ORSI ITALIANI MAGAZINE
Doccia in caserma
(dedicato ad Antonio, il simpatico diavoletto)
Un racconto di Ste
Lo spirito di Corpo, cioe' il senso di unita', di appartenenza al gruppo, la fiducia dei commilitoni in te e la tua in loro, si sviluppa e si consolida anche attraverso questa piccola scheggia di vita in comune. 'Il vero soldato non deve avere intimita'. L'intimita' sottintende qualcosa di privato, di non condivisibile con gli altri. Chi ha qualcosa da nascondere di fronte agli altri non puo' ottenerne la fiducia perche' non dice tutta la verita'. E' dunque meglio una brutta verita' che una bella bugia. Evidentemente cio' che nel comune senso filosofico si chiama 'mettersi a nudo', in un ambiente come quello della caserma, che spesso non brilla neppure per pulizia oltre che per cultura, viene applicato in senso stretto...
A ventisei anni non mi si poteva dare ad intendere balle! Dietro questi concetti discutibili ma che esaltati ventenni e qualche graduato trova coinvolgenti, si nasconde un morboso voyeurismo, surrogato della pratica omosessuale che tanto spaventa gli assembramenti maschili, dalle caserme, alle prigioni, ai monasteri. Dissertazioni e opinioni personali a parte, e' inutile che vi dica quanto tutto questo tornasse a favore mio e di quegli altri che, come me, ebbero un'occasione di piu' per mettersi a nudo e per discoprire, in questo ambiente maschio e cazzuto, come si possa restare se stessi malgrado tutto.
Le docce della ex C.C.S. (Compagnia Comando e Servizi), alla quale venni aggregato dopo due tonificanti mesi di addestramento, erano situate al piano semi interrato dell'enorme edificio del primo novecento ed erano rimaste quelle di trent'anni prima, ancora indenni dai poderosi interventi di risanamento dei primi anni novanta. Esisteva un locale docce anche al terzo piano, sede ufficiale della C.C.S., ma questi locali vetusti erano di gran lunga i piu' utilizzati anche dai V.F.B. (Volontari in Ferma Breve), dai V.F.P. (Volontari in Ferma Permanente) e da alcuni sottufficiali fra i piu' impegnati nelle attivita' di caserma.
La C.C.S. infatti si occupava delle manutenzioni e dei servizi di Reggimento. Fra di noi c'erano imbianchini, idraulici, elettricisti, giardinieri, insomma lavoratori manuali che rientravano sporchi e sudati dalle loro occupazioni. Questi locali erano comunemente usati anche dai reduci dei campi base o dai servizi in polveriera, esperienze che si sconsigliano vivamente ai piu' schizzinosi in quanto si riesce a vedere una doccia spesso solo dopo due settimane di marce forzate, di scalate sulle colline, di percorsi di guerra. Questo palcoscenico eccitante era un locale scalcinato e poco illuminato di forma quadrata nel quale potevano trovare posto contemporaneamente otto soldati. Alle pareti, piastrelle scheggiate, alcune mancanti, il pavimento in gre's macchiato di ruggine e cemento rappreso, le tubazioni a vista, appese al soffitto da filo di ferro. Le finestrelle con telaio di ferro arrugginito, che davano sul cortile all'altezza del marciapiede, rimanevano leggermente aperte tutto l'anno e farsi la doccia in pieno inverno, quando il freddo ti intirizziva il corpo, diventava una impresa eroica ma assolutamente da provare.
Tra il vapore dell'acqua calda che sgrassava la pelle si intravedevano le ombre rosate dei corpi nudi dei commilitoni che intonavano canzoni sulla fine della naja o le confidenze di chi si e' fatto fare una pompa dal travestito che lasciava il proprio numero di telefono sull'apparecchio telefonico in strada, sul lato opposto del viale. Si sentiva attorno a se il calore del loro contatto, qualche scorreggia molto maschile che generava risate generali e molti rutti animaleschi che dal profondo di quegli addominali scolpiti dalla palestra guadagnavano l'aria aperta. Si aveva sempre l'impressione, soprattutto nelle serate autunnali ed invernali, che qualcuno, protetto dal buio (si diceva che fosse il comandante di Battaglione) ti osservasse dall'esterno e provasse un piacere immenso a guardarti mentre ti passavi il sapone sul petto, sfiorandoti i capezzoli mentre il cazzo cominciava a diventare di marmo e il tuo commilitone, anche lui con una erezione evidente ma che non si poteva dire, si offriva di insaponarti la schiena, aspettandosi i giochi che tutti i soldati di leva hanno a suo tempo fatto. Spesso si andava a fare la doccia in gruppi di quindici o sedici perche' l'acqua calda si esauriva velocemente e c'era il rischio di doverla fare fredda. In quelle occasioni, in due sotto lo stesso bocchettone, ci si sfiorava, ci si toccava reciprocamente, candidamente. Vedere tutti quei corpi nudi che si contorcevano sotto la pioggia, alcuni muscolosi, altri piu' rotondi, era uno spettacolo meraviglioso che solo la natura poteva concedere.
