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omoerotico: e' pertanto riservata a persone maggiorenni
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Colloquio
di lavoro
Un
racconto di Dialobik
– Paolo, vieni avanti. Chiudi pure la porta e accomodati.
Franco è alla scrivania seduto davanti al computer. All’altro lato del tavolo, due sedie.
– Come
stai,
Paolo? Ti
faccio un caffè? –
Franco si alza e si avvicina al distributore automatico. E’ un omone
grosso di media altezza. Allenta la zip della tuta blu da lavoro, dal
collo fino a mezzobusto. Si gira verso di me per passarmi il bicchiere
fumante.
Dalla
tuta aperta, una canottiera bianca gli fascia la pancia e il petto
mentre dai bordi del cotone fuoriescono i peli neri misti a qualche
ciuffo di bianco. – Zucchero?
– Una
bustina, grazie. –
Colloquio
di lavoro, l'ennesimo, dopo una lunga serie di: Le faremo sapere; ci
dispiace ma non ha esperienza; abbiamo bisogno di qualcuno che sappia
già svolgere il lavoro autonomamente...
L’ultima volta, per un posto come portiere di notte: Lei è troppo
qualificato per questa mansione. Capirai! Mi sono quasi incazzato.
–
Do un’occhiata veloce al tuo curriculum, anche se non ne ho bisogno.
– Franco
alza gli
occhi dal foglio e mi sorride. E’ il titolare di una ditta che
costruisce e monta scale. Mi conosce bene: è amico di mio padre da una
vita, praticamente mi ha visto nascere.
Anche
se anagraficamente potrei essere suo figlio, ho da sempre una forte
attrazione fisica per lui. Il pelo sul petto e sulle spalle, che il
cotone della canottiera non riesce a coprire, mi distrae piacevolmente
dall’agitazione nervosa che come al solito mi prende in fase di
colloquio.
Cerco
di distogliere lo sguardo dalla canotta bianca e mi guardo attorno per
non tradirmi. Dal calendario appeso sopra la testa di Franco una
signorina in posa, completamente nuda, mi guarda ammiccante; non un
pelo sulla sua passera. Il disgusto mi costringe a tornare su di lui,
che mi sorride ancora.
E’
un bellissimo orso. Testa rasata, barba folta ma curata in procinto di
ingrigirsi, dalla quale spunta un sorriso malandrino. – Ascolta
Paolo,
io avrei bisogno di aiuto per un committente dalla Svizzera. Ho
pensato a te. Sei sempre stato bravo con le lingue. Te la sentiresti
di venire con me la prossima settimana a Zurigo? Ho bisogno di fare
una visita sul posto per prendere le misurazioni ma con l’inglese
sono negato, per non parlare del tedesco. –
Gelo.
Sono
appena uscito dalle superiori. Ho studiato tedesco per cinque anni ma
non sono affatto abituato a sostenere una conversazione. Per non
parlare del fatto che si tratterà sicuramente di discutere questioni
tecniche e io non ho nemmeno un’infarinatura di settore. Cerco di
temporeggiare, mascherando la mia insicurezza. – Volentieri, solo che
non ho esperienza del settore.
Dovrei
capire meglio il funzionamento, le fasi produttive, farmi un lessico
tecnico. – Paolo,
ho
pensato anche a questo. Questa settimana vieni qui da me e mi segui.
Stai tutto il giorno attaccato al mio culo. Ti mostro io quello che
devi sapere. – Franco
si
toglie la parte superiore della tuta. Quella canotta bianca sudata si
fa quasi trasparente nella zona dei capezzoli.
Nonostante
sia il capo, lavora per la maggior parte del tempo a fianco dei suoi
operai; il suo è in gran parte un lavoro fisico e passa pochissimo
tempo in ufficio. Continuo ad abbassare lo sguardo dai suoi occhi al
petto. Quel pelo sudato che odora di tutta la fatica accumulata nel
corso della giornata mi eccita terribilmente e qualcosa si sta
ingrossando nelle mie mutande. – Vieni
qua
un attimo. Mi dici un po’ che cosa scrivono in questa mail? –
Mi
alzo e vado dietro di lui davanti al PC. Vedo che per un attimo il suo
sguardo si ferma sul mio pacco gonfio per poi alzarsi e tornare ai
miei occhi. Distolgo lo sguardo. L’ha visto? Che figura! Ci manca solo
che ‘sto morto di figa si accorga che gli sbavo dietro e figurati se
mi assume! Mi apposto in piedi accanto cercando di nascondere
l’imbarazzo.
