ORSI ITALIANI MAGAZINE


Cioccolata, amore mio

Profumo di pioggia

Due racconti di L.C.


Cioccolata, amore mio

La notte ti sfiora.

La nera pelle del tuo corpo

bagnata dalla luce di un lampione

brilla.

La notte ti ama.

Per un pugno di monete

di te un'altra vita

godra'.

Maledetto.

Sono appena uscito dalla doccia. Mi sono lavato i genitali prestando attenzione a pulire ogni piega della pelle, ho sciacquato la bocca con un disinfettante. Ho grattato le mani fin quasi spellarle.

Ho tentato di pulire la mia anima ma non credo sia sporca. Forse lo sono solo i miei pensieri. Mi sono appena fatto fare una pompa da uno sconosciuto.

Ero a casa, solo, nervoso, agitato. Sofferente ed eccitato, una sofferenza compressa, persa in un'attenta opera di masturbazione. Era tutta la sera che mi toccavo, che mi eccitavo, che sentivo il mio sesso pulsare attraverso la stoffa delle mutande. Mi sono bagnato piu' volte e ho annusato la mano impregnata di quel liquido. Volevo venire ma non mi soddisfaceva. Non era abbastanza appagante quel tipo di orgasmo. La mia mano era ormai sazia del mio sperma. I pavimenti troppo intrisi per sopportarne altro. Le lenzuola logore. Il cesso il cesso fa solo cio' che e' nella sua natura fare. Il cesso ingoia tutto e tutto lava via con una cascata d'acqua. Nulla resta nel cesso, ma se qualcosa resta generalmente fa ribrezzo.

Ma non divaghiamo e torniamo alla mia notte.

Stavo crollando dal sonno, gli occhi mi si chiudevano davanti allo schermo luminoso, mio vero amante e oggetto del desiderio. Quanta gente dietro quello schermo, quanta carne, quanto desiderio. Il sangue pompava forte nella testa e nel fallo costantemente stimolato, toccato, masturbato.

Avevo cosi' tanto sonno. Era notte fonda ma il desiderio era troppo forte. Quello stesso desiderio per cui non dormo, per cui la mia vita sta diventando uno schifo. Quel desiderio che mi sta facendo crollare all'inferno, un inferno di inerzia, di oblio, di vuoto. Il sangue pulsava e la mano non riusciva a staccarsi dal cazzo.

Ero al limite, stavo venendo ma non era appagnate, non era cio' che volevo. Non mi bastava. Non mi basta mai, non mi piace mai e voglio sempre di piu'.

Mi sveglio al mattino con il sesso che chiama, dopo una notte completamente dedicata al suo piacere. Una notte come questa.

Era notte fonda e io dovevo godere, un'altra volta. Mi sono messo un paio di pantaloni molli affinche' il sesso fosse libero di muovervisi all'interno, un paio di scarpe, le prime che ho trovato e sono scappato fuori di casa.

Pochi passi, una strada buia, abitata da malati come io sono. Sapevo che avrei trovato qualcuno, lo volevo troppo. Probabilmente sarebbe andato bene chiunque.

Ora voglio godere. Ora esiste solo l'ora. Il prima e' passato ed e' doloroso, il dopo e' spaventoso e non voglio pensarci. Sarebbe solo la conferma della mia malattia.

Solo pochi passi e una macchina si ferma. Vi passo accanto e dentro un uomo sulla sessantina che si masturba. Ha il sesso fuori dai pantaloni; e' turgido e si tocca mentre mi guarda guardarlo. Faccio pochi passi in piu' e mi infilo in un vespasiano, vero regno della malattia, della perversione.

Come godevo, come volevo tutto quello.

Me lo sono tirato fuori e ho iniziato a menarlo. Guardo la macchina ma l'uomo resta dentro.

Mi rimetto dentro l'uccello ed esco dal vespasiano. Dentro ai miei pantaloni spicca una vistosa erezione e la cosa mi piace. La strada e' deserta e semmai dovesse passare qualcuno meglio ancora, vedrebbero il mio sesso duro.

Mi riavvicino alla macchina e l'uomo ha ancora il sesso in mano. I movimento sono frenetici, velocissimi, e la pelle copre e scopre il glande e quella vista mi inebria.

Mi fermo pochi secondi a guardarlo, senza dire nulla, solo godendo di quell'immagine. Mi stacco dal sesso; salgo lungo il ventre gonfio, il petto che lascia intravedere dei bei capezzoli che spiccano attraverso la camicia fino ad arrivare alla barba canuta che nasconde una bocca che presto avrei conosciuto bene.

'Interessante' dico io, lasciando che le parole raggiungano direttamente il suo sesso turgido. 'Ti piace?' risponde lui. Si', molto. Mi piace molto.

Un uomo mai visto prima d'ora, mai. Un uomo con il cazzo duro in mano.

Posso entrare, gli chiedo, e lui risponde si'. E' molto disinvolto pure lui. Conosce la parte alla perfezione, come pure io la conosco.

