Le recensioni di Emilio Campanella: Aprile 2002

LA DAMA DI PICCHE COME AL CINEMA

L'ONESTO ORSOJAGO

MONSTERS & CO.


LA DAMA DI PICCHE COME AL CINEMA

 

L'opera di Cajkovskij a Ferrara.

Durante l'ouverture il sipario si apre sul primissimo piano di un volto femminile, come un ritratto di Boucher inquadrato da molto vicino, questo scivola via per lasciar posto , come una dissolvenza incrociata a un viso devrepito fra Munch, Schiele e Schonberg.

I atto, quadro I: esterno giorno, tra panchine in un campo lungo sullo sfondo di un cielo freddo.

Quadro II La stanza di Lisa con un ampio lucernaio (scelta scenotecnica, quella della visione dall'alto, che ritornerà) come una scuola di danza con fanciulle in bianco e un'atmosfera vagamente alla Duncan. Hermann apparirà dall'alto e contagerà della sua follia la ragazza in una scena che molto mi ha ricordato il bergmaniano "Uovo del serpente".

Atto III, quadro III: tutto in campo lungo in un'atmosfera espressionista la festa e la pantomima resa perfettamente con pupazzi, come scene della russia post-staliniana.

Quadro IV: la stanza della Contessa, eguale a quella di Lisa, ma con un letto sontuoso, mentre quella ha un 'letticciuolo' quasi ospedaliero, e il ritratto di prima che, pur lontano, incombe sulla scena. H. provoca la morte della Contessa adagiata in una baignoire, come Marat !

Atto III, quadro V: La stanza di Hermann vista dall'alto (ribaltando la concezione spaziale del secondo quadro) nella quale lo spettatore incombe sul protagonista e ne spia incubi e ossessioni fino all'apparizione del fantasma della C. fra le coltri in un momento in cui l'orrido prende il sopravvento e le due figure femminili, nella sua mente sconvolta si confondono in un delirio di amore e morte.

Quadro VI: ancora le panchine del lungofiume dove Lisa attende Hermann mentre il luogo è infestato da fantasmi e crudeli, spettri evocati dalle ombre della notte. Peccato che il suicidio di lei sia 'risolto' con un sacchetto di plastica trasparente sulla testa ! ma si può ??!!

Quadro VII: La casa da gioco dove un enorme tavolo ovale (dilatazione di quello dove apparivano i pupazzi della festa) stenta a trovare spazio in quella che riconosciamo come la rovina della stanza della C.; il ritratto messo in un angolo è 'sfregiato' da un taglio alla Fontana. Ancora una visione espressionista. Conclusa la tragedia, Tomskij salirà sul tavolo per vedere da vicino il volto di H. come a verificare il risultato della sua opera mentre la macchina scenica arretra verso il fondo del palcoscenico come in un pianosequenza con macchine indietro, dissolvenza e FINE.

Fin qui il progetto scenografico/registico decisamente suggestivo immaginato da Richard Jones, come in un film, pur considerando tutto come il delirio del protagonista qualche particolare risulta stridente, forse a causa della ripresa di Jacqueline Poppelaars (peraltro responsabile dei perfetti movimenti scenici) e di Annilese Miskimmon che tendeva ad acuire alcune intermittenze ispirative.

Andando con ordine, i "compagni di merende" lungo il fiume in una scena perfetta anche sono tutti ottimi interpreti (Cekallinnskij, Slava Vojnarovskij; Surin, Alexandre Teliga e Nikolaij Putilin: Tomskij, il migliore in assoluto e per tutto lo spettacolo) e tre orsi uno più bello dell'altro !

Nella seconda scena, la magnifica Polina di Marina Damaschenko che ritroveremo come doppio della pantomima, e Tatjana Monogarova, Liza, affaticata alla fine dalla influenza ma bella, brava ed ottima attrice. Notevole l'istitutrice 'lesbica' di Ludmila Dobreva e l'amorevole governante Masa di Olga Schaaeva.

La dichiarazione di H. a L. è una delle scene di maggior tensione nonostante qualche incertezza di Viktor Lutsiuk, e comunque, da parte di un interprete tutto sommato, di livello; entrambi cantano 'ti amo' con tutta la loro voce, ma è il terrore che esprimono !

