ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Settembre - Ottobre 2018


* 75.a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: DER GOLEM - MELO MESSICANO - BUSTER SCRUGGS - FRERES ENNEMIS - LA QUIETUD - ACUSADA - CAPRI-REVOLUTION * ISOLE E MOSTRE - TINTORETTO & TINTORETTO - IDOLI - OSVALDO LICINI - CAGNOLINI E RITRATTINI - TINTORETTO, ANCORA? ANCORA! - ARTE A PADOVA - DA ROVIGO A FERRARA - PALAZZI E MUSEI, MOSTRE ED EMOZIONI
Il 28 Agosto, la Preapertura della 75a Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia.

Come da qualche anno a questa parte, una serata dedicata ai residenti della citta' lagunare, ed anche quest'anno, la Sala Darsena e' stata teatro di un evento di grande importanza per gli appassionati del cinema muto: la presentazione del restauro del film di Paul Wagener: Der Golem wie er in die Welt kam  (Il Golem-come venne al mondo), introdotta dal presidente Paolo Baratta, dal Direttore di Settore, Alberto Barbera, e dai due direttori del restauro compiuto su una copia della Cineteca di Milano, integrando frammenti di varia provenienza, con avventurose scomparse e riapparizioni di frammenti.

Sono stati reintegrati i cartelli perduti con testi di stile adatto. Una partitura e' stata commissionata dalla Biennale, al Maestro Admir Shkurtaj, che l' ha diretta ed interpretata insieme con il Mesimèr Ensemble. Il film di Wagener e' del 1920, un esempio di espressionismo ed uno dei pochissimi di questa corrente estetica, a detta degli esperti. Avendo visto solo frammenti, precedentemente, per i piu' appassionati, si tratta di una pellicola imperdibile , anche e soprattutto per la cura della realizzazione finale, della durata di 86 minuti, e per la preziosita' dei viraggi cromatici.

Merito di tutto questo va alla Cineteca di Bruxelles ed al Murnau Stiftung. La cupa vicenda prende le mosse, originariamente, dalla Bibbia, ma si tratta della tipica leggenda mitteleuropea.

Il rabbino protagonista, negromante, astronomo, alchimista, legge nelle congiunzioni astrali, una forte minaccia per il suo popolo. Poco dopo giunge un nobile cavaliere, messo dell'Imperatore, il quale reca l'augusta decisione di far allontanare tutti gli abitanti, dal ghetto. Molto colpito e preoccupato, il rabbino decide di completare il modellaggio di un pupazzo che portato in vita, possa fungere da servitore ed aiutare a far ribaltare la situazione di pericolo.

Con l'aiuto del demone Astaroth e la sua parola misteriosa, il Golem prende vita. Nel frattempo la figlia del rabbino, non rifiuta il corteggiamento del cavaliere, facendoci ricordare la vicenda di Jessica nel Mercante shakepeariano. Tutti sono colpiti, spaventati ed incuriositi dalla creatura insolita che va a fare la spesa al negozio, con il famulo del rabbino, in una scena di rara godibilita'. Invitato alla Festa delle Rose a Corte, il negromante compie prodigi ed il Golem stupisce tutti. La situazione fa ricredere l'Imperatore che ritira la sua minaccia di sgombero, per la gioia di tutta la comunita'.

Ma prima di questo, la creatura si ribella e compie disastri, siccome il demone richiede il suo tributo. Grazie all'intervento di Jahve', alcuni casi fortuiti ed una buona dose di fortuna, tutto si appiana con molta drammaticita' e non troppe tragedie. Le magnifiche scenografie, le scene di massa accurate, un accenno di montaggio alternato, fanno del film un pregevole prodotto che alterna situazioni intriganti, con altre accattivanti in un'opera popolare non poco raffinata.

Interessante dire che il ruolo di Golem è sostenuto dallo stesso regista. Non sfuggono le parentele con Faust, anche quella, leggenda medioevale sulfurea e popolaresca, e qui, specialmente, si ripensa a Faust nello Studio, ed alle magie al cospetto dell'Imperatore del Secondo Faust goethiano.

Film interessantissimo, ma quanto percorso da germi antisemiti! Un appunto alla partitura spesso ingombrante, seppur pregevole, che troppo frequentemente distraeva dalle immagini. Un po' come certi registi d'opera i quali temendo che il pubblico si annoi durante i brani strumentali, riempono il palcoscenico di azioni e di mimi, facendo con il loro horror vacui, un servizio veramente pessimo appesantendo inutilmente lo spettacolo.


emilio campanella

Roma di Alfonso Cuaròn, in concorso per Venezia 75, Roma e' un quartiere di Citta' del Messico, da qui il titolo del film.

Una bella casa borghese a due piani, un'ala per il personale di servizio, due simpatiche contadine, la domestica e la cuoca.

Marito, moglie, la signora Teresa, la madre di lei, quattro figli. un cane giocoso che salta come quelli di Erwitt.

Un'automobile troppo ingombrante, che a mala pena entra nella corte, una bella metafora! Il padrone di casa parte per un convegno in Canada, non tornera' pi˘, come capiamo immediatamente, ovvero, rimarra' lontano solo una settimana, per poi raggiungere la sua amante, come verremo informati più avanti.

Contemporaneamente Cleo, la cameriera (la sorprendente Yalitza Aparicio) ha un flirt con Firmi'n, cugino del fidanzatino della sua collega. Naturalmente rimane incinta ed il ragazzo sparisce. Nessuna tragedia in casa, la signora Teresa (Marina de Tavira) l'abbraccia piangendo e sentendosi solidale nella solitudine dell'abbandono e pronunciando una delle battute piu' belle del film.

La storia diventa al femminile, le quattro donne, la cura dei ragazzi, la gravidanza di Cleo; il dolore e la fatica di adattarsi alla nuova realta', di Teresa.  Siamo nel 1970, in un Messico di grandi contrasti, e lo vediamo quando Cleo andra' a cercare Firmi'n che si rivela un individuo ignobile, come sembrava un po' gia' dall'inizio.

La citta' e' attraversata da grandi tensioni che vedremo culminare nelle violenze dei militari contro il movimento studentesco. Assistiamo al cosiddetto Massacro di Corpus Christi del 10 giugno 1971. Immagini potenti e fortemente drammatiche mentre Cleo e la nonna stanno scegliendo una culla per il nascituro. In quel mentre, uomini armati irrompono nell'edificio e si spara all'impazzata. Cleo si trova di fronte Firmìn armato.

L'emozione e' enorme e causa la rottura delle acque. Ricoverata d'urgenza in un ospedale nel caos dovuto ai feriti che arrivano continuamente, viene soccorsa e riceve l'accurata attenzione della ginecologa amica di Teresa, che gia' l'aveva visitata. Tutto si svolge rapidamente, in un reparto maternita' in comprensibile grande agitazione. Il parto e' regolare, ma il cuore della bimba non batte, gli sforzi per rianimarla sono vani.

Cleo rimane a lungo sotto shock, finche' accetta di partire per una breve vacanza al mare, con tutta la famiglia, per la gioia, soprattutto, dei ragazzi. Il motivo e' che il padre ritirera' le sue cose, come chiarisce Teresa, cercando di descrivere un avvenire roseo, lei che ha acquistato una nuova auto ed ha accettato un nuovo lavoro piu' utile al mantenimento dei figli, siccome il padre sembra non voler elargire aiuti.

Al mare due ragazzi rischiano di essere trascinati dalla corrente dell'oceano. Cleo, pur non sapendo nuotare, s'inoltra fra le onde, li raggiunge e riesce a riportarli a riva salvi. Una bella metafora ed una scena drammatica girata con grande maestri'a. Di ritorno a casa tutti faranno il meglio per adattarsi alla nuova realta'. Il cane festoso li accoglie, gli uccellini cinguettano nelle loro voliere, Cleo porta la sua valigetta nella soffitta dov'e' la sua stanza.

Un mélo controllato e magnificamente fotografato in bianco e nero. 135 minuti che volano, una bella sceneggiatura, uno sguardo sociale trasversale ed un mondo forzatamente al femminile.


emilio campanella

The Ballad of Buster Scruggs. In concorso per Venezia 75, l'intelligentissima pellicola di Joel & Ethan Coen, seconda esperienza Western dei due fratelli, dopo Il Grinta (2010).

Prodotto da Netflix, non e', come sembrava all'inizio, una serie televisiva, ma un vero e proprio film ad episodi, come quelli italiani degli anni sessanta, ammirati dai due registi, ed in assoluto il piu' lungo fra quelli da loro diretti (133 minuti).

In questo caso si tratta di una ambientazione comune per epoca ed area geografica ; il film e' stato girato fra Nuovo Messico e Nebraska, in paesaggi magnifici, fotografati con grandissima cura, la regia e' unica.

Presentato come un libro d'epoca, sfogliato davanti ai nostri occhi, da una mano che mostra frontespizio, incipit delle vicende, illustrazioni a colori protette dalla carta velina, belle incisioni, durante lo scorrere dei titoli di testa. Questa sara' la cornice del film, siccome prima dell'inizio di ogni storia, verranno sfogliate le pagine relative.