Io non avevo proprio nulla di cui vergognarmi. La mia categoria, quella degli orsi, era ottimamente rappresentata sia da me che da altri. Io avevo indosso una gran quantita' di pelo variopinto che passava dal biondo riccio dei capelli al rossiccio del petto, dei genitali e delle gambe al tono piu' scuro della schiena.
Reduce dalla squadra universitaria di Rugby, sotto il mio vello colorato ed uno strato di adipe che mi ha salvato tante volte da fratture e lesioni, si muovevano tanti muscoli duri e modellati dagli allenamenti. In particolare le mie gambe ed i miei glutei allenati a contrastare i bisonti che incontravo sui campi da gioco, erano la gioia di molti commilitoni che mi facevano schioccare delle gran pacche di dietro, quando giravo nudo per la camerata. Il mio torace morbido ma sodo e i miei capezzoli che spuntavano dalla folta pelliccia erano un divertimento per chi mi saltava in spalla. I miei 170 cm facevano di me un torello da monta di tutto rispetto.
Sotto la doccia capitava che fra tutti avessimo a disposizione solo due o tre saponette. Dunque, dopo una bella insaponata fra le gambe, sul petto, sul cazzo, il commilitone ti passava il sapone che dopo avere esplorato il suo corpo si apprestava ora ad esplorare il tuo.
Dopo la doccia percorrevamo gocciolanti e infreddoliti a piedi nudi il breve corridoio che conduceva dalle docce allo spogliatoio, dove lasciavamo gli asciugamani. Ci si rincorreva vociando e mimando tentativi di amplessi. I nostri corpi viscidi strusciavano uno sull'altro, il petto contro la schiena di chi era davanti, i glutei contro il pene di chi seguiva. Qualcuno scivolava e cadeva trascinando gli altri, era un gioco divertentissimo ed eccitante e difficilmente si riusciva a mantenere il pisello mollo, almeno io non ci sono mai riuscito. Nella stanza adibita a spogliatoio si trovavano una diecina di armadietti arrugginiti addossati alle pareti e alcune panche il legno sotto le quali erano schierati gli anfibi dei soldati. Di lato un grande bidone metallico era adibito alla raccolta della biancheria sporca che giornalmente veniva portata alla lavanderia interna. Noi della C.C.S. solitamente condividevamo uno di quegli armadietti in tre e vi riponevamo la nostra divisa da lavoro. Quindici giorni di lavoro faticoso, di sudore che irrancidiva, si accumulavano e si omogeneizzavano la' dentro tanto che solo la taglia delle divise ci permetteva di distinguerle e capitava che sui nostri corpi si indossassero le mimetiche o le shirt o gli slip di qualcun altro.
Una delle prime occasioni che ebbi per dare il meglio di me fu una sera di novembre. Dopo un lavoro straordinario durato fino alle 20 che ci porto' a scaricare un container di vettovagliamento, io e il Maresciallo D., responsabile del magazzino, ci dirigemmo verso le doccec ome dire.. 'senza alcun sospetto ma, almeno da parte mia, con tanta speranza'.
Il Maresciallo D. era un vero animale, un bruto come ne ho conosciuti pochi in vita mia. Per lui eravamo tutti froci, una generazione da virilizzare, da trattare con durezza. Ma tra i vari sottufficiali era l'unico che non taglieggiasse la caserma, l'unico che non approfittasse della sua posizione per portarsi a casa indumenti e quant'altro. Era poco piu' alto di me, quarantacinque/cinquant,anni, brizzolato e riccio.
"A lavarsi, signorina mi disse, e tutti e due ci incamminammo con passo marziale fino alle docce.
"Avanti spogliarsi!! Hai bisogno del cameriere? Io non me lo feci dire due volte. L'idea di denudarmi di fronte ad un giudice tanto severo mi eccitava da morire e accresceva la mia libidine. Speravo di piacergli molto perche' incarnavo il suo prototipo maschile: orso, massiccio, insensibile alla fatica.
