ORSI ITALIANI MAGAZINE


La vera storia di Renzo e Lucia (terza parte)

Un racconto rivedutodi Ste

Verso le sette di quella sera, Lucio arrivo' a casa del suo Renzo.

-Finalmente sei qui.- lo accolse Renzo. Lucio lo abbraccio', richiuse la porta con un calcio e stettero cosi' nell'ingresso per alcuni minuti. Poi si guardarono negli occhi, sorrisero e Renzo lo accompagno' nello stanzino al piano di sopra. Il pavimento di legno cigolava deliziosamente e il grande letto che gia' sapeva tutto di loro era pronto ad accoglierli.

Renzo gli tolse la casacca e Lucio si tolse la camicia. La tremula luce giallastra della lanterna ad olio gettava fiamme arancioni sul petto del ragazzo. Renzo lo bacio' sui pettorali, gli passo' la lingua sullo sterno, tra le mammelle gonfie e dure come rocce. Lucio gli afferro' la testa passandogli le mani fra i riccioli castani e guidandolo sui suoi capezzoli. Renzo ne addento' uno facendolo gemere di piacere, poi con la mano scese sul pacco. Lo trovo' enorme e duro, duro come un pezzo di marmo con il quale sembrava scolpito tutto quel corpo. Sfrego' piu' volte la mano su di lui e lo bacio' con decisione.

-Non resisto piu' Renzo...fammi una pompa..ti prego..- ansimava Lucio.

Renzo gli calo' le brache palpeggiando le sue splendide natiche muscolose e glabre. Con un dito scorse lungo la schiena, si infilo' tra le due natiche e cerco' il suo buco. Quindi scese con l'altra mano, sul davanti e gli afferro' l'arnese. Poi scivolo' in ginocchio e quando la sua bocca vogliosa fu all'altezza giusta, lo prese in bocca. Lucio rantolo' di piacere lasciando che l'esperto compagno lo spompinasse a dovere. Si afferro' i capezzolini e comincio' a pizzicarseli sospirando.

La lingua di Renzo stava facendo un gran bel lavoro. La sentiva flagellargli la cappella con lunghe e salivose leccate, la sentiva scendere lungo la canna. Il calore della sua bocca avvolse un testicolo continuando a succhiare. Lucio stava perdendo i sensi. Teneva le mani sulle spalle di Renzo per sorreggersi e intanto gemeva. Poi raggiunse con le mani una delle travi della soffitta e la afferro' restando immobile, come se fosse appeso. Lucio per un istante immagino' di essere nelle mani di don Rodrigo e di quell'altro uomo, rinchiuso in una prigione, molestato e violentato dai due carcerieri. Aveva un gusto particolare per il sadomaso che accresceva la sua libidine.

-Sssiii!!!.....Renzo!!!.....continua cosi'..- lo supplicava. Renzo non parlava. La sua bocca si stava riempiendo di liquido denso e dolce. Con un dito violo' il culo di Lucio ed egli, per tutta risposta, comincio' ad eiaculare come un forsennato.

Renzo ingoio' ogni goccia del suo uomo, lo ripuli' per bene o lo spoglio'.

Lucio si inginocchio' davanti al suo uomo guardandolo negli occhi. Renzo si spoglio' completamente e gli offri' il randellone scappellato e gocciolante da gustare.

-Il mio orsone...- disse Lucio afferrandolo dietro le cosce e tirando a se il bacino.

Lucio lo afferro', lo annuso', se lo passo' sulle labbra umide e un filo di sperma trasparente gli resto' attaccato alle labbra. La sua lingua ripuli' la cappella e cerco' di penetrare nel buco dell'uretra, poi ingoio' fin dove riusci', sentendo la punta strisciare fino alle tonsille. Il suo uomo odorava di maschio e la peluria nera di cui era coperto lo eccitava da morire.

-Dai, Lucio, spompinami...-

-Non ti va di fottermi invece?-

Renzo gli sorrise, lo spinse sul letto e si sdraio' di fianco a lui. Lucio gli volgeva le spalle. Sentiva la sua lingua raggiungere il buco, solleticare e sbavare sulla pelle dell'orifizio. Quando avverti' l'inizio della penetrazione, Lucio si sdraio' sopra il suo uomo, disponendosi ad X sopra Renzo. Renzo lo segava, lo palpava, esplorava il corpo del compagno con i polpastrelli provocando dei brividi inconsulti al suo uomo. I capezzoli erano duri e appuntiti, Lucio gemeva. Il pisello di Renzo, gonfio e grosso gli lacerava le mucose. Sanguinava sempre dopo avere ricevuto la sua trave nel culo, ma il piacere che provava a sentirlo dentro di se, superava ogni dolore.

