Impressioni sul Pride milanese, 21 giugno 2003.

 

Domenica 22 giugno 2003.

Scrivo dalla provincia e scrivo velocemente per non perdere l'amore ed il senso di quello che voglio dire. Rapido, cerco di descrivere a larghe pennellate la giornata di ieri; saranno le mie impressioni, sara' questo un ritratto impressionista del mio pride milanese. Non sono io che diro', saranno le mie emozioni. Non sara' la testa, quella che la lontananza, ­ volendo calcare un po' la mano direi "confino" ­ fa lavorare, sara' invece la mia coscienza a premere i tasti e a mettere giu' queste parole.

Per me che vengo da una zona depressa, (non la peggiore nella quale un omosessuale possa vivere ma sicuramente una delle piu' ardue), un pride e' sempre un'occasione. Non una semplice manifestazione, non un evento cui prendere parte (con tutte le migliori intenzioni che sappiamo, dimostrare che si esiste, ritrovarsi e vedere facce che si incontrano raramente, protestare per diritti non riconosciuti, far festa anche se la vita di un gay non e' sempre facile, lottare contro il pregiudizio, aprirsi al mondo). No, oltre a tutto questo, per chi viene dalla provincia, non quella ricca veneta (io sono un cittadino del Nordest, ma credetemi, il boom qui nella mia citta' e' davvero un miraggio, ovvero, e' uno spettacolo che si guarda dall'altra parte di un vetro), ma da quella che arranca, economicamente e culturalmente, il pride e' un'occasione da non perdere per sentirsi parte del mondo. Io magari sono un po' catastrofico, d'accordo, magari la mia vita e' incasinata di suo, sono lontano dall'Italia (geograficamente: guardate dov'e' messa Trieste), faccio quattro lavori come ogni bravo laureato del giorno d'oggi, sono sempre impegnato a servire lo Stato il sabato e la domenica, percio' ho poche occasioni in generale per conoscere nuove facce: pero' so che come me c'e' anche altra gente, ci saranno sicuro altri orsetti incasinati che mi capiranno.

Sabato 21 giugno 2003.

Sono emozionato. Quando esco dalla stazione del metro' in Via Palestro, sono intontito dal sonno e contemporaneamente mi batte il cuore. Dal buio dell'underground milanese alla luce forte e calda di un giorno di giugno: tra l'altro, e' vero che fa a momenti troppo caldo, pero' il sole fa ridere tutto ed e' bello stare tra tante facce sorridenti e vedere che attorno cielo, palazzi, foglie e marciapiedi ti sorridono. Mi muovo con due miei amici orsi, incontriamo qualcuno, ci si saluta (oppure no: vedi anche chi hai perso di vista, per averci litigato), si prosegue. Qualche trans pirotecnica si fa fotografare, qualcun altro comincia a sistemare gli striscioni, i carri vengono addobbati con palloncini multicolore, emanando musica ad alto volume (house, tecno, ma poi durante il corteo Madonna, Giuni Russo, Mila e Shiro, le Tatu, Paola e Chiara, Cher, e via dicendo). Incontriamo alcuni altri mega orsoni: tre, quattro, cinque, sei, settemi guardo attorno e ne scorgo almeno altrettanti in mezzo ad altri gruppi. Non ce la faccio, sono tanti, tutti bellissimi, non sono abituato a tanta opulenza (anzitrovare orsi alle mie latitudini e' facile quanto vincere al superenalotto); dietro gli occhiali da sole gli occhi mi si inumidiscono, si commuovono dinnanzi a tanta bellezza ­ mi succede anche davanti a certi quadri. Sono un timidone, percio' scambio qualche battuta, ma niente piu', parlo magari con qualcuno e sudo dentro piu' forte che fuori. Non riesco a stare fermo qui, tra gli omaccioni. Sicche', per rendermi anche conto di quanta gente ci sia, faccio un giro perlustrativo. Quanta gente tranquilla, che parla, ride, scherza. Due ragazze litigano, molto maschiamente devo dire (non me ne vogliano, ma io quando litigo sono molto piu' signora, anzi, signorina). Una bambina osserva una trans bevendo un po' d'acqua dal ciuccio. Si salutano, con la manina, ciao ciao. Qualche bell'orsone tocca la pancia a qualche altro orsone, i palestrati narcisi sono gia' nudi per mostrarsi, un bel cicciottino francese vende bandiere dell'orgoglio gay. Intorno, altri si ammassano in fila per prendere da bere ai baracchini. Normalmente, in provincia, solo ed inacidito, sputo veleni, non sulle cule, non sulla comunita' in toto, pero' su certi comportamenti assai in voga; e poi, la testa lavora, lavora, lavora,fino a perdere il senso di appartenenza per arrivare al distacco piu' completo. Oggi invece sono qua, in mezzo agli altri, e respiro una ventata di ossigeno. Eccoli qua, il gay, le lesbiche, le persone cui assomiglio e che mi somigliano; a me piacciono le manifestazioni proprio perche' mi servono a riconoscermi, a capire chi sono e quali sono le mie caratteristiche, i bisogni, i desideri. Il pride mi serve a sapere, non solo razionalmente, anche e soprattutto empaticamente, che non sono solo, ed e' bello.

