ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Settembre - Ottobre 2016


* SPECIALE 73a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA: PARALLELEPIPEDI E CINEMA - IL CINEMA ALGIDO DI TOM FORD - FRANTZ - VELENI VATICANI - LEGGERO COME UNA PIUMA? - LA NATURA MATRIGNA - JACKIE - APPUNTI PER UN VANGELO DI PIPPO - KIM KI-DUK NEL PARALLELEPIPEDO ROSSO - CERIMONIA FINALE * VENINI SHOW - MAGICHE PAGINE  - ASTRAZIONE NELL'ASTRAZIONE - LUDOVICO ARIOSTO, UN IDEALE TERZO ATTO? - L'IMPRESSIONISMO DI ZANDOMENEGHI - NABIS, CHI ERANO COSTORO? - MAGNIFICENZA A VICENZA - DUE PALAZZI SUL CANAL GRANDE - PERCORSI APPARENTEMENTE CASUALI - THE MERCHANT OF VENICE - A TREVISO, IL VENTENNALE DI MARCO GOLDIN    
Partita la 73a Mostra Internazionale di Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Presentato, in concorso, il musical: La La Land di Damien Chazelle, con Ryan Goslin ed Emma Stone.

Tutti sapranno come il vergognoso buco stipato di amianto, dopo anni di empasse, sia stato coperto... c'e' un altro brutto termine, che si usa in questi casi, ma che detesto...

Sono stati piantati alberi, dove se n'erano tagliati di secolari a decine, inutilmente... ed e' sorto un parallelepipedo di un bel rosso caldo, la nuova Sala Giardino, da 446 posti... questa mattina, qualcuno gia' li giudicava pochi... a me lascia perplesso il colore, siccome non amo il rosso che contrasta fortemente con quello caldo ambrato del Casinò, come del Palazzo del Cinema, ed ancor più con il suo terribile, gessoso avancorpo anni '50, ma forse dialoghera', come dicono i critici d'arte alla moda, con i cuori che ancora sovrastano il tappeto rosso (anche lui!); più adatto sarebbe stato il color bianco spento, scelto per il "cubo" comparso qualche mese fa a Piazzale Roma, accanto all'Hotel S. Chiara... si potrebbero scambiare, ma anche no, siccome la' ci sarebbero due rossi simili... e sarebbe anche peggio!

Speriamo che il pubblico e gli artisti cinesi apprezzino il rosso cosi' importante nella loro tradizione sacra e medica.

D'altronde pare che un maglione rosso si consigliasse ai bimbi contagiati dal morbillo, in anni lontani, e sembra provato che un indumetno rosso, indossato, aiuti le difese immunitarie.

Tant'e', Emma Stone, Amy nella storia losangelina del film, non indossa nulla di rosso, ma riesce egualmente a diventare un'attrice affermata, come Ryan Gosling, con la sua bella faccia malinconica, un buon musicista ed animatore di Jazz. Tutto attraverso varie vicissitudini, cinque stagioni, amore, non amore, stima intermittente, amami o lasciami e via dicendo per 127' con molti tempi stanchi, poco brio, molta prevedibilita'.

Siccome protagonista è la citta', come si evince dal titolo, ci si accorge subito come non lo sia abbastanza... ricordiamoci Un sogno lungo un giorno di Coppola e le sue straordinarie invenzioni formali... e dimentichiamocelo pure.

La musica e' di servizio, o poco piu', le coreografie, elementari, anche per l'evidente imperizia dei protagonisti... i piedi spesso esclusi dall'inquadratura... e non voglio pensare che potessero essere tagliati dal mascherino della Sala Darsena, alla prima proiezione per la stampa cui ho assistito... Il film si salva un poco negli ultimi venti minuti quando la vicenda viene raccontata dall'inizio, ma in maniera diversa... nulla di nuovo, certo, ma un po' di movimento in questo musical mèlo; benchè neppure qui ci si salvi dai troppi musini della Stone.

