Le recensioni di Emilio Campanella

Aprile 2005


BIN -JIP (3 - IRON) di Kim Ki-duk

BRANCUSI

IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA di Claudio Monteverdi

VERONESE


BIN -JIP (3 - iron) di Kim Ki-duk

Talvolta si scrive subito, talaltra si lascia passare un po' di tempo, si continua a procrastinare, a non decidere e si pensa gia' di lasciare perdere, invece, poi, come adesso, all'improvviso si prende la penna in mano e si affronta l'argomento, inaspettatamente infatti pensavo di archiviare il materiale dell'ultimo film di Kim Ki-duk, fra quello scritto senza scrivere, tanto l'avevo visto gia' due volte, ed a distanza di tempo; tant'e' mi era rimasto il desiderio di stendere due righe, poiche', se non si tratta di un capolavoro, e questo lo sappiamo, ormai, tutti, pure, il lavoro del coreano risulta interessante per piu' versi; non ultimo il fatto che in 95' riesce a condensare una serie di temi e due o tre strutture narrative differenti.

Una delle qualita' e' la sceneggiatura ridotta all'essenziale. I personaggi, ognuno per le proprie ragioni, parlano poco, si parlano poco, ma comunicano molto con lo sguardo. Lui e' uno strano ragazzo (un po' tiro manga, molto trendy) che si introduce abilmente in appartamenti vuoti dove fa il bucato ai padroni di casa, ripara piccoli elettrodomestici, fa il bagno, e lo fa fare ad un libro fotografico che poi asciughera' con il ferro da stiro. In una casa successiva non si accorgera' che una ragazza (una modella, visto che oltre che sul libro compare anche in ritratti affissi alle pareti dei vari appartamenti?) picchiata e malmaritata ad un respingente consorte, lo spia senza che lui se ne accorga. Lo seguira' nelle successive avventure dopo uno scontro a colpi di mazza da golf ferro3 (che da' il titolo con aggiunta della frase: la casa vuota, per l'Italia) fra i due uomini.

Poi la situazione precipitera' e lui verra anche incarcerato, e qui sarebbe il terzo film in cui si sviluppa il percorso di ascesi attraverso il sogno dell'invisibilita' a suon di botte subite da un secondino particolarmente ottuso. Uscira' dopo una breve pena molto dura, tipica di un regime repressivo, si vendichera' variamente, rivisitera' le varie case terrorizzando gli abitanti che ne percepiscono la presenza senza vederlo, e tornera' da lei per vivere a tre con il marito beffato che non riesce a vederlo, tanto e' abile a stargli alle spalle muovendosi quasi con lui. Perplesso da una moglie improvvisamente innamorata che lo riempie di apparenti attenzioni e di sguardi appassionati, rivolti appena oltre lui, dopo averlo odiato. Nulla c'e' di reale, tutto e' possibile, ma anche molto credibile. Vedremo dove il prossimo capitolo di Kim Ki-duk sulla percezione ci portera'!

emilio campanella


BRANCUSI

Con stile ed eleganza, come d'abitudine, la Fondazione Guggenheim ha inaugurato un'altra delle sue imperdibili "piccole mostre": Brancusi, l'opera al bianco. Un percorso in otto stanze incentrato su immagini scattate dallo stesso artista, delle sue opere e del suo atelier parigino. Fotografie che questo scultore schivo scattava per se, e nelle quali alchemicamente mescolava i varî ingredienti (le sue opere) per dei precipitati artistici, queste rappresentazioni, appunto, nelle quali, come suo desiderio, e' l'insieme, l'opera d'arte, la composizione degli elementi, la disposizione dei pezzi, e non solo la scultura singolarmente. Non a caso, il sottotitolo fa riferimento al "lavoro" dell'alchimista. Non si sa se sia piu' lo studio di Faust o la "cucina di strega", vero e' che l'arsenale delle apparizioni anche singole, e disposte in successione, risulta emozionante. E' la prima volta che queste foto escono dalle casse per essere esposte dopo essere state indispensabili per la ricostruzione dello storico studio. Si tratta di otto stanze, anche poetiche, eccome, a modo loro, in cui veniamo accompagnati attraverso immagini che vanno dagli anni '10 agli anni '40 del '900; Sole, cinque sculture sono ammesse: tre gessi e due bronzi: la Musa addormentata (Posteriore agli anni '40), l'ancora piu' enigmatica Baronessa dei primi anni venti (?) e l'essenziale busto di Giovane uomo (1918-24). E' ovvio che li ritroviamo continuamente dopo la seconda stanza dove sono collocati, e raddoppiati specularmente come il busto, o moltoplicati e risognati, reimmaginati altrove e successivamente. Bisognera' attendere, invece la sesta stanza "dove ciascuno vede riflesso nell'uovo divenuto uccello, e poi nel corpo dell'uccello nello spazio, o nell'etere, o magico, o sacro, comunque lo si voglia chiamare" come recita l'incipit del capitolo specifico nell'agile catalogo (SKIRA), per ritrovare Maiastra (1912) e l'Uccello nello spazio (post 1932), due magnifici bronzi dorati della collezione veneziana esposti in una sala scura (l'unica), illuminati ed affrontantisi come antichi oggetti mitici che piu' totemici non si puo'.

