ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Ottobre - Novembre 2017


LINO SELVATICO - OMBRE ED AMBRE - CARLO BONONI - VISITAZIONI E RIVISITAZIONI - LE TRAME DI GIORGIONE - AUTUNNO GUGGENHEIM - YAMAMURA - TIEPOLO CHEZ PALLADIO - OPERAI A PALAZZO - RIVOLUZIONE GALILEO - FINE STAGIONE - AMENOFI II - DENTRO CARAVAGGIO
Lino Selvatico, mondanita' e passione quotidiana. Ci eravamo lasciati lo scorso anno a Ca' Pesaro, a Venezia in occasione della mostra: Lino Selvatico.

Una seconda Belle 'Epoque che aperta dal 14 Maggio al 31 Luglio 2016, aveva iniziato un discorso di conoscenza e rivalutazione di questo pittore veneziano, "casualmente" nato a Padova.

Ora proprio al Musei Civici agli Eremitani di Padova, un ideale secondo capitolo, tentativo di approfondimento intorno a: Lino Selvatico, mondanita' e passione quotidiana, esposizione che il pubblico potra' visitare sino al 10 Dicembre.

Alla base del lavoro dei curatori Davide Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi, Federica Millozzi, il desiderio dei famigliari dell'artista, di ampliare il discorso di ricerca, anche grazie ad un taccuino ritrovato recentemente, e ricco di informazioni legate alle leve che hanno mosso l'ispirazione del pittore, ed anche un corpus di disegni, oltre un'importante numero di opere grafiche mai mostrate in pubblico.

Se un appunto occorre fare alla mostra, ma solo uno, e' l'infelicità ed esiguità degli spazi, gia' precedentemente riscontrata, ma questo fa si che le sale del museo non vengano, come accade altrove, sacrificate agli eventi temporanei.

Certo i grandi ritratti soffrono del poco respiro nelle sale basse d'aria, e soprattutto nel primo corridoio dove alla parete opposta sono addossate le vetrine con i disegni. Si sgomita un po' e la profondita' doverosa non c'é, meglio le sale successive con opere di dimensioni minori.

Si ritrova e si ribadisce la felicita' espressiva di Selvatico nel ritratto femminile e specialmente della sua musa ispiratrice, la moglie Francesca, ma anche altre figure misteriose e fascinosisime ci colpiscono, ci guardano, ci attirano nella spirale della loro seduzione.

Le ritroviamo nei disegni in cui i temi si reincontrano, ricorrono, cosi' come nella grafica che qualcuno non apprezza, per quanto, secondo me, mostri un lavoro di ricerca di nuovi sbocchi ispirativi e stilistici quali forse ci avrebbero sorpreso se la morte prematura in un incidente di moto, pare per evitare un passante, non l'avesse interrotto bruscamente nel 1924.

La mostra di divide in sei sezioni: Mondanita', con ritratti dedicati alla committenza borghese ed aristocratica. Vita quotidiana, con soggetti piu' intimi ed affettuosi.

Francesca, la moglie, una bella signora fermata in vari momenti. La donna, tematica principe del lavoro di Selvatico. Disegni, da guardare con attenzione, per osservare la mano prima dei dipinti. Stampe di cui ho detto sopra.

Cito solo un dipinto, che amo molto: La maschera ( 1920, c.a collezione privata), quadro misterioso e seduttivo, elegante e sospeso in un'atmosfera come di gioco magico. Ricordo che pare come un'opera di Lino Selvatico, presente al Prado di Madrid, sia andata perduta durante la rivoluzione. Il catalogo edito da Grafiche Turato Edizioni non e' scevro da imperfezioni come non lo é quello edito dai Musei Civici Veneziani lo scorso anno.

Assieme possono, forse, fare un buon catalogo.

emilio campanella

Linee d'ombra e d'ambra a Vicenza. Mi si permetta il facile gioco di parole. Linea d'Ombra produce la nuova mostra di Marco Goldin alla Basilica Palladiana di Vicenza: Van Gogh tra il grano e il cielo, sino all'8 Aprile 2018, mentre della via dell'ambra si occupa la piccola, preziosissima esposizione a Palazzo Leoni Montanari: Le ambre della principessa, Storie e archeologia dall'antica terra di Puglia, sino al 7 Gennaio 2018.

Giocando ancora con le parole, bisogna affermare che il nuovo lavoro di Goldin, e' molto in ombra, ma nel senso buono, ed anche ottimo, relativo all'allestimento ed alla cura  dell'illuminazione siccome l'esposizione che presenta un altissimo numero di disegni poco o punto noti, dell'inizio della ricerca formale dello sfortunato Vincent, e' giustamente in penombra, e le non numerosissime tele, ma comunque un buon numero, certo, sono illuminate con attentissima cura scenotecnica con sagomatori teatrali che le fanno risaltare con un effetto emozionale sicuro.

Un percorso dell'anima, lo definisce Goldin, che cerca di introdurci alla fatica artistica ed esistenziale dello spirito inquieto di Van Gogh.

Ci parla dei suoi inizi con il disegno, dei suoi studi, dell'ispirazione che vediamo, legata al lavoro dei campi dei suoi modelli, ma anche ai lavori manuali di altro tipo, di povera gente; poi sono le nature morte ed i paesaggi, quando non pote' piu' avere persone come ispirazione, e piano piano, gradualmente la comparsa del colore nelle opere su carta, agli albori della scoperta di un cromatismo sempre piu' personale, fino a quelle caratteristiche che ne continuano a decretare il grande successo di pubblico.

Dietro tutto questo, un anno e mezzo di lavoro di preparazione fatto anche scavando molto nello sterminato epistolario. La mostra presenta centoventisette opere fra cui oltre ottanta su carta e circa quaranta su tela.

Per la maggior parte provengono da un prestito importante del Kroller-Muller Museum, The Netherlands, Otterlo. Altre, invece, da Cardiff L'Aia, Edimburgo, Amsterdam, Colonia, Utrecht. Solo tre dipinti non sono del dedicatario della manifestazione: la prima di Joseph Israel, la seconda di Jacob Maris ed ovviamente Il seminatore di Jean François Millet, suo grande ispiratore, in prestito dal Amgueddfa Genedlaethol Cymru, National Museum of Wales di Cardiff. Il percorso espositivo che ha narrato la breve parabola della vita e della pittura dell'artista, conclusasi in circa dieci anni, si chiude con un modello: la ricostruzione dell'istituto per malattie mentali di Saint Paul de Mausole a Saint Re'my dove scelse di ricoverarsi fra il 1889 el il 1890.

