ORSI ITALIANI MAGAZINE




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Un pessimo tempismo

Un racconto di Marte


I racconti pubblicati possono contenere descrizioni di sesso non sicuro: ricordate, sono opera di fantasia! Nella vita reale praticate sempre il Sesso Sicuro usando il preservativo.

The stories published in this section may contain descriptions of unsafe sex: remember, it's fiction! In real life always practice Safe Sex by using condoms.


Ammettere la mia attrazione per i bear fu come fare coming out per la seconda volta.


Se ci penso oggi mi rendo conto di quanto stupido fosse vergognarsi e negare una semplice preferenza fisica, ma dieci anni fa, quando gli amici mi lanciavano delle frecciatine al riguardo, tendevo ancora a negare e sviare il discorso.


Probabilmente questo “imbarazzo” si doveva anche al mio aspetto fisico: 1.73m, magrolino e sbarbato. Io per primo non capivo il perché di questo feticismo per gli uomini pelosi e di taglia forte con cui in comune avevo solo molto pelo sul petto.


A circa 24 anni mi decisi, finalmente, a superare questo tabù autoimposto e mi inscrissi ad una chat di incontri per orsi. Vedevo i profili degli altri utenti e mi sentivo ridicolo in mezzo a tanti omoni pensando: “questi riderebbero di me se solo provassi a contattarli”.


(Quando ti raccontai questa parte quel pomeriggio al parchetto dell’Eur ridesti e mi apristi un mondo confessandomi che non tutti i bear erano “orsi lesbici”, ti spiegasti meglio e poi ci facemmo una grassa risata insieme). 


Dovetti presto ricredermi, ricevetti diversi messaggi ma non diedi mai importanza a nessuno; un conto era iscrivermi ad una chat, un altro era incontrare qualcuno. 


Almeno finché non mi scrivesti tu.


Ammetto che fui un completo idiota all’inizio, dal tuo messaggio era nata una conversazione in chat, mi piaceva il tuo senso dell’umorismo e ci scambiammo il numero di cellulare.


Nonostante il buon feeling online ti diedi buca un paio di volte quando mi chiedesti di uscire, usai scuse cretine finché, finalmente, mi decisi ad incontrarti. 


Ci demmo appuntamento una domenica pomeriggio di maggio al laghetto dell’Eur, tu vivevi fuori Roma e quella era una zona franca per entrambi.


Vederti di persona fu strano, non seppi subito se mi piacessi o meno: eri poco più alto di me, impossibile non notare la pancia sotto la polo azzurra, testa rasata, un principio di barba sale e pepe e occhiali con una montatura in metallo elegante e quasi impercettibile (a differenza dei miei di plastica nera che si facevano notare prepotentemente come fossero una maschera).


Quello che subito notai fu il tuo sorriso, non avevi una dentatura perfetta ma il tuo sorriso quando arrivai sembrò sincero e fu contagioso.


La conversazione iniziò in maniera imbarazzante con frasi fatte e convenevoli: io Daniele, tu Davide, io 24 anni, tu 35, io receptionist in un hotel nel centro di Roma e studente fuori sede e fuoricorso, tu oftalmologo in uno studio privato di Latina.


Gli 11 anni di differenza erano ciò che più mi spaventavano e mi mettevano in imbarazzo. “Che ci faccio io qui?” mi domandai, mi sentii a disagio e pensai di inventare una scusa e andar via. 


Eppure quel tuo sorriso così calmo seppe tranquillizzarmi.


Comprammo un gelato, passeggiammo per un po’, ti insegnai quegli alberi di ciliegio in Via del Giappone e ti parlai dello ‘hanami’ e come i fanatici del Giappone venissero a vedere i fiori di ciliegio durante la fioritura.


Quello fu il punto di svolta, in quel momento scoprimmo le passioni nerd in comune: i manga, la fantascienza, le visite al planetario, i giochi da tavolo, Magic: the gathering. Il nostro modo di parlare cambiò radicalmente e abbandonammo il tono tipico di quando si parla del più e del meno, c’era complicità ed entrambi lo notammo e senza pensarci troppo decidemmo di cavalcare quell’onda positiva, ci aprimmo e cominciammo a parlare di noi senza filtri. 


