ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

GIUGNO 2010


BILL T. JONES ALLA BIENNALE DANZA - UN RICORDO DI KAZUO OHNO - MUSIC STUPICA - LOUISE BOURGEOIS,  THE FABRIC WORKS - EMILIO VEDOVA, SCULTURE   


Dopo molti anni  la Bill T. Jones / Arnie Zane Dance Company e' stata invitata ad una Biennale Teatro.
Era il 1995, quando avemmo la straordinaria opportunita' di vedere STILL-HERE al Teatro Goldoni, uno spettacolo indimenticabile.
Ora, questa magnifica compagnia ritorna per una Biennale Danza (allora ancora non esisteva) e presenta uno spettacolo creato per la citta' e gli spazi delliArsenale: ANOTHER EVENING:VENICE ARSENALE, andato in scena nei giorni 11 e 12 Giugno, al Teatro alle Tese dell' Arsenale. Il lavoro, presentato come della durata di 67 minuti, e' un poco piu' lungo, poiche' il pubblico entra a gruppi e si ferma nella prima parte del grande ambiente dove la compagnia (dieci elementi) presenta una sorta di prologo coreografico, alle nostre spalle, una elegantissima signora orientale, con un magnifico abito nero, come nero e' l'abito da sera della bimba bionda che le e' accanto su un divano bianco.
Si prosegue e si prende posto mentre il secondo gruppo di spettatori viene accolto.
Ho rivisto la coreografia dagli spalti della gradinata osservando che i ruoli erano cambiati, e cosi' per le cinque o sei volte successive.
Una volta tutti seduti, lo spettacolo si e' iniziato con i danzatori che hanno cominciato a salire sui quattro gradini di accesso di un lungo praticabile lungo tutto lo spazio a sinistra del pubblico, sfilando, muovendosi, morbidi, sensuali, fra abbracci e port de bras straordinariamente fluidi, ma anche abbracci mancati, sfuggiti, rifuggiti, rimpianti, sino ad arrivare, di sfondo alle magnifiche colonne sansoviniane, in scena, e scendere dal praticabile (la scenografia e' firmata da Bjorn  Amelan) ed iniziare tutta una complessa e varia sequenza di pas de deux dinamici valorizzati da luci eccezionali ed accuratissime (Robert Wiertel, Laura Bickford).
Cio' che mi colpisce ogni volta, con questa compagnia (il lavoro coreografico e' collettivo, oltre che coordinato dal capo compagnia, cosi' come i costumi di scena),mi colpisce, oltre all'altissima qualita' tecnica dei componenti, il fatto di usare materiali arcinoti, ma con estrema propriea' e correttezza: un loro spettacolo e' 'scritto' ed impaginato con estrema precisa motivazione scenotecnica, registica, drammaturgica, e SOPRATTUTTO, loro DANZANO!
Non fanno cose piu' o meno nebulose, o difficilmente interpretabili, SONO in scena, VIVONO sulla scena, dunque SONO VERI, credibili, motivati, al di la' che si comprenda esattamente il loro discorso, ovvero se ne colga una parte soltanto, oppure in maniera differente a seconda della sensibilita' di ognuno.
Questo ha un'importanza marginale, cio' che conta e' la sincerita' e l'onesta' di fondo del loro lavoro, e non e' poco, se permettete! Insomma un'ora abbondante di gioia per gli occhi e musica creata in scena da Sam Crawford con un abito nero, una gorgiera da Pierrot, ed un trucco relativo, ma forse anche da 'nero', mentre la signora e la bimba, sedute a destra su seggiole bianche osservano e suggeriscono.
Quando ancora non ci siamo stancati di meraviglie, fra cui frequenti, notevoli, fantasiosi e variati portés, si fa un salto nel musical, si', perche' cantano anche e BENISSIMO, prima di avere qualche contrasto collettivo, alcuni assolo brevi e folgoranti, ritornare per la via dell'inizio e scivolare fluidamente via.
Ho lavorato in tre occasioni, con Kazuo Ohno, durante tre stages memorabili.
Il primo a Venezia, nel 1989, in piena estate, nella palestra di un bellissimo edificio, di fronte a Palazzo Zenobio, la seconda a Ferrara, nell' inverno del 1996, nelle suggestive soffitte dell'appena restaurato Teatro Comunale, e l'ultima, nel 1999 all'isola di S. Giorgio, sempre a Venezia, invitato dall' Accademia Isola Danza di Carolyn Carlson.
