Le recensioni di Emilio Campanella

Ottobre 2005


UNO SGUARDO SULLA LXII MOSTRA D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

UN ULTERIORE SGUARDO ALL'ULTIMA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA, SALTABECCANDO FRA UNA SEZIONE E L'ALTRA

POLLOCK AL GUGGENHEIM

C'E' QUALCOSA DI CUPO IN DANIMARCA!


UNO SGUARDO SULLA LXII MOSTRA D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

Le luci, sulla MOSTRA di Venezia, si sono appena spente, i premi, consegnati, ed ora, rimaniamo in attesa dei commenti che ci saranno sicuramente.

Prima di tutto, pero', occorre osservare che, contrariamente allo scorso anno, questa seconda edizione Müller e' filata liscia come l'olio con le proiezioni puntuali e quasi nessun incidente tecnico, a parte piccoli intoppi come una evacuazione al Casino', durante la proiezione del documentario Be__ec, sulla Shoa', di Guillaume Moscovitz, dovuta ad un allarme antincendio impazzito a causa del nubifragio di due ore, sotto il quale la citta' era rimasta schiacciata poche ore prima. Filato bene anche il sistema di numerosi check-point e controlli grazie alla collaborazione di tutti, pubblico, accreditati, personale della sicurezza, uomini e donne in divisa sempre cortesi e comprensivi della fretta di scappare dentro e fuori dalla "zona rossa". Zona rossa da cui sono rimasti esclusi i "no global" e le loro festose manifestazioni di disobbediente protesta ecologicamente motivata.

Ritornando ai premi, dicevo che i commenti ci saranno sicuramente, poiche' assegnare il Leone d'oro a BROKEBACK MOUNTAIN di Ang Lee e', tutto sommato, un bell'atto di coraggio, nell'Italia, retriva in cui viviamo, ma anche un segno dei tempi, al di la' del valore o meno del film, ma per l'importanza della tematica.

La pellicola e' abile e confezionata con attenzione, gli interpreti bravi, l'andamento di ampio respiro, intimisticamente picaresco, e con tempi dilatati che corrispondono alle stagioni (134'), e se i nostri giovanotti al primo sguardo "si capiscono", occorre una mezz'ora prima che si saltino addosso letteralmente, in una scena focosa e confusa nella quale Jack si da' completamente ad Ennis, con una sbrigativa facilita' che neanche nei porno piu' frettolosi, ma e' uno dei pochi errori, in un lavoro, invece, piuttosto attento anche nel tratteggio dei caratteri di contorno, come nel disegno delle rispettive famiglie in cui tutti sono vittime della bisessualita' coatta dei protagonisti. Ma se Jack (Jake Gyllenhaal) avrebbe il coraggio di metter su un ranch con il suo amato Ennis (Heath Ledger), questi e' ancora troppo terrorizzato dall'immagine di un omosessuale ucciso barbaramente il cui cadavere, il padre, lo aveva portato a vedere, per compiere il passo; peraltro Wyoming e Texas degli anni '60 e fino agli anni '80 non stimolavano certo a rischiare di scoprirsi, ed anche recentementeUn film da vedere, di cui discutere, e grazie al quale, ripensare tanti personaggi del western classico.

Dalla provincia americana provengono anche i personaggi di HATE CRIME (Tommy Stovall 2005), primo film della timida rassegna "Giornate di cinema omosessuale" sotto l'egida, fra gli altri, del Comune di Venezia e dell'Arci Gay, in attesa di una promessa sezione alla mostra del prossimo anno. Un prodotto televisivo in cui una coppia gay amata da vicini e parenti, si scontra contro l'intolleranza assassina, partendo piu' o meno dove finiva il vecchio "Amici, complici, amanti", ma si tratta di un prodotto di qualita' limitata e che caldeggia la vendetta personale.

