ORSI ITALIANI MAGAZINE




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Un pessimo tempismo (parte seconda)

Un racconto di Marte


I racconti pubblicati possono contenere descrizioni di sesso non sicuro: ricordate, sono opera di fantasia! Nella vita reale praticate sempre il Sesso Sicuro usando il preservativo.

The stories published in this section may contain descriptions of unsafe sex: remember, it's fiction! In real life always practice Safe Sex by using condoms.


Senti stronzetto ma se ti vengo a rompe le palle il prossimo fine settimana?” domandasti un pomeriggio via messaggio, “oh ma che palle dottò, non ce l’hai una vita tua che devi sempre cagarmi il cazzo a me? Ma che c’hai un’ossessione?!” fu la mia risposta.

Dopo quelle (poco più di) 12 ore passate insieme avevamo continuato a sentirci tutti i giorni tra messaggi e chiamate serali su Skype.

Ormai era passato un mese circa da quando ti eri trasferito a Bruxelles e finalmente ti era capitata l’occasione di scendere per il weekend: “Parto venerdì dopo il lavoro, pensavo di venire direttamente da te in serata così ceniamo e stiamo un po’ insieme, poi sabato mattina devo andare a Latina a trovare i miei e a visitare un paio di vecchietti nella vecchia clinica. Poi domenica riparto presto che sono di guardia la notte. Non è molto tempo ma almeno ci vediamo che me so’ rotto de famme le seghe in chat, è ora che scopamo!” dicesti con il tuo solito tono da finto coatto. 

Passavamo ore a parlare e nonostante la distanza lasciammo poco a poco cadere le barriere.

Non c’erano limiti, all’inizio ci raccontavamo delle nostre giornate, tu in ospedale ed io diviso tra l’hotel e l’università, ma poi iniziammo a raccontarci il nostro passato, analizzare il presente e immaginare il futuro: tu volevi trovare un ragazzetto a posto e sistemarti, ora che avevi fatto un salto professionale importante volevi smettere di avere storielle senza senso. 

Io a 24 anni non sapevo ancora cosa volevo, avrei finito l’università entro l’anno probabilmente e poi chissà, forse sarei andato in Giappone. 

Ma non eravamo sempre così seri, ci scambiavamo consigli su libri e serie tv, fu grazie a me che scopristi Battleatar Galactica e tu mi iniziasti ai libri di Kim Stanley Robinson. Superato il (mio) pudore iniziammo a parlare di sesso, a condividere le nostre esperienze, a fare sesso online. 

Quel che rimaneva non detto era il significato che entrambi davamo a questa nostra conoscenza? Frequentazione? Amicizia? Vedi, tuttora non riesco a dare un nome a quello che eravamo.

Nessuno dei due si era cancellato dalle chat, non ne parlammo mai ma ci spiavamo i profili a vicenda.

Quando a volte non ti connettevi la sera su Skype poi ti lanciavo sempre una frecciatina ma tu non mi lasciavi mai realmente capire se li a Bruxelles avevi iniziato a guardarti attorno, io intanto avevo smesso di conoscere altre persone.

Provavo gelosia, il che è stupido perché come si può essere gelosi di una persona con cui ci si è incontrati una sola volta? Mi tenni tutto dentro e non te ne parlai mai.

Era giugno inoltrato e quel fine settimana saresti finalmente venuto a Roma come programmato, ne ero realmente felice ma continuavo con le mie pippe mentali.

Avvisai Marco che saresti venuto (“oh digli al coinquilino tuo che quella sera faremo rumore, de nun scandalizzarse!”) e ovviamente mi disse che non ci sarebbero stati problemi.

Notò però che c’era qualcosa di strano e domandò se le cose con te procedessero bene.

Decisi di essere onesto con lui e dirgli tutto con il rischio di passare per un idiota: “non lo so, ci parliamo tutti i giorni e scherziamo e ci sto bene.