Magnifica scena d'assieme, quella della festa con un fondale inesistente blu scuro in cui si perdono e si ritrovano i gaudenti "ornati da cotillons comperati nel discount sotto casa, perfetti per un trovarobato giustamente cialtrone; abiti un po' sdruciti, lisi, stazzonati, belli, ma si vede, 'da pochi soldi' in mezzo a tutto ciò due mummie: la Contessa (stupenda Nina Romanova) e il principe Eleckij (l'altrettanto bravo Andrej Breus); si creano, intanto strani triangoli di movimento fra Liza, Hermann e il Principe, appunto. La pazzia galoppa in mezzo ai ghirigori coreografici, le farandoles, i girotondi degli invitati non meno folli del protagonista il nostro Antonio Donghi e il Realismo Magico Italiano non sono lontani; c'è chi porta il suo cappellino a punta sulla fronte come un unicorno (Cekalinskij) o due sulla sommità del capo come due cornoni (Surin). Per concludere, il gioco scenico con pupazzi ammicca al "masque" inglese sui temi mozartiani elaborati e intrecciati squisitamente da C.

Dopo la terribile scena in cui la Contessa segue il suo destino, il tesissimo duetto fra L. e H. soffre di qualche pasticcio gestuale sicuramente dovuto alla ripresa e a detrimento dalla interpretativa ottima.

E dopo l'incubo, eccoci alla grande scena finale in cui Putilin fa la parte del leone dando al suo canto barbaro tutta la forza luciferina del personaggio. Interprete tutto tondo di timbro magnifico e fascino innegabile.

Peccato che qui la regia ci abbia imposto la danza scomposta di una pazza semitrans (Manuel Mensà) vestita unisex, con il tacco alto, il capello lungo ossigenato ma con crescita scura in evidenza cambiasse parrucchiere !!!

Piccole pecche qua e là non guastano l'insieme di uno spettacolo interessante, di un'opera molto ben diretta (Anthony Qalker) e di una compagnia di canto di tutto rispetto.

Chiudo descrivendo il bel Viktor Lutsiuk nell'ultima scena con la giacca militare sopra il pigiamino a righe WOW !!

Emilio Campanella


L'ONESTO ORSOJAGO

 

L'Otello verdiano al Palafenice poteva un po' essere chiamato "JAGO" come un vecchio progetto che non ebbe seguito, infatti la replica cui ho assistito era il secondo cast, per cui mi sono perso le meraviglie di Dimitra Theodossiou e le-pare-non-meraviglie di Vladimir Galouzine, e un Bruson, non dei migliori, ma sono sempre giudizi per sentito dire, invece i comprimari erano i medesimi, e a parte l'Emilia corretta di Gisella Pasino, decisamente trascurabili.

Jago come protagonista, dunque, alla recita cui ho assistito, poiché la presenza di Ambrogio Maestri è imponente, intanto per stazza, trattandosi di un orsone che sovrasta tutti di almeno interamente la testa, insomma, un gigante, e poi per le qualità vocali, certo da affinare, e poi con un personaggio che non prescinde da un sottilissimo approfondimento psicologico; si direbbe che il processo è in corso e ci auguriamo di risentirlo quando avrà introiettato maggiormente il ruolo; per ora è troppo simpatico, e lo è probabilmente di suo, ma risulta tale anche Jago, peraltro Otello, è un tale boccalone ...

I momenti clou sono comunque resi con efficacia, a parte qualche trascurabile raucedine nel III atto (il clima qui non perdona) il fraseggio è di alta qualità. Tamar Ivari era Desdemona, e dopo un inizio "in sordina" faceva crescere il personaggio mano a mano per intensità drammatica (era l'unica credibile in scena, e di più la maggiormente aderente all'atmosfera Liberty dell'ambientazione, un poco faceva pensare alla Bertini, alla Menichelli, e altre signore del muto) e nel terzo e quarto atto infilava alcune note particolarmente belle ... se continua così ... Gabriel Sadé, invece si pianta regolarmente a gambe larghe cercando di dar forza al personaggio senza riuscirci, fornendo una prova ben poco memorabile; sembra adatto per altri ruoli e i recitativi sono discreti.

La direzione corretta (a parte il concertato del finale II che sembrava un po' una pappa) e non di più, e talvolta anche un poco sbrigativa era di Marcello Viotti.