Renzo entrava ed usciva energicamente ancora dopo venti minuti di monta e il ventre di Lucio comincio' a bruciare terribilmente. Tentava di sollevarsi, ma le braccia forti e decise di Renzo glielo impedivano. Cercava di stringere il buco, ma il dolore si faceva insopportabile. Sembrava che la sua vescica dovesse esplodere, il pene gli era diventato violaceo, bruciava e non si rizzava per il dolore. Il sudore di Lucio si mischiava a quello molto piu' abbondante di Renzo al punto che le lenzuola cominciavano ad esserne zuppe. Lucio si sforzo' di non gridare per tutto il tempo' ma Renzo lo scopo' con tale rabbia e con tale forza che Lucio cedette.

-Aaahhh!!! Basta Renzo!!!......Ti prego!!!.....Basta!!!.....Basta!!!.....- lo supplicava.

Renzo sembrava impazzito, le suppliche lo eccitavano, sentiva di averlo in suo potere. Gli venne dentro dopo avere sfogato la sua rabbia con un urlo animalesco di piacere e dopo ancora cinque o sei colpi di reni, con l'ultimo dei quali scivolo' fuori.

La mattina seguente si svegliarono all'alba nudi e abbracciati in una stanza gelida. Renzo scese dal letto e si senti' trafiggere da mille aghi ghiacciati. I suoi capezzolini sbucavano dall'abbondante peluria nera del suo enorme torace e il tarello, che tanto aveva lavorato la sera prima, cercava di raggrinzirsi, malgrado la sua lunghezza, scomparendo fra la peluria del pube. Guardo' il suo Lucio ancora addormentato, spio' la rotonda consistenza dei suoi bicipiti e del suo petto glabro e gonfio, quando l'uccello riprese vigore. Si accorse che Lucio lo guardava sorridente.

-Come sei bello Renzo!-

-Anche tu, amore.-

-Andra' tutto bene, vero?-

-Lo spero...vado ad accendere il fuoco..- e lascio' la stanza.

Dopo essersi rivestiti i due andarono a casa di Agnese.

-Ho gia' deciso di mandare Menico al tuo posto, Renzo, al convento di fra Cristoforo.cosi' potremo prepararci per stasera..- disse Agnese.

Quella mattina intanto, al castello, quel castrato di Attilio sobillava il cugino Rodrigo a pagare i dieci scudi della scommessa persa.

-Non siete riuscito ad avere il maschione che volevate...-

-Non si era detto a San Martino, caro cugino?-

-Bene, aspettero' ancora due giorni...ma preparatevi a pagare...- e rise scioccamente.

Don Rodrigo montava in nervi ad ogni parola pronunciata dal cugino, si pentiva di non avere fatto bastonare quel gran figlio di puttana di Cristoforo ed escogito' di dare una bella lezione alla sua bella preda ed al suo fottutissimo amato. Fece chiamare il Griso, il suo bravo piu' fidato.

Il Griso era un bel maschione sui 35 anni, alto, robusto e spietato. Era niente meno che il capo dei bravi, quello a cui si commissionavano le imprese piu' rischiose e piu' inique, il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse. Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, era andato ad implorare la protezione di don Rodrigo; e questo, vedendolo forte, maschio, cazzuto, come uno stallone selvaggio, lo rivesti' della sua protezione.

-Griso!- disse don Rodrigo con la sua solita vocina effeminata.

-Cosa comanda il mio padrone?-

Ho un lavoretto da farti fare..- e si avvicino' con le labbra a quel volto duro e barbuto.

Il Griso si tolse la camicia e sfodero' una nerchia dura e grossa.

-No, non con me...- balbetto' ammirato don Rodrigo.

-Prendi con te quanti uomini ti possono servire, vai a prendere i due giovani e portali al mio cospetto. Li voglio, voglio far capire loro chi e' don Rodrigo...poi vi potrete divertire tu e la tua schiera di maschioni...vedrai, ne varra' la pena...-

Il Griso organizzo' tutto per quella notte, senza sapere che i nostri giovani avevano altro in mente.