Un film della durata di un'ora: Van Gogh, Storia di una vita, scritto e raccontato da Marco Goldin, coadiuvato alla regia, da Massimo Iaquone e Luca Attilii, viene proiettato ininterrottamente durante l'orario di apertura della mostra. Il catalogo, dallo stesso titolo dell'esposizione, e' edito, naturalmente, da Linea d'ombra.

Nel poco lontano e magnifico Palazzo Leoni Montanari, come ho anticipato sopra, al piano nobile ed in tre sale, una esposizione di grande accuratezza intorno a due importantissime sepolture apule della zona di Ruvo di Puglia: La Tomba delle danzatrici, appartenente ad un guerriero, cosi' soprannominata dal fregio notissimo che percorre le quattro pareti e rappresenta un coro di fanciulle danzanti e di cui qui e' esposta una importante lastra affrescata, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, risalente al IV sec. a.C., insieme con vasi a figure rosse ed un foglio dipinto raffigurante la camera sepolcrale all'atto del ritrovamento.

Della Tomba delle Ambre, differenti reperti, tutti fra il VI ed il IV sec. a. C., fra cui appunto le resine fossili in varie forme ed altri piccoli oggetti come fibule e spilloni; un corredo riunito per la prima volta dopo centocinquanta anni. Anche qui vasi importanti e fogli dipinti che ne riportano con molta cura le scene. Tutto e' contestualizzato storicamente in quella nascita dell'archeologia moderna che muoveva i suoi primi passi di nuova scienza.

L'ultima sala e' dedicata al collezionismo sette-ottocentesco ed alla creazione di musei i quali dovevano superare l'antica concezione delle wunderkammer che ne erano state le antenate. Marsilio pubblica il piccolo, accuratissimo catalogo, quarto della collana:Il Tempo dell'Antico.

emilio campanella


Carlo Bononi, l'ultimo sognatore dell'Officina Ferrarese, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, sino al 7 Gennaio 2018                                       

A dispetto dei restauri in corso, e del percorso espositivo appena piu' breve, importante ed accurata la nuova mostra proposta da Ferrara Arte, nonostante le enormi difficoltà economiche che hanno imposto tagli drastici anche ai materiali informativi forniti alla stampa che in effetti alla presentazione del 13 ottobre, era in misura decisamente minore in confronto al solito, vuoi, forse, per il nome meno noto, vuoi per le restrizioni organizzative, peraltro funzionate benissimo in una citta' che ancora risente dei gravi postumi del terremoto di alcuni anni or sono.

Esposizione di grande accuratezza, la prima sull'artista, si consiglia caldamente, e per il rigore scientifico, e per l'interesse del pittore stesso.

Certo, lo scorso anno, la manifestazione dedicata a Ludovico Ariosto ed al suo poema, era la punta di diamante di molti mesi di intense celebrazioni, mentre questo interessantissimo e dotato artista a cavallo fra sedicesimo e diciassettesimo secolo ha bisogno e merita molto di essere conosciuto; e questo e' anche il compito di queste poche righe, quello di sensibilizzare ed esortare ad una visita decisamente consigliabile e di grande soddisfazione, non solo per l'occhio, e non e' poco.

Ferrarese (1569?-1632) Stimato da Guido Reni, e molto tempo dopo, da Charles Nicholas Cochin, da Goethe, da Giuseppe Maria Crespi, dall'Abate Luigi Lanzi e fino a Burkhardt, colpisce l'attenzione per la qualita' di una pittura in cui ogni linea e' studiata, e questo viene confermato dalla bellezza dei disegni esposti, in cui l'equilibrio delle figure e' dosato con attenzione agli effetti drammatici delle scene rappresentate e dove gli impasti cromatici sono sempre molto sapienti.

Il percorso espositivo si prende qualche ardita, coraggiosa, motivata liberta', infatti nella prima sala troviamo la Pieta' del 1621-1624, dalla Chiesa delle Stimmate di Ferrara, in deposito temporaneo presso il Palazzo Vescovile.

Una tela sorprendente per pathos ed impianto scenico, come un mistero sacro rappresentato, che pure nella grande differenza di concezione, mi ha riportato all'Ecce homo di Moretto da Brescia del 1550.

Accanto, nella stessa sala: la Trinita' con Cristo morto di Ludovico Carracci, pittore cui Bononi guardo' sempre molto, opera del 1592 in prestito dai Musei Vaticani, ed il San Gerolamo nell'atto di sigillare una lettera (1618, Collezione privata), quadro di grande forza espressiva di Giovanni Francesco Barbieri, "il Guercino" , all'epoca, giovane artista ed astro nascente.

La mostra tiene conto dei problemi di datazione, considerando l'incertezza sull'anno di nascita del pittore, per cui molte ipotesi rimangono giusto tali, ma comunque, molto interessanti e stimolanti.

Carlo Bononi si mosse fra Venezia, Bologna, Roma, vide, si ispiro' e rese proprie le innovazioni stilistiche che incontro'. Alcuni temi attraversano, incrociano, intrecciano questa bella mostra, la prima, meritoriamente dedicata all'artista ferrarese, ribadisco, divisa in nove sale/sezioni.

Il sacro ed il profano coesistono con una speciale equilibrata  alchimia, infatti il corpo, specialmente maschile, sempre presentato con grande accuratezza, e di grande scultorea bellezza, piu' spesso discinto, la fa da protagonista, sia esso di figure profane, come anche quello di Cristo come nel Noli me tangere ( 1618, Collezione privata) in cui il drappo bianco del risorto e' mosso da un vento vorticoso e ne scopre il corpo, piu' che coprirlo, mostrandone la invidiabile muscolatura, ma questo ci ricollega alla tradizione di ribadire la totale umanita' di Cristo e la sua altrettanto totale integrita' fisica, e non a caso rimando all'illuminante saggio di Leo Steinberg (La sessualita' di Cristo).