Mi domando a cosa serva riprendere il genere in stile anni cinquanta, per renderlo cosi' piatto. Ricordo un'altra rivisitazione d'annata: The boyfriend di Ken Russel, un gioiello di omaggio a Busby Berkeley...


emilio campanella

Nocturnal animals di Tom Ford, in concorso per Venezia73.

A sette anni dal pregevole esordio con A single man, Tom Ford torna in laguna con il secondo film, appuntamento, come si sa, molto pericoloso, quando segue un'opera prima molto apprezzata.

Possiamo dire da subito che il miracolo non si ripete, pur confermando l'altissima accuratezza formale della confezione, ch'e' gia' una cifra stilistica che contraddistingue il regista.

Sia detto subito che i primi minuti di proiezione sono magnifici ed illudono su una continuazione a quel livello; subito dopo tutto diventa rarefatto, volutamente, si, certo, ma il raggelamento generale risulta eccessivo, pur comprendendo come voglia premere il pedale sulla difficolta' di rapporti in un ambiente alto borghese.

Amy Adams gestisce una galleria d'arte, il suo compagno ha poco successo negli affari e si sbatte in giro per gli States, allo scopo di trovare occasioni profique, per il momento le trasferte servono agli incontri con l'amante. Poco dopo di noi, anche la protagonista capira'.

Nel frattempo le viene recapitato un plico con le bozze di un romanzo dell'ex marito. Lei, insonne per vari motivi che possiamo ben comprendere, iniziera' la lettura di una specie di thriller efferato ambientato in un Texas feroce, consapevole di Faulkner, Steinbeck e tanti altri.

La vicenda procede con un montaggio alternato, bisogna ammetterlo, un poco scricchiolante, delle due vicende che costituiscono i due piani narrativi principali, ma che non sono gli unici.

I giochi d'identificazione sono continui, i rimandi e le preziosita stilistiche, anche, queste ultime, anche un po' sterili.

Si parla di vendetta, la si vede scritta in un'opera concettuale esposta in galleria, nel romanzo la si mette in atto con un finale della vicenda, si puoa' dire, senechiano...prima o poi muoiono tutti i personaggi principali della vicenda. L'ex marito si negherà ad un appuntamento, e la nostra antipatica signora rimarra' sola ad aspettarlo in un elegante ristorante.

Un'ottima colonna sonora mai invadente ( Abel Korzeniowski).

Nel cast Jake Gyllenhaal, ed anche  Michael Shannon, detective malato e crepuscolare da anti western moderno...chissa' questo soggetto fra le mani di due noti fratelli, che cosa sarebbe diventato.

Che dire, un film fatto bene, ma niente di piu'.


emilio campanella

In concorso per Venezia73, diretto da François Ozon, tratto da un testo teatrale che gia' Ernst Lubitch porto' sullo schermo nel 1931.

1919, in una cittadina della Germania vive Anna, ex fidanzata di Frantz, morto in guerra; essendo sola al mondo, i mancati suoceri l'hanno come un po' adottata.

Nel loro immenso dolore vivono e sopravvivono di ricordi: il medico umano e dolente, la moglie affettuosa.

Un giorno Anna nota dei fiori sulla tomba dell'amato defunto (in realta' un mero, pietoso cenotafio) e scopre chi li ha posti: un francese da qualche giorno in citta'.

Non essendo stato accettato come paziente dal medico padre di Frantz, grazie ad un incontro con Anna cui aprira' l'anima raccontando la sua grande amicizia per il defunto, a Parigi, prima della guerra, sara' ricevuto e potra' raccontare cose che i genitori non sanno, del figlio perduto... una grande consolazione... ma siamo sull'orlo del baratro... una grave rivelazione che potrebbe scuotere la vita di tutti, sta per essere fatta.

