Gli articoli di Emilio Campanella: Giugno 2002

 

L'ORA DI RELIGIONE di MARCO BELLOCCHIO

MAPPLETHORPE di e con ISMAEL IVO


L'ORA DI RELIGIONE di MARCO BELLOCCHIO

Ernesto Picciafuoco, pittore bravo, ma poco noto, cade letteralmente dalle nuvole ricevendo la visita di un messo pontificio che lo avverte della convocazione in Vaticano, da parte del cardinale (il bravissimo, sottile, insinuante, sinistro, Maurizio Donadoni) che si occupa -da tre anni!- della causa di canonizzazione di sua madre, uccisa decenni prima dal figlio folle, Egidio. In questo modo inizia L'ora di religione di Marco Bellocchio in cui il mondo laico del protagonista (Sergio Castellitto, più bravo che mai, introspettivo, attonito, esterrefatto di ciò che accade intorno) va in frantumi e cade in una spirale decisamente kafkiana (bisognerebbe rivedere L'UDIENZA di Ferreri, di suo, kafkianissimo, a tanti anni di distanza, per un raffronto di atmosfere anche lì di scontro violento con il Vaticano) in cui rientra la moglie da cui si sta separando, inquieta, inquietante, che battezza il figlio addormentato in un episodio che sembra quasi una macumba.

Poco a poco E. si rende conto di essere l'unico in famiglia allo scuro del progetto; anche il fratello ex terrorista si è convertito e l'unico non credente sembra essere rimasto lui. Anche il bambino, ingombrante (che non recita bene, peraltro ma non è colpa sua) e di cui, ingombranti sono i dubbî, che ha chiesto (spontaneamente) di frequentare l'ora di religione pur non essendo battezzato e soffrendo di dubbî atroci che esterna al padre che non può aiutarlo e che gli risponde molto semplicemente di non credere in Dio, la terza sarà con il cardinale che avrà una reazione da istigatore di sensi di colpa. Bisognerà incontrare la maestra di religione: una bella ragazza bionda, intelligente, sensibile, anche lei pittricie di un certo, guarda caso, sconosciuto talento, ma chi è in realtà questa donna (che il bambino non riconosce nella descrizione del padre), la maestra di un'altra classe, o neppure quello? E la vicenda continua con segnali inquietanti quali l'autista del cardinale che lo sollecita durante il colloquio per non rischiare il ritardo. Il tragitto in macchina con il traffico pesante intorno al Vittoriano, luogo che ritornerà in varî modi nel corso del film, può ben ricordare la prima illuminante sequenza del sogno con l'ingorgo spaventoso sul raccordo anulare di 8 e _, non a caso anche qui il protagonista "fugge" rannicchiandosi sul sedile dell'auto.

Poi è il "party ecclesiastico" visto con un occhio surreale, come sempre più alta è la temperatura del film, un omaggio, sì, a Fellini, ma quasi con uno sguardo alla Greenaway che è anche lui un po' suo figlio, e con tutta un'aria da società segreta che aleggia fino all'episodio del conte Bulla che per un sorriso (ironico, sì? no? che gli verrà fatto notare altre volte) di E. si adombra o lo sfida; e qui rimango un po' perplesso dall'eccessivo tratteggio operettistico del personaggio e dalla disinvoltura con cui un nobile si mette alla pari con un borghese...bah! ma si sa, nei sogni come negli incubi, tutto è possibile.

C'è poi la zia detta "tigre" di Piera degli Espositi, un cameo di gran lusso, e quanto si dev'essere divertita mentre in casa sua si allestisce il set del martirio, con il fotografo che immortala l'attrice/santa mentre viene pugnalata: da manuale della perversione da immaginette mentre poco prima l'avevamo vista, già insanguinata parlare al cellulare!

Nell'ospedale psichiatrico l'incontro fra i fratelli è mostruoso poiché ognuno a modo suo lo è con le sue ipocrisie ed i suoi fallimenti, tutti intorno al povero assassino (bellissimo, tenerissimo!) animale sperduto che esplode in due bestemmie (che miopia, censurarle!) neppure liberatorie, ma dolorosissima reazione alla pressione psicologica sopportata: urlo di bestia ferita che riceve l'unica comprensione dal protagonista.

È veramente la medesima famiglia de 'I pugni in tasca'? Oppure è peggio ancora quella, o siamo noi ulteriormente peggiorati?

Ancora, il 'miracolato' bertolucciano e la presenza ingombrante del Vittoriano nella fotoricordo come nell'ossessione (esilirante) per la bruttezza dell'edificio, un ricoverato ascoltato prima, ma anche nel lavoro grafico di E. che ne disegna la distruzione per ricrearne il giardino esistente in precedenza.

Ancora G. e "Il ventre dell'Architetto (film ursino come pochi, peraltro) dove il monumento era al centro della vicenda, ed anche nell'incedere della famiglia verso l'udienza papale (immagine anticipata due volte fissa precedentemente) ed il cardinale che durante l'attesa prende in braccio una bambina: ho visto il film tre volte, e SEMPRE, durante quella scena, un brivido mi è corso lungo la schiena... non aggiungo altro!

Ma intanto E. ha accompagnato a scuola il bambino. Loro non si sono lasciati traviare, forse, e fino a quando?

Ance dopo il duello (questo un po' eccessivo) ed un'ora d'amore (si direbbe) con la bella insegnante (?) si è salvato?