Ti raccontai di me e del mio sogno di trasferirmi in Giappone dopo la laurea magistrale, tu mi dicesti senza censure di come avevi frequentato un famoso cantante prima che esplodesse la sua carriera e diventasse una star. Ti dissi che non ero il tipo da una botta e via, tu invece non eri chiuso all’idea ma accettavi il mio essere “una figa di legno”.


Ti parlai della mia “paura” nell’accettare i miei gusti in fatto di uomini e tu mi spiegasti cosa sono gli “orsi lesbici”. 


Avevi un modo di parlare molto esplicito, usavi espressioni colorite ed in più di un’occasione mi facesti arrossire con i tuoi ammiccamenti sessuali.


Capii che ti divertiva stuzzicare ed imbarazzate le persone con quel modo di fare, era il tuo modo di mascherare una sensibilità e una bontà di fondo a cui non tutti avevano la fortuna di accedere. 


Ti dissi che non ero mai uscito con un orso e in quel momento mi resi conto di quanto stupido fosse tutto questo ragionamento.


Pensai che chissà ti stessi pentendo di essere uscito con me, chissà ti stavi annoiando e che questi discorsi fossero da ragazzino immaturo che non sa cosa vuole.


E invece mi toccasti il braccio con una mano come per farmi tacere, mi guardasti negli occhi (in quel momento mi accorsi di quanto affascinanti fossero i tuoi occhi marroni, credo che arrossii perché capii che sì, mi piacevi) e mi raccontasti un aneddoto della tua adolescenza. 


“Per me è stata dura accettare la mia omosessualità e la mia sessualità in generale. Quando avevo più o meno la tua età frequentavo questa ragazza, una sera ci appartammo in un parco per scopare e dopo un po’ lei mi disse che doveva pisciare. Scese, si mise davanti all’auto per evitare che qualcuno la vedesse e si inginocchiò. La cosa mi eccitò tantissimo, non capii perché, volevo vederla pisciare ed accesi i fari dell’auto; lei all’inizio mi grido di spegnere ma poi se ne fregò e mi lascio guardare. Per me fu un momento di rivelazione, quel giorno scoprii che mi eccitava il piscio”. 


Ammetto che mi lasciasti a bocca aperta, non mi aspettavo nulla del genere e quel tuo modo di parlare “piscio”; “pisciare”, “scopare” mi misero in imbarazzo.


Come cavolo eravamo arrivati a parlare di pissing?


Mi colpì quello che dicesti dopo: “so che il pensiero probabilmente ti fa schifo, che non capisci cosa ci sia di eccitante e sicuramente se te lo avessi detto in chat mi avresti bloccato all’istante. Però pensaci, a te che ti frega se a me eccita il pissing? È qualcosa che piace a me e a te magari non piace, anche se non lo hai mai provato mi sembra di capire dalla tua faccia. Ma questo rende meno interessante e piacevole questo pomeriggio che stiamo passando insieme? No, esattamente (aggiungesti vedendo che negavo con la testa)! Capisci dove voglio arrivare? Ti piacciono gli orsi? Ai tuoi amici e al resto del mondo non fregherà nulla, è la tua vita e se ti vuoi scopà uno co’ la panza so’ cazzi tua!”.


Scoppiammo entrambi a ridere sguaiatamente, il romanaccio a fine frase era stato un colpo da maestro. Avevo recepito il messaggio.


Capisci perché ancora oggi a distanza di anni mi ricordo di quel pomeriggio? Forse a raccontarlo così sembrerà una cazzata, ma per me fu un momento importante.


Continuammo a chiacchierare, intanto si era fatto tardo pomeriggio e a breve ci saremmo separati.


Quindi, senza girarci troppo attorno, ti dissi che ero stato davvero bene e che mi sarebbe piaciuto rivederti.