Piu' rilassato, ma non troppo MATER NATURA di Massimo Andrei, scombiccherata ed accattivante storia di trans vesuviane di rara simpatia, premio del pubblico della Settimana della critica, peccato che la protagonista, nella realta', sia una donna, la pur brava e bella Maria Pia Calzone, e che la vicenda sia un po' dalle parti di "Un posto al sole".

Tornando al cinema Astra del Lido, dove si svolgeva la rassegna gay, importante MY BROTHERNIKHIL di Onir, film indiano che racconta la vicenda di un campione di nuoto scopertosi positivo che per questa ragione viene addirittura arrestato (era il 1989) e della famiglia ostracizzata che si trasferisce, della sorella, del futuro cognato e del compagno di Nikhil, che aiutando lui danno inizio ad un lavoro di sensibilizzazione nazionale.

Preparate i fazzoletti! C'e', e' vero troppa musica (per noi), mette un po' troppa carne al fuoco, e' molto me'lo, ed alla fine insiste un po', anche se cio' che mostra e' anche molto vero, e tutti abbiamo vissuto, almeno una volta, da vicino, o da molto vicino una vicenda del genere, per cui, poi, in sala, era tutto un tirar su con il naso. Tutto sommato, comunque per l'India e' un bel traguardo che un film con tale tematica sia stato prodotto.

Se i pronostici assegnavano quasi la criniera a Clooney, e poi nel pomeriggio di sabato si vociferava di un ballottaggio fra Ferrara ed Ang Lee ora sappiamo che la criniera e' cinese. GOOD NIGHT, GOOD LUCK, il bel film di George Clooney si e' dovuto "accontentare" della coppa Volpi per la migliore interpretazione a David Strathairn e dell'Osella d'oro allo stesso regista ed al cosceneggiatore Grant Heslow per la scrittura del film, per cui, direi, che, alla sua seconda pellicola puo' essere contento (a dispetto delle perfidie di Pupi Avati, alla vigilia della manifestazione). Il prodotto e' confezionato con estrema accuratezza, ben scritto, montato, diretto; fotografato in un magico bianco e nero, rigoroso e formale, ha un incipit fulminante con un voluto riferimento alla fotografia "sociale" americana degli anni '50. Un film d'impegno civile e serieta' professionale, con tre magnifici intermezzi musicali motivati dalla presenza di musicisti nella sede dell'emittente televisiva, e che mostra una tecnica di "palinsesto" degli albori. Vero e' che manca ancora un vero tratto personale: lo aspettiamo al terzo film.

Terzo film con il quale casca clamorosamente Laurent Cantet, dopo Ressources Humaines, e L'emploi du temps, premiato qui alcuni anni or sono. VERS LE SUD, e', infatti, una specie di pesante telenovela sulla mercificazione dei corpi in cui il regista imbastisce una serie di luoghi comuni attorno a tardone in calore e giovanotti neri disponibili. Una storiaccia scritta con occhio colonialista e maschilista che ritiene di cogliere la psicologia femminile. Il film sarebbe assolutamente imbarazzante se non fosse per la presenza straordinaria di Charlotte Rampling (ignorata dai premi, guarda caso!). Me'nothy Cesar, il giovanotto conteso e' stato insignito del premio Mastroianni come giovane attore emergente ()

Su Haiti farebbe bene rivedere il bel documentario THE AGRONOMIST, di Jonathan Demme!

In concorso anche Manoel de Oliveira, ed ignorato come sempre, continua il suo lavoro preciso ed aggiunge all'ormai lungo catalogo delle sue opere, un altro capitolo feroce e spietato della sua ricerca morale intorno ai caratteri. ESPELHO MAGICO, ritratto di ricca signora borghese elegantemente attratta dal misticismo, e fanaticamente, febbrilmente desiderosa di una apparizione della vergine Maria, cui ruota attorno un mondo folle ed altrettanto fanatico; dal biblista ispirato (un Michel Piccoli, ancora una volta, impagabile) alla superiora quasi missionaria (Marisa Paredes) al falsario/teologo (Luis Miguel Cintra) al padre spirituale sulfureo Padre Clodel (Lima Duarte). Un film formalmente sontuoso e dalla dialettica diversificata, e' un ulteriore viaggio scandaglio del regista 97enne. Ah, si, la protagonista e' ovviamente la sempre perfetta Leonor Silveira!

