sarei riuscito a liberarmi ed a raggiungere la
costa a nuoto.
Murad mi fece spiegare da un prigioniero che
conosceva l'italiano che cosa si aspettava da me. Decisi di obbedire
docilmente, inseguendo il sogno di scappare durante il viaggio,
sbarcare in Italia e raggiungere Ruggero.
Quando ci imbarcammo e
fummo incatenati ai remi, capii che ogni sogno di fuga era follia pura.
Salpammo ed ebbe inizio l'incubo. La vita dei soldati non e' certo
comoda, ne' tanto meno pulita: c'e' il rischio di morire in battaglia
o, ancora peggio, per qualche ferita; e' facile perdere una gamba o un
braccio in combattimento o doverli tagliare per evitare la cancrena; le
malattie sono frequenti; le marce possono essere estenuanti; si dorme
sovente sulla terra, avvolti in una coperta, o in giacigli luridi.
Eppure in confronto all'esistenza del galeotto, la vita del soldato e'
un sogno.
La navigazione fu un incubo di vomito, merda e piscio,
febbre e fame, frustate e bestemmie. Anche in quell'inferno il mio
pensiero andava ossessivo a Ruggero, di nuovo lo vedevo tra gli
schiavi, tra i marinai, tra gli infami sorveglianti.
Cercai di
reggere, ma capii che non sarei sopravvissuto a molti viaggi di quel
tipo, per quanto fossi forte. In diverse occasioni pensai che sarei
morto, ma la morte non mi faceva paura. Desideravo morire. E mi dissi
che, se fossi tornato ad Algeri, avrei cercato di darmi la morte
piuttosto di ripartire.
Non morii, a differenza di altri compagni di
prigionia, e tornai con la schiena segnata dalle frustate ed i calli
alle mani, determinato a cambiare la mia condizione o a mettere fine ai
miei giorni.
La nave non sarebbe ripartita tanto presto e Murad mi
affitto' per il carico e lo scarico delle merci al porto. Era un lavoro
pesante, spesso estenuante, ma almeno ero all'aria aperta. La sera
dormivo nella casa del mio padrone, in una cella dove erano tenuti
alcuni prigionieri di cui Murad non si fidava. Ogni giorno mi chiedevo
che cosa potevo fare per uscire da quella condizione. Ogni giorno
rivedevo Ruggero, tra i mercanti o tra i soldati, tra i rinnegati o tra
i turchi. La notte lo sognavo, ogni notte.
Murad decise di
approfittare del periodo di sosta tra una scorreria e l'altra per far
eseguire agli schiavi alcuni lavori nella sua casa. Fui percio'
impiegato come muratore.
Ebbi cosi' modo di assistere ad un
avvenimento che avrebbe di nuovo cambiato la mia vita, radicalmente,
senza che io lo sospettassi.
Un pomeriggio Murad
torno' a casa furibondo. Al mercato degli schiavi aveva visto una
giovane armena e se n'era incapricciato. Aveva offerto una grossa
somma, ma era stato battuto da Hassan, un rinnegato giunto poco piu' di
due mesi prima ad Algeri.
Quello che lo aveva mandato in bestia, era
che Hassan era un suo amico. Costui, prima di conoscerlo, gli aveva
salvato la vita, una notte in cui Murad era stato aggredito da alcuni
banditi. In seguito a quell'episodio, Murad e Hassan avevano fatto
amicizia. Come aveva potuto Hassan fare uno sgarbo del genere, era
incomprensibile: e' vero che era giunto solo da due mesi ad Algeri, ma
non poteva ignorare gli usi del posto.
Murad avrebbe voluto ucciderlo, anche se gli doveva la vita.
La
furia di Murad duro' poche ore. Verso sera alla porta si presento' un
inviato di Hassan. Accompagnava la schiava, sontuosamente abbigliata, e
portava una lettera del suo padrone. Nella missiva Hassan diceva che
aveva acquistato la schiava solo per farne dono a Murad e per
ringraziarlo della sua amicizia, che era per lui preziosissima.
Tutti
nella casa ne parlavano: Hassan aveva pagato la schiava tre volte il
suo valore, solo per offrirla a Murad. Alcuni lodarono la sua
generosita', altri ritennero il suo gesto una follia, visto che Murad
si stava gia' comprando la schiava.
