ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Settembre 2011


VENEZIA 68, UN INIZIO! - CARNAGE - A DANGEROUS METHOD - WILDE - AMORE CARNE - IL VILLAGGIO DI CARTONE - ULTIMO GIORNO DELLA 68a MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA - FAUST - DALLA FIGURA ALLA FIGURAZIONE


I tristi leoni ossidati, falsamente trionfanti, con le loro ali spiegate, non convincono neppure se stessi, dopo l'inizio fulgente di alcuni anni or sono.
Ora sono sparsi malinconicamente, per l'isola del Lido, senza che nessuno abbia avuto la gentilezza di rinfrescarli con un po' di porporina.
Molto meglio l'omaggio che tributa alla LXVIII Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, il bel negozio di giocattoli LIDO GIOCHI (Gran Viale Santa Maria Elisabetta, 31), con una bella, elegante, spiritosa, affettuosa vetrina che propone un red carpet acqueo, con ali di pelouches festanti all'arrivo di divi, altrettanto di pelouche, in gondola.              
Ora i primi due film: RUGGINE di Daniele Gaglianone, GIORNATE DEGLI AUTORI, ed IDI DI MARZO di e con George Clooney, film di apertura della Mostra.
Due righe per RUGGINE: tratto dall'omonimo romanzo di Stefano Massaron, che non compare come sceneggiatore, si divide in due piani narrativi, negli anni sessanta ed oggi; un mondo piu' o meno segreto di bambini e di luoghi da cui gli adulti sono esclusi, abbastanza credibile, in cui i ragazzi sono piuttosto convincenti, a parte l'orco perbene: un Filippo Timi pediatra assassino di bimbe, eccessivo, baraccone ed improbabile non per colpa sua.
Ma sono poco in parte, pur se volenterosi: Accorsi, Mastrandrea e Solarino.
Non giovano l'impianto ed il montaggio vagamente espressionistico, la musica ingombrante, il riferimento ad M, ancor meno.
Con una bella sforbiciata, forse se ne potrebbe fare qualcosa... forse!
Interessante la seconda prova di Clooney regista, anche in questo caso rigoroso e stringato, con all'attivo un'ottima sceneggiatura, un notevole montaggio, un ritmo crescente che diventa molto teso verso la fine, quando le vicende private s'intrecciano con la campagna elettorale per le primarie di un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, e la lotta diviene, veramente, senza esclusione di colpi, come si sa!
Una notazione importante riguarda la lealta' in politica, ed una osservazione relariva ai rapporti fra uomini politici e stagiste... ma qui, noi, stentiamo a capire... viviamo in un mondo MOLTO lontano!

emilio campanella 
CARNAGE di Roman Polansky, con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly, 79 minuti, in concorso.
Prima di parlare di questo imperdibile film, sara' doveroso spiegare perche' la mia recensione arrivi con 24 ore di ritardo.
Si tratta della riduzione del numero di proiezioni, la quale fa si che ieri mattina la sala Darsena abbia lasciato fuori la meta' dei giornalisti dei periodici, e tutti quelli definiti 'media press' come noi, senza contare alcuni quotidianisti ritardatari!
Ho saputo che non e' stata fatta una proiezione aggiuntiva, e quindi eccoci a questa mattina ed allo scontento generale, piu' e piu' del solito con la Biennale!
Veniamo ora allo stringatissimo film di Polansky, che ancora una volta, dopo il Pianista, a suo modo, ed Oliver Twist, si occupa dei bambini e del loro mondo, ma questa volta, dal punto di vista degli adulti.
Tratto dalla bella pièce LE DIEU DU CARNAGE di Yasmina Reza (appena edita in Italia da Adelphi) che ha collaborato con il regista, alla stesura della sceneggiatura, accogliendone le richieste di trasformazione e di adattamento, si svolge unicamente in interni, a parte un breve antefatto ed un finale, al solito MOLTO ironico.
E' una partita a quattro fra due coppie di genitori che debbono discutere intorno all'aggressione fisica del figlio degli ospiti, contro quello dei padroni di casa.
Si parte in maniera gia' tesa, ma molto controllata e civile, per poi esplodere gradualmente e poi definitivamente sibilandosi addosso i peggiori insulti in un gioco di tutti contro tutti.
La regia abile e sottile, come si può immaginare, e dai movimenti di macchina sapientissimi, osserva queste quattro belve in gabbia cogliendo tutti i punti esilaranti, e non sono pochi.
L'interno borghese ha delle stonature di grande livello, come un orribile mobile svedese, grande merito dello scenografo.
L'ottimo lavoro di Milena Canonero, sugli abiti di scena, contribuisce a delineare le personalita'.
Gli attori sono perfetti e lavorano 'come in teatro', le prove si sono svolte con il medesimo sistema.
Il film e' stato girato in ordine temporale della vicenda, e si vede l'unita' di tensione e di atmosfere.
Avrete capito quanto la pellicola sia veramente ferocissima; consiglio di vederla, se possibile, in originale.
Una risata liberatoria quando un feticcio dei nostri tempi affondera' in un vaso di fiori, ma gia' precedentemente qualcuno avra' vomitato sui mostri sacri dell'arte del novecento.
Le sfaccettature e le chiavi di lettura sono molteplici! Fate attenzione, che il regista si e' ritagliato una comparsata... quando?