Entro, mi siedo al suo fianco e inizio a toccarlo. Mi fa impazzire quella pelle che scivola sul suo glande.

Recitiamo il copione alla perfezione. 'Cosa ti piace fare' mi chiede. Sempre la stessa domanda, sempre la stessa domanda che due froci si fanno ancor prima di chiedersi i rispettivi nomi. 'Tutto direi, ma preferisco metterlo' gli dico. Quanto sappiamo essere tristemente finocchi noi finocchi. Frasi identiche, battute recitate senza un minimo di emozione, perennemente identiche e rubate da copioni obsoleti. Ma questo e' solo il primo atto, quello in cui ci si conosce. Piu' avanti diventa piu' interessante, almeno si gode.

'A me piace succhiarlo' prego, fai pure, non aspettavo altro. Tiro indietro la schiena e metto il bacino avanti offrendogli la mia erezione ancora nascosta dai pantaloni. Infila la mano lo tira fuori. E' duro e fra la pelle e il glande c'e' uno strato di liquido prespermatico. Che tocco sapiente, quanta grazia in quelle mani macchiate e coperte da una leggera peluria.

Lo afferra, lo stimola, lo masturba. Gli dico di far piano, sono molto eccitato; erano gia' ore che me lo stavo masturbando da solo.

Togliamoci da qui, e' una via comunque molto in vista. La macchina parte per percorrere solo pochi metri. Parcheggiamo e ritiriamo fuori i nostri sessi. Ora sono molli ma bastano solo pochi movimenti delle dita per indurirli ancora. Tutto stride, tutto si fa cosi' assurdo. Non vorrei esser li' ma c'e' ancora il sangue che pulsa alla testa e il sesso grida il suo piacere. L'uomo china la testa e lo prende in bocca. Inizia a pompare e mi massaggia il pelo. Io glielo stringo in mano e mi aggrappo ai testicoli. Sento il mio sesso arrivargli alla gola e lui continua a pompare. Fermati, fermati, sto per venire gli stacco la testa e lui inizia a succhiarmi i capezzoli. La situazione e' assurda ma io godo. La sua bocca e' esperta e forse e' tutto cio' di cui ho bisogno. La morale esplode, migliaia di domande e terribili dubbi. La maledizione, il peccato, il sesso che pulsa. Tutto, tutto, e io godo, Cristo quanto godo.

Mi ficca la lingua in bocca e io butto fuori la mia. Allontana le labbra e inizia a succhiarmi la lingua come faceva prima col sesso. Sesso che tiene ancora fra le mani e continua a masturbarlo. Sto per venire ma mi trattengo, e solo una goccia esce. Una goccia e una tremito simile a un orgasmo, solo che e' interrotto, trattenuto, e sento un dolore salirmi dai testicoli fino alla testa e provo un dolore atroce.

Gli riafferro il sesso e lui si rigetta sul mio afferrandolo con le labbra. L'orgasmo interrotto di prima mi permette di controllare meglio gli stimoli. La sua bocca e' sapiente e mentre le labbra accarezzano il corpo del pene, la lingua lo sollecita dall'interno senza tralasciare un solo centimetro di pelle. A volte si stacca e si limita a succhiare il glande. Il glande e' fra le sua labbra e lui lo aspira come si potrebbe fare con uno spaghetto e il mio cazzo adesso e' ancora tutto nella sua bocca fino alla gola. Lui pompa, pompa sempre piu' forte e io lo scopo. I movimenti prima sono delicati e non profondi ma e' lui a gettarselo piu' in profondita'. Gli afferro il capo da dietro e lo spingo piu' a fondo. E' sconvolgente, e' bagnato, e' caldo. Sto per venire gli dico mentre gli lascio la testa per permettergli di staccarsi. Ed e' una delusione quando lui si stacca. Apre la portiera dell'automobile, sputa e la richiude, per poi rigettarsi sul mio sesso fradicio e duro.

Lo succhia, come prima, anzi piu' forte. Io gli appoggio la mano sulla nuca ma non forte. Forti sono le spinte nella sua gola.

Sto venendo, gli dico, e la testa ronza.

Sto venendo, e lui non si stacca e io spero che non lo faccia.

Sto venendo, sto venendo, e il ritmo della sua bocca e' sempre piu' frenetico.

Mi sfugge un gemito e sento il primo schizzo riempirgli la bocca. Non ti staccare ti prego. Un secondo, un terzo, non staccarti, la bocca e' piena, altri schizzi, la sua bocca, i miei gemiti, i movimenti rapidi del suo capo sul mio sesso. Non staccarti, bevila tutta, fammi godere.

Sempre piu' immagini, tutte contemporaneamente nei mie pensieri.

Ho fame, una fame terribile.

Portami a casa ti prego, portami via. Voglio le mie pareti protette Voglio tornare a casa.

Lui apre ancora la porta, tira su con il naso, come se volesse raccogliere del catarro, poi sputa il tutto fuori. Ripete l'operazione un paio di volte e poi parliamo. Poco.