Ritengo di non dover dire di più... basti che l'orlo dell'ambiguità, intorno a questa rivelazione, e' sottilissimo ed ogni possibilita' e' lecita, e proprio in questa direzione ci porta l'abile Ozon.

Ma il film e', al di la' della perorazione discreta, ma forte, contro la guerra, una riflessione sulla verità, sulla menzogna, sulla crudelta' di certe rivelazioni, sull'umana pieta' di certe menzogne.

Accuratisimo nella confezione, ma non stucchevole, il film dall'ottimo ritmo gioca fra bianco e nero e colore con sottile, attentissima abilita'.

Si avvale di un'ottima colonna sonora che evoca intelligentemente Mahler, ma in un episodio di voce violino e pianoforte, fa pensare coerentemente a Reynaldo Hahn.

Ottima la direzione degli attori tutti molto espressivi. Anna e' Paula Beer, bella, credibile ed intensa. Adrien Grivoire e' Perre Ninay ( Yves Saint Lorent), giustamente sofferto e tormentato.

Ozon proteiforme regista capace di sorprenderci ogni volta, si trasforma ancora una volta e rimanendo sempre ad un livello molto alto.

Colto e cinefilo riesce ad inserire riferimenti omaggio tanto a Cabaret come a Vertigo, a voi individuarli. Di mio aggiungo la scena piu' drammatica del film, perfetta, che mi ha riportato alla memoria La guerra di Piero di Fabrizio De Andre'.


emilio campanella

Venezia73 ha presentato, fuori concorso, le prime due puntate del nuovo lavoro, televisivo, di Paolo Sorrentino: The young pope.

Positivissimo il giudizio di questo quinto del lavoro complessivo, per l'abituale accuratezza formale, l'abilita' delle riprese, il montaggio, le preziosita' fotografica, le atmosfere pericolosissime, sapientemente calibrate e consapevoli degli illustri precedenti di Bellocchio e Moretti, ma anche delle incursioni personali, puntuali de Il Divo.

Interessantissimo e puntuto, Jude Law, Pio XIII, magistrale Diane Keaton, Sister Mary, Silvio Orlando, insinuante, sottile, maestro d'intrighi.

E poi bravi tutti i moltissimi altri.Molte le immagini oniriche, molti gli spunti narrativi e di sviluppo successivo intorno ad un papa conservatore, che non sceglie il suo nome a caso... mai!

Tanto meno qui, per ribadire la propria indipendenza contro chi vorrebbe manipolarlo e lo ha eletto proprio a quello scopo.

Scontri dialettici abilissimi e giocati come partite a scacchi la cui posta e' il potere, la perdita del potere, l'esclusione da determinate cariche, la destituzione da certe altre... si cade in disgrazia per mezza frase detta o non detta... la caduta nell'abisso del peccato giudicato dgli altri, sino alla violazione di certi sacramenti, sacrificati sull'altare della ragion di stato.

Lo stimolante assaggio che abbiamo visto, ed il resto che c'incuriosisce, dal 21 Ottobre in poi...


emilio campanella


Non saprei, ma certo bisogna ammettere che il film di Roan Johnson, Piuma, appunto, presentato in concorso per Venezia 73, racconta una storia molto seria di diciottenni, con umorismo, spesso, grazie ad una sceneggiatura che non manca di battute spiritose, anche in situazioni serissime, e questa e' una delle qualita' delle commedie ben costruite.

Certo, certe risate omeriche che sono echeggiate in Sala Grande, alla seconda proiezione per la stampa, mi sembrano veramente sproporzionate, ma è quasi sempre così...

Cate (Blu Yoshimi) e Ferro (Luigi Fedele), maturandi, si trovano con una bimba in arrivo (che scelgono di chiamare Piuma, appunto), lo sapremo con loro dopo un'ecografia, e cercano di affrontare la situazione fra fughe, esitazioni, confessioni, con padri, madri, pseudo madri, un nonno, i compagni di studi tutti maturandi come loro.