Davide mi piace però penso pure che lui ha 35 anni, che vive in un altro paese e mi ha detto chiaramente che pensa a costruire qualcosa di stabile in futuro...  però lui sta la e io sto qua... boh, non lo so, ha senso che ci sentiamo così? Che stiamo facendo?”.

Marco mi stette ad ascoltare, cercò di togliere peso alla situazione e diede voce esattamente ai miei pensieri: “Daniè, ti stai a fa troppi problemi, vi conoscete da un mese, vi siete visti una volta sola di persona. Non è il momento di pensare a ‘ste cose, godetevi tutto il tempo che potete passare insieme e chi vivrà vedrà”.

Ed aveva perfettamente ragione, ci stavo rimuginando troppo. “Vedi come va venerdì, trovate un momento per parlarne quando state insieme. Io se una persona non mi interessasse non ci starei a parlare tutti i giorni per un mese” aggiunse.

Quel venerdì finalmente, uscito dal lavoro corresti in aeroporto, il tuo volo era alle 18 e saresti arrivato verso l’ora di cena.

Erano le 17:45 quando mi chiamasti, “Aoh niente, io e te c’abbiamo proprio una sfiga addosso... non solo il tempismo di merda, mo pure lo sciopero dei controllori di volo del cazzo! Non so a che ora arrivo, non mi aspettare per cena”.

Era ormai quasi l’una del mattino quando finalmente il taxi ti lasciò sotto casa mia. “Mi dispiace un botto” dicesti, “non è colpa tua, sti scioperi del cazzo!” risposi io.

Entrammo nella mia stanza, era strano vedersi di persona dopo tutto questo tempo, nessuno dei due sapeva come comportarsi.

Passammo per le classiche domande di rito (No, non avevi fame, avevi mangiato un panino in aeroporto. Si, eri un po’ stanco, era stato un viaggio infinito.) e poi rimanemmo in silenzio ad osservarci.

Senza aggiungere nulla, lentamente mi abbracciasti e mi baciasti sul collo, io ti cinsi con le braccia attorno alla vita.

Fu un momento bellissimo, “non sai quanto ho aspettato questo momento” mi dicesti ed io scordai all’istante tutti i dubbi e le mille paranoie.

Nulla importava più, tu eri lì con me, ci stavamo abbracciando ed era tutto ciò che volevo.

Presi il tuo volto tra le mie mani, ti eri lasciato la barba incolta come piaceva a me, ti togliemmo gli occhiali ed iniziammo a baciarci e senza molti preamboli ti sbottonai la camicia e ti accarezzai il petto peloso e la pancia prominente e ti slacciai la cintura e i pantaloni.

“Dovrei farmi una doccia, non sono nel miglior stato possibile” dicesti ma entrambi sapevamo che non c’era modo di fermarci.

Tirai giù la zip e i pantaloni mentre tu ti toglievi le scarpe, indossavi degli slip bianchi e dei calzini blu a righe bianche che ti arrivavano quasi alle ginocchia, “so che ti arrapano gli uomini in intimo, oggi giochiamo un po’, ok?”.

Mi denudasti completamente e ti sdraiasti sul letto, nudo ad eccezione degli slip e dei calzini, lasciandomi lì in piedi a guardarti, con un gesto della mano mi chiamasti a te come a dirmi ‘Avanti, fai tutto ciò che vuoi’.

Con il cazzo completamente eretto mi sedetti a cavalcioni su di te, dagli slip sentivo che anche tu eri eccitato ed iniziai a cavalcare la tua erezione mentre tu con le mani mi accarezzavi il corpo e mi guardavi mordendoti il labbro superiore.

Ti baciai e iniziai a leccarti le labbra con la punta della lingua, continuai con il collo e poi giù sul petto, i capezzoli morbidi e la pancia. In ginocchio tra le tue gambe divaricate iniziai a toccarti il pacco, che bello sentire il tuo cazzetto eretto sotto il cotone bianco; avvicinai il naso al tuo cazzo, gli slip emanavano un forte odore a sudore e urina, d’altronde il viaggio era stato lungo.