In quel momento abbassasti gli occhi e qualcosa cambiò nella tua espressione, forse non era lo stesso per te, forse avevo mal interpretato il feeling che credevo di aver sentito tra di noi, aspettai che mi dicessi che anche tu eri stato bene e che ti sarebbe piaciuto rivederci ma solo in amicizia.


Invece dicesti “porca troia, sono stato molto bene anche io e in una situazione normale mi sarebbe piaciuto TANTISSIMO (enfasi sul ‘tantissimo’) rivederci, magari per un appuntamento, ma non ti ho detto una cosa importante. Martedì prossimo parto per Bruxelles, mi hanno offerto un lavoro in un ospedale li”. 


“Oh...” fu tutto ciò che seppi dire sul momento.


Dopodiché mi ricomposi, mi congratulai per il lavoro e la nostra conversazione tornò su temi più superficiali e generici.


Quell’intimità che mi sembrava si fosse creata tra di noi si era volatilizzata.


Ci alzammo, riprendemmo a camminare e senza volerlo ci avvicinammo alla più vicina metropolitana.


Quando vidi comparire il simbolo rosso e bianco con la “M” ti dissi che si era fatto buio e che dovevo tornare a casa e probabilmente anche tu, dovendo guidare fino a Latina.  


In tutta risposta mi prendesti per il polso e mi dicesti: “Non mi va di finire così questo bel pomeriggio. Posso invitarti a cena?”.


Nella mia testa pensai che tutto ciò non avesse senso, saresti partito da lì a due giorni e che ero stato davvero uno stupido a darti buca le altre volte, avremmo potuto conoscerci meglio e allora...allora... . 


“Senti, ci stai a pensà troppo, nun rompe er cazzo e viè a cena con me”.


Ti guardai, ridemmo e senza bisogno di aggiungere altro ci avviammo verso la tua macchina.


Il tragitto in auto fu strano, non era da me essere lì, in macchina con un uomo che conoscevo da appena poche ore e che tra due giorni avrebbe lasciato l’Italia.


Quando conoscevo qualcuno mi piaceva prendermi il mio tempo per conoscerci meglio, fare piccoli passi.


Con gli amici scherzavamo su come bisognava rispettare la “regola dei tre appuntamenti”: per il primo appuntamento un caffè o un aperitivo, poche ore e poi via senza baci ne contatti fisici; il secondo appuntamento doveva essere incentrato sugli interessi di ciascuno dei due e quindi bisognava fare qualcosa di più “culturale”, significasse questo andare al cinema, a vedere un’esposizione o semplicemente in una libreria.


Durante o alla fine del secondo appuntamento ci si aspettava il bacio.


Finalmente, il terzo appuntamento era una cena fuori o a casa e da lì cadevano tutte le limitazioni. 


Guidammo fino a una braceria di Centocelle scambiandoci solo poche parole ogni tanto, la musica della radio riempiva i nostri silenzi.


Ero in profondo imbarazzo, guardavo fuori dal finestrino i lampioni passare rapidi, un paio di volte mi girai a guardarti ma tu eri concentrato sulla strada; finché inaspettatamente mi prendesti la mano.


Ci guardammo, entrambi un po’ imbarazzati, la tua mano calda e soffice sulla mia, nessuno dei due sembrò voler metter fine a quel contatto.


Arrivammo al ristorante e prima di entrare ti dissi che dovevo fare una chiamata; tu entrasti e io mi trattenni un momento e chiamai Marco, il mio coinquilino.


Aveva provato a chiamarmi e mi aveva scritto vari messaggi che io avevo volutamente ignorato tutto il pomeriggio. “Dove cazzo sei? Ora chiamo tua madre e le dico che non sei tornato a casa nonostante sia già buio”.


Adoravo Marco, il suo accento pugliese e il suo senso dell’umorismo, la domenica sera la passavamo normalmente guardando un reality show trash mangiando una pizza.


Gli dissi che avrei dato buca e gli raccontai per sommi capi cosa era successo quel pomeriggio.


Ovviamente volle sapere con chi fossi, e con un po’ di imbarazzo dissi la verità: “un bel orsone”.


