ATTENZIONE
/ NOTICE
Questa pagina contiene immagini di nudo maschile e testo a contenuto
omoerotico: e' pertanto riservata a persone maggiorenni
This page contains pictures of male nudity and a text with homoerotic
contents: it's intended for persons over 18
Il
Druido e il guerriero
Un
racconto di Orsardoi
I
racconti pubblicati possono contenere descrizioni di sesso non
sicuro: ricordate, sono opera di fantasia! Nella vita reale
praticate sempre il Sesso Sicuro usando il preservativo.
The stories published in this section may contain descriptions of
unsafe sex: remember, it's fiction! In real life always practice
Safe Sex by using condoms.
Capita spesso di domandarsi come mai e perché un amore (o una storia o un ménage o un matrimonio) sia finito e a quali motivi vada addebitata la fine di un qualcosa cui tenevamo tanto ...
Non è, invece, facile che
capiti di chiedersi perché è nato un amore e perché continua nel
tempo.
Ma a me è proprio questo che è capitato, anche se non sono mai riuscito a farmene una ragione: perché ci amiamo tanto, nonostante tutte le carenze, i contrattempi, le impossibilità che ci sono tra di noi? Finché ...
Cinque anni fa, a seguito di una fitta corrispondenza su un sito d'incontri, finalmente incontrai Tommaso, una splendida bestia che mi aveva contattato perché affascinato dai miei racconti, poi dai messaggi che ci eravamo inviati, poi dalle tenerezze scritte che c’eravamo scambiati e, alla fine, l’incontro: trentanni, bello come il sole, un fisico da infarto, un’intelligenza sopra la norma, il sorriso ammaliante, gli occhi da furbo malandrino ... che altro? Ora non ricordo ... ma quel che è certo è che caddi, come una pera cotta, tra le sue braccia.
Non compresi più nulla, se non che lui era certamente l’uomo della mia vita, col quale avrei costruito il mio tempo a venire, con il quale avrei potuto dividere tutto, per il quale avrei potuto compiere ogni azione, anche la più inconsulta ...
Naturalmente, lui disse no a tutto quello che dicevo, e a tutto quello che pensavo! Gli piacevo, certo, e non poteva nascondermelo e io non potevo non accorgermene, ma, c’erano i “ma”.
Sposato, innanzitutto!
Due figlie, un lavoro impegnativo, una congrega di parenti e il problema di abitare in una città lontana una trentina di chilometri, ma, soprattutto, il fatto che non poteva-voleva legarsi...
Ma gli piacevo (a detta sua, anche fisicamente!) e lo sentivo!, anche mentalmente, anche spiritualmente.
Nacque, così, una sorta di ménage costruito sulla sua dedizione e la sua ammirazione (mi chiamava ‘il mio maestro’ o ‘il mio ispiratore’ o, ancora, ‘il Mio amante’) e su incontri brevi e intensissimi a cadenza semestrale: il mio pensiero era sempre a lui e, benché cercassi, nelle avventure che ovviamente mi capitavano, di ritrovarlo, o di trovarne un surrogato, niente: il suo sorriso, la sua arguzia, la sua pelle di velluto che ammantava il suo fisico forgiato da anni di militanza in una squadra di rugby... tutto mi portava a pensare solo a lui e a trovare le ovvie differenze che non mi permettevano di innamorarmi, o infatuarmi, di nessun altro.
I messaggi divennero sempre più rari: s’intensificavano soltanto nell’avvicinarsi dei momenti d’incontro. La mia vita si sciorinava tra il ricordo dell’incontro passato e l’attesa di quello a venire.
Passarono gli anni punteggiati dai brevi incontri in cui, e io e lui, sembravamo toccare con la punta delle dita le stelle del cielo, per poi ricadere nel limbo che mi (ma, forse, ci) assorbiva per i successivi sei mesi.
La primavera scorsa mi
nacque l’idea di volere qualcosa di più da lui: a sessantacinque anni
suonati, sono ancora vergine perché una vita tutta impostata
all’insegna del maschilismo mi aveva sempre fatto assumere i ruoli
attivi sia sessuali, sia operativi.
Bene, arrivato a questo punto volevo che lui mi deflorasse, mi facesse completamente suo.
Quando gli feci la proposta, mi sembrò contento, anzi molto interessato!
Ci organizzammo e, dopo qualche giorno, ecco giunse il momento: ero emozionato come un’educanda, lo volevo e sentivo che anche lui mi desiderava ... ma, forse l’emozione, forse la tensione non gli permisero di portar a termine l’opera.