Sei racconti narrati con lo humour colto ed elegante che contraddistingue il loro cinema. Apparentemente leggero, non risparmia stilettate di comicita' anche molto nera, e non poco esilarante, magari non proprio da sganasciarsi come ho sentito fare in Sala Grande, ma con spunti anche molto godibili.

Ambientazioni perfette, scenografie classiche come ce le aspettiamo, ma di piu'. in punta di matita; esercizio stilistico ineccepibile, e non solo. Conscio della lezione dell'antiwestern degli anni settanta( Penn, Silverstein, Nelson , Peckinpah...). Sono sei storie assolutamente spietate in cui la vita ha il valore di un dollaro bucato da una pallottola.

Si inizia con un cow boy cantante, che da' il nome al film, a seguire, un ladro incapace che riesce a farsi impiccare due volte ed il cui destino ha una chiusa zen; uno spettacolo teatrale itinerante, episodio di raro, inquietante fascino e crudelta'. Un cercatore d'oro faulkneriano interpretato dal sempre sorprendente Tom Waits.

Quando il personaggio guarda da lontano la valle, molti animali pacifici fanno la loro vita, mentre lui entra attraverso una quinta di fronde, si eclissano. Torneranno quando l'uomo avra' lasciato il loro paradiso, non prima di costellarlo di buche per rubare l'oro. Il cervo ritornera' a bere nel ruscello, e prima  guardera' perplesso quello sfacelo.

Una ragazza rimasta sola, deve decidere della propria vita, durante il viaggio con una carovana. Si conclude con un altro viaggio, in diligenza.

La conversazione anodina ha talvolta punte di astio fra i viaggiatori, il misterioso vetturino, porta i passeggeri, di gran carriera fino ad un'inquietante locanda. Appena scesi i suoi 'ospiti', correra' via con tutti i bagagli, mentre un cadavere viene trascinato sulla passatoia dell'elegante atrio. Tutti si domandano dove possano essere giunti e l'atmosfera si fa decisamente gotica. Il progetto del film parte da molto lontano e pare che una delle storie sia stata scritta una ventina di anni fa, sulla falsariga delle novelle western dei giornaletti per ragazzi.

Fra i molti attori, tutti perfettamente in parte: Tim Blake Nelson (nel ruolo del titolo), James Franco, Liam Neeson ed il gi‡ citato Tom Waits.


emilio campanella

Frères Ennemis  di David Oelhoffen, con Matthias Shoenaertes e Reda Kateb, 111 minuti, in concorso per Venezia 75.

Terzo lungometraggio e seconda presenza a Venezia dopo Loin des hommes, 2014.

Ancora una volta, una storia di uomini che si confrontano essendo fortemente vicini, ma, ormai su fronti contrapposti.

Provenienti entrambi dalla periferia parigina, di famiglia marocchina, Driss e Manuel, ad un certo punto della vita divergono nelle loro scelte.

Se Manuel rimane legato ai traffici di droga della numerosissima famiglia, Driss si distacca e diventa poliziotto per la narcotici.

Da qui l'intreccio inestricabile di sentimenti viscerali, parentele e rispetto del clan e del sangue. Amicizie che datano dall'infanzia amalgamate al lavoro di commercio e scambio fra Marocco, Francia, altri paesi.

Questo il tema scelto dal regista che pero' non e' riuscito a trovare un equilibrio fra questi elementi complessi e forti, ovvero scegliere un punto di vista registico, uno stile di rappresentazione. Insomma restiamo a dondolare pericolosamente fra avventure ed inseguimenti per soddisfare il grosso pubblico dei film d'azione, e la ricerca e l'approfondimento sociologico. Direi, senza riuscire a soddisfare veramente nessuno.

Le ambientazioni sono talvolta sciatte e prevedibili, anche se qualche inquadratura in esterno ha una sua ricerca formale, ma i luoghi scelti per le scene d'azione sono estremamente prevedibili ed anche troppo visti. Le scene pi˘ intime, in interni domestici hanno un taglio inequivocabilmente televisivo, e non certo del migliore. Accurato il lavoro su certi attori, meno su altri.

Molti volti noti del cinema francese degli ultimi anni, coinvolti in pellicole che riguardano l'immigrazione e le comunita' nordafricane d'oltralpe.


emilio campanella

La Quietud  di Pedro Trapero, invitato fuori concorso a Venezia 75. Ritorna a Venezia, il regista argentino, dopo il Leone d'Argento, con cui fu premiato il suo El Clan, nel 2015.

Un altro melodramma, dopo quello di Cuaròn, ma non ho intitolato l'articolo in maniera simile, anche se la tentazione l'ho avuta. Un intreccio degno di Matarazzo, detto nel senso migliore. Veleni decantati, rancori pluridecennali silenzi su storie che tutti sanno, o quasi; silenzi tombali su altre che sanno in pochissimi.

Come si dice, prima o poi i nodi vengono al pettine e quella a cui assistiamo è una resa dei conti in cui tutti, piu' o meno, nello scatenamento delle tensioni sotterranee, si dicono in faccia quello che hanno dentro, o lo dicono in sedi processuali.

La Quietud, potrebbe essere il nome per una casa di riposo, di un ospedale per lungodegenti, una clinica per il fine vita. No, e' una magnifica tenuta in stile coloniale nella campagna vicina a Buenos Aires.

Grandi spazi, spazi segreti, magnifico parco, stupendi cavalli, grandi alberi e moltissimi fiori. Un paradiso...forse. Augusto, il capo famiglia, vive con la grintosa moglie Esmeralda e la figlia Mia.

L'anziano avvocato in pensione ha una convocazione da un procuratore. Durante l'incontro subisce un'ictus. In seguito a questo, l'altra figlia, Eugenia, che vive a Parigi, torna dopo molti anni. Le due sorelle si ritrovano e rivivono l'intesa complice e sensuale dell'adolescenza. Il padre, ospedalizzato, avrà un piu' grave attacco.

Verra' riportato a casa. Nel frattempo, Vincent, marito di Eugenia, arriva da Parigi e scopriamo che e' amante di Mia, poco dopo il quadro si completa quando comprenderemo che anche Eugenia ha un amante: Esteban, figlio dell'ex collega di studio di Augusto.

Vi sembra complicato? Lo e', e gli incroci sono piu' complessi di quelli descritti. Tutto parte decenni prima, da conoscenze ed affetti poco piu' che infantili che si sono radicati ed intrecciati. Colpisce che tutto sia con un oceano di mezzo, ma il legame fra Parigi e Buenos Aires e' forte e lo si sa.

Basta ricordare: Tangos, el exilio de Gardel di Fernando Solanas del 1985, proprio mentre in patria si perpetravano gli orrori dell' ESMA (Escuela de la Mecànica de la Armada, centro di detenzione e tortura) di cui sapremo dopo, e la famiglia di cui ci occupiamo faceva i suoi lunghi soggiorni sontuosi e dorati nella capitale francese.

Fra i molti scontri verbali fra Esmeralda e Mia, uno riguarda un millesimo, anzi due: 1996-1997, legato, evidentemente a ricordi differenti per entrambe, nessuna delle due recede, fra la costernazione degli astanti. Non sappiamo che cosa ci sia veramente dietro, ma entrambe difendono caparbiamente la loro posizione nonostante le preghiere reiterate di Eugenia, molto turbata da tanta violenza verbale.

Augusto morira' ed al funerale si produrranno situazioni di grande imbarazzo. Siccome i guai non vengono mai soli, Esmeralda dovra' testimoniare ad uno dei processi contro i responsabili delle efferatezze della dittatura. Le due sorelle giungono ad una chiarificazione, e sull'onda della pulizia che viene fatta, Mia decide di mettere nelle mani del procuratore, documenti molto compromettenti che il padre le aveva consegnato.

Il terremoto provoca l'arresto di Esmeralda che dovraa' chiarire la sua posizione nell'esproprio di proprieta' di prigionieri della Scuola Meccanica. Le due sorelle lasceranno la tenuta chiudendosi il cancello alle spalle e concludendosi cosi' una parte della loro vita. Molto ben interpretato da Martina Gusman, Bérénice B'ejo, Graciela Borges, Edgard Ramirez.

Interessante ed abile nel dipanare tutte le fila della vicenda non poco complessa che prende ritmo man mano ed accelera riservando sorprese continue con ritmo incalzante.


emilio campanella


Acusada dell'argentino Gonzalo Tobal, in concorso per Venezia 75.

E' una sorta di legal thriller, ma non rigidamente schematico.

In sostanza, le scene processuali sono molto meno, in confronto alle altre, nell'economia del racconto.

Durante una festa molto vivace, Camilla viene uccisa in circostanze ben poco chiare data la situazione di confusione di andirivieni di gente, tasso alcolico elevato, stupefacenti assunti da tutti i partecipanti al party.

Dopo due anni, Dolores, grande amica della vittima, risulta essere l'unica indiziata ed accusata dell'omicidio.