Non si parla di aborto, ed è una scelta, ma neppure è contemplata la contraccezione... MAI!

Non parliamo poi si sesso protetto... e che cos'è?

Peraltro non si insegna educazione sessuale, per cui i risultati sono anche questi, comunque, giovanissimi, risultano spesso ben più maturi dei loro sciroccati genitori, tanto quelli borghesi di Ferro (Cescon, Pierattini), che quelli sottoproletari di Cate.

Una crisi "coniugale" piu' che comprensibile data l'eta' di Ferro costretto all'astinenza a causa della gravidanza a rischio di Cate, per cui hanno rinunciato alle vacanze in Marocco, portera' ad un confronto ed anche alla prefigurazione di una futura separazione, molto lucida da parte di entrambi... sembrerebbe.

Comunque la "scappatella" con l'amica di famiglia, "fisiatra torturatrice' del nonno, sfocera' in un'altra gravidanza... fortunatamente, di breve durata, per cause naturali...

Insomma Ferro è di quelli che semineranno figli a destra ed a manca... cui consiglio, generalmente, di farsi un nodo al pistolino!!!

Fra i vari momenti di dubbio e smarrimento, non manca la decisione, fortunatamente abbandonata, dell'adozione. Tutti questi snodi, sono altrettanti episodi di gruppo, drammaturgicamente condotti con estrema vivacitaa' ed equilibrio fra comicità e piccola tragedia quotidiana.

Il film ha "tempi comici" ben sostenuti e caratterizzazioni godibili ed intelligenti.


emilio campanella

La natura matrigna di Terence Malick - Voyage of time: Life's journey, in concorso per Venezia 73.

Vulcani, miseria, feste, sagre, riti sanguinari, pesci inventati, riprese modificate, invenzioni, un testo letto da Cate Blanchett, quasi oracolare, un po' trombone, potrebbero affermare alcuni... invocazioni alla grande madre crudele mentre gli animali si sbranano, creature dell'acqua, mostruose per come sono filmate, appaiono, scompaiono si muovono con scatti improvvisi... pianeti in movimento, microorganimi che si agitano, cuori che battono... mari in tempesta, cascate, colate e fiumi di lava.

Novanta minuti di suggestioni non narrative, ma fortemente evocative.

Compaiono i dinosauri, in una sorta di cameo discreto.

Poi appaiono gli umani, elegantemente primitivi, un po' da libro di scuola, ma vieppiu', dimostrativamente violenti.

Ma non e' la stessa violenza un po' sgranata e vovraesposta dei filmati di repertorio antropologico, citati ed inframmezzati con abile successione di montaggio, questi sono piuttosto patinati, in linea con l'eleganza stilistica dell'insieme, in cui National Geografic e' della partita.

Grandi applausi alla fine della prima proiezione per la critica... bisogna amare profondamente il guru Terence Malick per apprezzarne il lavoro e lasciarsi andare al fiume d'immagini abilmente montate e tendenziosamente commentate, ma si puo' anche detestarlo profondamente per come fa cinema, per cio' che dice e vorrebbe un po' imporre, certo non lascia mai indifferenti.


emilio campanella

JACKIE di Pablo Larrain in concorso per Venezia73 - Uno strano prodotto, questo di Pablo Larrain, fra biopic, e non lo e', e videoinstallazione, intorno ad una delle donne piu' enigmatiche del Novecento: Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis.

Abilmente concepito, nel calibrato tempo di novantuno minuti, attraverso una costruzione con una cornice: un'intervista reticente a tratti e confidenziale in altri, poco tempo dopo la tragedia di Dallas.

Il piano narrativo si complica con l'inframezzare di spezzoni ricostruiti di un documentario in cui la First Lady mostrava le modifiche apportate alla Casa Bianca.

Montato,ovviamente con flashbacks dell'assassinio del presidente, dei minuti immediatamente successivi, e poi delle successive situazioni politico-diplomatico- cerimoniali che si susseguirono.