L’odore
di maschio sudato mi arriva dentro le narici e peggiora la situazione
nelle mie mutande. Franco gira lo sguardo e va a finire ancora sul mio
pacco: la seconda volta in pochi secondi. Ora che mi ha visto di
profilo non può non averlo notato.
Cerco
di concentrarmi su quella mail in tedesco. – Chiedono di fissare una
chiamata telefonica per definire meglio i dettagli del sopralluogo a
Zurigo.
–
Te la
sentiresti di chiamarli adesso? Mi fai da traduttore, ti dico io
cosa dire loro.
– Per un attimo mi è mancata la terra sotto i piedi. Cominciare così
con una telefonata a bruciapelo. Fosse stato qualsiasi altra persona
avrei detto subito di no. Non sono il tipo che si lancia allo
sbaraglio. Non sopporto fare figure di merda.
Però con Franco davanti agli occhi. La possibilità di lavorare culo e camicia con un maschione del genere… Quando mi ricapita. Franco si alza, mi fa sedere al suo posto. La sedia è così calda che sembra scottare. Lui va a sedersi di fronte, nella sedia che avevo occupato io prima. Compongo il numero. Ho il cuore in gola. Cerco di formulare nella mia mente la prima frase in tedesco che posso dire per presentarmi nei secondi che precedono la risposta.
– Hallo. Firma S. aus Italien am Apparat. Darf ich mit Frau B. sprechen? …
Esco dalla stanza, chiudendo delicatamente la porta. Un sorriso di circostanza alla moglie di Franco, seduta alla scrivania appena fuori dall’ufficio intenta con la calcolatrice. La saluto frettolosamente.Esco dallo stabile e salgo di corsa in macchina. Accendo e inforco di corsa la strada del ritorno. Che vergogna! Che vergogna! La faccia rossa, sto per scoppiare dalla rabbia. Sono un idiota totale. Quella telefonata è stata un disastro.
Cosa alquanto strana. Lì per lì sono rimasto spiazzato! Un maschione rude come lui. Fare una cosa così dolce, ad un uomo per giunta. Se avessi assecondato i miei istinti mi sarei lanciato tra le sue braccia. Magari abbracciandolo, sarei riuscito a mettere il mio naso in mezzo a tutto quel pelo sudato che sbucava dalla canottiera. L'unica cosa che avrebbe potuto farmi dimenticare in un istante quella telefonata pietosa. Ma no!! E’ stato meglio così. Meglio andarsene prima di fare un’altra figura di merda.
Sono
in macchina quasi arrivato a casa e mi suona il telefono. E’ Franco.
Cosa faccio? rispondo? Ovvio: non posso non rispondere. Cerco un posto
per accostare. La chiamata termina senza risposta. Dopo un minuto
arriva un messaggio di Franco: Hai
scordato
il portafogli sulla scrivania.
Che stupido! E’ vero… L’avevo tirato fuori dalla tasca perché mi dava fastidio sotto le chiappe. Richiamo Franco. Stavolta è lui che non risponde. Beh non posso stare senza portafogli. Soldi, patente sono lì. Faccio dietrofront.
Arrivo alla ditta e suono il campanello. La macchina di Franco è la
sola rimasta nel piazzale. A quest’ora i dipendenti hanno finito da un
pezzo. Nessuna risposta. Suono di nuovo ma niente.
Spingo
la porta d’ingresso e si apre. La scrivania dove stava la moglie di
Franco è vuota. Il PC spento. Nessuna carta sul tavolo. Le scartoffie
di prima sono sparite. Avanzo verso la porta dell’ufficio, ma prima di
entrare sento un rumore provenire dai bagni.