Per il medesimo motivo, si guardi con attenzione anche il Compianto su Cristo morto del 1627 (Bologna, Ritiro S.Pellegrino) luministicamente, drammaturgicamente sorprendente, con quella mano abbandonata e la figura del deposto in primo piano, con la luce di taglio ed il chiaroscuro di un corpo di bellezza muscolarmente tonica memorabile. Non mancano i  diversi San Sebastiano, che si confrontano con quello morbido e quasi paffuto di Guido Reni  (1615-1616, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso).

La presenza e la rappresentazione di questo santo ci collega al tema della peste, cosi' prepotentemente presente in quegli anni tragici, per svariati motivi collegati al passaggio di eserciti in movimento per la penisola, con il loro seguito di morte, sangue, contagi. Ci sono poi gli angeli ed i Geni delle Arti in cui Carlo Bononi si abbandona alla sensualita' profana.

Temi, modi, tipi affrontati con grande personalita'. E poi si torna al sacro, ad esempio con la curiosa e doppia : Raccolta della manna, Preziosissimo Sangue di Cristo, olio su tavola del 1612, di una fortunata collezione privata. Quadro non grandissimo (144,5x107) ed accurato che mostra la scena biblica. In basso, al centro, incorniciata (27x16,5), una piccola anche più accurata figura di Cristo, stante, dal corpo, al solito, perfetto, l'espressione serena, ed il cui costato zampilla un getto di sangue, in un calice posto ai suoi piedi.

Occasione questa per notare come Bononi fosse abile ed anche molto abile non solo nei grandi formati, ma anche nei lavori di piccole dimensioni.

Tutti questi temi, molti approfondimenti ed ampi saggi, corredati da illustrazioni di alto livello cromatico, nel catalogo edito da Ferrara Arte, che consiglio caldamente, anche per il prezzo decisamente contenuto, soprattutto in relazione con il valore del volume.

emilio campanella

In anni di Biennale, come si sa, come ho gia' scritto e come torno a ricordare, Venezia e' abitata da decine di mostre d'arte, la maggior parte collegate con quella manifestazione, o come Padiglioni Nazionali decentrati, o come eventi collaterali, e se non fanno parte di nessuna delle due categorie, sono comunque, molto spesso ragguardevoli.

Non tutte le date corrispondono, e nei mesi scorsi le avevo specificate con precisione per evitare il rischio di trovarsi di fronte ad una porta sprangata. Questa scelta comprende cose gia' viste, viste meglio ed altre viste proprio per la prima volta.

Vicino ai Giardini, c'e' il Padiglione del Belarus dove sono tornato per vedere integralmente il film: Il tavolo di Roman Sazlonov.

Si entra, ci si siede ad un tavolo simile a quello lunghissimo cui sono seduti svariati personaggi, che vediamo sullo schermo di fronte.

Per 33 minuti, in una lunga pianosequenza, scorrono davanti a noi altrettanti personaggi interpretati dai migliori attori teatrali della Bielorussia (il teatro e' fuorilegge, in quel paese, e le rappresentazioni clandestine, si svolgono in case private).

Frammenti di storie , dialoghi, monologhi, noia, aspettativa, tristezza,  allegria sfrenata, pianto incontrollato come ad una rappresentazione sacro/profana in cui la frontalita' leonardesca non è casuale.

All'Arsenale Nuovissimo ho rivisto, nel Padiglione del Libano la magnifica installazione luministica e sonora di Zad Moultaka: Samas, Sole nero, lavoro realizzato in collaborazione con l'IRCAM di Parigi.

Accanto, l'evento collaterale: Memory and Contemporaneity visto all'inaugurazione ed ora rivisto, diversissimo siccome sono presenti le opere degli artisti, mentre a Maggio c'erano spazi ampi che poi sono stati riorganizzati facendo spazio a lavori ed installazioni interessantissime che mancavano a causa dell'incendio del cargo che le trasportava.

Merita anche vedere, o rivedere Hiperpavillion per l'ampia scelta di installazioni, l'organizzazione nei magnifici spazi, l'illuminazione accuratissima, anche questo all'Arsenale Nuovissimo.

A non grandissima distanza, a Palazzo Grimani, accanto a Campo Santa Maria Formosa, una'ampia retrospettiva dell'israeliana Beverly Barkat: Evocative Surfaces, nel suggestivo secondo piano nobile del palazzo. Alcune opere sono state create espressamente per questo spazio.

Sempre interessante il Padiglione di Andorra negli edifici adiacenti alla Chiesa della Pietà, ed altrettanto sempre sorprendente, coinvolgente ed inquietante, il lavoro di Evan Penny: Ask your body, nella Chiesa di San Samuele, accanto a Palazzo Grassi. E' scritto: da Maggio a Novembre, senza specificare la data.

Nella Chiesa di Santa Caterina: Spite your Face di Rachel Maclean, organizzato da Scotland+Venice, evento Collaterale della Biennaleu' un bel film della durata di poco pi˘ di trenta minuti che strizza l'occhio al fantasy, a Pinocchio, alle sette religiose, al consumismo, con ottimi attori.

Alla Fondazione Prada, a Ca' Corner della Regina, il memorabile lavoro di collage di suggestioni, evocazioni cinematografico-teatrali di Thomas Demand, Alexander Kluge, Anna Viebrock: The boat is leaking. The Captain lied. A Palazzo Dolfin Gabrielli, poco lontano da Piazzale Roma, ma anche da S.Margherita o S. Pantalon, l'evocativo Padiglione della Costa d'Avorio.

Alla Fondazione Emilio ed Annabianca Vedova: Emilio Vedova, De America al Magazzino del sale ed allo Spazio Vedova. Un 'importante scelta di lavori legati agli Stati Uniti. A Palazzo Contarini, cui si accede salendo la bellissima scalinata del Bovolo, nella Sala del Tintoretto: Giorgio Morandi, Segni nel tempo, una bella scelta di grafiche, proposta dalla Galleria Maggiore di Bologna.

Tutte le esposizioni le cui date non siano specificate, s'intendono aperte sino al 26 Novembre prossimo.

emilio campanella

A Castelfranco Veneto, sino al 4 Marzo 2018, al Museo Casa Giorgione, la volenterosa mostra curata da Danila dal Pos: Le trame di Giorgione, nelle intenzioni, intorno all'importanza del tessuto, dell'abito, dell'eleganza come distinzione sociale per teste coronate, nobili, notabili, religiosi, e via via, anche borghesi.