Mi ritrovai ancora vergine e intatto, con lui che, desolato, si scusava come se ne avesse colpa lui, poverino!
Ecco che ricominciarono a passare i giorni del semestre dell’attesa: pochi messaggi, nessun riferimento alla non-avvenuta deflorazione, parole dolci e desideri repressi finché, un giorno, ecco che è proprio lui che mi chiede se desidero ancora esser preso da lui.
Se voglio?!?
Certo che voglio ancora essere tutto tuo!
Dopo una breve pausa, ci organizziamo: riesce a ritagliare un paio d’ore ed eccomelo qui: splendido più che mai!
Appena entrato, ci copriamo di baci, mentre le mani febbrili ci spogliano, cadiamo sul letto e torniamo a baciarci con l’intensità e la fame di chi veramente ama. Io, perlomeno, lo amo ... lui, quando c’è, sembra proprio che m’ami davvero anche lui. E, ora, c’è!
Lo bacio tutto, lo accarezzo sino negli anfratti più reconditi, lo mordicchio, lo lecco ... e lui altrettanto. Non parla del motivo della sua venuta: per questo gli sussurro all’orecchio, come se facessi la rivelazione di un voto, “Ho comprato il Luan...”
Non lo conosce!
“E’ una crema anestetica che servirà a non farmi soffrire molto.”
Mi stringe in un abbraccio grato, come se volesse compenetrarsi in me e, ancora, baci e carezze. Come può non essere amore, questo?
E’ splendido sentirlo fremere sotto di me.
Lo bacio e le lingue sembrano voler scavare nel profondo di entrambi. Succhio e lecco il mento, il collo, le ascelle e i mugolii mi confermano il suo piacere.
Scorro con la punta della lingua sulla cicatrice che ha sulla spalla, a ricordo di un incidente di partita, e freme.
Suggo e addento i capezzoli e scatta di piacere.
Immergo la lingua nel suo
ombelico, aspirandone il bottone, finché ansima e, allora, scendo al
suo membro, teso e vibrante nell’attesa delle mie labbra.
Lo percorro tutto, gioco col frenulo, immergo la punta della lingua nell’orifizio, poi lo imbocco tutto, fino in gola. Ruggisce e le sue mani mi stringono.
Assorbo tra le mie labbra, uno dopo l’altro, i testicoli e solleva rochi ansimi di piacere.
Spingo la lingua sul perineo e raggiungo il caldo e vibrante foro del piacere: si apre per ricevere la mia lingua in profondità e il respiro si fa veloce e pesante ... poi lo faccio voltare e comincio a risalire lambendo, dopo aver mordicchiati i glutei di marmo, tutta la schiena, fino al collo.
E’ disteso sotto di me e so che ama che io pesi su di lui e strisci il mio corpo sul suo.
Mentre gli mordo il collo e gli risucchio l’orecchio, faccio in modo che percepisca tutto il mio corpo che aderisce al suo.
E’ felice, forse come lo sono io.
“Vuoi entrare in me, ora?”
“Sì.”
Veloce, prendo la crema, mi stendo sul letto e, alzando il bacino, gli offro la mia, tanto odiata ormai, verginità.
Mi bacia a lungo, poi bacia il mio orifizio fino ad immergervi un dito: un dito grosso, come’è grosso tutto di lui, e mi fa un male bestia.
Sta per rinunciare per l’ennesima volta, ma io insisto affinché usi la crema. Ha troppo paura di farmi male e sono io che imploro che lo faccia!
Si decide e mi spalma le pieghe esterne, poi cerca di far ancora entrare il dito ma, al mio primo spasmo, si ferma per non continuare.
“Continua, ti prego! Voglio essere tuo!”
Allora, appoggia il glande, lo spinge, lo fa penetrare un po’, ma smette “Ti faccio troppo male!”
“No! No! Continua!”
Ha troppo paura, non se la sente ... su mia insistenza, riprova ... ma non ce la fa.
Va in bagno, deterge ogni più piccola particella di crema, torna a me e mi si lascia cadere accanto: “Scusa, ma proprio non ce la faccio. Non posso fare del male a qualcuno che ... a qualcuno cui voglio bene.” Ancora una volta non ce l’ha fatta! Né a dirmi che mi ama né a sverginarmi!
Baci e carezze riprendono e seguitano finché bevo, con ingordigia e piacere, tutto il suo nettare.