Quando me lo raccontarono, mi
dissi che quell'uomo era pazzo o che voleva ottenere qualche cosa da
Murad. Avevo perfettamente ragione: entrambe le ipotesi erano
vere.
Il giorno seguente, dopo una notte di piacere, Murad decise di offrire ad Hassan una grande cena.
Hassan
arrivo' all'ora prevista. Io ero gia' stato rinchiuso nello stanzone
che serviva come cella notturna per me e per alcuni altri schiavi.
Mi
stesi, pensai a Ruggero, come facevo ogni giorno, e poi lasciai che il
sonno mi avvolgesse e mi donasse le uniche ore di pace.
Fui destato piu' tardi. Non so che ora fosse. Era notte, ormai.
- Muoviti, il padrone ti vuole.
Mi
alzai. Non riuscivo a capire che cosa il padrone volesse da me a
quell'ora. Fino a quel momento non avevo mai svolto lavori in casa,
alle dipendenze dirette di Murad, ed i miei contatti con lui erano
stati quasi nulli.
Con mio grande stupore mi portarono nel bagno e
mi fecero lavare con cura. Mi profumarono persino. Poi mi fasciarono i
fianchi con un panno pulito, mi misero una casacca aperta sul davanti e
mi portarono nella sala del banchetto.
Non sapevo che cosa pensare. Mi avevano vestito come se avessi dovuto andare ad un incontro galante.
Il
rinnegato voleva scopare con me? Difficile che potesse desiderarlo, non
mi aveva mai visto. Ma mi dissi che lo avrei ammazzato, se ci avesse
provato. Volevo morire ed era un buon modo di farlo: scannare quel
porco e poi lasciarmi ammazzare. Non ero appartenuto a Ruggero, non
sarei appartenuto a nessun altro, se solo avessi potuto impedirlo.
In
effetti, come seppi dopo, l'idea di Murad era quella. Lui e Hassan
avevano incominciato a parlare della schiava e, quando il vino
(proibito dal Corano, ma alquanto bevuto, sia pure di nascosto, nei
banchetti privati) aveva incominciato a sciogliere le lingue, Hassan
aveva confessato che a lui la schiava non interessava, perche' non gli
piacevano le donne. Era attratto dagli uomini, soprattutto dai tedeschi
e dagli inglesi, biondi, forti, giovani, ma non piu' ragazzi. Insomma,
dagli uomini come me.
A Murad non era parso vero di poter ricambiare
il dono di Hassan: in cambio della schiava, avrebbe offerto uno
schiavo, per lo stesso uso. Per quello mi aveva fatto lavare ed
agghindare in quel modo. Avrebbe potuto presentarmi coperto di fango e
merda e non sarebbe cambiato nulla, ma questo Murad non poteva saperlo.
Entrai nella sala. C'erano solo Murad e Hassan ed alcuni servitori che andavano e venivano.
Hassan
portava i capelli rasati dei rinnegati, con un unico ciuffo che
ricadeva sulla fronte. Ma nonostante il cranio pelato, riconobbi
immediatamente Ruggero.
Per un momento pensai che fosse
un'allucinazione, una delle tante che mi perseguitavano. Non poteva
essere altrimenti, ma mentre avanzavo verso i due commensali,
continuavo a vedere Ruggero e non un altro viso.
Ero completamente
sconvolto. Mi dissi persino che era davvero una combinazione
incredibile che io e Ruggero ci trovassimo uno di fronte all'altro, ad
Algeri, per caso. Il pensiero era idiota, ma non ragionavo piu'. Poi
capii. Naturalmente non era un caso. La faccenda della schiava era
stato uno stratagemma per arrivare fino a me. Giunto ad Algeri, Ruggero
era riuscito a scoprire che appartenevo a Murad ed aveva fatto in modo
di diventare suo amico. Mi chiesi se anche l'aggressione subita da
Murad non fosse stata organizzata da Ruggero, per poterlo salvare ed
entrare in contatto con lui. Non poteva essere un caso.
Mentre pensavo queste cose ero giunto davanti al mio padrone. Murad mi disse di inginocchiarmi ai piedi di Hassan. Ubbidii.