Negli spazi esigui del minuscolo ed accurato museo, e' stato inserito, ritagliato, incastrato, un percorso espositivo che pur interessante, suscita non poche perplessita' siccome non abbiamo capito, e se ne parlava il giorno dopo fra colleghi, alla conferenza stampa di un'altra istituzione, che cosa avesse inteso proporre la curatrice dell'esposizione di Castelfranco: una mostra d'arte? No, veramente no; una mostra sulle arti applicate? Neppure; una mostra sul tessuto? Neanche quello. Una mostra sull'importanza dell'abito, oppure sul costume e la sua importanza storico-sociale? Neppure quello si direbbe.

Mostra ibrida... termine inflazionato, ma che si puo' applicare alla stranezza del caso presentato come determinante per stimolare visite turistiche che partano, per una volta, dalla terraferma.

Dal territorio, dunque, grazie alla conoscenza delle manifatture tessili antiche e moderne della zona; attraverso questa esposizione, e poi verso le citta' sedi degli enti prestatori di opere di vario tipo, esposte, come Treviso, Padova, e, naturalmente Venezia. Questa meta ultima, attraverso un accordo di promozione specialmente dedicato ai visitatori di Castelfranco, permettera' l'accesso ai musei della citta', con un prezzo speciale, nella speranza che questo complesso sistema possa funzionare e portare frotte di turisti- come se ne mancassero- calando dalla terraferma, verso la Serenissima, mentre forse bisognerebbe, piuttosto, sensibilizare chi intasa Venezia, delle meraviglie della terraferma, tante e preziose. Il problema e' enorme e questa puo' essere una proposta di stimolo alla conoscenza.

Tornando all'esposizione bisogna dire che l'allestimento, pur accurato, mostra un po' uno stile da bella vetrina del centro, con lucine studiate, ed anche qualcosa che ricorda certe installazioni d'arte contemporanea che rivisitano l'antico. In mezzo a tutto cio', opere pittoriche , alcune di pregio, altre, ritratti decisamente imbarazzanti di volti sospetti, perche' questo e' il genere proposto, per ovvii motivi.

Pregevoli i tessuti esposti, da importanti collezioni fiorentine ( Balzano Piselli e Loretta e Lucia Caponi), dal Museo di Palazzo Mocenigo di Venezia, dal Museo del merletto di Burano; sontuosi paramenti sacri dalla collezione del Duomo di Santa Maria e San Liberale di Castelfranco.

Lo strano catalogo pubblicato da Duck Edizioni propone introduzioni, saggi, schede, ma curiosamente, non indica le date, neppure presunte, delle opere pittoriche esposte mentre specifica quelle dei tessuti, forse da questo si potrebbe intuire l'accento che dovrebbe avere la manifestazione.

Non che manchino esempi di esposizioni anche recenti, su tema simile, e decisamente illuminanti per cura scientifica ed intelligenza.

emilio campanella

Due esposizioni importanti, concomitanti ed intriganti, la prima, aperta da fine agosto, s'intitola Picasso sulla spiaggia (inevitabile ripensare allo storico Einstein on the beach di Bob Wilson) colta e sottile immersione nel mondo picassiano e per il caso specifico, nell'ambientazione solare delle spiagge del sud della Francia nel 1937, anno cruciale per i destini dell'Europa e del mondo intero.

In due piccole sale (che si chiamano Project Rooms) dense e fortemente emozionanti, Luca Massimo Barbero, ha radunato tre tele sullo stesso tema: Sulla spiaggia, della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Grande bagnante con libro e Due nudi sulla spiaggia, sempre dello stesso anno e provenienti dal Museo Picasso di Parigi; dieci disegni preparatori e studi sul tema della spiaggia, in un ambiente, quello mediterraneo, che ha fortemente influenzato l'artista che, come si sa, ha molto guardato alla pittura antica come a quella piu' vicina a lui, rielaborando queste tematiche che divennero alcune delle sue precipue.

Anche una scultura, sullo stesso tema , proveniente sempre dal Museo Picasso, ovviamente coinvolto nel progetto, che ampiamente s'intitola Picasso Me'diterrane'e, e comprende nel novero, molte istituzioni internazionali; esposti anche due fogli intitolati Sogno e menzogna di Franco, collegati a Guernica, e dello stesso anno, anche questi della Collezione Guggenheim di Venezia.

Un percorso sintetico, pregnante e di grande forza. La seconda s'intitola: Simbolismo mistico. Il Salon de la Rose+Croix a Parigi, 1892-1897, proveniente dal Solomon R. Guggenheim di New York, dove e' stata aperta dal 30 Giugno al 4 ottobre scorso, si potra' visitare a Venezia sino al 7 Gennaio 2018 come la mostra precedentemente descritta.

Curata da Vivien Greene, si prefigge lo scopo, direi raggiunto, di evocare quel momento, quella corrente, il personaggio che ispiro' un movimento cui piu' o meno tutti gli artisti dell'epoca aderirono, anche solo di passagio, si potrebbe dire, e che si affiancava ad altri concomitanti, di poco precedenti o successivi, facendo leva su un bisogno di rivalutazione della spiritualita' "rinnovata", rivissuta anche alla luce delle conoscenze e della scoperta delle filosofie orientali, creando sincretismi, o presunti tali, talvolta molto stridenti, ma altrettanto stimolanti in un momento di grande vivacita' intellettuale ed artistica.

Le sale hanno molti punti di riposo rappresentati da divani, pouf, dormeuses di vario tipo, di fronte alle opere piu' intense dell'esposizione, e musiche di grande valore sono diffuse, a completare l'atmosfera e l'immersione il piu' possibile aderente a quella dei Salon del tempo, ascoltando brani di composizioni dell'epoca ed eseguite proprio in quelle occasioni: Wagner, Satie ed altri. Joséphin Péladan, eccentrico guru ed animatore di quegli anni e della corrente, e' celebrato nella seconda sala, con tre ritratti curiosi e quasi divertenti, che ne sottolineano l'ispirazione spirituale da grande iniziato, ma che come si sa, sapeva fare bene i propri affari, tanto che il biglietto d'ingresso alle sue mostre era di ben 20 Franchi, una cifra non certo contenuta per l'epoca, e che determinava una cernita netta di pubblico.

