ORSI ITALIANI MAGAZINE
Un uomo
Un racconto di vita vissuta di Orsardo
Come
giornalista ed esperto d'archeastronomia, lo scorso agosto, son stato
invitato in un paesino della provincia di Oristano, dove si teneva un
importante Convegno sulle vestigia del passato, in particolare sugli
insediamenti pre-nuragici.
Ero stato, assieme a qualche
giornalista dell'isola e a qualche 'notabile' del luogo, invitato al
pranzo che il sindaco aveva voluto offrire prima dell'evento, cosi' ho
scoperto il vero tradizionale 'spuntino' che si fa con una grande
mangiata di porcetto e una grande bevuta di un rosso forte e un po'
amarognolo.
Ci aveva invitati nella sua bella casa colonica
dove, accanto alle pecore che pascolavano, vi erano alcuni cavallini
della Giara, una turba di cani, e polli, pavoni, un cinghialino
addomesticato, i tipici asinelli sardi e tanti uccelli che
becchettavano tutt'intorno a noi.
Nell'aia, davanti alla casa
era preparata la tavolata sotto un ombroso filare di lecci e, accanto,
un falo' racchiuso da un muricciolo di pietre a secco, che difendeva il
fuoco su cui alcuni porcetti impalati ruotavano dorandosi.
Mentre
sorseggiavamo un'ottima Nieddera, arrivo' il nostro anfitrione. Scese
da cavallo con leggerezza e subito gli furono intorno quattro o cinque
donne che, starnazzando, cominciarono ad adularlo, mentre, chiaramente
se lo mangiavano cogli occhi.
E, seppur lontano, avevo cominciato a mangiarmelo anch'io!
Era
un bellissimo moro di quaranta-quarantacinque anni, gli stivali da
cavaliere facevano scoppiare nell'orbace due cosce notevoli, il petto,
ricco di un pelo fitto e nero, si stagliava abbronzato dall'apertura
della camicia di lino bianco dal collo ricamato e dalle maniche a
sbuffo trattenute da due legacci di color verde come, dello stesso
colore, era il fazzoletto che fuoriusciva dalla tasca posteriore dei
pantaloni, i capelli, corti e neri, incorniciavano un viso color del
bronzo in cui due occhi di fuoco antico ci sorridevano contenti, ancor
piu' della doppia fila di bianchissime perle che facevano capolino
attraverso due labbra di petali di rosa.
Forse mai avevo avuto una simile visione in terra sarda, anche se son uso rimirare, e ammirare, questo meraviglioso popolo.
Quando
mi strinse la mano, non mi sentii attanagliato da dita forti e callose,
ma fui avviluppato da una calda e, nel contempo, languida stretta.
Poiche'
mi avevano presentato come 'il giornalista di Milano' - quindi,
importante! - volle che gli sedessi accanto, mentre le donne si
sedevano poco discoste da lui, continuando a starnazzare. Una, invece,
fece di tutto per sedersi proprio davanti a lui. Era bionda, sui
quaranta, ancora molto piacente, anche se nascondeva a fatica un grosso
sedere, regno indiscusso della cellulite.
Il sindaco era gentile
con tutti e con lei doveva essere abbastanza affiatato, poiche' spesso,
commentando qualcosa, le si rivolgeva. Con me, piu' che gentile, era
riverente e chiedeva spesso il mio parere sui vari argomenti.
Alla
fine del pranzo, accomiatandosi, mi sussurro' che era stato molto bene
in mia compagnia e che gli sarebbe piaciuto discorrere ancora con me.
Io
ero al settimo cielo, ma l'incontro con quest'essere meraviglioso mi
aveva fatto scordare il motivo per cui ero li'. Pertanto, tornato
velocemente in albergo, misi in sequenza le diapositive che avrei
utilizzato durante il mio intervento e ripassai il discorso preparato.
Ero preoccupato perche', benche' di solito i miei interventi siano
incisivi e piacciano un po' a tutti, stavolta dovevano piacere a LUI!
Naturalmente ottenni un buon successo che sfocio' nel lungo applauso finale.