Chiamo
Franco ma nessuna risposta. Vado verso i bagni e apro la porta. Una
folata di vapore mi viene addosso e il rumore dell’acqua che scroscia.
Nella doccia accanto qualcuno si sta lavando ma non riesco a vedere
chi. – Franco? – Paolo!
Aspettami
due minuti che finisco.
–
Sto per uscire quando noto per terra una canottiera e un paio di mutande buttate lì. – Fai con calma, ti aspetto fuori. – Faccio due passi in avanti, mi allungo verso il basso. Prese..
Non posso credere ai miei occhi. La biancheria intima di Franco. Mi guardo intorno per assicurarmi che non ci sia veramente nessun’altro. La doccia continua a scrosciare. La canottiera è tutta sudata. Bianca, spalle larghe, a costine.
Dentro è piena di peli. Nella zona dei capezzoli due aloni di sudore a
forma di cerchio. Immagino la sua pancia che preme sul cotone, la
pelle bagnata che inzuppa la stoffa, l’essenza di maschio che si
accumula nel corso della giornata passata a montare scale.
Passo
alle mutande, un paio di slip a vita alta, con un'apertura sul davanti
stile americano. Il bianco sul davanti é chiazzato: c'è un grosso
alone giallastro nella zona dell'apertura.
Mi vedo Franco in piedi mentre estrae il suo membro dal foro per urinare. Il gesto automatico con cui lo rinfodera e la macchiolina umida che si forma all'interno al contatto con la sua cappella bagnata. Avvicino lo slip al naso: un forte odore salato. Sono in estasi.
Franco
chiude l’acqua. Io resto in piedi sulla soglia e butto per terra la
sua roba. Franco esce dalla doccia. Dio che splendore. Solo un
asciugamani bianco avvolto attorno alla vita; il petto completamente
ricoperto di pelo bagnato, la pancia tonda e soda che sovrasta
l’asciugamani.
–
Paolo,
Paolo… Dove hai la testa?
– Me l’hai fatta perdere tu, mi verrebbe da rispondere. Mi sorride e
si dirige cosí com’è verso l'ufficio. Lo seguo. –
Il portafogli è ancora sulla scrivania.
– Mi dà le spalle. Di fronte a lui un armadietto. Tira fuori un paio
di mutande bianche e una canottiera pulita.
Prendo
il portafogli e faccio per uscire. – Scusa ancora. Tolgo il disturbo.
– Macché
disturbo! Posso offrirti qualcosa da bere?
– Si gira verso di me: rivoli d’acqua che scendono dalla testa e che
si incanalano nel petto per fermarsi sui capezzoli sporgenti. Sento
premere nelle mutande.
Gli
occhi di Franco si calano sul mio pacco. – Ho
solo birra però
– Si gira di spalle e si piega in avanti per aprire un piccolo frigo
poggiato per terra. Intravedo la sagoma del suo culone attraverso
l’asciugamani semi bagnato. – Birra va bene, grazie! – Siediti
pure – e
mi fa cenno di accomodarmi sul divanetto. Mentre apro la birra e
comincio a bere, quasi mi soffoco. Franco si gira ancora di spalle, si
toglie l’asciugamani.
Il
suo culo davanti ai miei occhi coperto di pelo nero e riccio. Si passa
per bene l’asciugamani davanti e dietro; poi prende le mutande, se le
infila e si gira verso di me. Ha indosso un paio di slip bianchi a
costine con apertura, dalla quale sembra voler fare capolino la
cappella. Si sistema il pacco con la manona, che poi passa sul petto e
sulla pancia per sentire se è asciutto.
Si mette addosso la canottiera e se la infila sotto l'elastico degli slip. La panciona la fa aderire perfettamente alla sagoma del suo corpo tanto che i capezzoloni sporgenti sembrano voler bucare il tessuto. La gola mi si secca. Mi scolo la lattina e cerco di rompere quel momento di silenzio.
– Mi dispiace per oggi. Ti ho fatto fare una pessima figura con il
cliente della Svizzera. Pensavo di potermela cavare meglio con la
lingua. – Biascico le uniche parole che mi vengono in mente. Non so
come spezzare questo momento di imbarazzo misto a forte eccitazione. –
Anche a me è
dispiaciuto molto.