Nel percorso espositivo puntualmente testimoniato dal curioso, baraccone, decoratissimo catalogo, che evoca da vicino edizioni d'epoca, s'incontrano opere di Rouault, Khnopff, Bourdelle, ed una magnifica sala di Vallotton. Ad un determinante Previati si e' dovuto rinunciare, con molto dispiacere, per problemi di spazio.

emilio campanella

Yamamura Mai e Jiuta, Danze musiche e canti di Osaka secondo la tradizione della scuola Yamamura. Lo scorso 30 Ottobre, al Teatro Goldoni di Venezia, uno spettacolo patrocinato dall'Universita' di Ca'Foscari, Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea, e dalla Japan Foundation, in collaborazione con la Fondazione Cini, Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati, Venezia, il Museo d'Arte Orientale di Venezia, il Teatro Stabile del Veneto.

Una rara occasione per gli appassionati di teatro e di musica giapponese. Si e' presentato uno stile di grande rigore che prende le mosse dall'antichita' mitica, addiritura dalla dea del Sole Amaterasu, le danze sciamaniche, quelle di corte, il teatro No ed il Kabuki, creando una sintesi dei drammi piu' noti di queste due ultime forme teatrali.

Raffinatissimo, rarefatto e che presuppone una grande conoscenza dei testi cui si fa riferimento, costituisce un modo fortemente ipnotico di rendere il tratteggio dei personaggi che si muovono sulla scena, apparentemente con minimi movimenti, controllatissimi e giocati sulla centralita' dell'asse ed il suo ruotarvi intorno, come se chi danza fosse sospeso nello spazio e vi scivolasse a qualche millimetro dal suolo, salvo poi ribadire il radicamento al suolo stesso con il battito dei talloni che compongono una ritmica spezzata e drammatica a sottolineare la sudditanza dalla terra. Modalita' tipica delle danze antiche e popolari di ogni parte del mondo. I

l percuotere la terra, a risvegliarne la reazione, a ribadirne il legame viscerale con la divinita' primigenia. Determinante il precisissimo uso dei ventagli, antico, sacrale, simbolico mezzo di contatto con gli spiriti. Specializzazione delle Tayu (cortigiane di rango superiore) e' un genere di danza piu' adatto ai conviti privati in sale da banchetto per i soli ospiti convenuti.

Un episodio importante di Sasameyuki (Neve Sottile) di Junichiro Tanizaki riguarda proprio gli studi di danza di questo particolare stile, di una delle sorelle Makioka, protagoniste del grande romanzo. La serata era a conclusione di un piccolo ciclo di lavoro costituito da una conferenza con dimostrazione a Palazzo Grimani, il 26 ottobre, uno stage di danza a Ca'Foscari Zattere, il 27,  e da ultimo, lo spettacolo di cui si sta trattando.

La serata al Teatro Goldoni, introdotta ed inframmezzata dalle colte presentazioni del Professor Bonaventura Ruperti, ha sofferto di una regia generale, a dir poco discutibile, infatti, se le luci di scena erano possibili ed i fondali proiettati, appropriati, siccome scelti da soggetti del Museo d'Arte Orientale, bisogna dire che la scansione  dei brani eseguiti ha sofferto di una ben differente successione, in confronto al programma, e questo accade spesso un po' ovunque, ma non si e' riusciti ad utilizzare coerentemente le luci, le mezze luci, il buio/luce sugli applausi ed  i ringraziamenti degli artisti.

Si sa come questo possa fortemente inficiare la riuscita di una serata .Per fortuna il rigore formale e la qualita' delle danze e dei brani musicali, eseguiti da artisti di primissimo ordine, hanno vinto la partita sulla maldestra conduzione generale. Yamamura Wakahayaki ha interpretato con grande intensita' anche come onnagata kabuki (ruolo tradizionale en travesti); Kikuo Yuji, musicista eccelso e cantante dalla voce possente quanto altissima di tessitura, all'occorrenza; drammaticamente coinvolgente ed emozionante, ha molto colpito il pubblico.

Da citare, tutti gli altri artisti della troupe: Tai Iroaki, Kikuoda Yukari, Tsuji Yuka, Ishimusa Masami, Hattori Sachiko. A sorpresa, dopo i calorosi applausi e le molte meritatissime chiamate, i ringraziamenti nel foyer del teatro, da parte del capocompagnia commosso dall'entusiasmo dei moltissimi studenti.

emilio campanella

Il Palladio Museum di Vicenza ha presentato, il 3 novembre scorso, il nuovo allestimento della sala, abitualmente destinata agli eventi temporanei, la quale ospitera' fino al 17 Giugno 2018, la parte superstite di un importante ciclo di affreschi di Giandomenico Tiepolo, provenienti da Palazzo Valmarana.

Le opere esposte, pur bisognose di un restauro gia' previsto, sono d'impatto sorprendente e costituiscono un ultimo atto dell'estetica palladiana, ripresa, rivisitata e sontuosamente citata dall'artista nel riproporre pittoricamente la struttura della scena del Teatro Olimpico.

Una storia di padri e di figli, l'ha definita il curatore e direttore del  museo, Guido Beltramini, infatti Gian Battista Tiepolo aveva lavorato per Giustino Valmarana decorando Villa Valmarana ai Nani; due decenni dopo, per il figlio Gaetano Valmarana, Giandomenico concepisce lo straordinario impianto decorativo teatrale per un salone del palazzo in citta'.

La mostra s'intitola Tiepolo segreto e fa riferimento all'avventurosissima e picaresca vicenda di questi affreschi sopravissuti a smembramenti, strappi di salvataggio, dispersioni, bombardamenti, che li hanno ridotti alla meta' del loro numero, come li vediamo ora e potremo vederli in questa sede, per un lungo periodo calcolato intorno al decennio, per un deposito prolungato che permettera' anche di occuparsi di un restauro, come detto, previsto e di cui alcuni saggi gia' sono stati operati.

Al centro del ciclo, la figura di Ercole con la sua clava ed alla catena un cerbero di nobilissima ferocia, parente stretto dei levrieri che aggrediscono Atteone in un piccolo meraviglioso disegno.