Altro interno borghese e' quello di GABRIELLE di Patrice Che'reau, maltrattato come non mai, ma, si sa, i critici italiani non lo amano, e, per di piu', e' un regista teatrale, quindi, per loro, il peggio del peggio.

Ispirato ad un racconto di Conrad (The Return). E' il ritratto di una coppia dalla invidiabile posizione sociale all'inizio del '900. Il ricevimento mostrato e' degno della Recherche, l'accuratezza e lo scavo dei personaggi di contorno, i rituali comportamentali esteticamente riferiti a Boldini, ma c'e' anche la spietatezza di certo Schnitzler. Poi la coppia implode, ed e' come un duello, fra Isabelle Huppert (per la quale e' stata inventato un " LEONE SPECIALE per il suo straordinario contributo al cinema") e Pascal Greggory, ed ulteriormente l'atmosfera si fa claustrofobica, anzi, sembra che i personaggi si muovano in una materia che ne impedisce i movimenti, oltre ad essere bloccati e spiati da un personale di servizio onnipresente.

Un'altra attrice francese molto brava, e, qui, sottoutilizzata e' Nathalie Baye, coprotagonista di LE PETIT LIEUTENANT di Xavier Beauvois, un "polar" di buon livello, ma nulla di piu', ch'e' stato premiato come miglior film della rassegna Le Giornate degli Autori.

In concorso c'era anche Terry Gillian con I FRATELLI GRIMM E L'INCANTEVOLE STREGA (incantevole davvero visto ch'e' Monica Bellocci anche quasi brava a domandare chi sia la piu' bella del reame!) Filmone di 120' con Matt Damon e Heath Ledger, in cui ci sono indubbiamente belle cose, ma ch'e' un po' una trombonata costosa e decisamente poco ispirata, e cio' che c'e' di riuscito sembra di Tim Burton, il quale, invece, in concorso non e' stato messo, ma ci ha deliziato con TIM BURTON'S CORPSE BRIDE in coppia con Mike Johnson, un gioiellino di animazione realizzato con la tecnica di Nightmare before Cristmas: pupazzi che assomigliano agli attori di cui hanno la voce (Jonny Depp, Helena Bohnam Carter, Emily Watson). E' una favola nera di notevole cultura e ricchissima di riferimenti, da quelli musicali, anche a Stravinsky e Weill con le sue fanciulle morte tragicamente, ed un doppio mondo, dall'estetica grigiamente vittoriana, quello dei vivi, e quello coloratissimo da musical dei morti, con deliziose danze di scheletri e teschietti (omaggio a Eisenstein). La fanciulla sfortunata e' l'incarnazione delle eroine tragiche di Scott, come delle fanciulle morte per amore dell'opera e del balletto ottocenteschi. C'e' molta musica, molta danza, e la protagonista che dorme nella sua bara elegantemente trasformata in dormeuse, suona benissimo il pianoforte, ed alla fine, per coronare il sogno d'amore dei vivi, si dissolve in un volo di farfalle. IMPERDIBILE! Ha avuto un riconoscimento dal Future Film Festival.

Si e' vociferato per un po' che Park Chan-Wook con il suo SIMPATHY FOR LADY VENGEANCE potesse essere premiato, invece no! Si tratta, comunque, di un film interessante, feroce ed efferato (ma temevo peggio, dopo OLD BOY), violento ma contenuto. Mi ha fatto un po' pensare al viaggio di Felicia, dopo anni, ma in maniera, ovviamente, diversa. Si tratta di un'opera molto densa e particolarmente sfaccettata, con un finale molto critico e piuttosto interessante dal punto di vista del concetto di pena, di pentimento, di vendetta.