Questo il momento dell'azione. Il punto di vista e' quello della famiglia che si stringe intorno alla ragazza difendendola dagli attachi mediatici feroci, da un pubblico assetato di sangue, da un'accusa sadica che tende a logorare psicologicamente l'accusata giudicandone moralmente i comportamenti.

Abbiamo visto situazioni reali di questo tipo.

Il Mersault di Camus viene condannato per la sua condotta morale, più che per l'omicidio.

Qui siamo dalle parti di certe situazioni prodottesi anni fa in Italia... Tornando alla pellicola, che dura 108 minuti, l'impressione e' quella del prodotto televisivo rivolto al mercato interno.

Discretamente confezionato, ma senza voli, pur con una buona tenuta di ritmo, occorre ammetterlo.

Interpretato senza punte da attori un po' manierati e da una protagonista catatonica, che ha meno di una espressione, forse per rendere la personalita' sotto shock di Dolores, ma un uovo sodo avrebbe piu' espressione!

Era proprio il caso di mettere un concorso un prodotto di questo livello?


emilio campanella

Capri-Revolution di Mario Martone, in concorso per Venezia 75. 

Capri 1914, Lucia (l'intensissima Marianna Fontana) vive in una famiglia poverissima, guarda le capre, ha due fratelli, una madre bella come lei, un padre morente a causa del lavoro in fabbrica.

Nonostante le cure del giovane medico condotto (Antonio Folletto), i polmoni del pover'uomo sono irrimediabilmente compromessi.

Durante le sue peregrinazioni con gli animali, Lucia scopre un gruppo di persone nude che fanno il saluto al sole, su una scogliera piu' in basso.

Un po' intimorita, un po' indispettita, un po' interessata, la ragazza ch'e' curiosa perchè  intelligente, li osservera' sempre piu' da vicino rimanendo coinvolta da questa comunita' di stranieri che si riuniscono intorno ad un pittore libertario, vegetariano, naturista, pacifista, condividendone le idee.

Il confronto con il suo mondo rurale arcaico e' molto forte, ma la fascinazione del modo di rapportarsi fra di loro ed il rispetto della natura, di quelle persone, la coinvolge gradualmente.

Molto, cerca di capire, entra in confidenza con loro, e con alcuni in particolare, come il giovanotto che e insegna a leggere e scrivere, il quale, essendo ticinese parla bene l'italiano.

La vicenda prende ispirazione dall'esperienza realmente prodottasi della comune del pittore tedesco Diefenbach ( sue tele sono conservate nella Certosa di Capri), molto vicina a quella teosofica svizzera di Monte Verita' ad Ascona.

Il contrasto con la famiglia e' sempre più forte e la rottura, insanabile.

Lucia e' una donna libera che rifiuta il matrimonio con un ricco energumeno.
Legge, studia, si pone domande, si confronta.

Sempre sanguigna, viscerale, passionale, si evolve, pone domande, se le pone; mette in discussione cio' che non la convince, ma altrettanto riflette e mette a fuoco sempre meglio le sue idee, i suoi punti di vista.

Il film che si muove su piu' registri anche estetici, sempre accuratissimi, ha dalla sua, una stupenda fotografia che fa tesoro dell'esperienza pittorica precedente e coeva all'azione.

All'inizio Lucia fa pensare alla Figlia di Jorio di Michetti. I paesaggi impervi, a De Nittis, e poi i Simbolisti, i Divisionisti, i Macchiaioli, sino ai Preraffaelliti, nei volti, negli abiti, negli atteggiamenti. La protagonista che legge seduta su una panca di pietra con alle spalle una fuga di archi e di spazi, e' un omaggio a sir Alma Tadema.

Il suo abito rosso scuro scollato e sbracciato, per quanto corretto, e' simbolo della sua ribellione. Dopo gli scontri con il medico interventista, per quanto libertario e con simpatie socialiste, cerchera' di salutare i fratelli che partono per il fronte, perche' intanto l'Italia e' entrata in guerra, ma ne verra' scacciata in malo modo. E' una specie di reietta in paese, e vive quasi sempre con i suoi nuovi amici.

Siccome e' molto in gamba, nel frattempo ha imparato abbastanza anche l'inglese. In sottofinale il bellissimo incontro con la madre e la sua totale ammirazione ed adesione per le scelte dalla ragazza. Una nave parte e Lucia e' a bordo, potrebbe andare solo a Napoli, ma non credo, il bastimento e' abbastanza grande e pieno di quelli che possiamo riconoscere come emigranti.

Possiamo pensare che la destinazione sia il Nuovo Mondo. Film complesso e sfaccettato cui, forse gioverebbe qualche limata qua e la'. Le belle coreografie di Raffaella Giordano sono ispirate alla danza libera.

Belle le musiche di Sascha Ring. Un appunto: quando i componenti, ed anche il pittore ( il credibile Reinout Scholten van Aschat)  eseguono queste musiche, risultano troppo minimaliste, diverso quando si tratta della colonna sonora.

Piu' adatto sarebbe stato, trovare uno stile che riprendesse l'impressionismo musicale. 

emilio campanella

Due isole contigue, due mostre appena inaugurate e che saranno aperte sino al sei Gennaio 2019.

Alla Casa dei Tre Oci alla Giudecca, una importante retrospettiva dedicata a Willy Ronis ( 1910-2009): Fotografie 1934-1998. Si tratta di 120 immagini vintage fra le quali una decina, inedite, dedicate a Venezia.

Nel percorso espositivo e' compreso un buon numero di pubblicazioni, per la maggior parte, mai esposte al pubblico. Ronis faceva parte della corrente umanista della fotografia francese, quella, per capirci, di: Brassai, Gilles Caron, Henry Cartier-Bresson, Raymond Depardon, Robert Doisneau, Izis, Andre' Kerte'sz, Jacques Henry Lartigue, e Marc Riboud.

Ci sono tratti comuni fra questi testimoni del tempo e della societa': l'attenzione al lavoro, il lato umano delle situazioni e delle persone ritratte. L'esposizione curata da Mathieu Ravallin, si estende sui tre piani del palazzo e si divide in sezioni precise. Al Pianterreno gli Esordi ed i Reportages.

Al primo piano, Parigi, Parigi: Belleville Menilmontant, Cambiamenti: Lavoro e Societa'. Al secondo: In giro per il mondo, Venezia e l'Italia, Famiglia e intimitaa'. Nudi, Francia. Dai titoli delle sezioni, si comprendera' come venga mostrato a trecentosessanta gradi, l'ampio lavoro di Ronis, nei lunghi decenni su cui si estese la sua carriera.

Molti ambienti differenti, molti volti, molte citta'. Faccio presente: Les Amoureux de la Bastille, Paris 1957. Una coppia in primo piano, sulla sinistra; lei e' di spalle, con un tailleur dalla giacca avvitata, come nella moda di quegli anni, lui, di profilo, sono molto vicini, la mano destra di lei su una bella balaustra in ferro, nella morbida luce pomeridiana i tetti della citta', in lontananza Notre Dame, la Tour Eiffel.

Sempre nella sezione francese: Il giocatore di bocce, 1947, dalla straordinaria dinamica. Lago ghiacciato al Bois de Boulogne, 1954. Un ricordo d'infanzia non mio.

Mia madre mi parlava del lago ghiacciato del Bois, meta delle nostre passeggiate. Avevo un anno ma l'ho sicuramente visto, pur non potendolo ricordare.

Ora un altro bambino, piu' grande, in partenza per le vacanze. un grande zaino in spalla, , un orsacchiotto che ne fuoriesce...non sembra esserci spazio per molto altro! La foto e' intitolata: Vincent, sur la route des vacances, 1946, e per concludere: Fondamente Nuove, Venise 1959.

Una fuga di pontili e pontiletti lungo la riva; una bimba su uno di questi, sembra danzare, percorrendolo. in fondo, la cosiddetta Casa dei Fantasmi. Ora ha perso quel nome, e' stata restaurata, ed ha sempre una posizione magnifica. Sulla fondamenta, un distributore di benzina che allora non c'era. La mostra e' aperta dalle dieci alle diciannove e chiude il martedi.

L'esposizione di San Giorgio, al settimo anno di collaborazione fra la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung per Le Stanze del Vetro, s'intitola: La Vetreria M.V.M. Cappellin ed il giovane Carlo Scarpa, 1925-1931.

E' aperta dalle 10 alle 19 e chiude il mercoledi. Come al solito illuminata con grandissima accuratezza ed allestita con attenta e sobria eleganza, prende in esame un breve lasso di tempo e la collaborazione fra l'antiquario Cappellin ed il giovane, geniale architetto, sempre nell'intento di rinnovare il vetro veneziano, liberandolo dalle forme stanche e ripetitive della tradizione.