Lui
venne a congratularsi personalmente, chiedendomi se, dopo il convegno,
avrei avuto voglia di bere qualcosa con lui. Nell'accettare mi sentii
come una collegiale al primo appuntamento: il cuore, scoppiandomi in
petto, non mi permise piu' d'ascoltare gli interventi che seguivano il
mio, tutto teso com'ero all'incontro.
Alla fine, mentre lui si
districava dalle donne, e dalla bionda, che lo pretendevano, io accusai
una grande stanchezza per defilarmi dalla cena che gli organizzatori
avevano preparato per i relatori.
Anche il non rivelare agli altri la nostra fuga, mi sembrava una cosa molto romantica!
In
auto, mentre seguivo i fari che mi precedevano, feci un esame di cio'
che mi stava accadendo: dovevo smetterla di sognare, era un incontro
con una persona interessante e nulla piu'! I miei sessantanni mi
pesavano sulle spalle e avrei voluto essere un efebico diciottenne per
poterlo adescare!
Gentilmente mi introdusse nella sala da
pranzo dove, su una tovaglia di lino bianco apparecchiata per due,
rischiarate da alcuni candelieri, attendevano delle portate
sapientemente disposte. Ma allora? Aveva gia' deciso che avrei
accettato? Per noi aveva fatto preparare quei cibi altamente
afrodisiaci? Tocchetti di bottarga con olio e pepe, insalata
d'aragosta, sedano e ravanelli facevano bella mostra sui piatti
'buoni', quelli per le grandi occasioni.
Un calice di S'eleme,
fresco al punto giusto, fece, evidentemente, comprendere al mio ospite
la mia meraviglia 'Ho telefonato dall'auto e ho chiesto di lasciarci
soli perche' avevo voglia di parlare con lei', disse, stringendomi
rassicurante il braccio.
Alla fine, seduti comodamente nella
veranda davanti a casa, cominciammo a parlare della meravigliosa terra
che gli aveva dato i natali e delle vestigia di un passato tanto magico
di cui era colma. Provai, anche, a sottolineare che non solo era bella,
la Sardegna, ma anche la sua gente era bella, forte, orgogliosa e
altera. Mi guardo' di sottecchi, interrogandomi con occhi curiosi. Mi
feci forza e presi ad esaltare la bellezza delle 'persone' sarde: ma
per persone io parlavo al plurale di lui e dei pregi che erano i suoi.
Forse
riuscii a turbarlo, forse non comprese che gli stavo facendo una corte
spietata. Dopo una pausa di silenzio, passando repentinamente al tu, mi
parlo' della sua fresca vedovanza, della fatica che faceva nel crescere
da solo i figli, della solitudine e dell'amarezza che provava: 'Vedi,
ho accettato la carica di sindaco proprio per non aver tempo di
pensare.' concluse con tono sofferente.
'Un bell'uomo come te ha
sicuramente un nugolo di donne che gli stanno dietro!' dissi, quasi
maledicendomi nel pronunciare quelle parole.
'Si'! Ma
per me era lei la cosa piu' importante e la sua morte mi ha distrutto!
Non trovo piu' nessuna come lei e le donne che conosco mi sembran tutte
sceme: con loro non si riesce a fare dei veri discorsi, come, ad
esempio, abbiamo fatto noi due.'
Poi, ripensando alla moglie,
improvvisa, qualche lacrima fece capolino tra le folte ciglia, cadendo
poi e allargandosi in una macchia piu' scura sul lino della camicia.
Gli presi la mano e ci si attacco', mentre il pianto si fece convulso.
Non
sapevo che fare; mi alzai, gli andai vicino e lui mi cinse la vita
scuotendosi nei singhiozzi. Mi sentivo morire! Piu' piangeva,
stringendomi, e piu' sentivo la mia voglia far vibrare la mia
virilita'. Ero imbarazzatissimo: non volevo allontanarmi da lui e,
nello stesso tempo, non volevo che se ne accorgesse.
Ma se ne accorse.
Si
alzo' e questa volta mi abbraccio' ponendomi le mani sulle spalle, ma
cosi' facendo i nostri bacini si posero molto vicini, tanto vicini che
sentivo il suo membro eccitato contro il mio. Per cosa piangeva: per la
defunta o per la propria solitudine?
Lo guardai negli occhi: ora non piangeva piu' e mi fissava come un naufrago che finalmente ha scorto la terra.