La prima volta l'emozione era grandissima e ricordo che da una settimana prima mi svegliavo al mattino con la preoccupazione dell'incontro con il grande maestro: avevo proprio il 'track' come dicono i francesi!
Ma non ero il solo, infatti quando ci siamo trovati in tantissimi per la prima lezione, la tensione era palpabile, ed il maestro l'aveva colta immediatamente, per cui, dopo il riscaldamento individuale, ci aveva chiamati accanto a se' e, sedutosi su di una seggiola (noi eravamo sul pavimento) e scusandosi per essere piu' in alto, ma solo perche' lo vedessimo tutti, ha trascorso un'ora a raccontarci storie della sua vita, come un nonno con i nipotini!
Da allora per noi amici e colleghi veneziani lui  era diventato IL NONNO, anche quando si andava a vedere i suoi spettacoli!
Uno stage memorabile, in un periodo in cui studiavo molto e lavoravo altrettanto, e, pur provenendo da un'altra scuola, avevo trovato radici comuni, infatti, i miei maestri diretti avevano lavorato a Berlino con Mary Wigman, cosi' come i giapponesi avevano lavorato a Berlino, creando un collegamento con Hijkata ed Ohno, che portera', alla fine degli anni '50, all' ANKOKUBUTO ( Danza delle tenebre) in cui l'ascendenza espressionista risulta evidentissima, per quanto filtrata dalla sensibilita' nipponica passata per la tragedia di Hiroshima e Nagasaki.
Il lavoro non fece che confermarmi nel mio percorso professionale, poiche' ogni osservazione era un aiuto a rimanere lungo la strada giusta. Erano pomeriggi intensissimi coronati alla fine, da un regalo del maestro che ogni giorno danzava per noi qualche frammento delle sue coreografie.
Questo perche' non si era resa possibile la disponibilita' di una chiesa sconsacrata che lui desiderava per fare uno spettacolo! In questo modo, solo noi 'eletti' avevamo avuto questo straordinario regalo!
Indimenticabile, una danza in smoking, a piedi nudi, sul prato all'ombra di un grande albero, noi seduti attorno, immersi nella luce e nel calore della fine di un pomeriggio di Luglio sotto un cielo terso.
Un altro motivo di interesse era aggiunto dal rituale delle traduzioni: dal giapponese all'inglese all'italiano, che creava un'aspettativa ed un ritmo speciale alle lezioni. Diverso a Ferrara. dove responsabile della traduzione era un'amica laureata a Ca' Foscari con una tesi sul BUTOH, appunto, che impazzi', trovandosi di fronte un uomo proveniente da un'altro continente ed un'altra epoca che parlava una 'lingua maschile' come lei la defini', e che risultava impervia da comprendere, oltre che da tradurre; al di la' di questo, lo stage fu ancora una volta importantissimo e mi, ci lascio' un segno, ancora una volta, indelebile della forza interiore del grande Kazuo, apparentemente fragile come una fogliolina secca, sensibile, vibrante e leggero come un fiore delicato, come una stoffa leggera e trasparente che si muove al vento della primavera.
L'ultima occasione , forse ancora piu' importante, per la cornice e l'entourage di professionisti, per la mia situazione personale, all'indomani di un lutto gravissimo, e con la voglia ed il bisogno di esprimere il dolore sordo che mi abitava.
Non so se riuscii a danzare la morte, e specialmente a farlo come qualcuno che ritorna dal paese da cui nessuno mai e' tornato, come dice Amleto, ma mi avvicinai molto a cio' che il maestro ed il suo straordinario assistente di una vita, il figlio Yoshito (lui era stato protagonista giovanissimo della prima uscita pubblica di questo stile nel 1959) cercavano di farci comprendere.
Questo cercava di insegnare e danzare Kazuo Ohno, il ritorno dall'aldila', scavando in profondita', come faceva lui con i suoi amatissimi fantasmi . la madre, la Argentina, e tanti altri, rendendoli con il suo personalissimo modo di continuare la tradizione degli onnagata kabuki ( gli attori che interpretano ruoli femminili).

