Le recensioni di Emilio Campanella: Maggio 2002

DON PASQUALE AL MALIBRAN

NELLA COLONIA PENALE


DON PASQUALE AL MALIBRAN

Già sulla carta, leggendo il nome di Pasquale Grossi (scenografo) si poteva prevedere la qualità dello spettacolo che già ad apertura di sipario, porta la sua inequivocabile firma; infatti tre serrande/pannello (silenziosissime) fanno da chiusura a un ambiente centrale e due laterali (corridoi, stanze di passaggio) in modo da accelerare i cambi di scena e puntualizzare, talvolta, gli "a parte". L'ambientazione è tra stile 1925 e anni '30 dei telefoni bianchi, e già nell'ouverture si prepara la prima scena con i personaggi che vivono una sorta di prologo, e tutto senza troppo deconcentrare dal lavoro dell'orchestra (ben diretta da Corrado Rovaris)

All'inizio siamo nell'ufficio di Don Pasquale, titolare di una ditta di tessuti che Enzo Capuano, buon attore e attento interprete musicale, anche se non eccelso, rende un po' tra Carotenuto, Celi, De Sica (Vittorio, naturalmente !) e altri signori della commedia italiana, e caccia il nipote Ernesto (Massimo Giordano che prende, o vorrebbe prendere, la voce dove può, e più frequentemente senza trovarla) per sposarsi seguendo poi i consigli dell'astuto Dottor Malatesta (Franco Vassallo, di bella voce, piena, ottimo fraseggio, buone qualità attoriali e magnifica presenza !) che gli presenterà Sofronia/Norina (dopo averla indottrinata in una scena di molto brio) che è qui una delle segretarie della ditta fra GRANDI MAGAZZINI e GLI UOMINI CHE MASCALZONI! E legge, naturalmente, in ufficio, SIGNORINA GRANDI FIRME. Dopo il matrimonio diventerà la virago che sappiamo e il dimesso personale di servizio si trasformerà e moltiplicherà in uno stuolo di camerieri, governanti, lacché etc. Vestiti con gusto raffinatissimo (i costumi portano la medesima firma) mentre lei riappare con un magnifico abito a sirena nero e bianco da dark lady fra Jean Harlow e Mae West per strapazzare lo sgomento (per fortuna finto) consorte. In chiusura d'atto l'anziano cameriere torna in scena ciucca tradita con i capelli frisés (aveva una sobria crocchia) e un paio di scarpe col tacco rosso fuoco !

Altro colpo d'ala è il giardino di tappezzerie e paraventi in stoffa stile BOYFRIEND e la serenata di Ernesto ascoltata attraverso una grossa radio d'epoca.

Spettacolo brioso in cui l'accordo perfetto fra regista (Italo Nunziata) e scenografo (ribadito da Grossi stesso alla generale cui ho assistito) porta a una notevole fluidità anche grazie, come dette, alle buone qualità attoriali dei cantanti non ultima la non ancora citata Maria Costanza Nocentini, anche molto graziosa, che non guasta affatto, anzi ! di buone qualità anche se forse un poco al risparmio data l'occasione, comunque estremamente precisa nel duetto del terzo atto in cui conduce (e meno male !)

Unico eventuale appunto, pur riconoscendo la grande attenzione e musicalità della regia, forse un po' troppo cinema nelle proiezioni del secondo atto e del finale così che la musica sembra essere un po' ridotta a colonna sonora. Ma solo una notazione in uno spettacolo peraltro molto riuscito.

Emilio Campanella


NELLA COLONIA PENALE

Penso di aver sbagliato la mia scelta, infatti ho privilegiato "Nella colonia penale" di Philip Glass e "Boulevard Solitude" di H.W.Henze di cui tutti e sotto ogni punto di vista, hanno parlato bene, ma si sa, la novità ... eppoi, avevo un'unica possibilità, e in quella data i due spettacoli erano contemporanei, l'uno al Teatro Carlo Felice, e l'altro (Glass/Kafka) nel bel Teatro Gustavo Modena di Sampierdarena, ospite del coproduttore (insieme con il Comunale di Genova e il Regio di Torino) Teatro dell'Archivolto.

Operazione rischiosa, ma nelle mani di un musicista di grande mestiere che però, in questo caso, aldilà della scrittura, qui, cameristica (peraltro molto attentamente eseguita dall'Ensemble Sentieri Selvaggi diretti da Carlo Boccadoro) invece che per grande orchestra, non si discosta da stilemi arcinoti; potrebbe essere applicata anche a un documentario sui cetacei e andrebbe altrettanto bene (o male!).

Qui tra ciò che accade in scena, ma anche l'orchestra vi ha un posto (tra partitura a azione, dunque ...) c'è un distacco enorme, infatti anche se il libretto di Rudolf Wurlitzer che noi abbiamo ascoltato in italiano (traduzione ritmica di Marco Ravasini), cosa di cui ancora mi domando ragione, e il racconto originario c'è un lavoro di drammatizzazione ben poco riuscito fra quattro personaggi, due dei quali gestuali o quasi (ma il soldato ha una battuta) e i due cantanti, che nell'allestimento di Giorgio Gallione, non migliora, infatti il regista sceglie un tipo di impianto che ricorda troppo da vicino Kantor, ma il testo è quello che è e avendo diluito e stemperato la situazione ... insomma ...

Resta la vicenda egualmente inquietante e tremenda, ma mal supportata come si diceva, nonostante il volonteroso apporto di Stefano Ferrari (il visitatore) e quello intenso di Roberto Abbondanza di bellissima ursina presenza (era lui il tragico Klinghoffer di ferrara) il soldato giustamente ottuso di Fabio Irato e il sofferto condannato di Francesco Oberto Tarena; completavano il cast i due microfoni dei cantanti che ancora non mi spiego.

Un boato (o si dice BUATO ?) di "BUU", e subito prima una voce solitaria nel silenzio susseguente alla fine dell'escuzione cha ha esclamato "CHE PIPPA !" hanno salutato la fine dell'opera scuotendo appena percettibilmente l'aplomb del direttore, peraltro, poi, insieme con i musicisti e con gli interpreti tutti, plaudito lungamente e sinceramente per la qualità dell'esecuzione.

Emilio Campanella



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