Lui si chiama Otello. Assurdo.

Accende la macchina. Portami via ti prego, vai verso la mia casa. Devo rivederti ti prego, amo le tue pompe.

Voglio scendere, la casa e' vicina. Lui parla un poco, ma capisce che voglio andare via. Rivediamoci, gli dico. Voglio la tua bocca, penso fra me. Voglio godere ancora, penso fra me. Mi fai schifo ho pure leccato la tua lingua.

Scendo. Sto per chiudere la porta e mi fermo un attimo. Vuoi il mio numero? penso ancora. Ci rivediamo presto? e' l'altro pensiero. Succhiamelo ancora, adesso. Il pensiero. Mi fai schifo.

Ripenso a un sogno che ho fatto qualche giorno prima, era una situazione simile, sesso gratuito senza nome, liquidi esplosi in ogni dove. Nel mio sogno il tutto si svolgeva all'interno di un palazzo che aveva i muri interni in vetro. Io vi guardavo attraverso e provavo desiderio e mi toccavo e cercavo qualcuno che mi facesse godere.

La porta e' ancora aperta. Succhiamelo. La chiudo.

A casa.

Mi tolgo i vestiti e tutto mi si rivolta dentro. Mi lavo e decido di scrivere, e mentre scrivo riprovo quelle emozioni e riprovo la voglia.

Tutto e' cosi' delirante, tutto e' assurdo. Fra poche ore e' giorno, gli occhi mi dolgono e io penso alla mia mano che presto discendera' sul mio sesso.

Forse fra poco.

Forse ora.

Mi faccio schifo.

L.C.


Profumo di Pioggia

All'improvviso un forte odore di pioggia mi si fece contro.

Elegante nell'aspetto, si muoveva con fare prezioso

e all'orecchio mi sussurro' verita' come amanti.

 

Era una sera come quelle che spesso accadono, quelle sere in cui l'odore di pioggia e' cosi' intenso da riempire il cuore piu' di qualunque parola d'amore.

I passi lenti sfumavano nella voce meccanica che scandiva l'attesa nella stazione vuota. Era una di quelle sere in cui si sta per dire addio al mondo.

Ancora i passi, a scivolare uno dopo l'altro lungo le scale intrise di luce fioca smarrita nel silenzio. Li' lo intravidi appena. Lui, l'odore della pioggia. Ne venni inebriato immediatamente. La voce meccanica intanto mi sussurrava il ritardo del mio addio. In realta' era un urlo ma c'ero solo io ad ascoltarlo.

Seduto sulla panca di cemento attesi il treno che avevo scelto e mentre il tempo divorava gli odori, lui torno'. Ancora mi sfioro' nascondendosi nell'aroma e la sua voce mi parlo' quel profumo a me cosi' caro. Una voce ascoltata con l'olfatto e lievi parole simili a gocce di pioggia che cadono sul corpo e scivolano sulla pelle. Le sue mani iniziarono ad accarezzarmi il collo e piccoli brividi presero a giocare sulla pelle della mia schiena, rincorrendosi, urlando festosi.

Le sue prime gocce mi strinsero come un mare caldo e come un mare caldo mi fece sprofondare in lui. Il suo profumo mi riempiva i polmoni come acqua dell'oceano. Stavo annegando nel suo calore.

Una brezza confuse altri odori in lui, come se molti uomini si fondessero con il mio amato; alcuni belli, altri brutti, tutti li' a ricordare quanto stupendo fosse l'odore di pioggia.

Gli strinsi la mano che da dietro il collo era scivolata sul mio petto sopra il cuore, assorbendone i sussulti. Era una mano forte e delicata, decisa sul mio corpo e quasi inesistente. Mi si fece piu' vicino stringendo il suo viso al mio, il suo petto alla mia schiena. L'altra mano mi scivolo' attraverso i bottoni della camicia andando a dissetare prima un capezzolo poi l'altro.

Era una danza sul mio petto, un tango danzato a velocita' sorprendente quello che i miei sensi danzavano rincorrendo i passi svelti dell'odore della pioggia.

Scoprii le sue labbra. Le scoprii sul mio collo chiamare con grande passione le mie. Poi ancora sul mio collo per scivolare come acqua sul petto e sul ventre ed andare a sposare il mio sesso ormai saturo di pioggia.

Mi sollevo' da terra e mi fece distendere sul ferro. Ancora brividi sul mio corpo ma questa volta erano freddi. Mi strinse la mano e le prime sue lacrime mi bagnarono il corpo. "Non farlo" mi sussurro' la sua voce spezzata dal pianto ma io non risposi. Sapeva che non gli avrei mai parlato. Il ferro inizio' a tremare e il suo pianto tuono' tempestoso. Fu quella l'ultima immagine che ricordo, il suo viso piangere, il suo odore riempirmi gli occhi.

E dopo il treno, il profumo di pioggia pote' sposare il profumo del mio sangue sul ferro.

L.C.


ORSI ITALIANI