Ricordo tutte quelle immagini, avevo dieci anni, e rimasi molto colpito.

L'accuratissima ricostruzione mi ha fatto riconoscere, ritrovare le espressioni, gli abiti, gli atteggiamenti, i volti... sono altri volti, certo, ma le atmosfere sono colte con grande precisione, si e' studiato con molto approfondimento ogni dettaglio... basta confrontare le foto originali con quelle del film... ma non ho avuto l'impressione di un lavoro decorativo e didascalico, quanto di una ricostruzione come se ne vedono talvolta in videoinstallazioni di artisti di valore. Intensissima Natalie Portman, in ogni momento, controllatissima, e fredda in apparenza, appunto...

Tanto le immagini del ricostruito documentario, quanto la lunga sequenza della prima notte di vedovanza, che la vede cambiarsi d'abito, truccarsi, trasformarsi, bere, prendere farmaci, evocare ricordi da una mise all'altra... cercare di capire... decidere di studiare Lincoln, non a caso, e citare altri presidenti.

Le uniche immagini di repertorio arrivano attraverso i televisori... tutto il mondo seppe velocemente quello che era accaduto... poco dopo venne assassinato Lee Oswald, e successivamente anche il suo uccisore... ma questo avvenne dopo; intanto noi seguiamo la preparazione dei funerali di stato, abbiamo appena assistito all'entusiasmo mal celato di Johnson cui Kennedy lascio' la sanguinosa eredita' del Vietnam.

Quello che mi ha colpito maggiormente, in questo primo film di Larrain, fuori dal suo paese e' l'accuratezza della ricostruzione dei rituali dell'ufficialita', una cifra veramente sua, anche nelle opere precedenti, pur in contesti diversissimi... i riti sociali, quali che siano, sembrano costruire le persone.

Un film veramente molto interessante..


emilio campanella

 Venezia73, Orizzonti, Evento Speciale: Vangelo, di Pippo Delbono.

Pippo e la malattia, Pippo e la figura della madre, cui e' dedicato il film e l'elaborazione del cui lutto ancora dura, e, secondo me, durera' a lungo.

Fu lei, credente, a chiedere al figlio ateo (categoria cui e' così difficile appartenere veramente) di fare qualcosa a proposito del Vangelo.

Ottantasette minuti sofferti e faticosi per tutti.

Pippo si domanda, di fronte ad un gruppo di profughi che raccontano la loro tragedia e la loro fortunosa salvezza a detrimento della vita di altri, amati e perduti, che cosa possa significare il suo teatro, pur di denuncia e di rottura, come si diceva una volta, ma teatro in teatri per ricchi... in effetti il circuito cui appartengono, negli ultimi anni, i suoi spettacoli, appartiene ad organizzazioni molto importanti.

Mi domando, e se lo domandera' anche lui, sicuramente, se non sia il caso di ripiegarsi su se stesso e ritrovare la felicita' di Barboni...i suoi spettacoli sono forti, intriganti, coinvolgenti, ma hanno ormai un po' tutti la stessa struttura, hanno luci perfette, tempi precisi, interpreti memorabili, e non solo la compagnia storica; lo vediamo nei frammenti dello spettacolo omonimo al film.

Perfetti, emozionanti, ma cosi' in contrasto con i volti umani, disperati dei ragazzi di un centro di accoglienza dove Pippo studia i caratteri per i suoi apostoli.

Ragazzi coraggiosi e dalle storie disperate, che raccontano sapendo che non otterranno il permesso di soggiorno.

Pippo li ascolta, cerca di provocarne la rabbia disperata, attraverso l'immedesimazione in un personaggio.

Fra le ultime immagini, una tavolata, come un'ultima cena, una vocalist intona e grida note forti ed umanamente profonde, prima Pippo ha fatto molte volte i suoi balli dell'orso, ha gridato nel suo microfono, nel suo stile abituale.