Verso sera Renzo ricomparve a casa di Lucio e insieme se ne andarono all'osteria.

Tonio e suo fratello Gervaso, come da accordi, aspettavano fuori. I quattro si salutarono ed entrarono. Notarono uno strano personaggio, uno straniero mai visto prima che sembrava piu' interessato a guardare e ascoltare le parole degli avventori che a mangiare e chiesero informazioni all'oste.

-Chi e' quel forestiero?- domando' Renzo a voce bassa.

-Non lo conosco- rispose l'oste, spiegando la tovaglia.

-Come?-

-Sapete bene che la prima regola del nostro mestiere e' di non domandare i fatti degli altri.- e se ne ando' in cucina. Passando accanto allo straniero ricevette la medesima richiesta.

-Chi sono quei galantuomini?-

-Buona gente qui del paese- rispose l'oste scomparendo in cucina.

La cena non fu molto allegra. I due ospiti avrebbero voluto godersela con comodo ma i due sposi non vedevano l'ora di andarsene.

-Che bella cosa che abbiate bisogno di noi- scappo' fuori di punto in bianco a Gervaso.

-Vuoi stare zitto, bestia?- gli comando' Tonio, accompagnando il titolo con una gomitata. La conversazione fu sempre piu' fredda, fino alla fine. Renzo, stette molto attento a non far bere troppo i due fratelli per non farli uscire di cervello e rischiare di mandare a monte tutto.

Dopo la cena era gia' buio. I quattro si incamminarono verso casa di don Abbondio nella speranza che Agnese e Marzio fossero gia' in posizione. Per le strade c'era quel brulichi'o, quel ronzi'o che si sente in un villaggio, sulla sera, e che, dopo pochi momenti, spalanca le porte alla calma ed al silenzio della notte. Le donne tornavano dal campo' portandosi in collo i bambini, e tenendo per la mano i ragazzi piu' grandini e gli uomini, con le vanghe, e con le zappe sulle spalle parlottavano fra loro lamentandosi del tempo.

I due promessi, i fratelli, Agnese e Marzio si trovarono. Renzo e Lucio rimasero nascosti dietro l'angolo della casa, Agnese accanto a loro e Marzio in fondo alla stradina. Tonio e quello scemo di Gervaso, piu' bello che intelligente, con quel fisicone da contadinotto che non sapeva far nulla da solo, e senza il quale non si poteva far nulla, picchiarono alla porta del prete.

-Chi e', a quest'ora?- grido' Matteo dalla finestra.

-Ammalati non ce ne sono... E' forse accaduta qualche disgrazia?-

-Sono Tonio con mio fratello..abbiamo bisogno di parlare al Reverendo.-

-A quest'ora?- disse bruscamente Matteo.

-Il mio padrone dorme adesso, Tornate domani.-

-Senti Matteo, non so se tornero'. Ho qui le venticinque lire che dovevo a don Abbondio per quel prestito...ma se non li vuole so come spenderli..- minaccio' astutamente Tonio.

-Aspettate, aspettate..arrivo..- e richiuse la finestra.

Agnese si avvicino' e si riuni' ai due fratelli, davanti all'uscio, parlando con Tonio come se fosse capitata li per caso.

-Carneade! Chi era costui?- don Abbondio ruminava tra se seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libretto aperto davanti, quando Matteo entro' con l'ambasciata.

-A quest'ora?- disse lamentoso don Abbondio, com'era naturale.

-Cosa volete padrone.. Non hanno discrezione, ma se si lascia scappare questa occasione..-

-Giusto, giustissimo, falli entrare- Matteo scese e apri' l'uscio

-Avanti..dove siete?- Tonio si fece vedere e, nello stesso tempo' venne avanti anche Agnese che saluto' Matteo.

-Buonasera Agnese da dove venite a quest'ora?-

-Vengo da qui vicino.......e mi e' parso di vedere una luce strana in chiesa..-

-Davvero? O santo cielo!!! Se ho lasciato acceso delle candele il padrone mi frusta..- e i due corsero al portone della chiesa.

-Ehi, Tonio! accosta l'uscio e salite pure..io vengo subito.-

Tonio rispose di si' e fece cenno ai due giovani di seguirlo, cosi' si trovarono tutti e quattro davanti alla porta dello studio di don Abbondio. Gli sposi restarono nell'oscurita', i due fratelli entrarono.