Nella pausa che segue, mentre fumo una sigaretta, lui si chiede come mai non riesca, sempre condannando se stesso e non colpevolizzando gli ormai coriacei muscoli del mio sfintere.
Riprendiamo ad amarci, finché di nuovo si dona tutto nella mia bocca.
Naturalmente, però, giunge anche l’ora del commiato: mentre si fa la doccia, io, seduto sull’asse del water, lo ammiro.
Godo alla vista della schiena ampia, del tondo e sodo culetto, delle cosce enormi e guizzanti, dei polpacci forti, dei piedi dolci e grandi che mi ricordano quando, poco fa, ne ho succhiato un dito dopo l’altro, e, finalmente, si volta: rivoletti d’acqua gli scendono dal viso sui pettorali tosti e adombrati di peli, sull’addome disegnato, sull’uccello che, quando mi vede lì, perso in ammirazione, ha un nuovo fremito e .... all’improvviso, mentre lo guardo nella luce un po’ magica che i riflessi di cristallo del cilindro della doccia gli conferiscono, lo vedo come una volta lo vidi.
E’ un flash, veloce e improvviso, che mi abbacina e che mi rende cosciente di tutto quello che un giorno fu.
Prima d’andare, gli sussurro che, finalmente, so perché ci vogliamo così tanto bene.
Lo vorrebbe sapere anche lui: “No! Ci vuole troppo tempo per raccontartelo e devi andare a casa! Ma te lo scrivo: stenderò un racconto e te lo manderò!”
Ed ecco il motivo per cui, oggi, son qui a scrivere ... o meglio a ricordare. Di noi.
Quando ti ho visto sotto lo zampillio dell’acqua della doccia, mi è sovvenuto di un momento in cui, migliaia d’anni fa, ti ho visto per la prima volta.
Gli scrosci d’acqua di una cascata ti colpivano il capo ed irroravano il tuo corpo, completamente ignudo, mentre lasciavi che il sole accarezzasse le tue membra e le tue mani strofinavano i tuoi muscoli e il tuo sesso ...
Ovviamente, dinnanzi ad una simile meravigliosa visione, arrestai il mio cavallo per poter meglio ammirarti.
Dopo qualche secondo, sentendoti guardato, ti volgesti verso di me e, vergognandoti della tua eccitazione, portasti entrambe le mani a nascondere il gladio sguainato che si ergeva, desideroso di piacere, dai tuoi lombi.
Ti feci segno di venire accanto a me e, cogli occhi immersi nelle erbe del prato, ti avvicinasti grondante d’acqua, sempre tenendo le mani a coppa a difesa della tua nudità.
“Chi sei? E come mai sei su questa terra?”
“Wioler, io sono e da poco son tornato dalle battaglie che i Galli stan sostenendo con i popoli d’Oltralpe. Sono in cerca di Albin, il druido che m’han detto di cercare per ottenere la pozione che serve ai nostri feriti.”
“L’hai trovato!” dissi saltando agilmente di sella.
Era meravigliato e, finalmente, mi scaraventò addosso il lucente neroazzurro dei suoi occhi increduli. Non poteva credere d’aver avuto tanta fortuna!
“Io, Albin, sono il capo dei Druidi di questa fortunata landa, ove il popolo vive una vita felice, coltivando i prodotti della terra ed attendendo il ritorno dei propri campioni che si dedicano alle guerre.
Sono a capo della congrega
sacerdotale degli uomini del sapere. Siamo sacerdoti, cioé conduttori
del sacro in Terra, e non maghi o stregoni come la nuova Chiesa sta
cercando di sostenere.
Deteniamo le conoscenze della tradizione spirituale del popolo celtico e siamo profondi conoscitori dell’energia divina che permea di sé ogni manifestazione.
Spirito e materia sono una
cosa sola, l’unità della vita e la molteplicità delle manifestazioni
del divino hanno una valenza assoluta.
Per mezzo del corretto e attento uso dell’energia spirituale, siamo guaritori e utilizziamo le erbe e le piante, di cui conosciamo il valore officinale che deriva dall’essenza sacra della pianta, che è simbolo della divinità ed è legata alle forze superiori.
Le qualità terapeutiche e
magiche delle piante sono funzione dell’attenzione portata ai rituali
di raccolta: ad esempio tu hai bisogno di portare ai tuoi compagni il
vischio.