Il cinese Stanley Kwan con CHANGHEN GE (Everlasting Regret) e' piaciuto ad alcuni, ma e' troppo complesso, con troppi personaggi, ed ad un certo punto non si sa piu' chi e' chi dato che e' tratto (inequivocabilmente) da un romanzo, e coprendo diversi decenni ha, ovviamente, delle lacune.

BRICK di Rian Johnson, presentato alla Settimana della Critica, e' una storiaccia di morti ammazzati e traffico di droga, con un buon ritmo, complicata quanto basta, e cio' e' meglio, completamente spiegata e motivata nel finale. Fa un po' pensare ad Hammet, solo che si svolge in un campus, e tutti, per quanto pericolosi, sono teenagers!

Film di chiusura, fuori concorso RUGUO AI (Perhaps Love) di Peter Ho-sun Chan, un film nel film attorno ad un musical ambientato in un circo troppo di tutto: canzoni, coreografie, numeri d'acrobazia: costoso e noioso!

emilio campanella

 

UN ULTERIORE SGUARDO ALL'ULTIMA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA, SALTABECCANDO FRA UNA SEZIONE E L'ALTRA

Qualcuno dira' che mi ripeto, ed ha assolutamento ragione, ma non posso fare a meno di ritornare su ESPELHO MAGICO di Manoel de Oliveira. Uno dei film, a mio avviso, piu' gustosi di tutto il festival. Tratto da un romanzo di Augustina Bessa-Luís (A alma dos ricos), e' esposto con elegante leggerezza e disincantata ironia che sorprende, tanto piu', sapendo come, Dom Manoel, dall'intervista rilasciata, si dichiari credente, e come mandi in pezzi superstizioni e "beghinerie", e come ne spazzi vigorosamente i cocci con una "granata" ch'e' la stessa fede, se vogliamo vederla dal punto di vista strettamente teologico. Come si sa la bella e RICCA (questo e' il punto nodale) Alfreda desidera ardentemente una visione della Vergine, e muove mari e monti (eh, date le possibilita' quasi!), ma non riesce nell'intento, se non affidandosi a degli avventurieri, che si rivelano, poi, piu' ricchi di fede e rigore morale di lei: tanto Luciano (Ricardo Trepa), ex carcerato molto dostojewskiano, quanto Felipe (Luís Miguel Cintra) truffatore "onesto". Lei si appoggia a Michel Piccoli (Prof. Heschel) e Lima Duarte (Prete Clodel), colonne del potere spirituale/temporale/mondano... della Chiesa, e come studioso il primo, e come padre spirituale (spaventoso!) il secondo. Ma non basta, come neppure bastano gli incontri con la suora questuante (Marisa Paredes, impagabile, che recita rigorosamente in spagnolo!), per cui non le rimarra' che un'elegante autodistruttiva, invalidante, prolungatissima malattia per protestare contro la decisione divina (?) di non concederle udienza soprannaturale... d'altronde se la nostra cara Alfreda (ancora una volta la magnifica Leonor Silveira) avesse letto meglio i Vangeli, si sarebbe messa il cuore in pace... forse!