-Tonio... Entrate- rispose la voce di dentro. Tonio apri' l'uscio ed entro' seguito da Gervaso.

-Ah! ah! Ma che modo e' questo? L'avrete sentito dire..sono ammalato, e non so quando potro' lasciarmi vedere-. Si levo' gli occhiali, e li ripose nel libretto.

-Oh! mi dispiace Reverendo, ma ho qui... le venticinque lire.- e poso' il sacchetto di tela sul tavolo.

-Vediamo- replico' don Abbondio e comincio' a contare le monete.

Tonio e Gervaso, si misero davanti al tavolino, in maniera che il prete non vedesse il movimento di Renzo e Lucio che stavano entrando nella stanza.

Ad un certo punto i due fratelli si separarono e Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spavento', si stupi', s'infurio', vedendosi di fronte i due ragazzi.

-Reverendo, in presenza di questi testimoni, voglio sposare Lucio.-

-E io voglio...- ma Lucio non fece a tempo a terminare la frase, don Abbondio prese la lampada che aveva sul tavolo e la scaglio' addosso a Lucio gridando come se lo scannassero. La lampada colpi' violentemente Lucio al viso procurandogli una profonda ferita alla fronte e facendolo quasi svenire. Nel buio della stanza don Abbondio raggiunse tentoni la stanza a fianco e si chiuse dentro, quindi apri' la finestra e comincio' ad urlare.

-Matteo! Matteo! tradimento! aiuto!-

Il buon Matteo era entrato in chiesa con Agnese. Sentendo il suo padrone invocare aiuto cerco' di sfuggire alla presa della donna che lo impacciava.

-Che succede, che succede..- diceva Agnese trattenendo Matteo.

-Mi lasci andare, mi lasci andare.- e riusci' a raggiungere la corda della campana tirando a piu' non posso.

In paese c'e' scompiglio, i quattro corsero fuori dalla casa di don Abbondio sorreggendo il povero Lucio che sanguinava dalla fronte, Marzio indico' loro la via di fuga, Agnese corse fuori e si riuni' al gruppo e molti contadini cominciarono ad accorrere davanti alla chiesa.

-Cos'e'? Cos'e'? Campana a martello! fuoco? ladri? banditi?-

-Aiuto! aiuto!- continuava a gridare il prete.

-Misericordia! cos'e' stato?- grido' correndo anche Matteo.

-A casa, a casa!!- diceva Marzio.

-No, venite da me!!- suggeri' Renzo.

La gente comincio' ad accorrere sulla piazza. Si guardavano in viso gli uni con gli altri, chi armato, chi spaventato, tutti guardando il prete che dalla finestra non la smetteva di strillare

-Cos'e' tutto questo fracasso?-

-Cos'e'?-

-Dov'e'?-

-Chi e'?-

-Reverendo!, Reverendo!-

Don Abbondio accortosi della fuga dei quattro si calmo'.

-Cos'e' stato?-

-Che le hanno fatto?-

-Chi sono costoro?-

-Dove sono?- gli veniva gridato da cinquanta voci tutte insieme.

-Non c'e' piu' nessuno, vi ringrazio. Tornate pure a casa.- cercava di tranquillizzarli don Abbondio.

-Ma chi e' stato?-

-Dove sono andati?-

-Che e' accaduto?-

-Cattiva gente, gente che gira di notte; ma sono fuggiti. Tornate a casa, non c'e' piu' niente... figliuoli vi ringrazio del vostro buon cuore.- E, detto questo, si ritiro' e chiuse la finestra.

Nel momento del suono delle campane il gruppo di bravi che il Griso aveva riunito per rapire i due ragazzi, stava rovistando le stanze dell'abitazione di Renzo e quelle dell'abitazione di Lucio.

Il gruppo a casa di Renzo era composto da tre omaccioni, muscolosi e armati di coltellacci affilati. Il Tiradritto era uno stupratore di trent'anni, ricercato per avere sequestrato e violentato il figlio di un commerciante che esigeva il pagamento di una fornitura da un signorotto della zona di Pavia. Dopo il Griso era il bravo piu' violento e crudele del gruppo. Sotto di lui c'erano il Biondo, un ragazzotto di diciannove anni che prometteva bene e che si lasciava educare dal Tiradritto come il figliolo del commerciante. Il terzo era uno scimmione di quasi quarant'anni, rimbecillito dalle cure del tribunale dell'Inquisizione, un assassino che non esito' a uccidere donne e bambini per il solo gusto di far scorrere il sangue.