Forte
di questo, appoggiai le mie labbra sulle strisce argentee che gli
solcavano le gote, con la lingua gliele cancellai e, poi, raggiunte le
sue labbra, mi tuffai in lui.
Stava fermo, lasciava che la mia
voglia superasse la bianca scogliera dei denti, che raggiungesse la sua
lingua avviluppandola, che raggiungesse la profondita' della la sua
bocca e, finalmente, rispose respirando in me, mentre le sue mani mi
stringevano con forza le spalle e le sue dita, impazzite, mi violavano
i muscoli.
Era fatta: ormai potevo averlo. Allora lo feci di
nuovo sdraiare sul divano, senza mai che le due bocche si staccassero.
Le mie dita sbottonarono la camicia, cominciarono a giocare coi peli, a
percorrerne i muscoli, a titillarne i capezzoli: era meraviglioso, ma
aspettavo facesse qualcosa anche lui.
Quando
inizio' a spogliarmi, scoppiarono i fuochi d'artificio: tutto divenne
frenetico, ci toccavamo, ci baciavamo, ci succhiavamo come se mai
avessimo fatto sesso!
Ci bevemmo l'un l'altro e, mentre
tossiva nello sputar via il mio seme, mi guardava meravigliandosi che
io avessi inghiottito tutto il suo.
Timido, con un dito,
raccolse una goccia dal mio labbro e, incuriosito, ma titubante, la
porto' alle sue. Stampai sulla sua bocca il mio bacio che suggellava
anche l'unione dei due piaceri.
Ma s'era fatto molto tardi e bisognava ch'io andassi: al mattino la servitu' non avrebbe dovuto vedermi.
'Possiamo rivederci? Mi piacerebbe poter parlare ancora con te.' aggiunse quasi vergognoso. Figurarsi io! Non speravo tanto!
Cosi' decidemmo di rivederci, la settimana dopo, a pranzo, a casa sua, per andar, poi, per scavi.
Puntuale
come sempre arrivai all'una, ma prima di me era arrivata la bionda che
s'era autoinvitata e, con fare da padrona, stava agghindando la tavola.
Il
pranzo e, poi, tutto il pomeriggio furono una noia mortale con quella
che non ci lasciava soli un minuto: anzi, in un momento in cui lui fu
chiamato al telefono, mi chiese cosa ne pensavo, aggiungendo che lei ne
era tanto invaghita, anzi, innamorata. Non sapevo che dire, avrei
voluto farle cadere il cielo in testa, ma invece sottolineai che,
secondo me, lui era ancora innamorato della moglie e che avrebbe dovuto
portare tanta pazienza.
'Ah, ma bisogna bene che se ne faccia
una ragione! Non vorra' mica star solo per sempre!' scatto',
impaziente, lei non sapendo che, con me, lui non era certo stato solo!
Alla
fine della giornata, nell'accomiatarci, lui si rivolse a me dicendomi
se potevamo vederci ancora, ma soli, perche' aveva bisogno di un
consiglio. Soli, che meravigliosa parola!
La bionda finse di
aver capito solo allora che poteva aver disturbato. Se ne ando' un po'
tesa, mentre noi stringendoci la mano ci accordavamo per il prossimo
incontro, all'indomani.
Era vuota la casa: i figli li aveva
mandati al mare con l'autista, la governante aveva inaspettatamente
avuto un pomeriggio di liberta' per andare a trovare la figlia.
Mettemmo la mia auto in garage perche' nessuno notasse la presenza
estranea e ricomincio' a parlarmi dei suoi problemi famigliari, della
sua solitudine, dell'onere della carica di sindaco ... ma di noi nulla!
Proprio come se, fra noi, non ci fosse stato niente.
Dopo mangiato, come sempre in modo eccellente, sorseggiando un 'fil e' ferru'', mi chiese se avevo voglia di riposare un po'.
Non
aspettavo che quello: sdraiandosi sul gran lettone, mi invito' accanto
restando immobile cogli occhi fissi sul motivo floreale del soffitto.