Ruggero
mi passo' una mano tra i capelli e lodo' la mia bellezza, con parole
che compresi solo in parte: Murad e Hassan parlavano francese, una
lingua che entrambi conoscevano, ma che io masticavo poco.
La
carezza di Ruggero mi fece salire le lacrime agli occhi: era piu' di
quanto avevo sperato di avere ancora dalla vita. Ricacciai le lacrime e
cercai di riflettere. Dovevo stare al gioco di Ruggero, anche se non
sapevo quale fosse esattamente.
Con le orecchie tese, cercavo di
capire che cosa si dicessero. Ruggero faceva apprezzamenti sulla mia
persona, palpandomi. Mi toccava come si fa con uno schiavo, ma per me
quel contatto era il paradiso e dovevo frenare l'impulso di prendere la
sua mano e baciarla. Fingevo indifferenza, timoroso di compromettere,
con una reazione sbagliata, il suo piano.
Ruggero lodava la mia
persona e Murad si mostrava felice che lo schiavo piacesse al suo
amico. Dopo che Ruggero ebbe finito di lodare e di palpare, Murad mi
offri' a lui. Quando lo capii, il cuore prese a battermi all'impazzata.
Ci fu una schermaglia di cortesi rifiuti, chiaramente insinceri, e di
grandi insistenze ed alla fine l'affare fu concluso. Murad diede ordine
di tirare giu' dal letto il suo segretario, per fare l'atto di
donazione.
Ora che il passaggio di proprieta' era concluso, il
rinnegato Hassan sembrava impaziente di gustare il piatto prelibato che
si era procurato e Murad non insistette piu' di tanto per trattenerlo:
d'altronde anche lui aveva la sua schiava che lo aspettava.
Mentre scendevamo le scale, Ruggero mi sussurro':
- Non una parola.
Annuii.
Sapevo che molti schiavi, di provenienza diversa, conoscevano
l'italiano, che io e Ruggero usavamo abitualmente per comunicare, o
l'inglese, che Ruggero parlava un po'.
Nel cortile c'erano gli
schiavi di Ruggero e riconobbi Lorenzo, un toscano che era stato
catturato insieme a me. Mi guardo' senza dire nulla, senza tradire
sorpresa: evidentemente si aspettava di vedermi.
Ci dirigemmo verso
la casa di Ruggero. Avevo ripreso a pormi domande, che presto avrebbero
avuto una risposta. Come mai Ruggero era diventato un rinnegato ed era
giunto ad Algeri? La battaglia decisiva che dovevamo combattere si era
conclusa con una sconfitta, il conte di T. era stato ucciso e Ruggero
aveva dovuto fuggire? Ma perche' in Africa, perche' tra gli infedeli?
Oppure era stato scoperto a scopare con un uomo e per questo era
fuggito? L'idea mi dava fastidio, ma ovviamente era ben possibile, io
gli avevo detto di no. Oppure… C'era un'altra idea che la mia testa si
rifiutava di accettare o anche solo di formulare.
Arrivammo alla casa e quando fummo entrati, Lorenzo mi abbraccio'.
- Sono felice di rivederti, Ben, non sai quanto.
- Io non meno di te, Lorenzo.
Ruggero
disse ai tre schiavi di tenersi pronti per il mattino successivo, molto
presto: saremmo partiti per la Francia. Poi mi fece entrare nella sua
camera.
Quando fummo dentro, chiuse gli occhi e si appoggio' alla parete. Era pallidissimo e mi spaventai a vederlo cosi'.
- Ruggero, stai male?
Ruggero scosse la testa.
- Scusa, ma non mi sembra ancora possibile. Non credevo di riuscire a farcela.
Lo guardai. Avevo la bocca secca e non trovavo le parole.
- Grazie, Ruggero.
Lui apri' gli occhi e mi fisso'. Stava recuperando colore. Sorrise.
- Sei qui, sei vivo. Domani partiamo su una nave francese e torniamo in Italia. E non e' un sogno.
No, non era un sogno, ma anche a me non sembrava possibile.
- Ruggero, come mai sei qui ad Algeri? Come mai sei diventato un rinnegato? Il conte di T. e' morto?