A casa di Lucio, il Griso guidava altri tre bei personaggi: il Gambestorte, sciancato ma un fenomeno con la spada, il Pappamolle, un ciccione sfigurato dal vaiolo al quale era sopravvissuto solo per la sua stazza enorme, ed infine lo Sparalesto, armiere del gruppo e conoscitore delle armi da fuoco.

Spaventati dal clamore lasciarono tutto, scavalcarono i recinti degli orti e sparvero, veloci come lepri, illuminati dal chiarore della luna.

I quattro notarono lo scompiglio a casa di Lucio e fuggirono per i campi, verso il convento di fra Cristoforo.

Camminarono un pezzo di buon trotto, in silenzio, voltandosi a guardare se fossero seguiti. Quando parve loro di essere abbastanza lontani, si fermarono.

-Non possiamo piu' restare qui.- disse Renzo.

-E cosa dovremmo fare?- chiese Lucio.

-Fuggire.- rispose l'amato.

-E la casa?- disse a un tratto Agnese.

-Noi dobbiamo restare, Agnese.- disse Marzio e dopo un istante di perplessita' ritorno' sui suoi passi, verso il paese.

-Ha ragione lo zio...andate a Pescarenico, mettetevi nelle mani di padre Cristoforo..- disse Agnese.

-E voi che farete?- chiese Lucio.

-Non temere figliolo, a tua madre penso io...sono sempre suo fratello..- disse Marzio.

Cosi' i quattro si separarono a due a due. I giovani proseguirono per Pescarenico, gli altri tornarono al paese.

-Dio sia benedetto!- disse il padre Cristoforo al vedere i due giovani.

-Che ti e' successo, Lucio?.....non sarete andati al palazzo di don Rodrigo, vero?-

-No, padre...- e raccontarono del tentativo andato a vuoto.

-Dovete fuggire, qui non siete piu' al sicuro.- e chiamo' il padre guardiano.

-Ditemi fratello.- esordi' il padre guardiano.

-Scrivete due lettere: una per padre Bonaventura da Lodi, nel nostro convento di Porta Orientale in Milano, l'altra per la Signora del convento di Monza. Chiedete la protezione per il giovane che la porta con se. Prima di entrare in Milano dovrete dividervi, e' piu' sicuro viaggiare separati.-

-Prima di partire preghiamo tutti insieme il Signore, perche' sia con voi, in questo viaggio e che vi dia forza, amore e la capacita' di perdonare chi vi ha fatto del male.- Cosi' dicendo s'inginocchio' nel mezzo della chiesa e tutti fecero lo stesso.

Fra Cristoforo benedisse i giovani e si accomiato' da loro. I viaggiatori se ne andarono verso il lago, videro il battello pronto, e scomparvero dal paese.

Arrivarono all'incrocio che separava le loro strade. A destra Milano, a sinistra Monza e i due amanti si abbracciarono e si baciarono un'ultima volta.

-Ti amo Renzo.-

-Anche io, piu' della mia vita.- e si lasciarono.

Il nostro Lucio arrivo' a Monza, poco dopo l'alba e si fece indicare il convento della Signora.

Il guardiano alla porta prese la lettera, l'apri', la lesse.

Oh! fra Cristoforo!- disse, riconoscendo il carattere. Il tono della voce e i movimenti del volto indicavano manifestamente che proferiva il nome di un grande amico e di un grande uomo.

-Eh, si! Solo la Signora, se vuole, puo' prendersi questo impegno...-

-Perdonate buon padre..ma chi e' la Signora?- chiese Lucio.

-Come, non sapete? La signora e' una monaca...ma non come le altre. Non e' la badessa, ne' la priora, ma e' figlia di signori, gente grande, venuta di Spagna...per questo la chiamano la Signora. Tutti la conoscono cosi' e una sua parola...-

Il guardiano fece entrare il giovane nel primo cortile del monastero, lo introdusse nella camera del fattore e ando' da solo a chiedere la grazia di essere ricevuto con il giovane. Dopo qualche tempo' ricomparve giulivo, a dire che il colloquio era stato concesso.

-Ma e' meglio se vi date una bella lavata..venite, vi faccio preparare la tinozza.-

Lucio entro' in una stanza ampia e luminosa. Un grande camino di pietra riscaldava l'ambiente ed i ciocchi di legna scoppiettavano ancora umidi. Un grosso calderone di rame era stato messo sul fuoco e una grande mezza botte di legno era pronta davanti al camino.