emilio campanella

A DANGEROUS METHOD di David Cronenberg, 99 minuti, in concorso.            
Il fedele Mortensen è ancora una volta in un'avventura di Cronenberg, che ci racconta un triangolo terapeutico che si gioca spazialmente fra Berlino, Vienna e Zurigo, fra Sigmund Freud (Mortensen), C. Gustav Jung (Michael Fassbender) e Sabine Spielrein (Keira Knightley).
Condotto con controllata abilita', il film snocciola abilmente, grazie ad una sceneggiatura puntuale, la teoria delle libere associazioni, il metodo maieutico, la teoria del transfert, e veleggia coerentemente , in barca sul lago di Zurigo, naviga sull'oceano con un bastimento, puntutamente fa un'osservazione sul futuro della psicoanalisi negli Stati Uniti, cita con molta giustezza Wagner nella colonna sonora. Tutto e' abbastanza giusto, elegantemente e costosamente confezionato... insomma, un po' un bignami di lusso, di quelli rilegati in marocchino rosso, con la costa dorata ed il segnalibro di seta...
Bene gli attori, anche Cassel ch'e' Otto Gross, credibilissimo Fassbender, misuratissimo Mortensen, e lodevole Knightley, che sta crescendo, come anni or sono non era dato sperare... si vede volentieri, non ci sono picchi, ne' cadute, ma neppure invenzioni oniriche, purtroppo/per fortuna!

emilio campanella

WILDE Salome' di Al Pacino, 95 minuti, fuori concorso.
Quando ho letto sul programma, la presenza di questo film mi sono immediatamente rallegrato al pensiero di un nuovo studio sul teatro, dopo quello intorno a Riccardo III (Riccardo, un uomo, un re) di alcuni anni or sono, del grande attore americano.
Qui Pacino, da subito confessa la fascinazione esercitata su di lui, dallo straordinario testo di Wilde.
Anche in questo caso costruisce una sorta di documentario, back stage in progress intrecciando il film con una rappresentazione teatrale rigorosa nata per la pellicola.
Il lavoro di studio e preparazione segue parallelamente le prove in palcoscenico, la lavorazione della pellicola, gli studi del regista sull'autore, spezzoni di film antichi, interviste, ricostruzioni fascinosamente 'peplum', ma in punta di matita; alcuni momenti in
cui Pacino e' lo stesso Wilde.
Scandaglia l'autore, i personaggi, la societa' del tempo, la tragedia del carcere, alla luce di oggi, e cercando di comprendere la societa' dell'inizio del secolo scorso.
Nella finzione scenica interpreta Erode, mentre Salome' e' l'interessante Jessica Chastain, Kevin Andreson e' Jokanaan, mentre Roxanne Hart e' la magnifica Erodiade.
Conosco molto bene il testo per averci lavorato, negli anni, a varie riprese, e debbo ammettere di essermi profondamente emozionato in alcuni momenti, come all'inizio, quando l'atmosfera distilla veleni, o notando il gioco di sguardi fra Narraboth ed i paggio di Erodiade, e specialmente apprezzando l'atmosfera cupa, l'aria perante, l'ala nera che incombe su ogni cosa.
Tutto, come dicevo, amalgamato con tono brillante ed intelligente, sino al finale... nel deserto.