Presi tutto il cazzo coperto dallo slip in bocca mordicchiandolo leggermente, ti sentii soffocare un gemito mentre mi accarezzavi la testa. 

Ti sfilai gli slip lasciando alla vista il piccolo pene eretto leggermente incurvato all’insù, “mi eccita da morire vederti così” dissi guardandoti negli occhi.

Passai quindi ai tuoi piedi, anche loro odoravano un po’ a sudore ma la cosa mi sembro solo più eccitante.

Chiusi gli occhi e odorai in profondità la pianta del tuo piede sinistro e poi iniziai a leccarlo, il cotone blu smuovendosi sotto la mia lingua.

Passai poi al piede destro e iniziai a succhiarti le dita fino ad arrivare all’alluce, che presi in bocca e con cui giocai come se stessi praticando una fellatio. 

Ero realmente molto eccitato, avevo la punta del cazzo grondante di liquido preseminale, mettere in pratica per la prima volta tutte le mie fantasie erotiche e per di più con te fu un’esperienza estasiante.

Tu, che mi avevi osservato tutto il tempo e mi avevi lasciato fare, prendesti quindi l’iniziativa e con i piedi iniziasti a segarmi mentre io rimasi li fermo inginocchiato.

Sentivo una sensazione simile all’ebrezza, “se continui così vengo”, tu sorridesti e continuasti senza smettere di guardarmi negli occhi. Pochi istanti dopo venni, fu un orgasmo intenso e i getti di sperma schizzarono ovunque tra il letto e le tue gambe pelose.

Avevo il cuore a mille, tu ti mettesti in ginocchio con me e mi baciasti con passione. “Sei bellissimo cazzo, ho voglia di scoparti”.

Mi facesti sdraiare sulla pancia guidandomi con le mani in una presa forte, “allarga le gambe”, iniziasti a leccarmi l’ano prima timidamente e poi sempre più a fondo.

Si notava la passione che ci mettevi, “ti voglio leccare e mangiare tutto” dicesti mentre io mi contorcevo tra spasmi di piacere.

Dopo avermi lubrificato bene iniziasti a dilatarmi con le dita, io ti indicai il cassetto del comodino da cui tirasti fuori un preservativo.

Era di una taglia media e per te risultò leggermente grande ma questo non ci rallentò, mi facesti girare a pancia in su e mi sollevasti le gambe mettendotele sulle spalle, ti piegasti su di me e finalmente mi penetrasti. 

Per me, che non sono un amante del sesso anale, quell’esperienza rimane ancora oggi una delle migliori scopate della mia vita; non importava che non potessi penetrarmi a fondo, mi incantava il sentirti dentro di me, guardarti negli occhi, il sentirti gemere ed ansimare mentre piccole gocce di sudore ti bagnavano la fronte.

Ti piaceva anticipare a parole ciò che avresti poi fatto un istante dopo, eri un chiacchierone anche al letto: “voglio leccarti tutto” e mi leccavi il collo e le orecchie e le labbra; “voglio segarti finché non sborri” dicevi, masturbandomi il cazzo che aveva recuperato vigore; “voglio morderti tutto” e mi mordicchiavi i capezzoli. Non so perché ma questo tuo parlare rendeva il sesso più passionale.

Venni di nuovo stringendoti le braccia con le mani, mi vedesti gemere e dicesti “la voglio mangiare” prendendo il mio seme con le dita e mettendotele in bocca; con le ultime energie dicesti ansimando “porca troia, si! Si!” e con un suono simile ad un grugnito venisti anche tu e ti lasciasti cadere su di me.

Bagnati di sudore e umori ci abbracciamo e rimanemmo così a lungo e in silenzio, tu con la testa sul mio petto e io cingendoti le spalle e accarezzandoti la testa.