Per raccogliere questa pianta, che noi chiamiamo “colui che tutto guarisce” per le infinite proprietà che in lei sono presenti, è necessario che un Druido, completamente vestito di bianco, il sesto giorno dopo la Luna nuova, salga sul sacro rovere dove ha attecchito il vischio, lo stacchi utilizzando un falcetto d’oro, lo raccolga in un panno bianco, portando grande attenzione a non farlo cadere.
Ma queste son cose che sai e, visto che sei qui, sarai proprio tu ad aiutarmi a compiere il rito, che, anche in questo hai fortuna!, potremo eseguire fra due notti: la sesta, dopo la Luna nera.”
Durante il racconto, Wioler
ascoltava ammaliato le mie parole, dimenticando di voler nascondere il
proprio sesso.
Per questo, nell’ammirarne le forme, continuai dicendo: “Sei un uomo forte e forte è la tua virilità.” Così dicendo posi, sotto lo scroto, la mia mano destra come soppesandone i testicoli: lui trasalì, poi, ormai completamente preso dalla mia gentilezza, lasciò fare, mentre il suo pene iniziava a dar segni di risveglio.
Dalla foggia degli abiti,
lasciati accanto alla riva, avevo riconosciuto la tribù cui
apparteneva e sapevo benissimo che, come per la maggioranza dei Celti,
anche per il suo valoroso popolo, l’uomo e la donna avevano lo stesso
valore e le stesse possibilità.
Non conoscevano il concetto
di peccato, anche se avevano limiti, o tabù, da rispettare.
Così, come nell’altra dimensione, ognuno rispondeva del proprio impegno e del proprio comportamento e godeva di ogni propria azione: l’amore era un atto che poteva essere consumato con chiunque cui si volesse bene, che fosse questi una donna o un uomo.
Mentre
attendeva
ch’io continuassi nel racconto, lasciava che il suo pene prendesse
forma e durezza.
Le mie carezze erano quindi gradite, quindi, prendendogli il mento con pollice e indice dell’altra mano, lo attirai verso di me e deposi sulle sue calde labbra un casto bacio.
Restò in attesa.
Ripetei il piccolo bacio, poi lo guardai nella profondità degli occhi. Non distolse lo sguardo, attendendo. Il nuovo bacio, profondo e assolutamente sensuale, lo sconvolse: si proiettò verso di me, stringendosi contro il mio corpo per cercare di sentire la mia virilità premere contro il suo ventre.
Mi strappò freneticamente la veste e crollammo sul prato, rotolandoci, accarezzandoci, toccandoci ovunque, mentre le lingue si rincorrevano all’infinito.
Quando l’occaso dalle rosse dita giunse, ci colse saturi di baci e d’amore mentre i nostri corpi rilucevano dei nostri nettari bianchi che, più volte, avevamo lanciato l’un l’altro.
“E’ giunta l’ora. Andiamo al villaggio: mi stanno aspettando per dividere con me la cena. E, naturalmente, con te.”
Passammo una notte e due splendide giornate, attorniati da tutte le genti, felici che il loro Druido fosse in dolce compagnia e di un tale campione, poi. Anche Wioler era felice e continuammo a cogliere piacere l’uno dall’altro.
Nel giorno che precedeva il festeggiamento del vischio, gli ho chiesto se anche lui voleva anche penetrarmi: la penetrazione era considerata una sorte di comunione in cui il sapere del druido veniva assorbito dall’uomo che ne godeva il corpo.
Wioler ci pensò qualche istante, poi chiese che, se per me era la istessa cosa, avrebbe voluto farmi suo dopo il rito: per ora non si sentiva all’altezza ed era sicuro di poter migliorare e cambiare ed esser pronto per me, dopo.
Lo sapevo: fino a quel momento, benché avesse ricoperto di baci anche il mio sfintere, non ne avevo sentito il desiderio. Lo faceva per darmi piacere, così come io facevo a lui per sentirne i gemiti di godimento. Per questo accondiscesi e chiamai i servi che cominciassero i preparativi per la festa.
Ci raggiunse anche Axel, il
figlio del capo tribù col quale mi giacevo ogniqualvolta mi fermavo in
questo villaggio, e i quattro vergini, cioè i quattro giovani che
avevano il compito d’aiutarmi.
Anche Axel era molto bello e possente ed anche lui teneva molto alla mia amicizia: anzi ricordo che fu proprio lui ad offrirsi alle mie voglie quando ancora era un ragazzetto e faceva parte del gruppo dei quattro vergini aiutanti. Ora ne aveva ventuno e debbo dire che ben aveva recepito il comportamento che un uomo deve avere con il suo Druido.