–
L’ho
deluso. Franco si siede vicino a me sul divanetto. – Io
sono
convinto che tu sia molto più bravo di quello che pensi. Devi solo
credere più in te stesso. La pratica è la sola cosa che ti manca, ma
quella arriva col tempo. Ora devi solo lanciarti senza farti troppe
paranoie. Sei giovane e per sbagliare è il momento giusto, anzi è il
solo momento giusto. Più avanti vai, meno ti sarà consentito di
sbagliare.
–
E’
a pochi centimetri da me. Il profumo del sapone. Il pelo scuro che
contrasta con la biancheria. La barba ancora mezza bagnata. Sento il
pisello dentro le mutande che mi fa male da quanto mi tira; un pelo si
dev’essere incollato alla cappella. Con la mano mi sistemo. I suoi
occhi cadono lì.
Se
n’è accorto. Di nuovo. – Oggi
ho avuto un assaggio del tuo tedesco. Ma c’è un’altra lingua che
vorrei testare.
– Con l’inglese me la cavo meglio. – Franco sorride. Si avvicina. La
sua facciona pelosa a pochi centimetri dalla mia. E’ un invito? Non
capisco ma non riesco a resistere e mi faccio avanti. Appoggio le
labbra sulle sue. La barba sulla mia pelle mi solletica l’appetito.
Apro
la bocca e lui mi scaraventa la sua lingua carnosa dentro. La sento
roteare attorno alla mia. La mia prima volta con un uomo. L’amico di
papà che avevo segretamente desiderato quando ero un ragazzino. Le
seghe che mi ero fatto in tutti questi anni ripensando a quella volta
con lui all’orinatoio dell’autogrill: la sua cappella pulsante verso
di me. Allora, era una proposta la sua.
All’epoca,
mi sono fatto prendere dai dubbi: un uomo sposato; l’amico di
famiglia, un eterosessuale incallito. Sì, a quanto scopro ora, solo
sulla carta. – E’
proprio questa la lingua che volevo testare. A giudicare
dall’inizio, sembri molto preparato. –
Sorride
malizioso. Non riesco a formulare una parola. La birra forte che mi ha
offerto è già andata alla testa.
Siamo
soli in ufficio, ce l’ho qui vicino in mutande e, quel che è peggio,
ci siamo appena baciati. Non si può più tornare indietro. Il pelo che
spunta dai bordi della canottiera è irresistibile. Seguo i bordi della
canottiera con le dita per poi insinuarmi sotto il tessuto.
Raggiungo
il capezzolo. – Ahhh
– Il suo punto erogeno. Tiro su la canottiera e comincio a leccarlo.
Con la lingua gli solletico la punta indurita. – Stringi
con
i denti.
– Ansima sempre più rumorosamente. Le mie mani sulla sua panciona.
Accarezzo
tutta quella circonferenza roteando attorno all’ombelico, fino ad
arrivare all’elastico delle mutande. Lui con la mano si tocca il
pacco. Si sta ingrossando a dismisura.
Mi stacco dal capezzolo per guardare. La cappella ingrossata nel bordo dello slip. Trasparente. Ha bagnato il cotone. Franco continua a masturbarsi da fuori. Il tessuto tirato sembra scoppiare.
– Hai
voglia di prenderlo in bocca? –
Scendo con la testa sulle sue mutande. Appoggio le labbra sul cotone
bagnato. Seguo l’asta verticale. Su e giù. Quel corpo cavernoso si
allunga. Il glande esce dall’apertura laterale.
Ci
passo la punta della lingua e poi dentro in bocca. E’ salato. La
circonferenza si dilata. – Fammi
togliere
le mutande
– Dal pelo scuro del pube l’asta si erge venosa. Infilo il naso in
quella foresta. Profumo di maschio al bergamotto.
Con
la bocca disegno un movimento verticale dalla base alla punta. Lui
ancora in piedi, io seduto sul divano. Si sfila la canottiera.