emilio campanella

AMORE CARNE di Pippo Delbono, Orizzonti, 75 minuti     
Un altro viaggio di Pippo, dopo lo spettacolo ed il libro omonimi DOPO LA BATTAGLIA di cui condivide molti temi.
S'inizia con un ricordo omaggio dedicato a Pina Bausch, ad Avignone, questo 'piccolo' film di grande intensita' e poesia, dolcissimo e violento, elegiaco e corrusco, girato molto abilmente con un cellulare; montato in maniera fascinosa e rapinosa.
Assomma molteplici temi e suggestione che sono un fascio di pensieri, osservazioni, approfondimenti sulla vita, sulla morte, sulla guerra, sulla sofferenza... insomma, i 'soliti' temi che Delbono affronta e dibatte da anni.
Ricorda la scoperta delle lesioni ad un occhio, molti anni fa, pensa alle sue regie, nate, forse da quell'esperienza. Fa il suo coming-out sanitario, ruba immagini in un centro prelievi in un lungo episodio, e nota come siano passati ventidue anni dall'inizio della sua malattia. L'atteggiamento e' critico come di chi si osservi, poi in un bellissimo ristorante antico la musica del quartetto di Alexander Balanescu.
Un altro lungo capitolo riguarda la figura della madre, molto amata, molto discussa, la sua grande paura di perderla.
Poi ruba ancora altre immagini straordinarie ad una scuola di ballo liscio... teatro-danza spontaneo!
Osserva vetrine di giocattoli con lupi in movimento, bancarelle di inquietanti pupazzi e bambole meccanici; i volti e gli sguardi in una scuola.
Ritorna alla sieropositivita' ed evoca l'accettazione all'atto della notizia.
Riprende Balanescu che suona il suo straordinario violino, e che ricorda l'amatissima madre, una madre come l'acqua di un fiume, la definisce, ed i suoi sacrifici per pagare le lezioni di violino del figlio... tanti incontri, Bobo' e Marisa Berenson, nel teatro dell' Aquila, distrutto poco tempo dopo... la Berenson e Tilda Swinton, Luca Ballare' che fa un solo.
E poi, una fortissima esplosione di dolore, detto, cantato, pianto, urlato. Poi, l'ultima immagine, quella descritta e raccontata all'inizio: da una terra sofferta e spaccata rinascono piantine verdi.  

emilio campanella
IL VILLAGGIO DI CARTONE di Ermanno Olmi, 87 minuti, fuori concorso.                             
Il film si inizia con lo smantellamento di una chiesa, dai suoi arredi piu' preziosi, che gia' non sono molti, con le macchine rumorose che violentano un luogo che qualcuno ha deciso, non sara' piu' sacro.
Gli operai spostano le panche, un elevatore si avanza sino all'altare maggiore, e sale sino a permettere di imbragare il dolente crocifisso che comincera' a vorticare su se stesso, sospeso nel vuoto.
Ricordo un'altro crocefisso rapito, nell'interessante Corpo Celeste di Alice Rohrwacher, ma qui la disperazione dell'anziano parroco e' ancora piu' profonda.
Il bel volto segnato e dolente di Michel Lonsdale (un altro religioso di grande coraggio, dopo quello di Uomini di Dio) comunica un dolore intensissimo, di uomo spogliato di tutto cio' in cui crede, nonostante le rimostranze del cinico sacrestano (Rutger Hauer). 
La chiesa nuda e', pero' un luogo ancora piu' forte, nella sua rigorosa essenzialita' moderna.
Lui portera' un piccolo bellissimo compianto sull'altare, a riconsacrarlo come puo'.
Ma intanto, fuori, accadono cose tremende - il film e' tutto in interni - ed un senso di minaccia circonda l'edificio: suoni di motori, sirene, esplosioni di proiettili.
Dopo un episodio di omelia solitaria, una notte di pioggia battente, qualcuno, alla spicciolata si rifugia in chiesa: sono profughi braccati, una giovane partoriente, un ferito. La chiesa torna ad avere un senso ed il coraggio del vecchio parroco,  la sua statura morale dànno forza alla sua presenza, alle sue parole. Il fonte battesimale viene posto sotto una vetrata che lascia entrare la pioggia, l'acqua verra' riscaldata con i ceri e servira' per il parto... ogni cosa ritrova una sua sacralita' viva e reale, utile alla vita.
Quando Lonsdale si accorge del nuovo nato intona il VENITE ADOREMUS, e quel bimbo e' troppo grande come nelle nativita' rinascimentali.
Il vecchio prete cerca di capire, non e' sicuro di riuscirci, ma usa i suoi strumenti di conoscenza per mettersi in discussione e poterli utilizzare veramente per una contingenza reale, un'urgenza drammaticissima.
Due dialoghi molto importanti: quello di dimensione quasi bergmaniana con il medico (Massimo De Francovich) e l'altro, di grande contrasto e ccontro istituzionale e di caratteri, con Alessandro Haber (il graduato).
Il coro degli africani, ( bravissimi tutti) si muove in una dimensione teatrale, talvolta, forse esteticamente troppo curata, da mistero sacro, ma con alcuni schematismi caratteriali che denunciano un desiderio di comprendere, del protagonista, e del regista stesso, che non poche volte, pero', prende, per il tramite del suo personaggio, posizioni di grandissimo coraggio, e di denuncia, che continuano un importante discorso iniziato con I CENTO CHIODI.
Un commento silenzioso e' quello delle immagini del televisore muto che racconta un naufragio senza tempo. Commento sonoro straordinario, ed usato con estrema discrezione, quello dei magnifici brani di Sofia Gubaidulina.