SYMPATHY FOR LADY VENGEANCE (uscira', spero, presto, come LADY VENDETTA), anche questo in concosrso, anche questo ignorato, nonostante alcune voci dell'ultima ora, costituisce la terza parte, di una trilogia dopo Simpathy for Mr. Vengeance ed Old Boy; non ho visto il primo (purtroppo), ho visto il secondo (violentissimo), ed ero un po' preoccupato per questo fatto, mentre nel presente caso, e la vicenda e' indubbiamente molto diversa, pur restando il tema della vendetta, direi che le efferatezze sono piu' controllate (sic). La storia e' tremenda, e dalle parti de "Il viaggio di Felicia", con la differenza che la' sapevamo tutto, piu' o meno, dall'inizio; qui invece scopriamo a poco a poco (come nel romanzo di Trevor), i motivi della complicata e terribile vicenda; come un obiettivo fotografico che si apra poco a poco. La protagonista e' in galera e sconta una non lunghissima pena per l'uccisione di un bambino, avvenuta in condizioni misteriose, ma che ha confessato... scopriremo che le cose non sono cosi' semplici (non lo sono mai!) e Park Chan-Wook compone un attento mosaico di ambienti, situazioni, caratteri alti a delucidarci, sino ad arrivare alla terribile conclusione. Volutamente lascio nel vago per non rovinare l'effetto. La regi'a e', come si dice in musica: "a pezzi chiusi", gli attori bravissimi, e la protagonista (Lee Young-ae), memorabile: misurata, elegante, bellissima (un po' una Bellucci con l'aggiunta esotica del fascino orientale), anche ritratta in un'aureola di rose rosso sangue come in un quadro di Pierre et Gilles. Montato con grande attenzione, ha un finale "col botto", come si dice nei "gialli", ma non solo, poiche' c'e' un'attenta analisi attorno a colpa, pentimenti, pena, redenzione, punizione, condanna, attraverso una "teatralizzazione" delle situazioni. Insomma, alla fine e' una catarsi attraverso lo psicodramma.... Ho la netta impressione che quella coreana sia, in questo momento, una delle cinematografe piu' interessanti.

ALLEGRO di Christoffer Boe, nella sezione GIORNATE DEGLI AUTORI per far dell'ironia, e' un film tutt'altro che allegro; il termine, peraltro, e' usato in senso musicale, essendo il protagonista (l'onnipresente Ulrich Thomsen, del cinema danese), pianista di fama mondiale. Puo' piacere a molti cine'files ad oltranza per suo macchinoso intellettualismo che ma ha ricordato esercizî formali, la' ineccepibili, di Resnais e Varda degli anni '60, qui lo spaesato Thomsen vaga alla ricerca di un passato dimenticato in mezzo a stilemi espressivi da "e'cole du regard" del secolo scorso; maniacale come Glenn Gould, soffrendo della solitudine dell'artista, d'angoscia da performance; che altro? Tutti molto bravi, anche la bellissima Andrea (Helena Christensen) annegata nel fiume del rimosso: 87 minuti asfittici!

LE PETIT LIEUTENANT di Xavier Beauvois, ha ricevuto il premio relativo alla medesima rassegna. Un film sulla polizia umana: lei, il capitano Vaudieu (Nathalie Baye) con un passato scomodo di alcolismo (ancora frequenta riunioni specifiche), tenta di risalire la china, lui (Jail Lespert) cerca di far carriera, lascia lontana la famiglia, si ritrova solo in una Parigi che capisce poco, e che non avra' tempo di capire maggiormente poiche' verra presto ucciso per l'imprudente distrazione di un collega. Lei si sentira', comunque, in colpa, ci sara' un "regolamento di conti", ed il capitano fara' giustizia. FINE. Che dire? Un "polar" onesto. Tutti correttamente brave, Baye sottoutilizzata, i malviventi dell'est, pericolosissimi, tanto piu' che si presentano con belle facce da bravi ragazzi. Diretto benino, montato benino: dal 6/7, come a scuola, tanti, tanti anni fa!

Altra cosa BRICK di Rian Johnson, gia' meritatamente premiato al Sundance, rappresenta un modo di come si possa raccontare una vicenda, per certi versi, banale, anche vecchiotta, cambiando poche cose: ad esempio ambientando una storiaccia di droga, ricatti, delazioni, sospetti, pedinamenti, intercettazioni, in un campus, con i modi narrativi di Hammet, un pugno di attori molto bravi, un ottimo montaggio, ed arrivare a complicare una matassa all'inverosimile riuscendo, poi, pero' a scioglierla motivando ogni dettaglio in 110' di buona tensione. Ulteriore merito quello di mostrare personaggi pericolosissimi, crudeli, infidi, equivoci come negli "hard boiled" classici... solo che si tratta di teenagers!