emilio campanella

Una mostra curata da Lojze Gostisa, inaugurata il 25 Maggio, ed aperta sino al 26 Giugno, alla Galleria A+A, a Venezia, in calle Malipiero, ad un passo da Palazzo Grassi, e che e' sede abitualmente del padiglione della Slovenia, della Biennale.                     
Un'occasione molto importante, e per la prima volta, di due artisti sloveni quasi coetanei e che hanno compiuto, fra i temi affrontati nelle loro carriere, un lavoro di scavo nel ricordo degli orrori della seconda guerra mondiale: Music (1909/2005) con i disegni realizzati di nascosto durante i sette mesi di internamento a Dachau, e che riaffioreranno solo negli anni settanta, gettando nello sgomento tanti che lo conoscevano e che non erano a conoscenza di questa sua tragica esperienza; Stupica (1913/1990) con un ciclo di gouaches realizzato nei primi anni sessanta.
Lo spazio della galleria e' molto suggestivo e movimentato nei suoi due piani, ed articolato in varie stanze di differenti dimensioni; e' uno spazio grande ma non grandissimo, raccolto ed adatto alla concentrazione, quindi perfetto per ospitare queste opere intense nate negli ateliers di due artisti appartati.
Si alternano le opere di RIBELLIONE di Stupica, con quelle di NON SIAMO GLI ULTIMI di Music, volti in primo piano, cataste di corpi consumati dalla sofferenza, una deposizione partigiana, un camion di condannati, un volto dallo sguardo allucinato, un gruppo che sta per essere fucilato, un corpo contorto. Si esce scossi e' indubbio, ma queste cose continuano ad accadere, ed e' bene non dimenticarlo!
Essendo a Venezia, l'esposizione merita assolutamente una visita.

emilio campanella

Eravamo stati alla presentazione ii 13 Maggio scorso, ed in quella occasione qualche collega aveva domandato al curatore, Germano Celant se Louise Bourgeois, sarebbe intervenuta alla mostra che si stava preparando, e che si annunciava importantissima (come e' in effetti) , ma il critico aveva affettuosamente escluso questa possibilita' data l'eta' avanzatissima dell'artista che comunque lavorava sempre assiduamente e disegnava continuamente dando suggerimenti ai suoi collaboratori.
La mostra che si inaugura questa sera e che sara' aperta al pubblico da domani, 5 Giugno, sino al 19 Settembre, e' ormai una manifestazione IN MEMORIAM LOUISE BOURGEOIS, si potrebbe dire, siccome, anche lei, come altri grandi, ci ha lasciato proprio in questi giorni (come Kazuo Ohno, Peter Orlowsky, Giuseppe Taddei).
Anni orsono era accaduto con Emilio Vedova deceduto il giorno prima dell'apertura della bellissima mostra trevigiana: VENEZIA NOVECENTO che vedeva lui come leit-motiv di tutta l'arte veneziana del secolo.
La mostra della Bourgeois e' allestita nel bellissimo spazio dei Magazzini del Sale ricreato da Renzo Piano per il Museo Vedova (Zattere 266), appunto. Si tratta di materiale inedito e di molti lavori su stoffa; il percorso lungo il grande corridoio e' scandito quasi drammaticamente, poiche' lungo la parete di sinistra cinque raggruppamenti stilistico tematici di arazzi (72) fronteggiano le opere tridimensionali di grandissimo impatto, a cominciare dalla grande spirale del 2006, per poi incontrare il gigantesco ragno in acciaio del 2003, CONSCIOUS AND UNCONSCIOUS del 2008, PEAUX DE LAPIN, CHIFFON FERRAILLES A' VENDRE del 2006 e lo straordinario BULLET HOLE del 1992.
E' un continuo andirivieni fra lavori delicatissimi, evocazioni oscure, stoffe trapunte, "lavori femminili", materializzazioni tragiche dell'inconsio dell'artista; mostri, sedute di autoanalisi, e cio' che piu' conta:l'arte della Bourgeois tocca le corde profonde di ognuno, non necessariamente le stesse, e' ovvio, ma lei aveva uno strumento dalle innumerevoli corde, evidentemente!
Creava per esorcizzare la paura, proiettava i propri fantasmi, ma talvolta con una tale leggera efficacia, talaltra con lancinante crudelta', ancora con decisa brutalita', o con il sadismo dei bimbi. La discesa in un gorgo imprevedibile e ricchissimo di sorprese, non solo spaventose.                                                                   
Poco lontano, sempre lungo la medesima fondamenta (Zattere 51), verso la Punta della Dogana, si arriva all'altra mostra proposta dalla FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA, dedicata a sculture dell'artista veneziano ed allestita nel bellissimo spazio che era il suo atelier.
Tutt'altra atmosfera in questa stanza bianca popolata da diciotto opere, anche queste, inedite, fra cui interessantissimi modellini, un grande tondo che campeggia al centro, BERLIN '64 del 1964, due tondi ed un disco lungo la parete di sinistra.
I modellini sono stitemati su tre tavoli bianchi allungati e posti con una teoria di diagonali, altri su basi, anche quelle bianche, a contrastare i lavori che hanno una predominanza di nero, ma con vari materiali, piccoli oggetti, talvolta, di contrasto.
Tutto, pur nella notevole forza drammatica emana uan grande forza solare, una potenza inequivocabile, anche in opere di piccole dimensioni.
I ponderosi cataloghi delle due manifestazioni, sono pubblicati da Skira

emilio campanella


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