Lui stava a guardarmi mentre, senza imbarazzo alcuno, mi spogliavo completamente, mentre i miei capezzoli duri come punte di diamante si facevano strada tra i peli e la gelida aria novembrina mi flagellava impietosa. Si sbottono' la giacca mostrando una deliziosa pancetta. Si levo' la shirt sudata abbandonandola sulla panca.
Il torace e la schiena erano pelosi e arrotondati, aveva due bicipiti ben sviluppati e due cosce coperte di pelo ruvido. Si tolse gli slip e si avvicino' a me girandomi attorno.
Il suo cazzo era floscio, invitante e scappellato, era grosso, umido, due bei coglioni ovali e pelosi che mi sarei inginocchiato a leccare e baciare fino a depilarglieli. Sentivo i suoi occhi su di me, palpeggiavano il mio corpo, le mie natiche, mi strizzavano i capezzoli. Sentivo il suo sguardo sul mio randello e la tentazione di segarmi era fortissima. Mi ordino' di seguirlo alle docce e io eseguii senza fiatare. Ci sciacquammo per qualche minuto sotto l'acqua calda, poi si mise davanti a me con il sapone in mano.
'Faccio prima io' disse.
Si insapono' lungamente le mani passandomele sulle spalle e sulle braccia mentre mi palpeggiava i muscoli. Poi mi passo' il sapone sul petto, sui capezzoli turgidi che mi pizzicava dolcemente. Mi fece voltare con la faccia al muro e prese ad insaponarmi la schiena, giu', piu' giu' fino alle natiche. Mi afferro' il cazzo con la mano sinistra insaponandomi la cappella e passandoci ripetutamente la mano destra sopra. La sua mano callosa e ruvida mi irritava tanto che emisi un gemito. Lui interruppe e, sempre con il mio cazzo in mano mi fece voltare.
'Lo sapevo che eri un finocchio, ora voglio divertirmi un po, con te, ti daro' una lezione che non dimenticherai mai'.
Mi inginocchiai davanti a lui e senza dire una parola glielo presi in bocca flagellandogli con maestria la cappella con la lingua.
'Sei un frocio succhiacazzi', ma restava a farselo succhiare afferrandomi la testa e spingendo mentre il bastone diventava sempre piu' duro.
Era scosso da fremiti di eccitazione incontrollabili.
'Brutto finocchio di merda' e spingeva, 'Voglio spaccarti il culo' e la voce gli tremava.
Mi faceva impazzire la contrazione ed il rilassamento delle sue natiche che palpeggiavo con forza seguendo le sue pompate. Avrei continuato a spompinarlo tutta la notte. La sua canna mi toglieva il respiro e qualche goccia salata cominciava a solleticarmi l,ugola.
Deglutii con forza e lui si ritrasse dicendomi 'Sei una puttana, ma non te la caverai cosi'. Alzati, succhiamichie.
Senza farmelo dire mi appoggiai al muro con le mani e divaricai le gambe a sua completa disposizione. Afferro' le natiche con le mani e mi divarico' il buco.
Lo sentii mentre mi ansimava sul collo e la sua trave cominciava a salirmi dentro. Mi sbavo' sulla schiena appoggiandomi la guancia ed il petto mentre mi fotteva e spingeva come uno stallone. Il mio piacere era immenso sospiravo a bocca aperta assaporando il suo odore di sudore e mi abbandonavo completamente a lui. Mi scopo' per molti minuti inondandomi di sperma e continuando a pompare rabbioso. Quando ebbe finito di usarmi mi spinse contro il muro. Io caddi in ginocchio segandomi l'uccello ed egli mi spinse a terra premendo il suo piede sul mio petto. Mi lascio' esausto sul pavimento aprendo il rubinetto dell'acqua fredda, 'Cosi' ti passa il bruciore al culo' mentre io con un grido schizzai le pareti ed il pavimento del mio liquido.
Si sposto' ad un'altra doccia e si lavo' come se nulla fosse successo, senza guardarmi, senza dirmi una parola, mentre io lo guardavo ancora con desiderio.
Non osai rivolgergli la parola e quando usci', gocciolante e infreddolito
fu l'ultima volta che lo vidi. Seppi che la mattina successiva parti' per
Salerno, sua citta' di origine e per i successivi mesi del mio servizio
non torno' piu' indietro.
Ste