L'allestimento decennale importato dal San Cralo di Napoli era firmato da alberto Fassini con i costumi coerentemente tremendi di Odette Nicoletti, è un po' da figurine LIEBIG (scene di Mauro Carosi) con un tocco di Hayez, ma tutt'altro che disprezzabile (nonostante i tre intervalli): una rocca gotica con un fondale di NUVOLE IN VIAGGIO e fasi lunari anche abbastanza suggestiva, belle le luci firmate da Fabio Berettin. Purtroppo, nonostante tutto, non ci viene risparmiata alcuna beceraggine d'assieme, non mancano neppure le torce (vere) né assurde danzine eseguite malissimo.

Peccato non aver posto l'accento su di una interpretazione decisamente liberty.

 

Emilio Campanella


MONSTERS & CO.

 

APRITE QUELLA PORTA ! Sissì avrete letto lo stesso titolo su una testata nazionale, AHIME', sono stato preceduto, anche se lo avevo pensato prima !!! Ma comunque non è il massimo dell'originalità.

APRITE QUELLA PORTA, dunque e vi apparirà il simpaticissimo muso di James P. Sullivan, detto Sully, campione di spaventi per la MONSTERS & CO. Un gigantesco semiorsone bleu-turchese con chiazze viola, cornetti taurini e creste sulle vertebre più coda preistorica; il tutto ricoperto di pelo sensibile e morbidissimo, come esperimenta la piccola BOO, la bimba di circa due anni che con la sua involontaria presenza terrorizza tutti nel mondo "mostruoso" creato dalla PIXAR.

Ogni mostro in "fabbrica" passa una porta che dà nell'armadio di una cameretta di bimbo e si fa strada nei suoi incubi provocandone le urla di spavento che contribuiscono a rifornire di energia la città.

I caratteri sono ben delineati, ci sono i buoni, i cattivi, ma anche quelli meno definiti, come l'assistente di Randall, il cattivo della storia: un 'vilain' con i controfiocchi, che non sembra riflettere molto ed esserne il succube.

Ma il grande significato lo hanno le porte: passaggio privilegiato da un mondo all'altro, e come si coglie alla fine, molto filosoficamente profondo fra l'aldilà e l'aldiqua nel quale (quale che sia) ci si può perdere o perdere qualcuno che molto si ama ... ma il finale è aperto, ovviamente e giustamente.

Se già i vecchi ADDAMS avevano spezzato una bella serie di lance in difesa della diversità mostruosa, e altri, più o meno sensibilmente e prima, e dopo di loro, i nostri AMATI MOSTRI fanno un ulteriore discorso di notevole finezza umana e superumana. Infatti alla fine la 'fabbrica' verrà riconvertita "ecologicamente" da produttrice di terrore a enorme macchina per il divertimento, e non sarà più Sullivan (passato, però, grazie alla sua geniale idea, alla direzione ­ incravattato risulta impagabile - ) il campione, ma Mike Wazowski, suo antico assistente, e siamo, ovviamente dalle parti dello slapstick, poiché quest'ultimo "monocola simpaticissima pallina verde" passa da "spalla" a protagonista dell'ultima parte.

Caratteri e riferimenti colti si sprecano: dal boss Henry J. Waternoose che sembra uscito dalla penna di G.Grosz a Celia (fidanzata di Wazowski): una "medusa" capricciosa e modaiola, dal caratterino puntuto, ma 'carina' buona e simpatica, come i serpentelli della sua capigliatura.

ROZ, ah, lei poi ! è la vera sorpresa del film, la burbera ...

Ritorniamo su BOO, deuteragonista, un po' come una piccola coreana, lei e i suoi codini; e da ultimo, ma non certo per simpatia: Teti, l'Adorabile uomo delle nevi, come amerebbe essere definito, lui e i suoi gelati al limone !

E poi una folla di altri personaggi straordinari.

Il film ha perduto la partita degli Oscar contro SCHRECK (Dreamworks), ma la Pixar si è aggiudicata il premio per la sezione corti con "4 pennuti spennati" proiettato assieme a Monsters & Co.

Imperdibili i titoli di coda con i 'ciak' scartati in sede di montaggio (idea già utilizzata precedentemente, ma sempre godibile).

Ultima notazione: tutti i mostri hanno assistenti come i campioni dello sport; un po' il WRESTLING dello spavento, e addirittura in catena di montaggio !

 

Emilio Campanella



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