-Ecco bravo giovane..venite...potete spogliarvi, l'acqua e' quasi pronta.- disse il guardiano indicando uno sgabello su cui accumulare gli abiti. Da una porticina di fianco al camino entrarono due ragazzotti che prelevarono il pentolone e lo versarono fumante nella botte.

Lucio comincio' a spogliarsi attirando l'attenzione dei due ragazzi. Si tolse la camicia ed un brivido di freddo gli intirizzi' i capezzoli e gli irrigidi' i pettorali.

-Bbbbrrrr!!!!! Che freddo!!!!- proruppe il giovane massaggiandosi le braccia ed il torace.

Il guardiano sguscio' fuori dalla stanza e i due ragazzi sembravano ipnotizzati da quel fisico straordinario e dalla bellezza di quel corpo virile e muscoloso.

Lucio si abbasso' i pantaloni. La sua verga sembrava non risentire della temperatura. Era tranquillamente distesa sopra i due bei testicoli fulvi, come un eccitante tuffatore che sta per buttarsi da un trampolino. I due ragazzi se ne andarono a segarsi a vicenda nella soffitta, ma Lucio si accorse di non essere rimasto solo. Dietro la porticina dalla quale erano usciti restava il guardiano che voleva spiare il piu' possibile di quel meraviglioso esemplare maschile che gli era capitato fra le mani.

Lucio scavalco' il bordo della tinozza, fece un giro su se stesso come a prendere confidenza con le sue dimensioni un po' ridotte rispetto a quelle del suo fisico, quindi si abbasso' esponendo il suo buco ed il sacchetto dei testicoli alla bramosia del guardiano. Egli cercava di guardare da una fessura del legno, chiudendo alternativamente un occhio e l'altro e alitando rumorosamente contro la porta. Solo un sordo poteva non accorgersene, Lucio invece udiva benissimo e si diverti' a torturare il guardiano mettendosi in mostra il piu' possibile. Apri' le gambe massaggiandosi il buco e gemendo per il piacere. Immerse il dito medio nel sapone che gli avevano lasciato in una catinella e comincio' a penetrarsi prima lentamente, poi piu' velocemente per attenuare il solletico che si procurava. Si massaggiava il buco con la mano e poi tornava a fottersi.

Il guardiano in orgasmo totale avrebbe voluto essere lui a fargli il ditalino e invece non vedeva l'ora di segarsi. Lucio si volto' con il nerchione in tiro verso la porta e prese a segarsi stropicciandosi i capezzoli e gemendo con gli occhi chiusi e le testa reclinata all'indietro. Il guardiano vedeva il pomo d'Adamo salire e scendere, il ragazzo deglutiva con piacere mentre il suo randello aveva ormai assunto le sue dimensioni migliori. Era tentato di piombare nella stanza, smascherarlo e poi farlo cedere ai suoi voleri, ma penso' che non si sarebbe piu' goduto quello spettacolo.

Lucio si segava sempre piu' velocemente, la sua pelle cominciava a riscaldarsi, ad imperlarsi di sudore. Le sue ginocchia tremavano, stava raggiungendo un orgasmo mai avuto, come capita spesso quando ci si masturba in un luogo sconosciuto che sfrutta la paura come stimolo di eccitazione.

Trattenne un gemito piu' forte e dalla punta del suo uccello uno schizzo bianco e denso raggiunse il pavimento. Il guardiano osservo' a bocca aperta, come se volesse essere presente, laggiu' a ricevere tanta grazia direttamente in bocca e cosi' facendo anche lui si imbratto' la tonaca e meno' un forte colpo al legno della porta. Lucio non fece una piega, si sedette nell'acqua calda e fece finta di meravigliarsi che dietro la porta ci fosse qualcuno. Si sentiva molto troia in quel momento e il suo buco aromatico cominciava a sentire la mancanza dell'arnese che solitamente lo lubrificava.

Il guardiano entro' rosso in viso, ansimante.

-Come va figliolo?- chiese scioccamente.

-Benissimo, grazie...- sorrise sornione il ragazzo.

-Avete bisogno che vi strofini le spalle e la schiena?-

Il ragazzo fece cenno di no con il capo e prosegui' la sua abluzione.

(continua)