Otto sale e diciotto sezioni per mostrare un ampio repertorio di forme, colori, decorazioni, impasti innovativi e dalle forme essenziali. La mostra si apre con un magnifico vaso sferico con piede troncoconico, di semplice, essenziale, bellezza, alle spalle una fotografia che occupa l'intera parete, con tutto un repertorio della produzione dell'epoca. Quello che maggiormente colpisce e' il modo di affrontare forme arcaiche riroponendo decorazioni dalla storia plurimillenaria in vetri d'impasto cromatico sui quali la luce porta ad effetti di straordinaria suggestione.

emilio campanella

1519 Tintoretto 2019 Celebrazioni per il cinquecentenario della nascita di Tintoretto. Tintoretto 1519-1594, Venezia, Palazzo Ducale, 7 settembre 2018-6 Gennaio 2019; Il Giovane Tintoretto, Venezia, Gallerie dell'Accademia, 7 settembre 2018-6 gennaio 2019; Tintoretto Artist of Renaissance Venice, Washington, National Gallery of Art, 10 marzo-7 luglio 2019.

Appuntamento irrinunciabile a Venezia, una grande manifestazione dedicata a Jacopo Robusti detto il Tintoretto.

L'ultima esposizione a lui dedicata, fu, nel 1937, quella curata da Nino Barbantini e Rodolfo Pallucchini. Oggi due mostre veneziane ed una terza, americana, sono prova evidente di una importante collaborazione internazionale.

Due occasioni determinanti, quelle veneziane, e di differente segno, ma epocali e da vedere assolutamente entrambe. Forse non tutte e due nel medesimo giorno; non perche' eccessive, anzi, invece, decisamente contenute nei loro percorsi, ma molto dense, ed il consiglio sarebbe di vederle in due giorni differenti, possibilmente successivi.

Ovviamente propongo di iniziare con la mostra dell'Accademia, curata da Roberta Battaglia, Valeria Marini, Vittoria Romani. Il percorso si divide in quattro sezioni, partendo dalle personalita' artistiche che influenzarono il giovane pittore, per arrivare alla testimonianza dell'inizio della sua attivita' con una bottega riconosciuta e documentata a San Cassian nel 1538, ed alle prime committenze importanti.

Il giovane Tintoretto e' introdotto, all'Accademia, da alcune sale in cui si analizza l'ambiente artistico del tempo, gli artisti locali, quelli che, venuti da fuori ebbero forte influenza ed importanza per il rinnovamento stilistico della pittura veneziana, coloro a cui guardo' il giovane Jacopo nell'affacciarsi sulla scena del suo secolo. In mostra ci sono alcuni esponenti importanti, rappresentati da opere determinanti: La Cena di Emmaus di Tiziano, del 1533-1534 c.a, dal Louvre; Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone: San Martino e San Cristoforo, 1527-1528, dalla Scuola Grande di San Rocco, a Venezia.

Ci sono i toscani: Vasari e Salviati, fra gli altri, ed a conclusione della sezione: San Giovanni Evangelista a Patmos di Tiziano, da Washington. Sono esposti importanti volumi ed incisioni data la grande presenza della stampa nella Repubblica. proprio in quel volgere di decenni. Sessanta le opere esposte, e ventisei, di Tintoretto.

Il percorso espositivo si conclude nell'arco di un decennio, nel 1548, con la prima committenza di grande peso: Il miracolo dello schiavo, per la Scuola Grande di San Marco, ora parte delle collezioni dell'Accademia, ed ovviamente esposto. Una mostra decisamene di riferimento, per quanto sia stato rilevata qualche imprecisione legata alle datazioni ed anche a certe scelte tematiche delle opere. Per parte mia l'appunto Ë molto piu' frivolo. Constatando la buona illuminazione generale della mostra, ci sono pareti rosa ed accanto ai quadri, didascalie in bianco che si leggono malissimo se non andandoci con il naso sopra.

Va meglio con le pareti blu. grazie all'ovvio contrasto. Il problema non si pone a Palazzo Ducale dove, negli appartamenti dogali, l'esposizione: Tintoretto 1519-1594, e' allestita con grandissima cura, in penombra, illuminata con sapienza, i pannelli informativi delle opere, molto esaurienti, posti inclinati ed illuminati da sagomatori, quindi leggibilissimi. Grande merito dell'allestimento di Daniela Ferretti. La mostra e' curata da Robert Echols e Frederick Ilchman, studiosi americani che si occuperanno anche dell'esposizione di Washington. Il percorso, suddiviso in undici sale/sezioni, consta di oltre sessanta opere fra dipinti e disegni.

Un appunto e' stato fatto intorno alle scelte delle opere, ovviamente tutte di Jacopo Robusti, tranne, forse, qualche dubbio sollevato intorno al ritratto postumo di Jacopo Sansovino, 1570, dalla Galleria degli Uffizi, nella Sala 9: Un Grande Ritrattista, una galleria di ritratti, mostra nella mostra. Ulteriore appunto sollevato, cui accennavo sopra sarebbe relativo ad una certa mancanza di coraggio della mostra, che e' invece, merito della manifestazione dell'Accademia. Affermato questo, le occasioni di visita non sono in alcun caso da perdere, anche per chi non ami Tintoretto. I cataloghi sono pubblicati da Marsilio/Electa per il Giovane Tintoretto, e da Marsilio per Tintoretto 1519-1594.

emilio campanella

Idoli, Il potere dell'Immagine. Fino al venti gennaio 2019, a Venezia, in Campo Santo Stefano, l'Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, nella sua sede di Palazzo Loredan, ospita la terza esposizione organizzata dalla Fondazione Giancarlo Ligabue.

La mostra, chiusa il lunedi, si puo' visitare dalle dieci alle diciotto. Terza manifestazione della Fondazione, ospitata dall'Istituto, dopo quella sulla nascita della scrittura: Prima dell'alfabeto nel 2017, ed: Il mondo che non c'era, intorno all'arte precolombiana, all'inizio dell'anno.

Nella presente occasione, forse l'ultima prima di una pausa, come osservava il presidente Inti Ligabue, solo, per così dire, ventisei pezzi sono della Fondazione, mentre gli altri dell'esposizione che consta di cento preziosissimi reperti, sono prestiti di musei e collezioni private, scelti con grande attenzione, dalla curatrice Annie Caubet(Louvre).

Geograficamente molto ampia, l'esposizione spazia dall'Atlantico alla valle dell'Indo ed i reperti sono collocabili fra il 4000 ed il 2000 a. C. l'eta' del bronzo. Sono oggetti di scavo; in alcuni casi, non solo creati per le sepolture, ma che hanno accompagnato la vita del defunto.

Fortemente simbologici, in un certo senso, quasi, hanno una sorta di somiglianza fra di loro; certi tipi di rappresentazione, anche in zone lontanissime e che non avevano sicuramente contatti, hanno molti tratti comuni,  come se concetti e scelte estetiche, fossero tipici di una certa eta' dell'uomo, ovunque si trovasse.

La mostra e' un viaggio estetico, nel tempo e nello spazio dalla Penisola Iberica all'Estremo Oriente, oltreche' un omaggio a Giancarlo Ligabue, alle sue richerche paleoantropologiche, archeologiche, agli scavi importanti, e da parte del Direttore, l'adempimento di un impegno preso con il padre. I materiali, spesso preziosissimi per l'epoca, vanno dal lapislazzuli all'ossidiana, al cristallo di rocca, all'alabastro.

Le zone sono: l' Afghanistan, il Turkmenistan, la zona del Fiume Oxus, nell'Iran del Nord, che da' nome ad una cultura chiamata anche Bactriana. Ritornano in Sardegna e Turchia, figure femminili materne, veneri neolitiche, piu' che dee madri, visioni della donna nelle culture agricole, ancora in Sardegna, a Cipro, nelle Cicladi.

Alla fine del IV millenio, l'inizio della scrittura, rappresentazioni schematiche, geometriche, dai grandi occhi stilizzati, anche in Anatolia. Poi si iniziano i primi esempi di strutture sociali, delle citta'-stato e si hanno esempi di una sorta di naturalismo astratto e di figure legate al potere, anche in Siria.

Nell'interesse per queste immagini anche molto stilizzate e simboliche, c'e' la domanda che ci poniamo intorno a quale significato queste culture "primitive" dessero a questi idoli, al di la' delle interpretazioni che possiamo tentarne noi. Certo e' che il divino ancora non aveva una sua forma definita, poteva essere maschile, femminile, ma avere anche entrambe le caratteristiche riunite, fuse.

Certo sul termine primitivo bisogna essere ben prudenti siccome gli oggetti che abbiamo davanti agli occhi sono di una eleganza e di una perizia esecutiva sorprendenti. L'uso di pietre anche difficilissime da lavorare, l'assemblaggio di differenti meteriali nella stessa figura, come nella: Dama dell'Oxus, detta Venere Ligabue. Iran Orientale. Asia Centrale, Civiltà dell'Oxus (2200-1800 a.C.) in clorite e calcare della collezione Ligabue.

Un'elegante figura seduta, dignitosissima nel suo ampio abito, e dall'elaborata acconciatura. Di grandissima bellezza, il Suonatore di arpa cicladico, da Thera (Santorini), Antico Cicladico (2700-2300 a.C.), Badiches Landesmuseum Karlsruhe.