Tutti gli affreschi sono monocromi ed inquadrati in magnifiche architetture neoclassiche, ovviamente.

Soltanto qualche mirato particolare in verde od oro, come la lucente catena che trattiene il cagnaccio tricipite. Ai lati una Figura femminile con clava e leontea (Onfale,Deianira?), una immagine di Giove che mi fa pensare a Re Lear, Ercole e l'Idra, Ercole sul rogo.

Poi ci sono due pannelli ch'erano presumibilmente sovraporta: Coppia di satiri con vaso di fiori e Satiro con vaso e satiressa con tamburello.

Interessantissime le ombre portate di queste figure, che corrispondono precisamente a quelle create dalle antiche lampade del Teatro Olimpico.

Assieme e' esposto un disegno di Gianbattista, in cui gia' sono presenti dei satiri che quindi, anche loro passano di padre in figlio.

Un'occasione decisamente importante di riflessione e di ricerca ed un immenso piacere estetico oltre alla gioia di un recupero ed un salvataggio di grande importanza.

emilio campanella

I Musei Civici Veneziani celebrano i cento anni della fondazione di Porto Marghera e del suo polo industriale, con un'esposizione difficilmente collocabile in un genere definito.

S'intitola Marghera 100 e rimarra' aperta a Venezia, a Palazzo Ducale, sino al 28 gennaio 2018, negli appartamenti del Doge, all'occasione, dissimulati da tutta una pannellatura grigia a nascondere lo sfarzo contrastante con il mondo operaio, eccettuati i grandi sontuosi camini impossibili da dissimulare.

Fortemente voluta dal sindaco Luigi Brugnaro che introduce, da par suo, l'esposizione, in un video a figura intera, come spesso si usa per accogliere adeguatamente i visitatori, anche se solitamente sono i curatori a mettersi in scena.

Peccato che i turisti siano poco interessati tanto alle lotte operaie quanto alle tragedie dell'inquinamento e tirino dritto infastiditi. Forse il luogo non e' dei più adatti, ed una sede come Ca' Pesaro, sarebbe stata maggiormente quella ideale, essendo un museo d'arte moderna che, fra l'altro, ha nelle sue collezioni, non poche opere che con la tragedia del mondo operaio, hanno a che fare.

Qui si fa un percorso in dieci capitoli, mentre in sei e' quello visivo dell'interessante montaggio di materiali d'archivio, curato da Gian Piero Brunetta.

Nove stazioni, chiamiamole cosi', sono quelle scandite dalle opere d'arte esposte, ed i percorsi s'incrociano e s'intersecano.

Purtroppo anche l'importante apporto fotografico da storici archivi cittadini, non basta ad andare oltre una infarinatura, patinata e superficiale di cento anni di vita di una citta' e di una popolazione. Non si va molto pi˘ in laa' della retorica dei cinegiornali, non manca neppure un pur gradevole florilegio di Caroselli a tema.

Come accennavo, ho visto ad una seconda visita accurata e mirata, una settimana dopo le mondanità inaugurali, visitatori casuali, perplessi ed anche disinteressati, che si trovano di fronte un argomento inaspettato. Certo ci sono opere di grande importanza: Tony Cragg, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Mario Mertz, Pino Pascali, Daniel Spoerri, Emilio Vedova, Gilberto Zorio, fra gli altri, ma tutte queste cose insieme non bastano a fare una mostra di un qualche senso compiuto.

Le buone intenzioni, ammesso che siano tali, e voglio credere di si, non sono sufficienti. Comunque e' da notare che dopo tre mostre al Centro Candiani, volute dalla municipalita', questo e' uno scambio senza esserlo veramente; comunque Marghera 100 si, ma le Grandi Navi di Berengo Gardin, no; ricordiamo tutti la polemica dello scorso anno. Sono scelte precise.

emilio campanella

Fino al 18 Marzo 2018, al Palazzo del Monte di Pieta' di Padova, la bella mostra curata da Giovanni Carlo Federico Villa e Stefan Weppelmann : Rivoluzione Galileo, L'Arte incontra la Scienza.

Due anni di preparazione hanno portato al notevole risultato di una esposizione attenta, precisa, il cui argomento principale, mai viene perso di vista, ed in cui il genio di Galileo, il suo interesse a trecentosessanta gradi per le arti e la cultura, vengono esposti senza che questo comporti l'inserimento di argomentazioni dispersive.

Ancora una volta, in questa sede, dopo altre importanti manifestazioni degli scorsi anni, un'esposizione profondamente motivata e contestualizzata nell' ambiente storico culturale cittadino. Il percorso si snoda lungo dodici sale che corrispondono ad altrettante sezioni di approfondimento, ed ai corrispondenti capitoli del catalogo edito da Silvana.

Un anello ideale costituisce le scelte espositive che si aprono con un'opera sorprendente di Anish Kapoor ( Laboratory for a New Model of Universe, 2006 ), per concludersi con un' affascinante videoinstallazione di Michael Najjar ( spacewalk, 2013). Accanto a Kapoor, il bel Ritratto di Galilei giovane, attribuito a Santi di Tito, dalla collezione di Alberto Bruschi, Grassina (FI).

Cosi' si inizia il viaggio stimolante creato dai curatori, con una compresenza fra antico e moderno, arte e scienza, cultura poliedrica, intuizioni, scoperte. Ogni sala e' illuminata con la grande cura che i molti oggetti e le opere pittoriche, su carta, a stampa, richiedono; ognuno con la sua luce giusta e studiata con estrema attenzione, anche scenotecnica.

La ciclicita' dell'esposizione ed i suoi continui rimandi, le intersezioni, di una cultura ricchissima di stimoli e spinte all'innovazione scientifica, nonostante le pastoie dell'Inquisizione che sappiamo quanto peso' sulla vita di Galileo.

Da una sala all'altra incontriamo meraviglie scientifiche antiche, attenti studi e disegni riguardanti lo studio del cielo, dalle rappresentazioni mitiche piu' lontane nel tempo, a quelle frutto di attente osservazioni. Si passa dal cielo del mito a quello dello studio approfondito, dall'Astrologia si arriva all'Astronomia. Galileo Galilei, docente a Padova per diciotto anni, fu uno degli scienziati che aiutarono l'umanita' ad uscire dall'oscurantismo medioevale ancorato a concetti immobili da secoli.