Torno dagli orsi, tutti dietro lo striscione. Davanti, solo la soubrette, vestita da orso (con tanto di maschera) hawaiano, e un altro splendido essere sventolante una bandiera ursina. Il corteo verso le cinque si muove, lentamente. Si sta fermi, ci si asciuga la fronte; attorno alcuni personaggi intervistano ("perche' sei orso? cosa ti piace dell'essere orso?" se l'avessero chiesto a me, probabilmente avrei risposto: "al mare galleggio con piu' facilita', sono un morbido cuscino su cui riposare, mi siedo sempre davanti in macchina perche' dietro e' troppo stretto"), si procede poco poco, poi di nuovo fermi. Ho una discussione con un baffo di Parma (mi pare) che mi classifica chubby, ed io gli dico "no sono un orso". Ci si scattano le foto. Poi, finalmente, si va avanti con maggior lena. Il percorso tocca le zone centralissime di Milano. La gente guarda; penso ai tanti omaccioni fuori dal corteo: come Orsi, in un certo senso siamo qui anche per loro, rivendicando non sono l'orgogliosa gayezza ma anche l'orgogliosapanzezza. Mi osservo con un poliziotto, mi fa ridere perche' io penso "Pero'" lui invece probabilmente "chi e' 'sta pazza". Ad ogni cambio di via, cambia la luce: una volta ombra, una volta sole, e cosi' fino alla fine. Si ride, dentro e fuori. Per terra, coriandoli colorati (in treno, poi, toltomi le infradito, me ne sono scoperti un sacco attaccati alla pianta del piede). Suoni, colori, balletti, (e attorno a me tanti orsi). Una tipa assai alternativa ci spara addosso acqua con una pistola, dicendo "odio gli uomini nudi", io vorrei dirle "parliamone". Assai simpatica. E via cosi', semplicemente e con serenita', fino alla fine.

Piazza Castello. Danze sfrenate, mini comizio (del quale, scusate se sono polemico, farei anche a meno, cosi' come avrei fatto a meno dell'inno d'Italia cantato in piazza Duomo), una bibita energetica gentilmente offerta, qualche ultima occhiata in giro, poi i saluti. Prendo la metro a Cadorna e vado in Stazione; qui compro da mangiare, vado al binario, oblitero il biglietto, ciabattando arrivo alla testa del treno, salgo.

Io me ne torno in provincia, pieno di emozioni e di ricordi. Sbrano un panino speck fontina e salsa rosa, semidisteso sui sedili sozzi dell'interregionale. Felice. Domani, ricomincia tutto, ed anche la solitudine (geografica). Annientato dalla stanchezza, i piedi doloranti, penso che questo isolamento prima o poi finira': o mi spostero' io (me lo auguro), oppure (me lo auguro ancor di piu') questa terra da cui scrivo sara' un po' meno aspra e lontana dal mondo.

 

Marco Ranfo