BE__EC di Guillaume Moscovitz e' un documentario molto, forse anche troppo, tradizionale, ma risulta particolarmente importante non solo perche' affronta un ulteriore tragico capitolo legato alla Shoa', ma poiche' va alla ricerca di un luogo cancellato, non solo, quindi, di testimonianze legate alla tragedia, ma anche, e soprattutto, il setaccio "archeologico", lo scavo, per ritrovare ubicazioni, resti, perimetri di un lager che si e' fatto tutto il possibile per dimenticare anche fisicamente. Ritrovare una memoria, in questi frangenti, e' la grande difficolta', e lo scopo da perseguire strenuamente. Il film verra' sicuramente distribuito, pare, nel corso di questa stagione.

In sottofinale: MATER NATURA di Massimo Andrei, premiato dal pubblico della rassegna. Una scombiccherata storia un po' pazza, un po' surreale, un po' lunare, che ruota attorno a Desiderio, una trans (purtroppo interpretata dalla pur brava e bellissima Maria Pia Calzone) buona e sfortunata, che sceglie, male, di innamorarsi di un bel ragazzone che sta per sposarsi (ma che naturalmente aveva taciuto il "particolare) salvo poi morire tragicamente (una volta per uno, visto che nel "L'imbalsamatore" era l'assassino, eh si, e' sempre lui, il bellissimo Valerio Foglia Manzillo) lasciando due vedove abbastanza inconsolabili. Come si vede, siamo dalle parti - un po' troppo- di "Un posto al sole", per fortuna le pazze amiche di Desiderio sono impagabili e, solo per fare due nomi: Vladimir Luxuria, di rara simpatia come regista teatrale ed altro, ed Enzo Moscato... en travesti, impagabile ed imperdibile, una volta di piu'.

Concludo riconsigliando GABRIELLE di Patrice Che'reau, una vera chicca che durante la Mostra, pochi hanno apprezzato quanto merita, e per la regia, e per l'interpretazione di Isabelle Huppert e Pascal Greggory, per le ricostruzioni d'ambiente, l'attenzione ai riti sociale di un secolo fa, non ultimo il senso come di fisico impedimento a comunicare l'uno con l'altro, dei coniugi, dapprima, increduli dell'inesorabile dissolvimento del loro rapporto, l'uno piu' dell'altra e come immersi in una trasparente algida materia gelatinosa che ne blocca anche fisicamente, oltreche' psicologicamente, e i movimenti, ed i processi mentali portando alla totale impossibilita' di comunicazione. A sorpresa un cameo di lusso di Raina Kabaivanska.

 

emilio campanella

 

POLLOCK AL GUGGENHEIM

Accade molto spesso cosi': o si va subito a vedere una mostra, oppure ci si riduce all'ultimo momento, vero e' che quando s'inauguro' la Biennale ai primi di Giugno, questa chicca organizzata dalla Fondazione, era nelle stesse date del marasma Biennale, insieme con le decine di padiglioni nazionali fra Giardini e spazî in citta', per cui, pur sapendo dall'importanza dell'evento, avevo deciso di occuparmene piu' avanti. Tanto piu' avanti ch'e' arrivato il 17 Settembre, dunque la vigilia della chiusura, prima che prendessi la decisione di vedere "SENZA CONFINI, SOLO BORDI: Jackson Pollock, dipinti su carta", e mi pentissi immediatamente di aver tanto ritardato, dato che non avrei avuto altre occasioni per tornare. Ho fatto, quindi una visita MOLTO piu' accurata dell'abituale, e per l'importanza della esposizione, e per far scendere, il piu' possibile in profondita', le emozioni.