Il fatto che Galileo considerasse gli anni padovani come fondamentali nella sua vita e' sicuramente dovuto ad una speciale qualitaaa' dell' l'Universita' di Padova che era, come si dice oggi, all'avanguardia e particolarmente indipendente, pur essendo nel territorio della Serenissima.

Di pari passo procedono gli approcci della mostra all'arte ed alla scienza in modo che i due argomenti si completino fluidamente con continue suggestioni, stimoli, suggerimenti. Prestiti importanti ed intuizioni scenotecniche come la penultima sala con la magnifica biblioteca e l'argomentare intorno al processo,  visto con l'occhio della pittura ottocentesca di storia. I miti erano stati affrontati precedentemente, ad esempio con: L'origine della Via Lattea di Pieter Paul Rubens, 1635-1638, dal Museo del Prado.

Non c'è una sezione dedicata alla Vita di Galileo di Bertolt Brecht, benchè Villa ne abbia parlato alla conferenza stampa di presentazione. C'è invece una sala "giocata" sulle suggestioni moderne, infatti s'incontra De la Terre a' la Lune di Jules Verne, Hetzel Paris, 1870. Les Aventures du Baron de Munchausen di Burger, tradotto da Théophile Gauthier, illustrato da Gustave Dore', Parigi 1862. Orlando Furioso illustrato ancora da Gustave Dore', Treves Milano 1881 e poi anche Erge': Les aventures de Tintin, Objectif Lune, 1953; On a marche' sur la Lune, 1954, questi volumi sono di collezione privata torinese.

Su tutto campeggia uno schermo dove si puo' godere della meraviglia di George Méliés: Voyage dans la Lune, 1902.

Mostra multidisciplinare, appassionante ed emozionante, da seguire con molta attenzione e concentrazione, ma anche "divertente" nel senso più serio del termine.

emilio campanella

Con il 15 novembre, si e' conclusa la stagione semestrale di apertura, di Palazzo Cini a Venezia.

Una stagione fitta di manifestazioni, esposizioni, occasioni culturali molto frequentate.

Ultima in ordine di tempo, la bella, importante mostra dedicata alla "diva" Lyda Borelli.

Curata dalla studiosa del teatro, Maria Ida Biggi, era accompagnata da una puntuale pubblicazione di riferimento, edita da Fratelli Alinari, Fondazione per la Storia della Fotografia.

L'elegantissimo volume in brossura a grande formato, intitolato: Il teatro di Lyda Borelli ha un'amplissimo apparato iconografico che completa quello presente in mostra.

Tre gli importanti saggi contenuti: Lyda Borelli, attrice di teatro, a firma del Direttore dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini, Maria Ida Biggi; Lyda Borelli, primadonna del Novecento, di Marianna Zannoni, e lo scritto di Maria Dolores Cassano, Lyda Borelli e la cultura letteraria.

Di seguito la galleria fotografica cui ho accennato, con immagini anche a grande formato, che occupa quasi la meta' del volume.

Non mancano, ne' il nutritissimo repertorio teatrale e tantomeno, una filmografia completa dell'attrice. Se il primo saggio e' altrettanto ricco di foto di scena, pagine ed articoli da giornali e da riviste di teatro, testimonianze di "prime" importanti, come di tourne'es all'estero riprodotti, recensioni di spettacoli, ma anche gustose caricature e ritratti " en diva", la sezione fotografica riporta anche istantanee, della vita privata dopo l'abbandono delle scene ed il matrimonio con il Conte Vittorio Cini. Immagini talvolta molto tenere con i figli bambini, e con il perduto figlio Giorgio gia' uomo.

L'ultima, fra il pubblico del Teatro Verde dell'Isola di S.Giorgio, ritratto di una bellissima, elegantissima signora avanti negli anni, i cui occhi tradiscono il profondo inconsolabile dolore per la perdita piu' terribile che una madre possa subire.

Non ci sono, purtroppo, immagini dei film interpretati da Lyda Borelli, ma questo rientra nella coerenza della pubblicazione che ha al centro della sua trattazione, la carriera teatrale dell'attrice.

Speriamo che presto qualcuno pensi ad un libro sulla carriera cinematografica di Lyda Borelli, ma ci vorra' un'istituzione che si occupi di cinema, per farlo. Potremmo sperare in realta' importanti come il Museo del Cinema di Torino, Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, la Cineteca di Bologna.

emilio campanella

Per un appassionato di Egittologia, una mostra su un faraone poco noto al grande pubblico, come Amenofi II, risultava una tentazione, fin dalla notizia dell'apertura  al pubblico, dell'esposizione, il 13 settembre scorso.

Siccome si potra' visitare solo sino al sette gennaio, 2018,  essendo arrivati quasi a fine novembre, era tempo che mi decidessi a rendere omaggio al grande sovrano e visitassi: Egitto, La straordinaria scoperta del Faraone Amenofi II.

Il termine del sottotitolo si puo' intendere in duplice maniera, anche perche' la mostra ruota intorno alla scoperta della tomba del Re, da parte di Victor Loret, il nove marzo 1898, e come si diceva prima, una scoperta per il grande pubblico.

Il MUDEC di Milano, ospita dunque, nel suo scatolone rutilante di proposte varie e di varia qualita' (in questo periodo anche: Klimt experience ed: Eravamo Cacciatori di teste), qualcosa di imperdibile per gli amatori dell'Egitto antico.

Partiamo ordinatamente dal titolo dell'esposizione che presenta una lezione antica e discutibile della grafia translitterata del nome del sovrano, scelta per tradizione, d'altronde, anche dalla grande mostra parigina di Grand Palais del 1993 (dopo Cleveland e Fort Worth) che era intitolata ad Amenophis III ( predecessore di Amenofi IV, Akhenaton, il faraone eretico riformatore), il quale venne dopo il nostro, ovviamente, anche se fra di loro vi fu Tuthmosis IV, nella lista dei faraoni della XVIII dinastia.

l nome corretto sarebbe: Amenhotep, piu' o meno: Prediletto di Amon, ma noi approviamo Amenofi cui siamo legati dalle prime letture quasi infantili, di egittologia. L'Universita' di Milano ha acquisito l'importante archivio di Victor Loret, e cio' motiva questa mostra a Milano, citta' che ospita gia' una preziosa collezione egittologica al Castello Sforzesco.

