ORSI ITALIANI MAGAZINE
Notte al campeggio (terza parte) - la piazzola 163
Un racconto di Pief Hemm
Asciugamano in spalla e bagnoschiuma in mano percorrevo i
vialetti che dall'edificio servizi portavano alle varie piazzole. Il
sole iniziava scaldare l'aria, e il campeggio si stava animando. Ogni
tanto l'aroma di caffe' si confondeva a quello del'erba ancora umida e
della pancetta fritta. Avevo proprio voglia di un buon espresso, dopo
la doccia.
Decisi cosi' di unire utile e dilettevole, vale a dire caffe' e spesa.
Indossai un paio di short perche' il mercatino era l'unico posto dove
non si poteva entrare nudi. Questione d'igiene.
Ristorato da un discreto 'italian coffee', sempre troppo acquoso per i
miei gusti, entrai quindi nel minimarket, afferrando uno dei cestini di
plastica. Non che avessi molto da acquistare: birra, biscotti, latte,
yogurt, minerale... le solite cose insomma.
Ero in fila, davanti alla cassa, e aspettavo il mio turno. Non c'era di
sicuro ressa, percio' rimasi meravigliato e un po' irritato sentendomi
spingere. Con l'intenzione di protestare mi voltai... e quella voglia
mi cadde, lasciando lo spazio ad altre, decisamente diverse. Una
splendida faccia sorrideva, tra l'impertinente e il divertito. Mi
ricordava un capitano di marina, quell'uomo non grosso, ma tonico,
muscoloso e con la barba a spazzola da navigante. In testa un berretto
col frontino, modello militare.
Mi accorsi che stavo sorridendo anch'io, e, nascosta dal cestino della
spesa, una mano mi sfioro' il didietro. Ma era il mio turno di cassa, e
l'idillio fu fatalmente troncato.
Uscii camminando piano, facendo qualche piccola sosta davanti alle
porte del market... ma lui non usciva. Non potevo certo mettermi a
battere in pieno camping, cosi', con gli orecchi bassi, riguadagnai la
tenda.
Raccattai un telo da spiaggia e mi stavo incamminando verso il lago,
quando avvertii alle spalle lo sgranigliare di una bicicletta che si
avvicinava. Mi feci istintivamente da parte, mentre venivo sorpassato.
La mia attenzione fu colpita da qualcosa caduta al ciclista. Non era un
conto o uno scontrino, ma quanto raccolsi era semplicemente un
foglietto, accuratamente ripiegato in quattro. Un pennarello aveva
tracciato un solo numero: 163. Alzai la testa, per intercettare
la bici; ma questa era ormai lontana, stava girando verso l'uscita. Il
personaggio che pedalava mi guardo', e alzo' una mano in segno di
saluto.
Troppo distante per capire chi fosse. Un rapido esame di coscienza mi
disse che era quasi impossibile, cosi' lontano da casa, aver incrociato
un amico.
Fu nel tardo pomeriggio, rientrando dalla spiaggia del lago, che mi
venne l'idea: e se il numero era un indirizzo?... Passando
davanti alla tenda, gettai all'interno l'asciugamano e iniziai
l'esplorazione dei vialetti. 82, 96, poi una curva, 110, 144, altra
curva, 152, 160...
Sullo spiazzo del 163 c'era un grill acceso, e dopo qualche secondo
usci' dalla tenda il proprietario. Ero incredulo: davanti a me c'era il
ragazzone del market.
Era bellissimo, il sole al tramonto accarezzava quella muscolatura
quasi scolpita, quel volto sorridente sotto la barba color bronzo. Mi
guardava spalancando gli occhi intensi, finche' non ci stringemmo la
mano. Una stretta forte la sua, da maschio virile qual'era. Aveva un
torace armonico, peloso d'un pelo lanuginoso, il bacino appena
accennato, le gambe solide e tornite. E un uccello grosso e tozzo,
corredato da coglioni forse un po' piccoli, ma perfettamente modellati.
Il tavolo era gia' pronto, quasi che Gunt -cosi' si chiamava- mi
aspettasse. Grigliata mista: salsiccia, bracioline, pancetta, würstel,
peperone e patate. Birra e pane al kümmel.
Il tramonto ci lascio' nella penombra mentre ancora eravamo a tavola.
Spunto' una candela, che trovo' posto sul collo di una bottiglia di
birra. Comparve anche l'immancabile Steinhäger, il tipico gin
austriaco. Brindammo nell'umido della sera. La candela illuminava
ondeggiando solo le mani e, un poco, i volti. Gunt sussurro' un dolce
invito: siediti sulle mie ginocchia. Era difficile che qualcuno ci
potesse vedere. Mi alzai e mi sedetti sulle sue cosce, di fronte.