L'allestimento e' molto sobriamente in grigio chiarissimo, a parte la stanza suddetta. E' tutto un gioco di anticipazioni, attese, suspenses, ritrovamenti, solo con foto, ma che foto!!

Questa mostra vale un viaggio!

emilio campanella

 

 

 

 

 

 

 


IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA di Claudio Monteverdi

Visto in dicembre al Teatro Grande di Brescia, rivisto al Comunale di Ferrara il 27 febbraio, questo spettacolo cui, alcuni mesi fa, era stata dedicata buona parte di una puntata de "La scena invisibile, l'Opera alla radio" di Radio 3 si riconferma un lavoro di rara cura e di notevole interesse. Parto dall'impianto scenico semplicissimo che vedeva due muri di lati, a delimitare lo spazio, due archi squadrati ed asimmetrici sul fondo, alcune giare "senza tempo", di varie dimensioni, con accanto una fonte ch'e' un vero e proprio rubinetto (neorealistico); il palcoscenico e' cosparso di sabbia come se la sala teatrale fosse il mare. Infatti, quando Nettuno affonda la nave dei Feaci, la lascia delicatamente cadere tra i flutti musicali dell'attenta Accademia Bizantina, dell'ancora piu' attento Ottavio Dantone. A Ferrara ero molto vicino, ed oltre ad apprezzare maggiormente molti particolari della scena, ho osservato ancora con piu' attenzione il gioco di sguardi fra i musicisti, e la stretta intesa con il direttore, e di questi con i cantanti, gia' notata a Brescia. Lo spettacolo, di grande qualita', suggestione e rigore, proveniente da Aix-en-Provence, coproduzione dei teatri del Circuito Lirico Lombardo, Bari, Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna, era firmato da Adrian Noble (ripresa di Elsa Rooke). Scene e costumi (Anthony Ward) semplici ed efficaci, dai colori caldi e "mescolati" con discrezione fra epoche "senza tempo" e stili. Belle le luci di Jean Kalman.

Una regia molto semplice, fatta di piccoli movimenti, in un teatro motivato dal gesto e dalla parola, in cui gli interpreti, cantano, agiscono, danzano. Semplici, efficaci macchine creano effetti suggestivi, techniche viste mille volte, conquistano per la proprieta' dell'applicazione, se la scena appare appropriatamente un po' archeologica, il tutto non e' scevro da qualche strehlerismo, che, comunque non "disturba", e ci sono momenti particolarmente riusciti. Come il giovinetto (Athena) che sembra ispirato a Watteau. Il gia' citato affondamento dei Feaci, reso con un grande triangolo di tela bianca a fingere la nave nella tempesta in cui il piccolo legno in proscenio, sotto la minaccia del dio del mare che ha alle sue spalle la grande vela sbattuta dal vento; od anche il viaggio "per l'aere" di Athena e Telemaco, reso, ancora una volta, con tecnica semplicissima ed effetto di grande efficacia. Come dire che la regia ripropone, suggerendole, le macchine barocche, con mezzi minimali.

Ed ora i cantanti/attori, da Penelope/Sonia Prina, brava attrice, regina dignitosissima dalle note perfette, donna tenace e positivista, sempre intensa e credibile come nella scena bellissima del "suggerimento" di Athena (Roberta Invernizzi), come dire due volti, una voce. E, comunque l'ostinazione della regina fa si' che occorra un atto perche' ammetta che innanzi a lei sta Ulisse: caratterino, eh?! Intanto meraviglie musicali e letterarie di un libretto straordinario (Giacomo Badoaro). Frattanto il convito degli dei, alle loro spalle, osserva come in un divano dopo la discesa di Zeus (Riccardo Novaro, a Brescia, Christian Senn a Ferrara) da suo tappeto volante, in questa reggia di Itaca, sulla rena, come una corte orientale. Ulisse e' Furio Zanasi, nobile ed elegante (troppo per quel bugiardone del Laertiade?) anche invecchiato e coperto di stracci, dagli accenti vibranti di calore al nome della patria agognata, cadendo in ginocchio sentendo nominare la sua terra, o nel commovente ritrovamento di Telemaco (Luca Dandolo) in chiusura della prima parte cui il pubblico ha tributato un lungo, convinto applauso. Notevole in controtenore Roberto Balconi (Umana Fragilita' / Pisandro / Feacio I). Paolo Buttol era Nettuno ed il Tempo, a Ferrara, appropriato, ma sicuramente raffreddato (come quasi tutti, prima o poi, quest'inverno).

Fragile, ma correttissima, Paola Quagliata (Fortuna / Melanto) e molto bene Sakurada Makoto come Eurimaco, entrambi freschissimi nel loro gioco scenico di giovani innamorati, molto bene Giunone, Anna Chierichetti. Ad alto livello l'Eumete di Mario Cecchetti e l'Ericlea di Barbara Di Castri. Divertentissimo l'Iro di Gianluca Zoccatelli, e molto bravi, Antinoo, Umberto Chiummo (Sergio Foresti a Brescia) ed Anfinomo, Jose' Daniel Ramirez. Pubblico attentissimo, e festoso alla fine, che ha decretato un meritato successo al direttore, all'orchestra, agli interpreti, ed a tutti coloro che hanno contributo alla riuscita di uno spettacolo che rivedrei, ancora, volentieri.