Il percorso espositivo si mantiene intelligentemente fra divulgazione ed erudizione, fra giocattoli di lusso, come la ricostruzione 1:1 della tomba del faraone, peralto pregevole e scientificamente precisa, che se espone la sagoma del sarcofago nel luogo del ritrovamento, presenta un magnifico modello di barca funeraria, facente parte di una vera e propria flotta, originale e proveniente, come diversi altri reperti di grande bellezza ed importanza, prestiti rarissimi, dal Museo Egizio del Cairo.

Gli altri pezzi provengono da Firenze, Museo Egizio; Leida, Rijksmuseum van Oudheden; Milano, Civiche Raccolte d'Arte Applicata, Castello Sforzesco; Milano, Civico Museo Archeologico, Castello Sforzesco; Milano, Universita' degli Studi; Vienna, Kunsthistoriches Museum.

Naturalmente il discorso intorno ad Amenofi II e' motivo per proporre sezioni che riguardano i vari aspetti della vita egiziana durante il Nuovo Regno. Per i piu' giovani il cammino e' accompagnato da un personaggio di grande successo nella letteratura per ragazzi come Geronimo Stilton.

Se bisogna fare un appunto all'allestimento, peraltro accurato e coerente e come illuminazione, disposizione dei reperti e coerenza nel susseguirsi delle sale, e' quello delle didascalie delle opere e degli oggetti esposti, che sono praticamente illeggibili.

Questa osservazione a parte, si apprezza particolarmente l'attenta integrazione fra riproduzioni fotografiche e reperti. Emozionante il susseguirsi delle sale riguardanti Loret, i suoi taccuini, i suoi disegni, il suo occhio da naturalista archeologo e l'attenzione agli animali antichi rappresentati.

Fra l'altro, non tutti sanno che scoperse il secondo "rifugio" di mummie reali dopo quello di Deir el Bahari, aiutando a completare certi alberi genealogici regali, e portando alla conoscenza diretta di re e regine le cui tombe erano state ritrovate gia' violate nell'antichità.

Da ultimo il sepolcro di Amenofi II con il suo importante corredo funerario, in una delle cui stanze erano composte le quindici mummie reali.

Un elogio alla pubblicazione/catalogo edita da 24 Ore Cultura per l'agile, esauriente, appassionante trattazione delle materie esposte nei saggi contenuti e per l'accurata riproduzione fotografica di reperti e documenti, oltre ad ampie documentazioni riguardanti l'allestimento della stessa mostra, cosa particolarmente lodevole e non frequente.

emilio campanella

Milano, Palazzo Reale sino al 28 Gennaio 2018. Per Caravaggio tutti corrono, per lui si fanno lunghe code, stoicamente al gelo o sotto il sole più spietato.

Michelangelo Merisi e' una delle star della storia dell'arte, insieme ad alcuni altri di varie epoche per cui si puo' essere certi di un sicuro successo di cassetta, grandi numeri per partecipare alle classifiche delle mostre piu' visitate.

Il merito dell'esposizione milanese sta, intanto nell'esporre "solo" venti opere del pittore, e proporre la curiosita', ma non solo questo, certo, di poter osservare il lavoro dietro all'opera quale la vediamo oggi, attraverso immagini radiografiche, si possono seguire le fasi precedenti, i pentimenti, i cambiamenti di disposizione spaziale delle figure, soggetti abbandonati per quello poi realizzato.

Questi venti dipinti sono scelti per la loro sicura attribuzione e l'esposizione risulta umanamente possibile, considerata l'emozione che comporta per molti, vedere questi dipinti, finalmente dal vero, e con tutto l'apporto di informazioni scandalisctiche che avviluppano la figura di un pittore vissuto ed ammirato da molti anche perche' "maledetto".

Vero è che durante la mia visita a Palazzo Reale, ho anche molto guardato le espressioni dei visitatori cercando di comprendere le loro reazioni.

Confesso di essere rimasto molto colpito dai volti stremati di un gruppo che aveva appena subito una visita guidata.

Ho scelto il verbo deliberatamente, perche' questa e' stata la mia chiara impressione. La situazione e' di forte stress: molta gente, un'attesa, anche se, magari non lunghissima prima di entrare, essendo un gruppo, lo sforzo dell'attenzione per seguire le spiegazioni guardando dei quadri, per la maggior parte, sconvolgenti per la carica emozionale che sprigionano e per il "realismo" o quello che molto spesso viene percepito come tale.

La mostra ha i suoi, e non pochi lati positivi, anche per un allestimento fortemente accattivante giocato su abili colori di fondo  e penombre studiate per far risaltare i tagli di luce e le teatralita' dell'artista.

Non so se consiglierei un viaggio a Milano espressamente per vedere la mostra, sicuramente se si è in citta', questo e' certo.

La consiglio ovviamente a chi non conosca direttamente il pittore; certo, i romani possono farne a meno, anche perche' all'esposizione delle Scuderie del Quirinale del 2010, questa aggiunge poco; peraltro si ritrovano molti di quegli studiosi fra i curatori e gli estensori del catalogo, decisamente faraonico, pubblicato da Skira.

Per parte mia, una visita di tutto riposo, nel senso migliore, del piacere di ritrovare dei "vecchi amici" convenuti a Palazzo Reale, ma il dispiacere nel constatare come alcuni di loro abbiano urgentemente bisogno di cure.

Ho occupato profiquamente cio' che restava delle mie sei ore milanesi, dopo le emozioni egittologiche di cui ho parlato da poco. Luci ed ombre, dunque, ma che luci e che ombre, che tagli di luce e che drammaticita', in queste storie! Che pathos in quei volti, e che emozioni sconvolgenti sui visi dei visitatori.

Meriterebbero una gallerie fotografica le persone affascinate e terrorizzate da Giuditta che taglia la testa di Oloferne (1602), dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma a Palazzo Barberini, oppure colpite dalla tenerezza dell'angelo che sostiene il santo, guardando S.Francesco in estasi (1598 c.a), da Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art.

emilio campanella