Visivamente accuratissimo, con ottimi attori molto ben diretti (il bimbo, s'è detto no). Magnifica fotografia, interni molto ben scelti, belle le grafiche ed i dipinti, alcuni dello stesso regista, direzione precisa e montaggio efficacissimo, è un film in cui le zone d'ombre sembrano essere volute, che ha più ombre che punti in luce, e questo, giustamente, data la tematica.

Emilio Campanella


MAPPLETHORPE di e con ISMAEL IVO nell'ambito della rassegna SOLOMEN della Biennale Danzamusicateatro 2002

Bisogna premettere che Ismael Ivo è uno di quei danzatori che appena entrano in scena fanno accadere qualche cosa. In questo caso qualche cosa già accadeva prima che il pubblico se ne rendesse conto, mentre entrava e prendeva posto: parete di fondo della scena in cui era inserita una struttura tubolare bianca e trasparente, non era dipinta ma abitata da una figura che impercettibilmente si muoveva e teneva i piedi in due dei, tanti fori che lo solcavano... poi buio in sala ed inizio della prima parte (Prison) in cui la creatura sale e scende faticosamente lungo il tubo, striscia, si arrampica, sembra rimanere attacata alla parete come l'insetto torturato, in una provetta, da un entomologo crudele.

Un movimento provoca la caduta della parete ed un cambio con inevitabile colpo di scena: uno specchio di fondo ci rimanda l'immagine del danzatore steso a terra e seminudo come prima (cache-sex) in mezzo a calle c con una colonna tavolino con su una scarpa femminile a tacco alto. L'uomo rotolerà per la scena, poi pian piano tra buio e luce scomparirà ed apparirà dapprima rivestito di una blusa, e poi con i pantaloni come di un pigiama e camminerà, correrà, nuoterà nello spazio liquido dell'immagine riflessa. La trasformazione continua ed in shorts neri aderenti eccolo sul praticabile obliquo centrale che, steso "soffre" sotto l'occhio indagato re dell'obiettivo fotografico, ed è il ricordo del timore del fotografo dopo aver visto l'uso del corpo maschile nero come oggetto di seduzione; ed ecco l'angoscia dell'uomo oggetto, il timore-terrore di essere usati per la propria mera fisicità, ma la situazione evolve, così come era accaduto molto positivamente nella fruttuosa collaborazione fra i due artisti. Ci sono lacerazioni forti ed angosce profonde che si fanno strada ed Ivo annodando i propri abiti si trasforma in una figura arcana ed antica, ma anche in un personaggio egittizzante (sulle note di "E lucean le stelle", Di Stefano in tre edizioni differenti e successive) ecco anche le seduzioni e le provocazioni, ma sempre con estremo rigore. Si arriva alla crisi e si rotolerà schiacciando i fiori (come prima con l'attacco epilettico nel tubo, memore dell'esperienza 'BUTO') per poi strapparli violentemente e ficcarli a forza nel costume di scena con il proprio sesso e muoversi per la scena ieratico e trionfante con una erezione floreale memore di un celeberrimo verso di Lorca come di un episodio di Genet in cui un uomo intrecciava "non ti scordar di me" ai peli pubici del proprio amante (l'intenso lavoro da Les Bonnes con Yoshi Oida visto pochi mesi fa a Ferrara è ben vivo nel ricordo). In ultimo i fiori veranno divorati ed ingurgitati, sputati e maciullati dal folle mangiatore. Fine della seconda parte (Flowers). Nella terza (Mortality) è finalmente nudo, sì, perché i giornali locali avevano ben preparato il Pubblico alla 'ghiotta' occasione: mettere a nudo l'uomo nero dei proprî sogni e delle proprie paure!

Ovviamente quella di Ivo è una nudità, oltreché "ça va sans dire" scultorea (a dispetto dell'età non più giovanissima), ma di una sacralità rara da trovare; il suo corpo è come attorniato da un'aura che rifulge di spiritualità, paradossalmente (ma mica tanto) risulta più seduttivo vestito che spogliato.

I riferimenti sono molti e ve li metto un po' alla rinfusa: primo fra tutti il corpo dell'attore santo di Artaudiana memoria; la forza interiore e la sacralità del corpo che danza come primo rapporto dell'uomo col divino. Insomma uno spettacolo essenzialmente sul corpo e la fisicità si risolve in una apoteosi dello spirito. Gli ultimi episodî sono un percorso di citazioni (mai didascaliche) ai miti feticcio di Mapplethorpe. La scarpa femminile portata sulla schiena con contrasto cromatico e di linee (la sontuosa rotondità dei glutei e la possanza dei muscoli dorsali con l'acutezza del tacco a spillo) ed un rimando ai muscoli di Liza Lyon, ma anche alla "Sheer" di Allen Jones, naturalmente; e poi tutto un lavoro di movimento lentissimo sul tavolino, che si ricollega a storiche foto, esaltato da un uso sapientissimo delle luci che esaltano, mostrano, occultano, svelano, oscurano paricolari e linee.

Coreograficamente molto interessante, come avrete capito, intensissimo emotivamente con scene notevoli (Heinze Baumann) ed una durata ineccepibile (circa 50'), buona la scelta musciale (oltre a Puccini, S.Reich e percussioni giapponesi) dimostra come Ivo sia ottimo creatore e regista di se stesso, anzi molto meglio di quando è interprete per altri.

Una ulteriore notazione legata al suo lavoro che amalgama fluidamente le sue esperienze (Ailey, Kresnik, Amagatsu) facendole completamente proprie.

Applausi prolungati ma un po' frenati al danzatore in proscenio rivestito dalla propria sacra nudità

Emilio Campanella