Concludo con l'Egitto, mio grande amore, di cui sono esposti quattro reperti tra Naqada I, Naqada II, Prima Dinastia, Antico Regno, fra il 3500 ed il 2500 a.C. da Bruxelles, Saint Germain en Laye, Oxford e Parigi. Si tratta di esempi sorprendenti di liberta espressiva in una cultura che più tardi andra' famosa per la ieraticita' delle proprie rappresentazioni. Due di queste figure, in terracotta, sembrano danzare, le braccia levate, la morbida sinuosita' dei corpi, la terza e' in lapislazzuli, una figuretta femminile stante, le braccia conserte, i grandi occhi dall'espressione che sembra volerci parlare.

L'ultimo e' un omino in legno, frammentario, ma dalla silouhette elegantissima. L'Egitto era stato sempre una cultura a se' stante, separata, molto differente da quelle anche vicine. Gia' in antico sviluppava modelli fortemente distaccati da altri. La figura in lapislazzuli non e' stata scelta a caso, essendo questa pietra, molto usata anche in epoca storica, con molteplici implicazioni sacre e magiche. Non escluderei che la sua preziosita' dovuta alla regione lontanissima della sua estrazione, abbia giocato un ruolo determinante in queste valenze cosi' importanti. La mostra, il cui titolo richiama l'originale greco che significa immagine, prevede, naturalmente, laboratori didattici.

Silvana ha pubblicato un catalogo di rara bellezza.

emilio campanella

Che un vento di follia totale mi sollevi. Questo il titolo della nuova bellissima mostra dedicata dalla Collezione Guggenheim di Venezia, ad Osvaldo Licini.

Curata con la consueta attenzione e l'approfondimento che lo contraddistingue, da Luca Massimo Barbero, si potra' visitare sino al 14 gennaio 2019. Il percorso si snoda nel consueto, raccolto e suggestivo spazio destinato alle esposizioni temporanee e parte dal 1913 per arrivare al 1958, anno della morte, a soli due mesi dall'assegnazione del Gran Premio per la Pittura della XXIX Biennale, unico ad un italiano.

Marchigiano, nato nel 1894, e' qui rappresentato da novantotto  opere, alcune delle quali mai viste dopo il 1958, altre da piu' tempo ancora, disposte in undici sale. Testimonia con la cura editoriale consueta l'importante esposizione, il bel catalogo edito da Marsilio.

Le prime sale evocano gli inizi di un pittore decisamente distaccato da esperienze artistiche coeve. Influenzato si, ma gia' con determinate caratteristiche che gli saranno precipue.

Ci sono, infatti, delle linee che percorrono i quadri, e che ritorneranno in tutta la sua produzione, sono le sinuose linee del paesaggio marchigiano cosi' speciale e cosi' noto grazie ad un poeta che in molti amiamo moltissimo: Giacomo Leopardi, marchigiano anche lui, certo!

All'inizio sono agili figure. gruppi, ma ben presto nei paesaggi frequenti, compaiono angeli ed arcangeli che tornerano spesso, insieme ad altri personaggi che abiteranno molte tele dell'artista. Licini pittore, narratore, poeta, molto legato alla scrittura, alla poesia.

Licini dei Racconti di Bruto, personaggio che donerebbe il suo cuore a chi lo desidera, ma il cui dramma e' che nessuno lo vuole. Gli angeli ribelli della maturita' sono suoi parenti stretti. Penso in particolare ad : Angelo ribelle con il cuore rosso del 1953, di Collezione Privata, presente in mostra. Procedendo con ordine, si trovano le esperienze che denotano l'influenza dei soggiorni parigini, come la conoscenza diretta della pittura di Rembrandt, che lascio' segno tangibile nella matericita' del lavoro di ridipintura a strati molteplici che sara' sempre piu' una cifra stilistica riconoscibile.

Nel percorso espositivo sono creati raffronti-corto circuito con Morandi per il paesaggio; di linee e ritmi con Melotti, con Fontana; anche e soprattutto nelle sale dedicate alla Galleria Il Milione di Milano. Il geometrico tridimensionale, cromaticamente coraggioso e provocatorio, tanto che: Castello in aria del 1935-1936 ( Collezione Augusto e Francesca Giovanardi, qui esposto) subi' attacchi fisici da parte di detrattori.

Esiste una foto di Peggy Guggenheim, accanto al quadro, alla XXIX Biennale, del 1958, riportata in catalogo. E poi sono i personaggi della maturita': Amalassunta, bambinaccia anarchica e capricciosa, tenera ed irritante, principessa ostrogota con la sigaretta fra le labbra, comparata e sovrapposta alla luna, che vola nel cielo, su sfondi di colori saturi. In quei cieli si muove anche l'Olandese Volante, inquieto ed ossessionato, dannato e santo, insieme e raffrontandosi con quegli angeli ribelli. Ognuno di loro, nel suo cielo privato magico e numerologico del Licini Errante, Erotico, Eretico, ma anche molto Ironico. Tutto questo, fissato sulle pagine del bel catalogo, come accennato all'inizio.
emilio campanella
Alla Casa dei Carraresi di Treviso, due esposizioni, di ben diverso segno, aperte al pubblico sino al tre febbraio 2019.

La prima e' dedicata al fotografo novantenne Elliott Erwitt di cui si fa un gran parlare continuamente e che ha mostre ovunque. In Italia, a Venezia nel 2012, ora a Forli', Torino e Treviso, contemporaneamente. Quella trevigiana e' un'esposizione monotematica e riguarda i cani, molto amati, a modo suo, dal fotografo, infatti s'intitola: Elliott Erwitt: i cani sono come gli umani, solo con molti più capelli.

Consta di ottanta immagini, alcune curiosamente e deliberatamente ad altezza canina, per mostrarci il loro speciale punto di vista. Ovviamente ci sono anche foto di umani, siccome da molti millenni, i quattrozampe canini hanno la pazienza di sopportarci.

Notizia recente e' che i cani sono ammessi alla mostra, ma non da soli, oltreche' al guinzaglio e con museruola, e che l'esposizione e' legata alla loro giornata mondiale, che si e' ricordata il 26 settembre scorso. Sono in programma iniziative curate da associazioni del settore veterinario.

Consiglio di fare molta attenzione alle indicazioni ed al numero delle sale, siccome il percorso espositivo si snoda su diversi piani e direzioni incerte, infatti molto facilmente si puo' ritornare piu' e piu' volte nella medesima sala e rischiare di saltarne qualcuna. Molto piu' semplice il percorso dell'altra esposizione: Da Tiziano a Van Dyck, il volto del '500, esposta al primo piano.

Una mostra di arte antica curata da Ettore Merkel. ed incentrata su una scelta di cinquanta opere della collezione di Giuseppe Alessandra. Appassionato d'arte, e cinofilo- questo il simpatico legame fra le due manifestazioni- venne educato all'amore per il bello, dalla madre, Donna Margherita Ventimiglia Alessandra. Inizialmente l'interesse fu rivolto verso l'arte del Novecento, poi la svolta nei confronti dell'arte antica, anche grazie alla frequentazione di eminenti studiosi come Fiocco, Pallucchini, Longhi. Valcanover, Pignatti, Carli, Zampetti e non soltanto nei confronti della pittura del Cinquecento.

La presente scelta e' orientata verso la ritrattistica, ma non solo, il XVI secolo ed oltre, infatti si arriva a toccare il XVII. Sono presenti nomi molto importanti tanto da far invidia al Louvre, al Kunsthistoriches, alla National Gallery, per fare esempi a caso. Quello che colpisce e' come non vi sia alcun dubbio nelle attribuzioni, nessuna esitazione nelle date indicate.

Ho visitato la mostra con calma, con attenzione, ho fatto quattro volte il percorso, ed ogni volta ero maggiormente perplesso. Confesso che cercavo Sebastiano Luciani, detto Sebastiano del Piombo, e poi ho finalmente scoperto che il : Ritratto di Ippolito de' Medici Governatore di Firenze e Cardinale, 1530-1531 e' a lui attribuito; peraltro ha l'onore di manifesti e copertina del catalogo.

Anche il : Ritratto di Pier Luigi Farnese, Duca di Castro (1537) e Marchese di Novara(1538) del 1540 e' indicato come suo. A me sembrano dei ben strani ritratti di Sebastiano del Piombo! I dubbi sono molti, come nel caso del : Ritratto di Alessandro Campesano di Jacopo Bassano, 1559-1560, che pare dipinto negli anni trenta del Novecento.

Sicuramente molto danneggiato, sembra altrettanto rimaneggiato. E poi ci sono certe tele sospette. Questo, peraltro, non mette in discussione la buona fede del collezionista, e neppure del curatore, ma si sa, l'arte antica e' materia molto difficile e rischiosa. Si son create differenti sezioni per dividere temi e scuole, quindi: Da Bellini a Giorgione, e si ricorda la mostra: Bellini e i Belliniani, curata a Palazzo Sarcinelli di Conegliano, da Giandomenico Romanelli nel 2017; Giorgione e i Giorgioneschi, in omaggio ad una antica mostra curata da Pietro Zampetti nel 1955, a Palazzo Ducale a Venezia.