Ruggero mi guardo' fisso, senza rispondere subito. Poi disse:
-
Il conte di T. ha recuperato il suo feudo. Chi credi che mi abbia dato
il denaro necessario per venire qui, acquistare schiavi e portarmeli
via? Non mi bastava di certo quello che avevo accumulato come soldato.
- Ma allora, perche' sei venuto qui? Perche'…
Tacqui, perche' avevo capito. Poi ripresi:
- Ruggero, sei venuto qui per me? Hai abiurato la tua fede per me? Per un uomo che ti aveva detto di no?
Ruggero mi guardava e in quei suoi occhi scurissimi c'era un fuoco. Le sue parole furono un ruggito:
-
Hai mai amato, Ben? Hai mai amato qualcuno, davvero? Perche' se non hai
mai amato, non posso spiegartelo. E se hai amato, allora e' inutile, lo
sai da te.
Pensai a Philip. Ero stato sicuro di amarlo alla follia,
ma quando avevo scoperto che mi tradiva, che per lui ero solo uno dei
tanti, il mio amore era svanito, lasciando solo la sofferenza,
l'umiliazione. Non avevo amato davvero Philip, non dell'amore che
Ruggero era capace di provare.
Ruggero si era seduto sul letto, ma non vicino a me.
-
Sai che cosa significa sentirti dire che l'uomo che ami non e' tornato,
che forse e' morto? Combattere pensando che l'unica cosa che vorresti
fare e' correre la' dove lui e' scomparso. E poi, dopo la battaglia,
partire, raggiungere il villaggio attaccato, farti indicare la fossa
comune dove hanno sepolto i soldati ed incominciare a tirarli fuori,
uno dopo l'altro. Tirare fuori i tuoi uomini e ad ogni corpo
ringraziare Dio che non e' il suo. E quando li hai tirati fuori tutti,
scavare ancora, per essere sicuro che non ci siano altri cadaveri. E
poi chiedere, interrogare, minacciare, per scoprire quello che nessuno
sa. Ed infine una vecchia che si era nascosta tra gli scogli ed ha
visto portare via i prigionieri. Un soldato biondo, barba e capelli
come l'oro, vivo, senza ferite.
Ruggero si passa una mano sulla fronte.
-
Mi sono congedato e sono venuto qui alla tua ricerca. Mi sono
convertito perche' mi dava una maggiore liberta' di movimento. Le prime
settimane sono state un inferno. Dovevo fare attenzione a come mi
muovevo per evitare di destare sospetti, ma avevo disperato bisogno di
sapere dov'eri. Visitavo regolarmente il mercato degli schiavi. Li' ho
avuto un colpo di fortuna ed ho trovato Lorenzo, il suo proprietario lo
aveva messo in vendita perche' indocile. L'ho comprato. Grazie a lui ho
scoperto che ti aveva comprato Murad. Sono diventato suo amico…
Lo interruppi:
- Organizzando una finta aggressione.
-
Esatto. Ma tu eri sulla galeotta. Non sapevo se saresti tornato.
Mandavo Lorenzo al porto per controllare le navi in arrivo. Ed infine
sei arrivato. Vivo. Il resto lo sai. Se Murad non avesse accettato di
cederti o almeno di prestarti per una notte, lo avrei ucciso.
- Finendo impalato.
Sapevo
che cosa voleva dire morire su un palo, l'avevo visto: gli schiavi
venivano fatti assistere alle esecuzioni, come monito. Non c'era morte
piu' terribile. Anche Ruggero doveva saperlo, poiche' era arrivato ad
Algeri da due mesi. Ma alzo' le spalle.
- Se tu fossi morto sulla nave, lo avrei comunque ucciso.
Ruggero
si era calmato, ora. Io lo guardavo e sapevo che lo amavo, come non
avevo amato Philip. Che per lui avrei accettato di essere nuovamente
imbarcato come schiavo su una galeotta.
Mi alzai e mi misi di fronte a lui. Mi inginocchiai.
- Che fai? Alzati!
Scossi la testa. Volevo dirglielo cosi'.
-
Ti amo, Ruggero, con tutto me stesso. Ogni giorno, ogni notte in questi
mesi ho pensato a te. Quello che ho detto quando mi hai rivelato i tuoi
sentimenti, quella sera, e' stato solo un momento di paura. Gia' il
mattino dopo volevo parlarti, spiegarti e dirti che ti amavo anch'io,
ma il destino ha voluto altrimenti.