Guardò di sottecchi Wioler, non senza nascondere la sua gelosia: me ne accorsi subito e chiarii che il rito che saremmo andati a fare doveva essere eseguito con la massima chiarezza di intenti poiché il vischio che avremmo raccolto doveva essere il potente aiuto per coloro che erano ritornati dalla guerra.
Wioler era bellissimo mentre gli praticavano la purificazione che era riservata al corpo fisico, quella coll’acqua, e al corpo emotivo, quella con le frasche di alloro, e, infine, al corpo mentale, quella col fuoco: ed era chiaro che il suo essere più profondo si sentiva, sempre più, parte della manifestazione divina.
Sospingeva, spesso, verso di me lo sguardo, come per riceverne il consenso, il benestare e questo andava a render sempre più geloso l’altro.
Al cadere del Sole, all’alba del sesto giorno, andammo tutti insieme, in gran silenzio, nel bosco, accanto al rovere sacro. Mentre, nel mio lungo abito bianco, iniziavo a salire sull’albero, i quattro vergini, completamente ignudi ad eccezione del cinto candido che tratteneva i riccioli dei capelli, aprirono il telo intessuto di bianca lana disponendosi sotto di me.
Poco più in
là, Wioler e Axel, anch’essi nudi, trattenevano i bianchi tori.
Scelto il virgulto più
bello di vischio, mentre il sole si rifletteva per l’ultima volta
sulla lama d’oro del falcetto, sferrai il colpo e, come fosse di
piuma, il vischio, volteggiando, cadde sul telo aperto, senza toccar
terra.
Le sue virtù, salutari e apportatrici di fortuna e benessere, sono dovute al fatto che i suoi frutti sono “lo sperma degli dei” e le sue bacche contengono un liquido che ne ha lo stesso aspetto e lo stesso colore. E’ per questo, ad esempio, che a Samhain, la notte del capodanno, lo si appende in casa e ci si bacia sotto di esso: la fortuna e l’amore sono, così, assicurati per tutto l’anno.
Con estrema attenzione, i quattro giovani raccolsero l’arbusto e mi aiutarono a scendere.
Poi, Wioler e Axel portarono i due giovani tori all’altare e, lì, nel profondo silenzio, li sacrificarono, tagliandone la giugulare e facendo scorrere il sangue sulla lastra di marmo per rendere propizio il dono del vischio per coloro cui è stato destinato.
Suonando flauti di canna e danzando, i quattro ragazzi ci accompagnarono al villaggio, mentre io reggevo con le due mani il vischio e, i miei due pupilli, il capo dei due tori.
Dopo avere deposto il tutto dinnanzi all’albero sacro del villaggio, venimmo accolti dal popolo esultante.
Durante la cena, e prima di dar il via alle abbondanti libagioni, Wioler osò chiedermi informazioni sul rito.
“In moltissime culture il bianco è il colore sacro della purezza; il sacrificio dei tori bianchi è legato alla regalità dei capi, che era sempre collegata agli alberi: il rito del vischio e l’offerta dei tori sono il simbolo del sacrificio regale al dio che, di solito, è un dio solare o un dio legato al mondo vegetale.
Il falcetto rappresenta, per la sua forma, la Luna e per il metallo, l’oro con cui è costruita la sua lama, ricorda il Sole: quindi, Luna e Sole, la dualità energetica.
Il ramo raccolto non deve toccare terra perché il vischio si riproduce soltanto sugli alberi: se tocca terra, il seme muore!”
Il giovane mi guardava, pendendo dalle mie labbra: era così bello sentirlo attento alle mie parole, così come fa un amante che ascolta il suo amato.
“Preferisci festeggiare con loro, e quindi ubriacarci al punto che, poi, non capiremo più nulla!, oppure vuoi che ci ritiriamo nella mia capanna dove potrai, finalmente, immergere il tuo dardo nelle mie carni?”
Si fece tutto rosso: “O mio maestro, pensi ch’io sia pronto? Il rito sarà riuscito ad elevarmi ad un livello tale che, entrando in te, io potrò comprendere tutto il tuo essere?”
“Tutto è demandato al tuo desiderio. Mi vuoi?”
“Mio signore, nulla potrebbe essere più gradito al mio vomere affamato se non poter arare il vergine terreno del tuo corpo e quest’azione mi porterà sicuramente ad un livello di esaltazione che immergerà entrambi nella libidine più sfrenata ... sempre che tu sia d’accordo! Lo sei?”