Si parla di botteghe, di cerchie, di scuole, ed e' tutto piuttosto preciso, solo che i riscontri esposti provocano talvolta, non poco imbarazzo, come la: Maddalena in preghiera di Jacopo Robusti, Tintoretto, del 1590 c.a che sembra dipinta da Novella Parigini, oppure il: San Gerolamo penitente che pi˘ che di Tiziano, sembra "'a la manie're de Titien", datato 1570-1575.

Per non parlare, nella terza sezione- L'espansione lombarda- di: Concertino di gentiluomini, del quinto decennio del XVI sec. di Gerolamo Romanino, che spero proprio non sia suo, tanto e' brutto! Aggiungo il: Ritratto di prelato con croce, di Carlo Ceresa, 1640 c.a che sembra decisamente iperrealista. Da ricordare Santi di Tito ed il suo: Ritratto di gentiluomo con figlio del 1575 c.a, dove il bambino pare preso da un Carra'.

Aggiungo a conclusione, il: Suonatore di flauto di Jacob Jordaens, di rara bruttezza, ed Antoon Van Dyck ed il suo: Studio di testa della prima meta' del secolo XVII, che sembra Ceruti. Catalogo Biblos.
emilio campanella

 Se ne parla assiduamente da poco piu' di un mese, e se ne parlera' ancora a lungo. Jacopo Robusti e' sotto i riflettori veneziani grazie al cinquecentenario della nascita che cadra' il prossimo anno.

Dopo Il giovane Tintoretto alle Gallerie dell'Accademia e Tintoretto 1519-1594 a Palazzo Ducale, allarghero' lo sguardo alla citta' intera, grazie ad una pianta realizzata e distribuita dai Musei Civici Veneziani.

Su questo leggero ed agile supporto  sono riportati tutti i luoghi tintorettiani. Sulla carta topografica, le chiese che conservano sue opere, indicate da un circoletto giallo, le mostre da un piccolo rombo blu.

Il retro riporta indicazioni ed informazioni sintetiche per coadiuvare la visita. Contrassegnato dal rombo blu e' Palazzo Mocenigo, Museo del Costume, che sino al nove gennaio prossimo, propone: La Venezia di Tintoretto. Le collezioni di Elio Dal Cin. Antiquario originario di Sacile, di lui si espone un'ampia scelta di oggetti di rame che vanno dal XVI al XX secolo.

Presentati con grande gusto ed ambientati con cura nell'allestimento ormai storicizzato di Pier Luigi Pizzi, i pezzi del Cinquecento sono due: una Lanterna ed un Bacile Rinfrescatoio, di manifattura veneziana. Di maggiore importanza, l'esposizione allestita alla Scuola Grande di San Marco, in Campo San Giovanni e Paolo, d'angolo con la Basilica omonima, al piano nobile, sopra l'ingresso dell'attuale Ospedale Civile. Il titolo e': Arte, fede e medicina, nella Venezia di Tintoretto, aperta sino al sei gennaio prossimo.

 Una mostra che coerentemente continua un lavoro di studio e di approfondimento delle raccolte museali dell'Ospedale stesso, uno dei primi, pubblici, al mondo. Varie sezioni e differenti argomenti, sulle attivita' assistenziali della Scuola Grande di San Marco nel Cinquecento, sull'importanza dei volumi a stampa, determinanti a Venezia, sull'organizzazione capillare della Repubblica, nel tentativo di arginare le pestilenze. Il ruolo di Domenico Tintoretto, che prese il testimone artistico del padre, il quale si adopero' in modo che il figlio fosse ammesso all'Arciconfraternita e potesse operare per quella, ed il di lui ruolo durante la pestilenza del 1630-1631 (quella stessa, manzoniana, che tutti conosciamo).

Il disegno dal vero di Domenico , l'anatomia  e la sua importanza nelle pubblicazioni dell'epoca. L'accurato catalogo edito da Marsilio, segue puntualmente tutti i capitoli del percorso espositivo, completo di ampi saggi e molte illustrazioni. La terza rilevante iniziativa riguarda il Museo Manfrediniano in Campo della Salute, e questo crea uno strettissimo legame con la mostra precedente, benche' quest'ultima esposizione non sia contemplata nella pianta generale di cui ho parlato all'inizio: Adamo ed Eva di Tintoretto della Collezione Roberto Sgarbossa, presso la Pinacoteca Manfrediniana, sino al sei gennaio 2019, accompagnata da un'accuratissima pubblicazione edita da et/graphiae di Roma: Tintoretto e la Scuola della Trinita'.

La mostra e la pubblicazione sono curate da Andrea Donati e Silvia Marchiori. La trattazione riguarda la vicenda prima della costruzione della Basilica della Salute legata alla recrudescenza della peste degli anni trenta del milleseicento, cui ho fatto riferimento sopra. La situazione storica analizzata dalla professoressa Marchiori e'. quindi, quella del Priorato dei Teutonici e della Scuola della Trinita' dai Lippomano ai Somaschi. I vari passaggi  fra ordini ecclesiastici e la potente famiglia. La chiesa e la scuola, ancora riconoscibili in antiche incisioni, ed il tentativo di individuare in attuali collezioni pubbliche e private, alcune delle tele che ne facevano parte,oltre alle notizie storiche di altre che sembrano scomparse;  su tutto questo, uno studio, ricerca, ricognizione intorno alla perduta quadreria, nel saggio di Andrea Donati: Tintoretto e i dipinti della Scuola della Trinita'.

L'occasione e' importante anche per l'esposizione del dipinto tintorettiano nella Pinacoteca- accuratamente restaurato- e dall'impianto arditamente dinamico. Oltre a questo, e' motivo per visitare quello scrigno di capolavori ch'e' la Sacrestia della Basilica della Salute, la presentazione della restaurata tela di Jacopo Robusti: Le Nozze di Cana, dipinta per il refettorio dei Crociferi, opera dall'ardita prospettiva, creata per ampliare con la sua fuga di linee, l'ambiente per cui era stata dipinta. Una delle poche firmate dall'artista sembra essere stata realizzata senza preparazione e con colori instabili, per cui l'azzurro in omaggio al colore dell'abito dell'Ordine, non ci e' giunto che come una sorta di grigio. e se ne puo' solo immaginare lo splendore originario. Occasione espositiva che merita un viaggio.                           
emilio campanella

 Due mostre d'arte a Padova, a poca distanza l'una dall'altra: Antonio Ligabue, ai Musei Civici agli Eremitani e Gauguin e gli Impressionisti, a Palazzo Zabarella.

Premesso che nessuna delle due esposizioni, peraltro consigliabili, ha nulla a che fare con la citta', propongo, non solo per motivi toponomastici, di vedere prima: Antonio Ligabue, l'uomo, il pittore, per ragioni emotive, in effetti.

Se e' possibile, meglio in due giorni differenti, ma se si non si abita in citta', capisco l'esigenza di visitarle entrambe in giornata, cosa possibile e per distanza fra i due luoghi, e perche' entrambe le mostre sono costituite da un numero non eccessivo di quadri. Lo spazio espositivo dei Musei Civici agli Eremitani, riservato alle manifestazioni temporanee e',come si sa, particolarmente infelice, e, pur con tutta la buona volonta' dei curatori, le sale anguste, i passaggi stretti, non aiutano; ancora meno l'illuminazione totalmente inadatta, costituita da alcuni faretti variamente orientabili, ma nulla di piu'.

Premesso questo, esorto caldamente alla visita, soprattutto per lo spirito che anima la scelta delle opere di un artista dalla vicenda umana di profonda drammaticita'. Ovviamente la lente attraverso la quale viene guardata la sua opera e' questa, inevitabilmente, ma con molto tatto, con molto pudore, i pannelli informativi durante il percorso, scandiscono le stazioni della sua via crucis artistica ed umana.

Nato nella Svizzera Tedesca, da una donna italiana, ebbe il cognome con cui lo conosciamo dall'uomo che la sposo'. Il vero cognome era Laccabue, originario di Gualtieri in Emilia, diversamente dal Ligabue con cui e' noto. Antonio a nove mesi (era nato nel 1899), venne affidato ad un'altra famiglia, ed ebbero inizio i suoi sradicamenti.

Fin dalla scuola elementare venne considerato, oggi si direbbe, un ragazzo difficile, prima in una classe differenziale, e poi in un istituto dove inizio' a sfogare il suo bisogno di comunicare con il disegno per cui era particolarmente portato. Variamente cacciato e considerato asociale, inizio' a trovare negli animali, le creature con cui poteva comunicare, cosa che con gli esseri umani gli era praticamente impossibile.

Dopo vari vagabondaggi e lavori saltuari, ebbe anche l'occasione di vedere esempi di arte popolare , di visitare musei di pittura svizzera del XIX secolo e di rimanerne colpito. Tornato presso la famiglia adottiva, la matrigna si lamento' in sede ufficiale, del suo comportamento, e questo fece precipitare la situazione. Antonio venne espulso dalla Svizzera come indesiderabile.