emilio campanella

Prima di occuparmi dell'agognato, e finalmente visto ieri, FAUST di Alexander Sokurov, accennero' ad alcuni premi, una volta, si diceva, di consolazione, e ad alcune speranze infrante.
Scordiamoci CARNAGE perche' gli e' stato assegnato il Leoncino d'Oro AGISCUOLA, e fuori uno: a TERRAFERMA, il premio dei critici cinematografici 'Francesco Pasinetti', il FUTUR FILM FESTIVAL DIGITAL AWARD, per meriti tecnici a FAUST, e ne parlero' sotto.
Nota gioiosa il QUEER LION al bellissimo WILDE SALOME di Al Pacino.
Veniamo ora allo straordinario film di Sokurov, ultima parte della tetralogia sul potere, dopo Moloch, Taurus, Il sole.
La pellicola si inizia con una sorta di onirico prologo in cielo, con uno specchio sospeso, e poi con una visione a volo d'uccello di monti sino alla cittadina su cui incombe un'enorme montagna.
Faust (Johannes Zeiler) sta compiendo una cruentissima dissezione alla ricerca dell'anima, Wagner (Georg Friedrich) lo aiuta.
Faust va a trovare il padre, una specie di cerusico assassino; si reca poi dall'usuraio Mauritius (Anton Adasinskij) personaggio ambiguo ed inquietante, sulfureo, sicuramente demoniaco, forse; ributtante quando lo vediamo nudo in mezzo alle lavandaie, il corpo dalle masse muscolari quasi incomprensibili, la forma come di una pera guasta, senza sesso evidente,  forse e' in fondo alla schiena, ma invece potrebbe essere una piccola coda... cammina quasi zoppicando... un incubo, come tutto il film; tutto un po' stravolto, riletto da Goethe, fra le righe come suggerisce il regista.
C'e' tutto il primo Faust, ma come sognato dai vari personaggi, il cui mondo onirico s'intrecci, si affastelli, si scontri.
La taverna di Lipsia e' un po' diversa, qui Valentino muore accidentalmente con responsabilita' colposa del macerato protagonista. L'ossessione per Margherita porta al patto demoniaco, la madre verra' avvelenata dall'usuraio, e la ragazza vivra' il suo peccato con il dottore.
Dopo un viaggio sotterraneo Faust la trovera' che gia' si strugge nei sensi di colpa, sulle rocce che attorniano un laghetto.
Abbracciatala sprofonderanno nell'acqua affondando, e lasciando solo piccole onde circolari. Si assiste affascinati, catturati, avvinti da questo spaventoso incubo collettivo. Il film dura 134 minuti, la prima volta che ho guardato l'ora controllando la provenienza di una chiamata in arrivo sul cellulare silenzioso e vibrante, ne erano passati 120... e ne mancavano solo 14 alla fine... che disdetta!
Il film e' costellato di suggestioni, estetiche, grazie agli obbiettivi grandangolati, le inquadrature oblique, i viraggi, in una visione molto espressionista; ho molto pensato a Dreyer; le visioni prendono le mosse da Bruegel, ma anche Durer, e finanche Tiziano; ho ritrovato inquietudini Hoffmanniane. Ci sono momenti altissimi come la morte di Homunculus, o tragicamente esilaranti come il carro dei porci ed il feretro incastrati; il viaggio a piedi dei due eroi, coperti di pesanti armature che stridono contro rocce aguzze e passaggi strettissimi di montagna, sino ad un paesaggio islandese di geyger quando Faust straccera' il risibile contratto e lapidera' l'usuraio, per poi continuare il suo viaggio verso la perdizione, sicuramente, degli altri che avranno a che fare con lui! In mezzo a tutto questo 'stream of consciousness' collettivo, alcune lussuose apparizioni di Hanna Schygulla, moglie sempre scacciata, dell'usuraio, che si deve essere divertita un mondo facendo due o tre camei da pazzerella!