La sua risposta fu un acuto “uuuuuuhh!”, mi disse “Domani voglio tutti i dettagli. Ah, senti domattina faccio apertura al bar e se dovete venire a scopare fatelo in silenzio oppure svegliatemi e mi unisco”.


Rise alle mie proteste e mi disse che era felice per me e mi augurò di divertirmi.


Durante la cena l’imbarazzo che si era creato dopo la rivelazione della tua imminente fuga all’estero sparì, tornammo a quel clima divertente e complice delle ore precedenti anche grazie al vino rosso che continuasti a versarmi.


Mi raccontasti che avevi una passione per i vini e che con i tuoi amici avevate messo su un sito di rivendita online di vini che era appena all’inizio ma che eri certo sarebbe cresciuto. 


Dopo cena mi accompagnasti a casa, parcheggiasti di fronte al mio palazzo e rimanemmo a parlare un altro po’.


Mi prendesti di nuovo la mano ma non provasti mai a baciarmi.


Si era fatto tardi, era quasi mezzanotte, eravamo entrambi un po’ brilli per il troppo vino.


Non volevo che la serata finisse, non credo di aver mai parlato con qualcuno tanto onestamente come con te, ridemmo sul tuo amore per il pissing: “strano che tu preferisca il vino rosso al bianco visti i tuoi interessi in quanto a bevande” ti punzecchiavo, “senti ma tuo padre che ne pensa del fatto che probabilmente uno di questi giorni ti presenterai a casa con un uomo della sua età come fidanzato?” rimbeccavi tu. 


Fu in quel momento che ti invitai a fermarti da me.


Tu mi dicesti di no, che non ce n’era bisogno e che non voleva che  mi sentissi forzato a far qualcosa che normalmente non avrei fatto solo per l’eccezionalità della situazione.


“Senti, non rompere, è mezzanotte, hai bevuto e non puoi guidare fino a Latina” fu la mia risposta, “rimani a dormire, e sottolineo a dormire e non a fare le porcate che ti immagini tu, così domattina mi accompagni al lavoro e poi te ne vai a fanculo a Bruxelles”.


Mi piaceva questo modo di scherzare rude che avevamo. 


Fu così che salimmo da me, Marco dormiva di già, entrammo nella mia stanza e ci guardammo imbarazzati.


Non avevo t-shirt della tua taglia e non volevi sgualcire la polo che avresti dovuto indossare domattina per tornare a casa.


Così, senza parlare, ci denudammo, io indossai subito un vecchio pantalone di una tuta e una t-shirt grigia, tu invece rimanesti mezzo nudo con solo dei boxer bianchi e dei calzini neri che ti arrivavano poco più giù delle ginocchia.


Vederti così mi procurò un batticuore.


Eri molto peloso sul petto, sulla pancia prominente e sulle gambe, qualche pelo sulle spalle e sulla schiena ma non troppi.


Notasti come ti guardavo e credo che ti sentisti a disagio: “forse dovrei dormire vestito”.


“Assolutamente” ti dissi, “ho un debole per gli uomini in underwear, sei proprio un bel vedere”.


Ci guardammo e scoppiammo a ridere cercando di trattenerci e non far rumore. 


Ci mettemmo sotto le coperte del letto a due piazze, ci avvicinammo, emanavi un lieve odore di sudore ma non mi importò, era stata una lunga giornata.


Fui io chi alla fine cedette e fece la prima mossa, ti baciai.


Le nostre lingue si intrecciarono, fu un bacio agrio, sapeva di vino rosso. Durò solo pochi istanti e poi tu ti ritraesti. 


Dicesti: “Dobbiamo davvero andare a dormire, domattina devo tornare a Latina presto e tu devi andare a lavorare”.


E vedendo la mia espressione un po’ delusa mi baciasti un’ultima volta, “e poi tu non sei da una botta e via e non vorrei che questa fosse solo una scopata di una notte se potessi... che situazione del cazzo”.