Ti va se torno tra un paio di settimane?” mi dicesti qualche ora dopo mentre ti preparavi ad andar via, “non voglio essere pesante e romperti il cazzo ma voglio rivederti e magari per un po’ più di tempo”.

Ti dissi che anche io avrei voluto passare più tempo insieme e che potevi venire quando volevi, ed era la verità, nonostante nella mia testa i vari campanelli d’allarme avessero di nuovo iniziato a suonare: a che pro? Che senso ha questa frequentazione? Che senso ha vedersi di sfuggita una volta ogni tanto? Che...? Cosa...? Come...? Dove...? Perché...? .

Ripartisti e tutto tornò come prima, continuammo a sentirci tutti i giorni senza definire che tipo di rapporto c’era tra di noi.

Cominciasti a scendere a Roma ogni 2-3 settimane, riuscivamo sempre a vederci al massimo per un giorno ma iniziai a credere a quel che mi aveva detto Marco, se non fossi stato realmente interessato a me non avresti fatto tutti questi sacrifici. 

Mi stavo innamorando di te e non avevo il coraggio di dirtelo.  

Dopo tanto sgattaiolare al buio e in silenzio conoscesti finalmente Marco, cenammo insieme uno dei “nostri venerdì” e il giorno seguente, quando tu eri già andato via, lui mi disse “si vede che gli piaci tanto, come fai a non notare come ti guarda?”.

Forte di questa sua conferma gli confidai quello che sentivo per te, lui ne fu davvero felice, riuscivi a conquistare proprio tutti. E di nuovo Marco, voce di saggezza, fu chi mi suggerì che forse era il momento di affrontare in maniera seria il discorso, erano d’altronde passati più di 3 mesi.

L’ultima volta che tornasti a Roma per me fu a metà settembre, nella stessa settimana cadevano il mio compleanno e quello del tuo amico Ema; andammo tutti insieme ad Ariccia, su ai castelli romani, per festeggiare a base di porchetta e vino. 

Quella sera Marco venne con noi e fu proprio in quell’occasione che lui ed Ema si conobbero, mai mi sarei aspettato che quell’aneddoto lo avrei raccontato anni dopo al loro matrimonio:

Si può quindi dire che è anche grazie a me se oggi siamo qui a festeggiare una bella storia d’amore, ma non c’è bisogno di ringraziarmi, sicuramente avete qualche merito anche voi due! Viva gli sposi!” avrei concluso così il mio brindisi mentre, incrociando i nostri sguardi, entrambi avremmo sollevato il bicchiere di spumante a mo’ di chin chin.)

Proprio quella notte, tornati a casa ed abbracciati nel mio letto mi facesti la fatidica domanda: “ma tu che vuoi fare?”. 

Mi avevi regalato un biglietto andata e ritorno per Bruxelles, io non seppi cosa dire e tu senza lasciare che ti rispondessi aggiungesti che provavi qualcosa di forte per me, che sapevi che se avessimo continuato così avresti finito per innamorarti ma che non volevi perdere completamente la testa se io non pensavo di poterti ricambiare. “Non hai capito proprio niente eh? Se tu senti che finirai per innamorarti...beh sappi che io sono già innamorando di te. Ma come possiamo far funzionare una relazione così?”.

Mi stringesti e mi baciasti in un silenzio di intesa e carico di significati: entrambi avevamo pensato alle stesse cose ma nessuno aveva il coraggio di dire a voce alta la cosa più difficile. Eravamo in un bel limbo felice e dar voce a quella che era l’unica soluzione possibile avrebbe rotto l’incanto, perché nessuno dei due sapeva come sarebbero cambiate le cose tra di noi. 

Prenditi una settimana di ferie e vieni da me a Bruxelles”, una frase che in verità significava ‘non rompiamo ancora questo incanto, prendiamo tempo’. E senza pensarci troppo ti dissi: “si, domattina chiedo al mio capo dei giorni di ferie e ci organizziamo” parole che voleva dire ‘sì, non rompiamo ancora questo incanto, prendiamo del tempo’. 

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