La donna non si era resa conto della gravita' delle conseguenze a cui il suo gesto avrebbe portato. La posizione del ragazzo era irrimediabile. Ligabue fu portato in Italia, quale cittadino di Gualtieri, un ragazzo confuso, che a vent'anni, conosceva solo li dialetto svizzero tedesco! La mostra si apre con una lunga galleria di autoritratti in cui Antonio, quasi mai ci guarda, a volte pettinato, altre arruffato,  a prova del momento di grande tensione.

Un viso forte il suo, dal naso pronunciato , le orecchie vistose, gli occhi grandi, smarriti, un corpo disarmonico, prova degli stenti dell'infanzia. In alcuni quadri e' vestito con cura, ha un berretto, poco lontano una delle amatissime motociclette. Tutti segni di uno status symbol cercato, e talvolta, trovato. La mostra presenta un quadro "storico", del 1955-1956: Ligabue arrestato, che rievoca l'antico trauma.

Su una carrozza tirata da furenti cavalli, Antonio e' fra due carabinieri come Pinocchio, ma non si tratta del ventenne, quanto dell'uomo gia' maturo. Opera interessantissima e prova di un dolore profondo, di un trauma mai superato, ambientata in una campagna svizzera. Tutti i paesaggi che fanno da sfondo alle sue opere hanno poco di emiliano, e sono piuttosto rievocazione di una terra perduta per sempre, nonostante i tentativi di ritornarvi.

Parte preponderante della sua opera ha al centro gli animali. Cavalli, buoi, uccelli, fiere, ungulati. E' interessante notare come le bestie fissino gli occhi sull'osservatore, con forza. Le scene sono tranquille, ma anche cruente, segno, anche in questi casi, della forte emotivita' anche violenta vissuta dall'artista. Mostra di profonda sensibilita', e' curata da Francesca Villanti e Francesco Negri, e si potra' visitare sino al 17 febbraio 2019. Il bel catalogo e' edito da Skira, le opere presentate, per la maggior parte, provengono da collezioni private.

Nel percorso, anche alcune incisioni e sette bronzi di animali della Galleria Centro Steccata di Parma. Una passeggiata di dieci minuti e si arriva a Palazzo Zabarella, dove si e' accolti dall'elegante introduzione alla mostra: Gauguin e gli Impressionisti, Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard, aperta sino al 27 gennaio 2019. Il bell'allestimento, le luci perfette in ogni sala; al piano terra una premessa storica sulla nascita della collezione creata da Wilhem Hansen per la sua casa che poi passÚ allo stato danese con tutta la preziosa quadreria.

Di seguito i ritratti fotografici degli artisti esposti e le loro biografie. Al piano nobile cui si accede attraverso l'elegante scalone, la mostra che si divide in nove agili, ariose sezioni e presenta grandi nomi. Unico appunto, sul titolo fuorviante, primo perche' Gauguin, mai nulla ebbe a che fare con l'Impressionismo, termine, peraltro, all'origine, dispregiativo, e divenuto un'elegante scatola in cui vengono gettati alla rinfusa i pittori francesi della seconda meta' dell'Ottocento, in modo che il pubblico compri quella scatola, chiusa.

Comunque un'esposizione ch'e' un piacere per gli occhi, e non solo, naturalmente. Si passa da Ingres, a Delacroix, a Daumier ( magnifico il suo : Lottatore, olio su tavola del 1852, con quello straordinario sfondamento spaziale); Corot e Courbet, due sale tutte per loro. Daubigny, Dupre', Sisley, Baudin, Manet. Molte vedute di mare. Pissarro, Degas, Ce'zanne, Manet, Morisot, Renoir. Una sala per Gauguin, ed a conclusione, le nature morte di Manet, Redon e Matisse. Il bel catalogo e' edito da Marsilio.                           
emilio campanella

Percorsi espositivi fra Rovigo e Ferrara. Fino al 27 gennaio 2019, Palazzo Roverella a Rovigo, propone: Arte e Magia, Il fascino dell'esoterismo in Europa, mostra curata da Francesco Parisi. E' curioso che pochi anni orsono proprio in questa sede, Giandomenico Romanelli abbia curato un'interessantissima esposizione dal titolo: Il demone della modernita' (febbraio-giugno 2015).

In questa occasione, l'argomento vorrebbe essere maggiormente sviscerato ed approfondito, con esiti peraltro decisamente discontinui. Vengono citati molti testi, da: I grandi Iniziati di Shure' a: La'-bas di Huysman. Si argomenta molto di Teosofia ed Antroposofia.

Molte di queste realta' furono in Francia ed in Belgio. Si affronta brevemente, anche il capitolo dell'architettura  esoterica, i templi e gli altari. Si fa menzione del movimento Rosacrociano, da poco preso in esame in un'esposizione fra Solomon di New York e Peggy Guggenheim di Venezia, chiusa all'inizio di quest'anno. Sono tutti fermenti di spiritualismo di cui ci si torna ad occupare a circa un secolo di distanza.

Cosi' come le teorie di Steiner, l'Esperienza di Monte Verita' ad Ascona e poi, finalmente, streghe, demoni, stregoni e stregonerie a proposito dei quali si cita appropriatamente il : Malleus Maleficarum, Il Martello delle Streghe. Qui e' esposto il pezzo piu' curioso della mostra - bisogna dirlo - illuminata tragicamente, al solito e con la praticamente totale impossibilita' di leggere le indicazioni identificative delle opere esposte. Un po' si conoscono, e ci sono cose importanti, un po' s'intuiscono, un po' si lascia perdere poiche' l'affastellamento non e' da poco.

L'oggetto curioso è un tamburello dipinto, che rappresenta una strega belloccia, formosetta, dall'incarnato e l'opulenza quasi rubensiana, i capelli rosso fiammeggiante e scomposti dal vento, siccome è aggrappata alla sua scopa di saggina, mentre un pipistrello perplesso la guarda. Un oggetto molto divertente di collezione privata francese, intitolato: La strega, opera del 1882 di Luis Ricardo Falero.

Si continua con lo spiritismo, grande moda fin de si'ecle, e sono esposti tavolini di pregio, rigorosamente a tre gambe. Si arriva ad Ex Oriente Lux ed a tutte le mode orientalistiche, che hanno investito come un vento caldo tutta la cultura del tempo, per un momento. Un oriente amplissimo, dal Vicino all'Estremo. Si scende di un piano e la luce cambia: qui illuminazione da grandi magazzini, che tutto appiattisce, peggiorando, se possibile, la situazione, ma almeno si legge ogni indicazione di cio' che si vede.

Arriviamo alle geometrizzazioni, a Klee, a Kandinskij, incontriamo le aure e tutto cio' che vi e' legato. Munch, Kubin, Redon, tre nomi incontrati a caso al piano superiore.Una precisazione e' doverosa riguardo alla figura femminile; a cavallo del secolo ( 800/900), le streghe, da grifagne e disgustose, si trasformano in bellissime, seduttive creature, da fammes fatales, a donne diavolo, a spose del Diavolo, il passo Ë breve, e qui non dimentichiamo che Margherita, nel capolavoro di Bulgakov, quando nuda, prima del sabba, si specchia, si vede bellissima, piu' bella di quanto fosse prima.

A conclusione osservo che la mostra puo' essere l'ideale per ragazzotti e ragazzotte, il prossimo 31 ottobre. A breve distanza, in auto, od in treno, a Ferrara, Palazzo dei Diamanti presenta una magnifica, imperdibile mostra: Courbet e la natura, fino al 6 gennaio 2019. Un'esposizione accuratissima, presentata con molto gusto e colto approfondimento, di "sole" quarantasette opere, una delle quali di Jean-Baptiste Camille Corot, le altre, tutte del dedicatario della manifestazione.

Il percorso si inizia con una sala introduttiva dove trovano posto due sole opere, emblematiche: il misterioso ed intrigante: Autoritratto con cane nero del 1842 dal Petit Palais di Parigi, con le due figure in penombra, volte verso chi guarda. Un affascinante giovane uomo dall'aria decisa, con il suo cane da caccia, passione dell'artista. Di fronte: La quercia di Flagey o La Quercia di Vercinetorige del 1864 da Ornans, Muse'e DÈpartemental Gustave Courbet. Il quadro bellissimo e' significativo per ribadire la posizione del pittore nei confronti dell'Impero.

Scelta politica che gli costera' l'esilio svizzero nell'ultima parte della sua vita. La seconda sala s'intitola: Cartoline dalla Franca Contea. In ogni sala, sulle pareti sono disegnate grandi, semplici carte geografiche che indicano i luoghi cui si riferiscono le opere, oltre una gigantografia da foto d'epoca di uno di quei paesaggi. La sua Franche Conte'e, in una scelta di esterni dipinti contrastati, solo apparentemente idilliaci. Nella medesima sala: L'uomo ferito del 1844-1854 dal MusÈe d'Orsay di Parigi. Un autoritratto seduttivo, con un'aria da ragazzaccio... ferito al cuore.