In chiusura, per gli addetti ai lavori aggiungero' che Ulisse (F.Z.), anche "straccione" ed invecchiato e' sempre un bellissimo ed elegantissimo orso!

emilio campanella


VERONESE

Guarda caso, Paolo Caliari.

Si, viene un po' da pensare cosi', anche notando lo striscione pubblicitario che sembra un po' defilato.... A poche settimane, poi, dalla chiusura della trionfale occasione rappresentata da Turner in Venice. Quasi subito dopo il Museo Correr si rimette in corsa con una esposizione dalle indubitabili attrattive -almeno sulla carta- di grande richiamo.

Veronese, miti, ritratti, allegorie (sino al 29/V); si tratta di una scelta non amplissima, e di qualita', questo bisogna dirlo, un po' altalenante, oltra alla perplessita' dovuta all'ampiezza e vaghezza dei temi; piu' completa, per certi versi a Venezia, ma con qualcosa in meno in confronto a quella esposta a Parigi al Muse'e du Luxembourg da cui proviene.

Ordinata in un percorso che si sviluppa fra il salone da ballo e tre sale della reggia neoclassica poco o punto note al grande pubblico, si apre con il San Menna Cavaliere dalla Galleria Estense, unico soggetto sacro, ma peraltro molto guerriero, ed, apparentemente molto poco santo; gli sono accanto due magnifici ritratti: Iseppo da Porto con il figlio Adriano, in cui il nobiluomo sembra guardarci amichevole, mentre il bambino gioca con la sua mano, lo sguardo attratto a sinistra (Uffizi) ed il ritratto di Francesco Franceschini: gentiluomo dallo sguardo deciso, con un cagnolino che lo guarda, attirato da qualche particolare.

Di fonte: La Giustizia, affresco portato su tela dal Duomo di Castelfranco Veneto.

Nella seconda sala trionfa la "Susanna ed i vecchioni" da poco vista a Genova per "L'eta' di Rubens", e di proprieta' delle collezioni Carige. Non riprendo l'argomento trattato in quella occasione, ma faccio notare come questo sia uno dei legami, non l'unico, fra le due esposizioni, ed anche uno dei motivi d'interesse di questa. Un'altra versione della vicenda e' a Vienna. Accanto tre ritratti: "Gentiluomo in pelliccia di lince" (Budapest); "Alessandro Contarini" (Dresda), magnifico signore dal volto riconoscibile facilmente tra le calli veneziani; "Gentiluomo seduto" (Pitti). Altro pezzo forte della sala e' "Marte che spoglia Venere con amorino e cane" (Edimburgo) dove l'interessante impianto verticale, lo sguardo del dio molto deciso nel gioco delle mani sul corpo della dea, semidiscinta, ormai, dei sontuosi broccati, mentre distrattamente gioca con l'amorino il quale si rotola con un piccolo cane, tutto il gruppo illuminato da una luce che cade dall'alto.

La terza sala presenta tre dipinti rettangolari di piccole dimensioni (25x101 cm) da Boston, e presumibilmente, in origine, decorazioni di cassoni. Venere e Giove, Atteone e Diana con ninfe ed Atalanta e Meleagro e, con un quarto, non in mostra, avevano fatto parte della collezione di Giobatta Raggi (Genova); L'interessante "Marte e Venere con Amore", scena di grande sensualita', e dall'impianto non lontanissimo dal Tarquinio e Lucrezia di Tiziano, ma dall'atmosfera, ovviamente, molto differente; sull'altra parete il "Ritratto dell'orafo Hans Jacob Kinig" un bellissimo orso nordico di cui farei MOLTO volentieri la conoscenza.

Nell'ultima sala un simpatico "Amorino fra due cani" da Monaco; una "Lucrezia" bagnata in una luce perfetta: l'eleganza di stoffe e gioielli rischiano di far dimenticare che la giovane sta compiendo un atto estremo.

In chiusura, trionfale, il "coup de theâtre" del "Ratto d'Europa" da Palazzo Ducale: la composizione ascensionale, la luce, l'aria, gl'incarnati di un gruppo di magnifiche donne che si affanna per abbigliare sontuosamente Europa, finissime perle alle orecchie ed al collo, un seno eburneo ancora discinto mentre quelle sistemano meravigliose fibule di alta oreficeria, broccati dalle nuances delicatissime. Intanto, il bellissimo toro adorno di fiori come una divinita' indiana, bacia il piede calzato dal sandalo, di lei, un toro speciale, molto speciale, al quale non si puo' e non si deve resistere. E i pochi che l'hanno fatto, hanno pagato molto caro il loro ardire. Una mostra con luci ed ombre che non vale un viaggio, ma merita di essere vista essendo in loco.

emilio campanella


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