Pelo
a volontà su quel corpo morbido. Inarca la schiena, il capo verso
l’alto, occhi chiusi. Le mani grandi e pelose sui suoi capezzoli. Sa
bene come giocarci. Li solletica con le dita, li stringe e li tira
verso l’alto e verso il basso. Io riprendo a pomparlo con la bocca.
Respira
sempre più affannosamente. – Fermati!
– Mi
stacco e lui si gira. Il grosso culo peloso davanti alla mia faccia.
Con le manone allarga il più possibile le natiche sode. Il buco è
aperto e umido. Il test linguistico si fa sempre più difficile.
Avvicino il capo. Allungo la lingua. Il primo assaggio non si scorda
mai.
Un
misto di sapone e umori anali. Umami. Mi ritraggo per un attimo. – Dai,
non
ti fermare adesso
– Torno con la testa sul suo culo, quasi d’impulso. Sentirlo così
caldo mi spinge a leccarlo con avidità. Franco ansima come una bestia.
Mi stacco per infilarci un dito. – Ahhh
sì…
fino in fondo –
E’
completamente aperto. C’è posto per due. Si piega in avanti sulla
scrivania. – Ora
voglio
il tuo uccello.
– Ansima mentre parla. Mi alzo in piedi, apro il bottone dei jeans,
tiro giù di fretta la zip. Mi trema la mano. Sta succedendo davvero.
La mia prima scopata. Lui di spalle si gira per guardare come sono
messo.
Il
mio uccello è pronto. Duro. Alto. Lo scappello. – Vieni
qui
che te lo bagno un po’ –
Si gira e lo prende in bocca tutto d’un fiato. Vorace. Dopo un po’ lo
toglie dalla bocca. – Sei
pronto?
Tutto dentro, dai…
– Franco torna ad appoggiarsi con le mani sul tavolo.
Il
culo è in posizione. Allargo le chiappe. Entro delicatamente con la
cappella. Sembra abituato. – Vai,
chiavami
forte. –
Io entro. Tutto dentro. – Ahhh!
Sì…
vai così –
Io mi ritraggo lentamente e spingo di nuovo. Lui si muove avanti e
indietro incitandomi ad aumentare il ritmo. – Ahhh
Ahhh
Sì –
Ad ogni spinta un urlo. Di dolore o di piacere. Non capisco. – Più forte, non aver paura. – Allora vuol dire che gli piace. – Sto per godere – Dice quasi sottovoce. Mi appoggio alla sua schiena per penetrarlo meglio. Raggiungo con la mano il suo uccello che sta esplodendo. Su e giù per farla uscire tutta. Grugnisce. Non ce la faceva più. Neanche io. E svuoto tutto il mio carico dentro di lui.
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Nella pasticceria non c’è grande movimento. Sono le quattro del pomeriggio. Un paio di anziani sono seduti in disparte a bere un tè. La titolare ne approfitta per tornare nel retrobottega. Fuori sulla strada un fiorino parcheggia. Due uomini scendono simultaneamente. Sono vestiti uguali. La stessa tuta blu addosso, gli stessi scarponi antinfortunistici. Lavorano per la stessa azienda. Data la differenza d’età, potrebbero essere padre e figlio. Attraversano la strada ed entrano nella pasticceria. Si avvicinano al bancone. Danno un’occhiata.
– Paolo, tu cosa prendi? – Un caffé. – Solo un caffè? Che dici se facciamo caffè e un dolcetto? – Va bene, scegli tu. Io vado al bagno intanto.
Mentre il più giovane si allontana, la pasticcera torna al bancone e saluta sorridente: – Buonasera, Franco!
Di ritorno dal bagno, Paolo trova la merenda sul bancone: un triangolo di pasta di bignè ripieno di crema. Tanta crema pasticcera. Paolo affonda i denti impacciato e la crema schizza fuori dai lati. Franco sorride guardandolo.
FINE
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I
racconti pubblicati possono contenere descrizioni di sesso non
sicuro: ricordate, sono opera di fantasia! Nella vita reale
praticate sempre il Sesso Sicuro usando il preservativo.
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