Ruggero mi prese la testa tra le
mani, si chino' e mi bacio' sulla bocca. Quel contatto mi stordi'. Mi
staccai da Ruggero, mi alzai e mi sfilai la casacca e la fascia che mi
cingeva i fianchi, rimanendo nudo davanti a lui.
Ruggero mi guardo',
scosse leggermente la testa, poi si alzo' e di nuovo mi mise le mani
sulle guance e mi bacio', appassionatamente.
Era alquanto tardi ed
il mattino dopo avremmo dovuto alzarci presto, ma nessuno dei due
pensava a riposare, tanto piu' che sulla nave avremmo goduto di ben
poca intimita'.
Troppo avevamo sofferto, tutti e due, di quella
separazione, troppo forte era, in entrambi, il desiderio. E tutti e due
temevamo che il destino avesse ancora qualche brutto tiro da giocarci.
Io
strinsi Ruggero con tutte le mie forze, quasi avessi paura che fosse
ancora una visione, che potesse scomparire da un momento all'altro. Ma
Ruggero era ben reale ed attraverso la stoffa potevo sentire la sua
pelle, potevo accarezzargli la schiena, pizzicargli il culo, sentire la
consistenza del suo uccello, che stava rapidamente acquistando volume e
durezza.
Lo stesso stava avvenendo a me, ma continuavamo a baciarci,
perche' quel contatto tra le nostre labbra, tra le nostre lingue,
gridava il nostro amore, quell'amore che io avevo temuto ed a cui
riuscivo ad abbandonarmi completamente solo ora, dopo mesi di
separazione e di sofferenza. L'angoscia di quei giorni svaniva ed ora
nulla piu' aveva importanza, ora Ruggero era tra le mie braccia e solo
la morte ci avrebbe potuto separare.
Il desiderio ardeva in entrambi
e le mie mani diventavano sempre piu' sfrontate, sollevando la stoffa
che avvolgeva il corpo di Ruggero, cercando il contatto con la sua
pelle, la sua carne.
Ruggero sorrise e mi sussurro':
- Spogliami, schiavo.
La parola schiavo mi trasmise un brivido di piacere. Si', era vero, ero
lo schiavo di Ruggero, lui avrebbe potuto fare di me tutto quello che
voleva, possedermi, umiliarmi, ferirmi, uccidermi. Ed io avrei
accettato tutto da lui. Ero felice di essere il suo schiavo, la sua
proprieta', che lui potesse disporre della mia vita e del mio destino
in base al capriccio del momento. Sapevo che saremmo partiti l'indomani
per tornare in Italia, che lui non mi considerava certamente il suo
schiavo neppure in quel momento, in cui formalmente io ero tale. Eppure
io avrei voluto davvero essere solo il suo schiavo, perche' lui era, e
sarebbe stato comunque, sempre, ovunque, il mio padrone.
Le mie mani si mossero, mentre un leggero tremito mi percorreva. Non
riuscii a spogliarlo, perche' mentre gli sollevavo la veste le mie mani
si impigliarono nella sua carne e non riuscirono piu' a liberarsi. Gli
accarezzavo il culo, glielo stringevo ed infine, pazzo di desiderio, mi
inginocchiai ai suoi piedi, passandogli dietro e, infilando la testa
sotto la sua veste, incominciai a mordergli le natiche, piccoli morsi,
ora delicati, ora decisi. Portava una fascia di stoffa che girava
intorno alla vita ed avvolgeva i genitali passando tra le natiche.
Quando le mie dita la incontrarono, divennero impazienti e, senza
delicatezza, la fecero scivolare a terra. Allora la mia lingua pote'
trovare l'incavo tra le natiche e lo percorse, piu' volte, stuzzicando
l'apertura.
Ruggero gemette di piacere. Io non
vedevo nulla, perche' la veste di Ruggero mi copriva la testa e le
spalle, ma la mia bocca e la mia lingua sapevano dove muoversi e le mie
mani strinsero il culo, scendendo poi lungo le gambe. Passarono avanti
e risalirono dalle caviglie alle ginocchia e poi ancora piu' su. Quando
le mie dita toccarono i coglioni di Ruggero, avvolgendoli, mi sentii
mancare, mi sembro' che fossero incandescenti. Credetti di
accarezzarli, ma li strinsi con vigore e Ruggero gemette, poi disse,
ridendo:
- Bada a quello che fai, schiavo!