Dopo qualche eterno minuto non ce la feci piu', azzardai a toccargli,
lieve, la mano: non la ritrasse, gliela strinsi. Girandomi sul fianco
cominciai a slacciargli la camicia, la cintura, i pantaloni, mentre
lui, immobile, lasciava fare. Solo il suo membro, con maestose ondate,
aveva ripreso il turgore e la dimensione della sua voglia. Aveva la
forma e la possanza di un antico menhir e io volevo essere il terreno
in cui questo avrebbe dovuto essere infisso!
Quando mi ci
tuffai, mugolo' a lungo prima di far partire come un'orda di cani
affamati, le sue mani. Andavano ovunque, mi spogliavano, mi
accarezzavano, si introducevano curiose in ogni piega della mia carne.
La sensualita' non si puo' insegnare: e' qualcosa di innato nell'essere
e lui sprigionava voglia da tutti i pori.
Pensai che, sebbene
fossi giunto alla mia eta' vergine (ho sempre preferito il ruolo
attivo), questo e' l'uomo cui avrei voluto donare tutto me stesso.
Quando le dita vogliose ripassarono nel solco delle natiche, feci in modo che sentisse come tutto fremeva in me. E comprese.
Immergendosi
coi suoi baci, m'inumidi', ma, sentendo che ero nuovo alla cosa, mi
infilo' in bocca il robusto indice affinche' lo bagnassi bene prima di
incominciare, di nuovo, a titillare, a schiudere, a introdursi in me.
Un
male bestia! Come potrei mai ricevere il suo fallo cosi' grande,
continuavo a ripetermi, maledicendo il fatto di aver aspettato tanto
per scegliere d'esser posseduto.
Ma desideravo che lui avesse
tutto da me e lo incoraggiavo, anche quando, sentendo che mi faceva
male, interrompeva i movimenti del dito.
Ma la sua voglia era
piu' forte del rispetto per me: ad un certo momento, non ce la fece
piu'. Tremando mi si appoggio' contro e in uno scoppio di dolore e di
fiammeggianti lampi, mi prese. Pensai a quando l'avevo visto cavalcare,
sognai il trotto del suo cavallo, mentre, invece, lui si scatenava nel
galoppo del destriero. Mi manco' tutto e una cappa nera scese e tutto
fu pace.
Quando ripresi i sensi, la sua mano fresca mi
accarezzava la fronte, tra le natiche un panno umido tentava di
spegnere un fuoco che ancora divampava. Lui, completamente nudo, si
prodigava su di me.
Era bello come lo sono soltanto le statue
greche. Il bronzo ambrato della sua pelle riceveva il riflesso di un
raggio di sole che s'intrufolava tra le cortine della finestra. Il
velluto antico dei suoi occhi mi chiedeva perdono per il male che
m'aveva fatto.
Allora la mia bocca si aperse per bere il suo
bacio e i corpi di nuovo si avvinghiarono spasmodicamente, mentre
entrambi i sessi tornavano a pretendere il piacere: cosi' di nuovo
tutti i baci, tutti gli abbracci, tutte le carezze ci portarono alla
voglia e, coscientemente, chiesi di averlo, ancora, in me.
Con
dolcezza, attenzione, cura mi prese e il piacere fu il nostro compagno,
i baci fusero il nettare delle nostre bocche, gli sguardi furono
farfalle posate sulla pelle dell'altro, le carezze furono sorgenti che
dissetavano i nostri desideri ...
Tutto, ma proprio tutto, sussurrava all'altro che quello era amore.
E,
per amore, lui volle donarsi a me, ricevere, come io poco prima,
l'ambrosia dei miei lombi, colmarsi del mio nettare come io avevo fatto
del suo.
Quando, sfiniti, ci addormentammo sul letto, tutto
era pace: solo le nostre mani asserragliavano ancora tra le dita
intrecciate il ricordo del piacere.
Tornato a Milano, la
citta' afosa e anonima non si e' accorta di me, non ha soccorso la mia
sofferenza: i giorni passavano grigi per splendere soltanto verso sera
quando, quotidianamente, mi chiamava. Il telefono s'arroventava per le
poche parole che ci scambiavamo e per le molte che sottintendevano le
lunghe, vacue pause che raccontavano l'un l'altro i nostri desideri
piu' profondi.
Presto, molto presto la terra di Sardegna, i suoi nuraghi e i suoi menhir mi vedranno tornare!
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