Gia' dal titolo ci si puo' rendere conto del punto di vista estremamente evocativo della scelta delle opere, che ricopre l'intero arco creativo dell'artista. Una mostra che prende per mano dagli anni '30, da un periodo ancora quasi figurativo di forme in dissolvimento, attraverso influenze esterne dalle quali man mano si liberera', per arrivare allo stile piu' maturo, anche giocando con il Rinascimento, con mostri totemici, studî di forme, scioglimenti di linee; con pastelli, matite, collages, di grande morbidezza d'impasti cromatici, con sapienza ed equilibrio nell'abbinamento dei colori ed anche con i mostri dell'inconscio.

Confesso di essere rimasto scosso di fronte a TRIAD, un monocromo degli anni '40, come un lied di segni ancestrali dalle forme sofferte; o, negli stessi anni, forme cromatiche gia' equilibratissime, in quello ch'e' lo stile gia' definito degli ultimi anni del decennio, fino all'"avarizia" degli anni '50, ed in alcune opere in cui il colore ricorda gocce di materia in sospensione.

 

emilio campanella

C'E' QUALCOSA DI CUPO IN DANIMARCA!

Nell'ambito della BIENNALE TEATRO, curata da Romeo Castelluci, il gruppo danese HOTEL PRO FORMA ha presentato "SONO SOLO APPARENTEMENTE MORTO" spettacolo dal titolo evocatico, dedicato a H.C. Andersen (che prima di addormentarsi lasciava un biglietto con questa frase, nel timore di una morte apparente, e nel terrore di essere sepolto vivo!) in occasione del 2° centenario della nascita. Lo spettacolo, della durata di 80' e' stato presentato al Teatro alle Tese (Terza Tesa) dell'Arsenale di Venezia il 22 e 23 settembre. Come la maggior parte dei lavori presentati quest'anno, a numero chiuso di spettatori, e' un oratorio laico dedicato allo scrittore. Premetto di ritenere l'operazione, solo, parzialmente interessante, apparentemente rigorosa, ma forse, solo vaporosa! 14 preparatissimi attori / cantanti del DR Radio Koret percorrono avanti e indietro in, talvolta, suggestive, talaltra, pretestuose, processioni, i 28 metri di spazio a disposizione (hanno, dunque geometricamente, 2 metri a testa di una scena orizzontale, costituita da numerosi pannelli / tessera / paesaggio spostabili ed intercambiabili come un antico gioco di societa' ingigantito). Attenti ad una regia (Kirsten Dehlholm) ferrea-elegante ... penetrante (?) pre(ten)ziosa, raggelante... poco emozionante!

Un po' troppo performance/installazione (com'e' nella tradizione del gruppo), poco teatro... ma cos'e' questo, alla fine?

Precise le luci (Jesper Kongshang) che talvolta investono violentemente, talaltra lasciano morbidamente in penombra. Tutti bianchi i costumi ed i capelli-parrucche (a parte una che li ha gialli) ed il trucco, abbigliamenti moderni, ma anche no, medioevali, ma anche 700/800eschi, puri con ciaffi "trovati in casa" e reinventati come quando si giocava da bimbi; confesso, pero', che molto ho pensato al vecchio MAY B di Maguy Marin, guarda caso, anche quello, dedicato ad uno scrittore, e, per il compleanno di S.Beckett, allora, ancora in vita.

Questo spettacolo deve molto a quello, ma nonostante le indubbie qualita' si tratta di un oratorio vecchiotto (ben diretto, certo, da Kaare Hansen) di Manos Tsangaris, nonostante il cappottone gogoliano (colorato, come nel suddetto lavoro, erano colorati gli "inserti" d'autore), con sotto un anziano bambino interpretato dalla notevole Ninna Steen, non mantiene cio' che il bel titolo promette, e non basta un facile papero con il suo quack-quack, che strappa il sorriso, alla fine, a venderlo meno "telefonato".

 

emilio campanella