Poi aggiunse:
- Piu' piano, amore, piu' piano.
Mi era piaciuto che mi chiamasse ancora schiavo. Ma quando mi chiamo'
amore, chiusi gli occhi, preso da una vertigine. Avevo paura, una paura
terribile, irrazionale, che non avrei saputo spiegare.
Le mie mani si fermarono. Baciai il culo di Ruggero come avrei potuto
baciare la sua bocca, un bacio colmo d'amore e di desiderio. Riaprii
gli occhi e mi resi conto che stavo piangendo.
- Ruggero, Ruggero. Amore mio, amore mio.
Lo dissi pianissimo, lo dissi a me stesso piu' che a lui. Non riuscivo
a frenare le lacrime, io che ben di rado avevo pianto nella mia vita.
D'improvviso la veste che mi copriva scomparve: Ruggero se l'era
sfilata con un movimento deciso ed ora era nudo davanti a me. Giro' la
testa a guardarmi ed io ricambiai il suo sguardo, ma lo vedevo tra le
lacrime.
Ruggero si inginocchio' davanti a me, mi passo' le mani
sugli occhi, cancellando le lacrime che ancora scorrevano. Mi guardo',
senza toccarmi.
- Dimmelo ancora, Ben. Chiamami ancora amore.
- Amore mio, Ruggero, amore mio.
Ripresi a piangere, ma la bocca di Ruggero bevve quelle lacrime e le sue labbra ne asciugarono la fonte. Poi si stacco' e disse:
- Ti amo, Ben, ti amo.
Lo
baciai, appassionatamente, volevo baciare quelle labbra che mi avevano
chiamato amore, che mi avevano detto che il mio Ruggero mi amava.
Ruggero
mi spinse verso il giaciglio e finimmo entrambi distesi, avvinghiati.
Ci rotolammo, stringendoci, baciandoci, tanto che ci trovammo di nuovo
a terra.
Ruggero rise e disse:
- Stenditi sul giaciglio, schiavo.
Io
ubbidii, sorridendo. Ruggero sali' di fianco a me, ma rimase in piedi.
Guardavo il suo uccello, grande e rigido. Poi vidi la cappella
scoperta. Ruggero si era dovuto circoncidere, quando si era convertito.
Lo guardai, smarrito. Lo aveva fatto per me, per me!
- Ruggero, e' stato doloroso?
Non capi' subito. Accennai al taglio.
Ruggero mi guardo' e disse:
- E' stato atroce non sapere neppure se eri vivo o eri morto, per mesi interi. Quanto a questo taglietto…
Alzo' le spalle.
Lo guardai. Gli guardai l'arma. Pensai che era bellissimo.
Lentamente,
senza smettere di fissare Ruggero, mi voltai sulla pancia. Sorrisi al
mio padrone ed allargai le gambe. Volevo che mi prendesse, volevo
essere suo, in quel momento, non ce la facevo piu' ad aspettare.
Ruggero
si inginocchio' tra le mie gambe aperte e le sue mani mi accarezzarono
la schiena, a lungo, poi scesero a tormentare il culo. Due dita
percorsero piu' volte il solco, si fermarono all'apertura, premettero
un po', si ritrassero, ritornarono umide e scivolarono dentro senza
fatica.
Chiusi gli occhi e di nuovo ebbi la sensazione di perdere i sensi. Sussurrai:
- Ruggero, amore mio.
Le
dita uscirono e rientrarono, nuovamente umide e calde. Il mio corpo
vibrava, nell'attesa spasmodica di quanto sarebbe successo.
Non era
certo la prima volta: avevo posseduto ed ero stato posseduto da diversi
uomini, ma non avevo amato nessuno come amavo Ruggero.
Sentii
la sua arma, formidabile per volume e consistenza, premere e mi
abbandonai completamente, felice del dolore che provavo, che avrei
voluto piu' forte, a marcare in modo piu' netto la mia completa
sottomissione. Ma il dolore, per quanto intenso, era avvolto in un
piacere crescente, che mi ottundeva i sensi. So che gridai il nome di
Ruggero, tanto forte che lui mi mise una mano davanti alla bocca. Morsi
quella mano, senza nemmeno rendermene conto, forse piansi di nuovo e
ripetei il suo nome, piu' piano.