Pare che il quadro abbia una storia precendente: doveva essere un doppio ritratto con accanto una signora amata, ma siccome l'amore era finito, rimase solo la ferita al cuore. Nella terza sala, un solo quadro, magnifico, discussissimo all'epoca: Fanciulle sulla riva della Senna (estate), 1856-1857, Parigi, Petit Palais. Opera interessantissima, con queste due belle ragazze sdraiate mollemente sull'erba, fra ombra e sole, sensualissime e vestitissime, mi hanno fatto pensare a Giorgione,a Tiziano, a Veronese, normale riferimento, data la grande cultura dell'autore!

Questo quadro ebbe un grande seguito, quando molti pittori successivi dipinsero la Senna, la vita lungo il fiume, i luoghi, i riti sociali, la bellezza, la seduzione, gli amori. Natura e figura nella quarta sala. E qui mi sono domandato quanto potessero essere veramente rivoluzionarie queste visioni di natura, che per noi hanno un'apparenza cosÏ pacata. Molte grotte, molte sorgenti, molti paesaggi rocciosi, e poi tantissimo mare dalle luci straordinarie: mari calmi, mari in tempesta, al tramonto, all'alba, al chiaro di luna, e poi le onde... eh si Hokusai e l'Ukiyo-e, cominciavano ad essere molto noti in occidente e ad influenzare ed ispirare tanti, ma queste sono le onde forti e grandi di Courbet, sono proprio sue.

Nella sala undici, la Svizzera e gli anni dell'esilio. Tre laghi (Lemano), le Alpi, il Chateau de Chillon, cosÏ intrisi della malinconia dell'esule. A conclusione, gli animali, la caccia. Quadri di grande forza e drammaticita', bestie bellissime, braccate, disperatamente in fuga, o disperatamente consapevoli della fine imminente. Prendetevi molte ore per godervi questa esposizione memorabile, fissata sulla carta dal bel catalogo edito da Ferrara Arte.                          
emilio campanella

Chi mi legge da qualche tempo, avra' notato come ultimamente abbia la tendenza a recensire le mostre a coppie, se c'e' un qualche legame, tematico, geografico, di contiguita', od altro. In questo caso si tratta di legame istituzionale, e vicinanza toponomastica. Istituzionale, siccome si tratta di due esposizioni organizzate dai Musei Civici Veneziani, e toponomasticamente non lontane, essendo esposte in due importanti palazzi sul Canal Grande.

Iniziero' con: La vita come opera d'arte. Anton Maria Zanetti e le sue collezioni, a Ca' Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, sino al sette gennaio 2019. Curata dal direttore del museo, Alberto Craievich, con la consueta attenzione e precisione scientifica, tenta, con successo, un ritratto di intellettuale, artista, collezionista del Secolo dei Lumi. Il percorso espositivo si snoda nelle sale del primo piano nobile, passato il Salone da Ballo e comprendendo il salone centrale. Anton Maria Zanetti di Girolamo, per non confonderlo con l'omonimo, piu' giovane cugino, celebre bibliotecario della Biblioteca Marciana. L'esposizione, gia' molto contestualizzata nel luogo che la ospita, e' assolutamente veneziana per le radici culturali che ancora legano cio' che rimane delle numerosissime collezioni di disegni e stampe di Zanetti.

Infatti, cio' che e' esposto, e non e' poco, proviene dalla Fondazione Giorgio Cini, Dalla Biblioteca Nazionale Marciana, dal Gabinetto di Disegni e delle Stampe del Museo Correr, dalle Gallerie dell'Accademia. Fu disegnatore, incisore, editore, collezionista, mercante. Amico di artisti come Canaletto, Rosalba Carriera, Sebastiano e Marco Ricci, Giambattista Tiepolo. La mostra segue passo passo tutte queste straordinarie inclinazioni, presentando un'ampia scelta di opere divise in capitoli-sezione per dare un'idea della molteplicita' e della varieta' di interessi di questo coltissimo intelletuale del suo tempo. Archeologia, diremmo oggi, gemmologia, come arte applicata ad altissimo livello; non manca lo Zanetti autore di gustosissime caricature, in quell'Album della Fondazione Giorgio Cini, presente e già esposto, anni or sono a Palazzo Cini.

Una straordinarie serie di stampe a chiaroscuro, da Parmigianino, del Museo Correr, e poi opere di Giambattista Tiepolo, Jacques Callot, Palma il Giovane, Rembrandt, Cornelis Cort, Durer. Antiga ha pubblicato, con i Musei Civici Veneziani, un ampio, documentatissimo, illustratissimo catalogo ricco di saggi di grande interesse. A Ca' Pesaro, Galleria Internazionale d' Arte Moderna invece, sino al sei gennaio 2019, un'altra importante occasione espositiva: Angelo Morbelli, Il poema della vecchiaia. Mostra sponsorizzata dalla Banca Corne'r di Lugano, ch'è all'origine del progetto curato da Giovanna Ginex. Il presidente, Paolo Cornaro, da cui il nome dell'istituto di credito, rigorosamente con l'accento scritto in rosso, perchË non diventi: corner all'inglese, collezionista in proprio, si occupa delle acquisizioni artistiche per la banca; una collezione di arte italiana di fine Ottocento. Lo scorso anno, venne avvertito dell'imminente arrivo, sul mercato internazionale, di un'importante opera divisionista.

Alla vendita la acquistò ed ora e' qui di fronte a noi, insieme agli altri cinque quadri che compongono quello ch'e' un vero e proprio polittico. La mostra, al terzo piano del palazzo, consta di due sale; la prima introduttiva, con opere di artisti coevi acquistati dallo stesso museo, in occasioni delle biennali di quegli anni, e sono di Luigi Nono, Ettore Tito, Ignacio Zuloaga, 'Emile Claus e Lino Selvatico (che ebbe proprio in queste sale, una sua mostra nel 2016). La seconda sala e' quella dedicata al Poema della vecchiaia ed alla ricostruzione del lavoro di Morbelli, presentato alla Quinta Esposizionale d'Arte della Citta' di Venezia (la Biennale) nel 1903. Questo in una gigantografia del padiglione della Lombardia di quell'anno, come erano esposti i quadri, e la loro riproposta nella stessa posizione di allora. Il poema della vecchiaia prende le mosse da un lungo lavoro di studio, del pittore, nel Pio Albergo Trivulzio di Milano, casa di riposo per anziani poveri, istituzione cittadina nata nel 1766.

Molto dipinse, l'artista, disegno', studio' i volti, le figure, gli ambienti, le atmosfere. anche attraverso la fotografia. Il risultato che vediamo ha un tratto di eccezionalita' espositiva siccome le Biennali esponevano, generalmente, un massimo di due opere per ogni artista. Morbelli peroro' la sua causa sostenendo che i sei quadri costituiscono un'unica opera. Le sue motivazioni vennero accettate ed in seguito il museo acquisto': Il Natale dei rimasti ch'e' il motivo principale della contestualizzazione dell'esposizione in queste stanze. Sono esposti assieme, disegni, studi, nelle teche, documenti, opere a stampa: La sedia vuota, di Collezione privata, I due inverni, sempre di Collezione privata, Mi ricordo quand'ero fanciulla, da Tortona "Il Divisionismo", Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, Vecchie calzette, Lugano, Collezione Cornér Banca; ed e' l'opera acquistata di cui ho parlato e proveniente da Montevideo; da ultimo, Siesta invernale, da Alessandria, Museo Civico e Pinacoteca. Nella stessa sala: Ruscello di Anders Zorn, 1900, anche questo di Ca' Pesaro, che Morbelli avrebbe desiderato fosse esposto in quel 1903, accanto ai suoi lavori, per creare un raffronto fra le due maniere pittoriche.

La sua in particolare, divisionista, costituita da piccolissimi tratti che e' doveroso vedere da molto vicino per rendersi conto del tipo di tecnica utilizzata onde rendere l'effetto di pulviscolo di luce che risulta la resa a distanza. Lo scorso anno, poco lontano, a Ca' Corner della Regina, gia' lungamente sede dell'ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale, la Fondazione Prada presento' un'interessantissima mostra giocata sulla rappresentazione e la trasversalita': The boat is leaking, The Captain Lead. Due sale erano dedicate ad Angelo Morbelli, una con sette dipinti relativi al Pio Albergo Trivulzio, l'altra che ricostruiva la sala con i banchi, le stufe a parete. Un 'installazione in cui si poteva entrare e sedersi come i vecchi abbandonati dei dipinti. L'opera di Anne Viebrock, s'intitola: Courtroom (2017). Tornando a Ca' Pesaro aggiungero' che Morbelli torno' lungamente su quel lavoro, anche in anni successivi, e che quei soggetti ebbero grande successo. Un mondo di anziani poveri e soli, lo stesso mondo dello scapigliato Bertolazzi di El nost Milan ed altri testi con i suoi poveri disperati... forse proprio gli stessi.

Skira con i Musei Civici e Banca Corner, ha pubblicato un accuratissimo catalogo.
                           emilio campanella