Subito i suoi baffi penetrarono tra i miei, e le lingue si scontrarono
nella reciproca esplorazione. Ci stringevamo l'uno all'altro, sempre
piu' forte, i peli dell'uno si strofinavano su quelli dell'altro,
mentre i nostri uccelli, duri di desiderio, si scontravano tra loro.
Restammo cosi', stretti e sempre piu' eccitati, a sdrusciarci le barbe,
a morderci gli orecchi, ad arpionare le schiene.
Ci separammo solo per tuffarci nella tenda.
Il corpo di Gunt era solido e bollente sotto le mie mani. Lo esploravo
tutto, palmo a palmo, cominciando dai capezzoli, aguzzi e durissimi. Il
suo pelo era morbidissimo e scivoloso, il mio palmo lo seguiva prima
sul petto, per poi descrivere il contorno del suo torace, e giungere
alle cosce, possenti e frementi. Vi risalivo fino ad incontrare le
palle, dove iniziava l'umidita', piu' e piu' intensa e calda man mano
che mi avvicinavo alla base dell'uccello. Sentivo il turgore della
canna dietro ad esse, e poi il leggero sudore che umettava il solco
delle chiappe. Le afferravo e cercavo di strizzarle, ma erano troppo
dure e tese. Il dito cerco' il suo buco, e lo trovo' quasi subito,
inaspettatamente liscio tra la peluria. Forzai un po' quell'ingresso
strettissimo, giusto il tempo di avvertire la vampa che turbinava in
quella fornace.
Gunt faceva lo stesso con me, ma il suo dito mi rimaneva dentro, ad
esplorare il mio interno palpitare. Ci volle un bacio profondissimo per
indurlo a sganciarsi. Un bacio di lingue impazzite, saettanti in un
duello senza regole. Ci baciammo a lungo, in una confusione di fiati,
salive, denti, soffi, labbra morsicate... Ogni tanto un assalto al
collo, agli orecchi, alla punta del naso... un passaggio ai capezzoli,
per tormentarli e titillarli con la punta della lingua, e poi
mordicchiarli fino a far male...
Gunt mi stava accarezzando la testa, e io la spostai strofinandola
sulla sua barba, poi corsi a leccare un'ascella che mi si era
spalancata davanti. Era umida e tiepida, e la mia lingua ne cercava la
cavita' piu' intima, andando poi a pettinare, insalivandoli, quei peli
lisci.
Eravamo fianco a fianco, e mi alzai un po' per ruotare il mio corpo e
mettermi sopra di lui, con la testa fra le sue cosce. Inghiottii piu' e
piu' volte quelle palle elastiche e lisce. Mi misi ginocchioni, per
poter risucchiare quell'uccello che mi premeva sul viso. Era
grossissimo, e lo insalivai per bene, prima di spennellarne la testa a
forza di labbra. Con la punta della lingua trovai il forellino, e
cercavo di forzarlo, mentre sentivo il naso di Gunt che puntava sul mio
culo. Le chiappe, gia' allargate per l'essere in ginocchio, venivano
divaricate allo spasimo. La robusta lingua di Gunt iniziava a lisciarmi
il buco, per entrarvi a tratti. La sentivo, ora fuori, ora dentro, ora
diritta, ora arrotolata a cannolo. Era lunghissima, ed entrava sul
serio, cambiando continuamente dimensione ed spessore. Godevo.
Da parte mia, avevo iniziato a spompinarlo con la bocca. Sono molto
bravo in questo. Riesco a prenderlo finche' mi arriva alle tonsille, e
allora lo strizzo tra lingua e palato. Ogni tanto prendevo un respiro,
e approfittavo per mordergli il frenulo, tirandolo forte con i denti,
quasi a strapparlo.
Dolcemente Gunt mi spinse di lato, e rimasi a pancia in su'. Lui
si sedette sul mio petto, offrendomi l'uccello, che subito inghiottii.
Mordevo e pompavo, masticavo e pompavo, il suo uccello entrava e usciva
dalla mia bocca sempre piu' schiumoso di saliva. Lui intanto si
allungava, e con le palle mi massaggiava il cazzo, contro la mia
pancia. Qualche intervallo per baciarsi, poi di nuovo a pompare e
sdrusciare.
Un dolce sapore vischioso mi avverti' che stavo succhiando il precum di Gunt.
Mi rizzai sui gomiti e lo abbracciai, e, sempre avvinghiati, ci alzammo
in piedi. Prima di fronte, stringendoci fino al dolore, muovendoci poi
come serpenti, pelo contro pelo, uccello contro uccello, bocche
incollate. Fino a soffocare.
Gunt si giro', dandomi la schiena. Aderii su quella bianca distesa di
pelle con tutte le mie forze, arpionandogli il petto con una mano,
mentre l'altra scendeva ad impugnare il suo attrezzo. Gli strinsi il
capezzolo fino a farlo gemere, mentre col pugno dell'altra mano
stringevo e mollavo il suo uccellone, che ingrossava sempre di piu'.