In chiusura, una nota sul film in concorso, di Johhnie To ( DUO MINGJIN, 107 min, ), anomalo nella sua produzione, ma sempre crudele, ironico, cinico. Alcuni personaggi si sfiorano senza conoscersi e sono legati dal denaro. Il crollo della borsa determina il loro destino; 10.000 Yuan, andranno, in parti uguali, a due di loro cui non erano destinati.
Piccole vite di gente che si arrabatta; minuti e grossi delinquenti malavitosi giocano in borsa, qualcuno si arricchira', altri ci lasceranno la pelle. I piccoli risparmiatori perderanno tutto, come è accaduto spesso negli ultimi tempi, Con l'abituale ritmo tenuto, attori bravissimi, ma anche molta pubblicità, qualche scena 'senechiana' esilarante.                                      
E cosi', anche questa Mostra di buoni films e pessima organizzazione si e' conclusa con una premiazione controversa di cui parleremo ancora, ma solo per fare due osservazioni; un immeritato Premio Speciale della Giuria ad Emanuele Crialese per TERRAFERMA ed un Leone d'oro, si, previsto, ma MERITATISSIMO al meraviglioso FAUST di Sokurov

emilio campanella

DALLA FIGURA ALLA FIGURAZIONE nel Novecento Italiano e' il titolo della mostra presentata il nove Settembre scorso, e che sara' possibile visitare a Venezia, a Palazzo Loredan (c.po S. Stefano), sede dell' ISTITUTO VENETO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI, sino al sei Novembre prossimo.
Si tratta di una scelta di tutto rispetto, di opere novecentesche, dalla collezione Giuseppe Merlini.
Se la scelta e' indubbiamente di tutto rispetto, come, dal sontuoso catalogo edito da Silvana, e' dato vedere, anche la collezione nella sua totalita' (consta di trecento opere) pare risultare notevolissima, il problema nasce dall'esiguita' degli spazi delle due salette del pian terreno del palazzo, che non permettono, e di dare il giusto respiro, basse d'aria come sono, e neppure di esporre piu' ampiamente  i quadri e creare un percorso.
Non basta affiancare nomi come Modigliani, De Chirico, De Pisis, Savinio,  Guttuso, Severini, Morandi, Baj, Morlotti,  Campigli, Fontana, Adami, Tozzi, Guccione, fra gli altri, e neppure porre il problema, importantissimo, della conservazione del opere moderne, se tutto e' ristretto ed appena accennato, e neppure sono sufficienti le grandi foto d'epoca, peraltro molto belle, dell'ingresso... ci si domanda il senso e lo scopo di una simile operazione!
Fortunatamente, venerdi' scorso non mi sono scapicollato, a rischio di perdere il FAUST di Sokurov!
Questi EMBLEMI DA UNA COLLEZIONE, come recita un ulteriore sottotitolo non sono certo rappresentativi, così come sono presentati, della prima esposizione al pubblico, di un'importante collezione privata!
    
emilio campanella                                                     

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