Mi guardasti, stavamo toccando un tasto dolente così sorridesti e per sdrammatizzare dicesti “E con quello che abbiamo bevuto e con la stanchezza manco mi si alzerebbe probabilmente, quindi non rompere e dormi”.


Ridemmo di nuovo cercando di non essere troppo rumorosi per non svegliare Marco e pochi istanti dopo ci addormentammo, tu di lato “perché russo e se dormo a pancia in su i vicini penseranno che c’è un animale in casa tua” e io abbracciandoti da dietro.


Mi svegliai poche ore dopo, il cellulare segnava le 4:50, sentii Marco muoversi per il salotto, aprire la porta di casa ed uscire per andare a lavorare.


Mi misi seduto sul bordo del letto, ti sentii russare lì accanto a me, ti vidi e tardai alcuni secondi nel ricordarmi tutti gli avvenimenti della sera precedente.


Mi alzai, andai in cucina e preparai la moka, avevo un leggero mal di testa, probabilmente a causa del vino.


Non so se per i rumori o per il profumo del caffè ma ti svegliasti, ti avvicinasti a me senza che ti avessi notato e mi abbracciasti da dietro. “Buongiorno”.


Vederti li, mezzo nudo con i tuoi boxer e i tuoi calzini mi eccitò, lo notasti e mi toccasti il pacco e intanto sentivo il tuo cazzo punzecchiarmi da dietro.


Anche io allungai la mano per toccarti ma ti scansasti.


Non capivo e dal mio sguardo te ne accorgesti. “Ho il cazzo abbastanza piccolo, non ti voglio deludere” dicesti.


Cercai di nuovo di allungare la mano per tastartelo ma tu fosti più veloce e ti scansasti e ti sedesti al tavolo da pranzo. 


Prendemmo il caffè e quando entrambi iniziammo ad essere un po’ più lucidi mi chiedesti: “a che ora devi entrare in hotel? Faccio in tempo a farmi una doccia?”. Il mio turno sarebbe iniziato alle 7, c’era tempo in abbondanza, “dammi solo un secondo per far pipì e ti lascio il bagno” dissi. 


“Posso guardati mentre la fai?”, mi chiedesti improvvisamente.


Mi cogliesti di sorpresa, avevo rimosso per un momento il tuo feticismo e sul momento non seppi che dire, quindi dissi solo “ok”. 


Entrammo in bagno insieme, sentirti lì accanto a me mi mise in soggezione: “se stai lì e mi guardi non mi esce, fai finta che sia tutto casuale, fatti la doccia”.


E così facesti, ti denudasti ed entrasti in doccia, io non mi girai a guardarti, non sapevo se mi avresti lasciato fare; tirasti la tendina per coprirti ma da un lato potevi vedermi fare pipì.


Fu una sensazione strana, non spiacevole, solo nulla che avessi provato in precedenza.


Mi girai e ti vidi, guardavi il mio cazzo mentre il liquido giallo faceva rumore nel water. Il tuo sguardo me lo fece venir duro e mi trattenni per non svuotare del tutto la vescica.


“Ti eccita guardarmi?” domandai.


“Si. Hai un bel cazzo”


“Grazie. Vorresti che ti pisciassi affosso?


“Mi piacerebbe...”


“Posso venire in doccia con te?”


Tardasti un istante, ma alla fine dicesti di sì.


Scostai la tendina ed entrai, eravamo tutti e due completamente nudi, uno di fronte all’altro ma dal tuo volto era sparita la confidenza che avevi mostrato il giorno precedente.


Con le mani ti coprivi il cazzo.


Ti mettesti in ginocchio e mi guardasti in attesa che complissi con quello che avevo promesso. 


“Me lo fai vedere?”, chiesi.


“Però è piccolo”. 


Ti scostai le mani usando i piedi guardai il tuo cazzo.


Era eretto e come avevi detto non era grande. Sarà stato forse 6 o 7 centimetri di lunghezza e di una larghezza nella norma, la pancia prominente lo faceva sembrare più piccolo. 


“Vedi che è piccolo?”, dicesti come per giustificarti.