Il palo che avevo in culo mi
scavava le viscere ed il piacere che provavo era talmente forte che mi
sembrava intollerabile. Le spinte di Ruggero mi provocavano un dolore
violento: la sua arma era troppo grande perche' ogni suo movimento
dentro di me non provocasse sofferenza. Ma potevo reggere quel dolore,
senza sforzo. Non riuscivo a reggere il piacere che mi avvolgeva e mi
trascinava via, che mi bloccava il respiro e mi strappava gemiti, mi
riempiva il culo e mi tendeva l'uccello. Era troppo, troppo intenso,
troppo violento, troppo feroce. Per un attimo pensai che mi avrebbe
ucciso e mi dissi che nulla di piu' bello avrei potuto immaginare che
morire tra le braccia di Ruggero, esalare l'ultimo respiro mentre
soddisfacevo il suo piacere.
Ruggero continuava a muoversi dentro di me ed il mio piacere crebbe ancora, ormai intollerabile.
Gridai
di nuovo, un puro urlo inarticolato, che era un grido d'amore per
Ruggero, un grido di desiderio per quell'arma che sentivo dentro di me,
un grido di dolore, perche' il piacere era insopportabile.
Al mio
grido fece eco quello di Ruggero e non so se mi chiamo' amore o
schiavo, se disse il mio nome o fu un suono inarticolato. Il piacere
esplose, mi sentii travolgere da un'onda di piena che sembro' non
finire mai e mi lascio' del tutto spossato, stretto tra le braccia di
Ruggero.
Rimanemmo distesi, avvinghiati. Eravamo
esausti. Poi Ruggero sciolse il suo abbraccio e si ritrasse. Si puli'
con l'acqua della brocca. Poi mi passo' due dita lungo il solco. Quando
stuzzico' l'apertura, ne usci' un po' del suo seme. Avrei voluto
trattenerlo, ma non mi fu possibile, era troppo.
- Voltati, Ben.
Ubbidii
e lo guardai, seduto di fianco a me. Apri' la mano e la poggio' sul mio
viso, poi scese, con una carezza, fino al mio uccello, ancora gonfio.
Poi si chino', avvicino' la bocca all'uccello e lo inghiotti'.
Sussultai: non me l'aspettavo.
La bocca lascio' andare la sua preda,
ma la lingua la percorse, prima verso l'alto, indugiando sulla
cappella, che venne nuovamente inghiottita, poi verso il basso,
stuzzicando i coglioni.
Il desiderio mi strinse di nuovo, feroce,
l'uccello ritorno' ad essere una lama d'acciaio ed io mi sentii
sprofondare in un mare di piacere, mentre le mie mani accarezzavano la
testa di Ruggero, le dita si impigliavano tra i suoi capelli e di nuovo
gli occhi mi si inumidivano.
- Ruggero, amore mio, amore mio. Ruggero, amore mio.
La
lingua lavoro' ancora un buon momento, poi, quando la mia arma fu
perfettamente pronta all'uso, Ruggero si sedette sul mio ventre.
Struscio' il culo piu' volte sul mio uccello, finche' il desiderio
divenne intollerabile. Gli misi le mani sui fianchi. Non sapevo che
cosa volevo, volevo mettere fine a quel tormento, volevo farlo durare
per sempre. Ruggero sollevo' leggermente il culo, inumidi' la mia
cappella, tenne in verticale il mio uccello e lentamente, molto
lentamente, si impalo' sul mio attrezzo.
Gemetti senza
ritegno. Ora Ruggero era seduto su di me, le gambe in avanti, infilzato
sul mio uccello. Prese a muoversi, sollevandosi ed abbassandosi, con
lentezza, e di nuovo mi sentii sprofondare in un pozzo di piacere,
tanto forte da essere insostenibile. Ruggero chiuse gli occhi. Aveva il
cazzo duro, uno splendido cazzo teso verso l'alto, che svettava contro
il ventre coperto di una peluria scura.
