ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Novembre 2009


COROT E E L'ARTE MODERNA, Souvenirs et Impressions, a Verona, Palazzo della Gran Guardia, dal 27 novembre al 7 marzo 2010.                                       
Gia' arrivando sul Corso di Porta Nuova, si viene salutati dal manifesto di questa nuova mostra, fiore all'occhiello della municipalita' veronese, e primo risultato di una collaborazione con il parigino Muse'e du Louvre.
L' affiche riproduce: MANTES LA CATTEDRALE E LA CITTA' VISTE DA DIETRO GLI ALBERI, AL MATTINO, 1865 c.a, dell'artista al centro dell'esposizione, ed e' la copertina del bel catalogo edito da Marsilio.
Il criterio dei curatori, che dividono il percorso espositivo in tre parti, con una introduzione e tredici sezioni, corrisponde all'intento di scandagliare le tematiche scelte, da prima di Corot (di cui sono presenti circa una quarantina di opere), a dopo di lui, attraverso le sue intuizioni in relazione agli argomenti.
Di conseguenza si parte da POUSSIN, ma anche da ANNIBALE CARRACCI e da LORRAIN, per arrivare a PICASSO.
E questo ogni volta che si affronta un argomento, con un frequente andirivieni temporale, in un ex-cursus che consta di 96 dipinti, e con raffronti tematici volutamente ravvicinati, in una ideale cavalcata attraverso quattro secoli di storia dell'arte.
Le opere esposte provengono dal Louvre (45), come da molti altri musei parigini, e del resto della Francia; da alcuni paesi europei, e dagli Stati Uniti.
L'impressione generale, al di la' della piacevolezza e dell'alto livello dei dipinti, e' quella di un'operazione intelligente ed anche MOLTO furba, e di una manifestazione, SI', didattica, ma anche piuttosto schematica.
Certo e' che, specialmente nelle prime due sale, risultera' particolarmente accattivante per il grande pubblico, anche se si poteva osare maggiormente, avendo a disposizione uno spazio di grande respiro come il magnifico edificio dov'e' ospitata.

emilio campanella


Ferrara ci ha regalato la seconda settimana monografica, dopo Maguy Marin ad ottobre: Robert Wilson, in questo scorcio di novembre, con due titoli beckettiani. L'ULTIMO NASTRO DI KRAPP di cui e' anche interprete, e GIORNI FELICI, in cui ha diretto Adriana Asti, insieme con Yann de Graval. Entrambi gli spettacoli fanno parte di un progetto di Change Performing Arts commissionato dal 52o Festival dei Due Mondi di Spoleto e dal Theatre de Luxembourg, prodotto da CRT Artificio, Milano
Quello che sembra un fortissimo tuono, ci fa sobbalzare sulla poltrona, poi il palcoscenico s'illumina a mostrare un'immagine quasi bidimensionale in un nitido bianco e nero, una figura seduta alla scrivania al centro della scena, si staglia in contro luce, alle sue spalle, scaffali vuoti. Poco dopo la luce cambia ed un violento scroscio di pioggia si rovescia sull'esterno della casa (?), mentre Krapp compie piccole azioni, apre e chiude rumorosissimi cassetti, prende scatole contenenti nastri registrati siglati e numerati, mangia anche troppe banane (questo e' un suo problema, ce lo dira' dopo, attraverso la sua voce registrata molti anni prima).
Questo e' un accenno delle emozioni registrate dalla mia memoria , vedendo il 18 novembre, al Teatro Comunale di Ferrara, L'ULTIMO NASTRO DI KRAPP di Samuel Beckett, per la regia e l'interpretazione di Robert Wilson.
Una perfetta partitura scenotecnica, illuminotecnica, sonora che costituisce il ritmo interno ed esterno dello spettacolo. Settanta minuti di tensione, fermati nel tempo e nello spazio, di fronte ad un pubblico attentissimo, rapito da uno dei piu' bei lavori del texano, degli ultimi tempi. Il suo Krapp e' assediato da un immane temporale, protetto dal suo studio-prigione.
Di fronte a noi Buster Keaton, quasi anche con il volto di Harry Langdon, la maniera, la convenzioni stilistiche del muoversi dell'uomo anziano. Wilson 'danza' contratto e quasi bloccato nel gestire, chiuso nella scatola del suo mondo.
L'amplificazione dei rumori di scena potrebbe essere la sua ipersensibilita' sensoriale, cio' che vediamo ed ascoltiamo in oggettiva cinematografica e', forse, dovuto ad un degrado delle sue cellule cerebrali.
Che cosa ne penserebbe, Oliver Sacks di questa visione neurologica?                                                 
Un'ovazione ha salutato la fine dello spettacolo, purtroppo unica rappresentazione, con un protagonista spiritosissimo e pazzerello, ai saluti, per allentare la tensione,ed attento ad indicare le sue folli 'charentaises' rosso fuoco, uno indizio di fantasia nel raggelamento generale della pièce.                                                   

Dal 19 al 22 novembre, sempre al Teatro Comunale, GIORNI FELICI. Un colpo di vento, un velario che, dopo essersi gonfiato, viene risucchiato verso l'alto. Buio. Fragore di macchine, poi una luce abbacinante: ecco Winnie incastrata in una puntuta montagna nera- qualcuno l'ha descritta come uno spacco nell'asfalto esploso, ma puo' sembrare anche un piccolo vulcano da cui Adriana Asti parla e straparla, fa suoi i tormentoni della protagonista, si appoggia ad una teologia da tinello, gioca con gli oggetti estratti dalla borsa, mentre le luci cambiano, svariano, si accentuano, si attenuano, con l'abituale grande precisione.
Ogni tanto, con ostinazione, un revolver s' impone alla sua attenzione...uno specchio viene infranto, il celeberrimo ombrellino donatole da Willie (l'ottimo Yann de Graval) entra in scena, cosi' come la sporta, in un'altra importante occasione; scende un bel paesaggio di monti, poi e' ora di prepararsi alla fina della giornata. Intervallo.
Come sappiamo, nella seconda parte, Winnie e' sepolta sino al collo, ma non demorde con il suo ottimismo ad oltranza, con la forza, ormai, solo dello sguardo, e sotto il cappellino civettuolo che aveva gia' in testa. MEMORABILE! 

Memorabile Adriana Asti in una gamma di toni e di voci, di evocazioni di personaggi assenti, affabulatrice di razza, fra vocalizzi e borborigmi degni di Cathy Berberian e del suo STRIPSODY.

emilio campanella



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