“Che stronzata, che importa?”, ti risposi, presi il mio cazzo adesso completamente duro in mano e ti dissi “mi piace il tuo cazzo, penso che si vede l’effetto che mi fa”.


E iniziai a pisciarti (così come dicevi tu) addosso.


Fu una sensazione strana, onestamente non notai niente di così eccitante nel farlo ma vidi che per te era molto eccitante, iniziasti a masturbarti e ti avvicinasti con la bocca e mi facesti capire che volevi che ti pisciassi dentro.


Quando la bocca era piena sputavi e tutto il liquido ti cadeva addosso, bagnando i tuoi peli sul petto e sulla pancia.


Non durò molto, presto la mia vescica fu vuota. 


Mi guardasti negli occhi, che sensazione strana, capii che a te era piaciuto molto e mi dispiacque non aver potuto durare di più.


Ti feci alzare, ti baciai e un sapore agrio e salato mi fece arretrare un istante.


Tu capisti, apristi il rubinetto e lasciasti che l’acqua calda ti lavasse via l’urina.


Fu il mio turno di mettermi in ginocchio, presi in bocca il tuo cazzo e inizia a succhiarlo mentre il getto d’acqua della doccia continuava a caderci addosso, non potevo giocare molto con l’asta del pene dovuto alla sua lunghezza ma seppi darti piacere con la lingua. 


Ti sentii gemere e dire “cazzo!” e “si!”, mi tenesti ferma la testa e mi scopasti la bocca con foga, cercando di mandare il cazzo più in fondo possibile nella mia gola.


“Segati”, mi ordinasti, e io iniziai a masturbarmi, li in ginocchio davanti a te e con il tuo cazzo in bocca.


Ti piaceva guardarmi dall’alto, osservavi come mi toccavo e poco dopo il tuo respiro si fece accelerato, tirasti fuori il cazzo dalla mia bocca e iniziasti a segarti usando pollice e indice.


Continuammo così qualche istante e poi mi guardasti negli occhi, lo sguardo tra il sofferente e l’estasiato e mi dicesti “ti sborro addosso” e poi “Cazzo! Cazzo! Cazzo!” e un getto del tuo sperma mi colpì in faccia mentre il resto finì sul mio petto peloso.


Te lo presi di nuovo in bocca e leccandotelo venni anche io, i miei schizzi sui tuoi piedi.


Ci guardammo ansimando, senza dire nulla mi sollevasti e ci baciammo a lungo. 


Un’ora dopo, in macchina guidasti per le strade mattutine di Roma ancora non troppo affollate tenendomi la mano.


Era stato bello, te lo dissi, anche per te lo era stato. Il tragitto fu breve, l’atmosfera tra di noi strana.


Cosa c’era da dire di significativo in una situazione così?


Arrivammo vicino all’hotel dove lavoravo in via Cavour e da come ti guardavi intorno capii che cercavi un possibile parcheggio per poterci salutare per bene ma fu impossibile fermarsi, sembrava che tutte le auto avessero decisivo di uscire tutte insieme proprio ora e ci ritrovammo bloccati nel traffico.


Arrivammo al semaforo all’angolo tra via Cavour e via dei Serpenti, scattò il rosso e ci fermammo.


Solo pochi istanti e nessuno dei due seppe cosa dire. 


“Grazie di tutto, scusa se non sono originale. Ci sentiamo e se passi da qui scrivimi”, ti dissi.


“Certo e lo stesso se vuoi venire a fare un viaggetto a Bruxelles basta avvisare”, mi rispondesti sorridendo. 


Non sapendo cosa dire finimmo per dire le frasi più ovvie e banali.


Scesi dall’auto poco prima che il semaforo diventasse verde e ti guardai andar via nel traffico mattutino.


Ci saremmo rivisti, a posteriori lo so, ma quel mattino fu strano e triste e insensato e...e... .


Mentre entravo finalmente in hotel mi arrivò un messaggio, era tuo: 


“Certo, che tempismo di merda che abbiamo avuto!”. 



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