Guardavo ammaliato
quell'arma che aveva aperto la mia carne poco prima. L'accarezzai, con
dolcezza. Poi il piacere mi investi' e scivolai verso il fondo,
incapace di muovermi, insensibile a tutto il resto.
Venni dentro Ruggero, gridando di nuovo.
Ruggero
mi guardo' sorridendo. Rimase immobile, mentre lentamente, molto
lentamente, la mia arma si riduceva. Poi si stacco' e si stese al mio
fianco, baciandomi sulla bocca.
Ricambiai
quel bacio, ma non ero ancora sazio. Mi misi in ginocchio e presi in
bocca la sua arma. Fu una sensazione fortissima: il calore e la
consistenza del suo cazzo mi sconvolsero. Chiusi gli occhi e rimasi
immobile.
Poi presi a muovere la bocca e la lingua, accarezzando e stuzzicando quell'arma potente.
- Ben, Ben.
Guardai Ruggero. Mi lesse negli occhi la richiesta e rispose:
- Ben, amore mio, amore mio.
Allora
ripresi a succhiare ed a leccare e ben presto sentii il sapore dello
sperma di Ruggero. Bevvi ogni singola goccia e mai avevo gustato una
bevanda piu' dolce e piu' inebriante.
Ci stendemmo uno di fianco
all'altro. Avrei voluto dormire ai piedi del letto, come uno schiavo,
ma dormii tra le braccia di Ruggero e non ci fu mai sonno piu'
ristoratore, anche se duro' pochissimo, perche' ormai l'alba era vicina.
Quando
il sole spunto', ci lavammo e scendemmo al porto, dove una nave
francese era di partenza. Il capitano era gia' stato contattato, per
cui salimmo subito a bordo, senza incontrare ostacoli.
Tutto mi
appariva irreale: la sera precedente ero uno schiavo destinato a
riprendere presto servizio su una galeotta, adesso stavo per tornare in
Italia, al fianco di Ruggero. Finche' la nave non si stacco' dal molo,
continuai a chiedermi se era davvero reale. Mi sembrava che da un
momento all'altro qualcuno sarebbe arrivato per fermarci, ma non c'era
motivo perche' cio' avvenisse: era tutto perfettamente in regola. Un
uomo libero partiva con i suoi schiavi per un paese alleato.
Guardai Algeri allontanarsi, poi guardai Ruggero al mio fianco. Abbassai la testa, senza trovare le parole. Sussurrai soltanto:
- Grazie.
La
nave che ci portava era diretta a Marsiglia. Qui ci separammo dai
nostri compagni di viaggio: Ruggero, Lorenzo ed io raggiungemmo la
contea di T.; gli altri due schiavi liberati si diressero ai loro paesi.
Il
conte di T. ci accolse con grande gioia. Aveva acconsentito molto
malvolentieri a lasciar partire Ruggero, ma, come disse la sera del
nostro arrivo, a tavola:
- Fargli cambiare idea era impossibile e
non avevo altra scelta: o lo decapitavo o lo aiutavo. Fatti i debiti
conti, mi conveniva aiutarlo, cosi' magari tornava.
Ruggero sorrise:
- E sono qui, se il mio conte mi vuole ancora.
- Certo che ti voglio: dovrai lavorare per me vent'anni, per ripagarmi!
Il conte sorrise, poi aggiunse:
-
Il posto di capo delle guardie e' rimasto vacante. Ora non lo e' piu'.
Ben sara' il tuo aiutante personale e Lorenzo, se vuole, potra' unirsi
anche lui alle guardie.
Poi mi guardo' e mi disse:
- Ben, puoi
essere orgoglioso. Se ne trovano pochi che possano dire: il mio uomo si
e' fatto musulmano per me ed e' venuto a riprendermi in Africa, tra i
corsari.
- Lo so, mio signore, e ne sono davvero orgoglioso. Ma credo che se ne trovino ancor meno come Ruggero.
- Si', per quello lo tengo caro, anche se e' una testa dura.
Parecchi
anni sono passati. La guerra ci ha toccato alcune volte, ma sempre per
brevi periodi. Non abbiamo avuto molte occasioni di combattere e siamo
potuti vivere in pace. Ruggero e' al mio fianco ed io spero che lo sia
fino alla fine.
Ferdinando Neri
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