“Voglio darti tutto quello che è in mio potere! Non mi violerai, ma ti scioglierai in me, al punto che io stesso trarrò nutrimento dal tuo seme.”
Grato delle mie parole, mi accarezzò il dorso della mano: “Vado ad attenderti.” Mentre si allontanava verso la mia capanna, lo seguivo con lo sguardo, godendo, ancora una volta, della perfezione delle sue forme.
Ma, non io soltanto, ne spiavo l’andare: anche Axel aveva notato la sua fuga e nei suoi occhi un serpentello di fuoco si agitava.
Si alzò e seguì il mio amato.
Io non potevo allontanarmi ancora dal desco: avevo da innalzare l’invocazione che sempre anticipava il tempo delle bevute.
Subito dopo, però, senza farmi troppo notare, li seguii alla capanna: erano lì, uno davanti all’altro, tesi tutti i muscoli, pronti ad iniziare la mischia.
Bastò il mio sopraggiungere per far sì che Axel fuggisse via, nel bosco, e il bacio che posai sulle labbra di Wioler fu sufficiente per farlo calmare e dimenticare la disavventura.
Nella capanna, mi strinse a
sé, immergendo la sua lingua danzante nella mia bocca, facendola
ruotare, allacciandola alla mia.
Non volle ch’io mi
spogliassi, ma, con lentezza ed intercalando l’azione ai rinnovati
baci, mi spogliò lui completamente, mi baciò i capezzoli e l’ombelico,
scese al mio pene, ormai eretto al punto da dolorarmi, e se lo ingoiò
tutto, prima di cominciare a leccarlo e baciarlo.
Poi mi fece dolcemente stendere sul giaciglio e, dinnanzi a me, cominciò a spogliarsi: la sua pelle di pesca assunse a poco a poco il colore purpureo che la fiamma, che ardeva nel focolare lì accanto a noi, gli inviava, infiammando di riflessi rossi i serici peli del suo petto.
Io, come sempre, ero perso nella bellezza di quel corpo puro. Rimase fermo, in attesa, dinnanzi a me, tutto nudo ad eccezione del panno che gli copriva i lombi.
Tesi verso di lui le braccia e si lasciò calare su di me, coprendomi tutto, abbracciandomi, baciandomi con delicatezza gli occhi, il naso, le gote, la bocca.
Gli accarezzai le spalle, la schiena, sciolsi il panno e sentii la sua impellente virilità desiderarmi, premendo contro il mio ventre.
Tornò a baciarmi e scese dal viso più giù, sempre più giù finché mi sentii avvolto dalle sue labbra mentre la lingua gocava piacevolmente col filetto.
Poi, scese ancora più giù: lungo il perineo, raggiunse il mio ano, lo baciò a lungo e cercò di violarne l’entrata con la punta della lingua.
“Ora, posso?”
“Certo, se mi vuoi.”
“Non puoi immaginare quanto ti desidero ...”
“Ovvia! Prendimi!”
Mentre i suoi occhi mi sorridevano grati, ecco, all’improvviso, un sibilo, un agitarsi ruotante di riflessi ed un tonfo sordo.
L’urlo alzato da Wioler ci fece cadere in un incubo e, mentre, cercava di estrarre la piccola scure che s’era infissa nella sua spalla destra, copriva col sangue sprizzante dalla ferita tutto il mio corpo.
All’esterno, dopo i passi di corsa di Axel che si allontanava, si udì il vociare di quelli che si avvicinavano in aiuto.
Tamponando alla meglio la ferita, affinché si calmassero i getti ritmici del sangue, lo trattenevo in grembo, accarezzandone i capelli e posando lievi baci sugli occhi: “Coraggio! Ora ci vengono in aiuto e io ti farò una pozione che fermerà il sangue e calmerà il tuo dolore!”
“Ma io ti volevo! ... Io ero pronto a prenderti ...”
“Non ti preoccupare, ora ... verrà il tempo in cui potremo giacerci ancora e sarò tuo! Mi conserverò intatto per te ...”
Ma quel tempo non venne mai e sono ancora qui, che ti desidero, che voglio sentirti penetrare in me, che voglio percepire l’onda bruciante del tuo seme incendiare le mie budella!
Tommaso, non so se queste parole ti possono ricordare il tempo passato e comprendere le motivazioni per cui ci desideriamo tanto, ma sappi che, se vuoi, son qui e desidero che tu, finalmente, mi faccia tuo. Completamente!