Anche il mio. Scostai allora il bacino da quel culo rotondo e mi sputai
su una mano per lubrificarmi l'uccello. Lo spinsi nel solco umido e lo
appoggiai al buco. Per un attimo il tempo si arresto', in silenziosa,
spasmodica attesa.
Spinsi ancora.
Come uno stretto guanto, sentii l'anello di Gunt avvolgermi la
cappella. Esitai un istante, poi sentii quel foro elastico rullare
tutto il mio cazzo, fino alla base. Li' lo imprigiono', come una morsa.
Era come un laccio, stringeva piu' di un ring,
Un sordo dolore mi attanagliava i fianchi, da dietro. L'adrenalina
stava invadendo nel torrente dei miei sensi. Il mio torace premeva ora
la schiena di Gunt, eravamo tutti e due immobili, e solo qualche
scricchiolio dei peli compressi su quel magnifico corpo rompeva il
silenzio. Con la pancia avvertivo quasi visivamente la parte alta del
culo di Gunt.
Mossi lentamente il bacino, e il mio uccello usci' per meta',
strangolato nel suo muoversi dallo strettissimo buco dell'amico. Flussi
di indescrivibile piacere risalivano lungo la mia asta, aggredivano il
mio stomaco, fulminavano il cervello. L'onda di piacere montava ad ogni
movimento. Infilavo di nuovo l'uccello, fino alla sua radice, e ancora
quel buco sembrava vergine. La stretta era tremenda.
Iniziai il pompaggio, e presto le avvisaglie dell'orgasmo mi avvolsero.
Estraevo l'uccello col botto di un tappo di champagne, e lo riinfilavo,
forzando ogni volta la cappella in quella magnifica morsa. Ad ogni
spinta Gunt emetteva una specie di gorgogli'o. Godeva.
Un uragano si scateno' nella mia testa. Lampi, tuoni, bagliori, fischi
esplodevano dentro di me. Il sudore mi entrava negli occhi,
bruciandoli. Venivo, e venivo, e venivo ancora, avvertendo chiaramente
i fiotti che mi percorrevano l'asta, impulso dopo impulso, in una
liberazione senza nome.
Mi lasciai andare, non piu' stretto ma semplicemente abbandonato sulla
schiena di Gunt. Ansimavamo come cani accaldati.
Ruotando lentamente, Gunt mi scarico', e mi trovai disteso sulla
schiena, mentre lui, in ginocchio, si metteva sulle spalle le mie
caviglie. Vedevo il suo pelo, bagnato di sudore, appiccicato alla pelle
in un sensuale collage.
Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che era gia' dentro di me. I
colpi del suo uccello erano potenti, le sue palle mi colpivano a ritmo
velocissimo. Si fermo', e, con uno sforzo incredibile, si curvo' su di
me, per baciarmi.
Lingua in bocca, cazzo in culo... li muoveva appena, ed era il paradiso.
Fu quando le mie labbra incrociarono la spazzola della sua barba, che
una deflagrazione mi sconvolse. In un istante, i miei sensi
riconoscevano il misterioso visitatore della notte precedente.
Non ebbi il tempo di riflettere. Gunt si ergeva nuovamente davanti a
me, rimettendomi dentro il suo instancabile uccello, che era scivolato
fuori.
Premeva dappertutto, Gunt gli imprimeva un moto circolare che arrivava
dovunque, dilatando in ogni direzione le mie viscere. Poi usciva di
colpo, per rientrare subito, con forza, fino in fondo. Come fuochi
d'artificio, una gragnola di colpi finali lo fece esplodere dentro di
me. Continuo' cosi', a pompare tra sudore e sperma, in un finale senza
interruzioni.
Mi si corico' addosso, in un abbandonato e affettuoso abbraccio. I
nostri peli, bagnati e impiastricciati, odoravano di selvatico.
Ricordo il suo sorriso, mentre, sdraiato al mio fianco, osservavo il suo sguardo da buono.
Mi svegliai con un leggero brivido, al canto dei grilli. Ero solo, Gunt era sparito.
In silenzio, raccolsi le mie cose, e mi avviai verso la mia tenda.
Accesi la torcia ed entrai. Sopra il sacco a pelo c'era un pezzetto di
carta, accuratamente ripiegato. Lo raccolsi e lo aprii. Un pennarello
aveva scritto una frase dolcissima. Dopo cinque minuti il sonno ebbe la
meglio.
Le prime luci dell'alba accompagnavano raffiche di libeccio. Dovevo
andare al bagno, cosi' indossai un pullover. Scelsi un percorso
vizioso, per passare davanti al mitico 163.
Piazzola completamente vuota.
Mi colse l'improvvisa urgenza di correre alla toilette.
Seduto sul wc, sperai tanto che nessuno, da fuori, udisse i miei soffocati singhiozzi.
©pluro 2009
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