Avanti Pippo, cerca ancora, scava, non fermarti.


emilio campanella

Venezia73, Cinema nel Giardino. Geumul (La rete) di Kim Ki-duk. Recuperato il penultimo giorno, alla penultima proiezione, nella nuova sala fiammante, nata sul buco vergognoso ripieno di amianto; solo 446 posti, mentre la Sala Casino', che ha ospitato una delle quattro proiezioni del film, è da 149 posti!

Una strana posizione nella programmazione, non in concorso, neppure ufficialmente fuori, come dire, ma nel programma generale. Insomma, una nuova sezione collaterale ad ingresso gratuito per il pubblico, previo ritiro dei coupons, ed aperta a tutti gli accrediti.

Mi piace molto il cinema di Kim Ki-duk, m'interessano le sue provocazioni spirituali, me ne colpiscono le violenze delle storie, le sfaccettature religiose, controverse ed intriganti. Qui siamo da un'altra parte, in un cinema d'impianto molto tradizionale, che racconta una vicenda  semplice, ma dalle implicazioni umane, morali, politiche, estremamente complesse.

Siamo nella Corea del Nord; un pescatore viene svegliato dalla moglie, e si prepara, come ogni giorno per uscire a pesca, arrivera' al fiume, e passando il posto di frontiera, si, perche' si tratta di un confine sull'acqua, un poliziotto gli raccomandera' quasi scherzando, ma non troppo, di non sconfinare.

Naturalmente, puntualmente, questo accade, siccome  la rete s'impiglia e s'ingarbuglia nell'elica, mettendo fuori uso il motore. Andra' alla deriva, dritto dritto fra le braccia del capitalismo che lo accogliera', a modo suo, festosamente: arrestandolo e sottoponendolo ad interrogatori molto duri; e qui il regista sceglie di non schiacciare il pedale della violenza esibita, od il meno possibile, ma piuttosto lo studio di atmosfere cupe  e concentrazionarie, anche se all'apparenza il prigioniero e' ospitato in una stanza che sembra d'albergo, ha un umano giovanotto che si occupa di lui, e cerca di difenderlo dalle vessazioni del suo aguzzino, che, scopriremo avere una inestinguibile sete di vendetta dopo lo sterminio della propria famiglia, durante la guerra civile.

Vede spie ovunque, spesso a torto. Il nostro pover'uomo verra' "messo alla prova", fuggira', tornera', fara' grandi errori per ingenuita', ma poi si decidera' di rimandarlo al nord, ed in questo le televisioni hanno un grande ruolo. Verra' riaccolto trionfalmente in patria (all'apparenza), per essere invece nuovamente e molto piu' duramente interrogato, e ritrovarsi a scrivere memoriali su memoriali come dall'altra parte, in una prigione sordida, ma non piu' inquietante dall'altra pulitissima, ordinatissima, altrettanto pericolosa... lo lasceranno, finalmente tornare a casa... distrutto fisicamente e moralmente... cerchera' di tornare a pescare, ma scoprira' che gli e' stata ritirata la licenza... preso nella rete come un pesce che piu' si dibatte più s'ingarbuglia.

Un apologo perfettamente equilibrato e coerente nella sua struttura narrativamente bipartita. Entrambi i poteri sono crudeli e spietati, uno più subdolo e falso, l'altro più primitivo e platelmente violento, entrambi ipocriti, menzogneri e corrotti, in maniera differente, ma non lontanissima, in fondo.

La grande esperienza professionale del regista gli fa costruire un film molto calibrato ed in cui i caratteri sono molto sfaccettati ed a tuttotondo, e soprattutto poliedrici, i cattivi non sono solo cattivi, i buoni, ammesso che ce ne siano, non sono solo buoni. Tutti hanno interessi e desiderio di nascondere qualcosa, tutti, in fondo sbagliano molto e sono ricattabili...


emilio campanella

Si e' svolta, come ogni anno, la cerimonia di premiazione della 73a Mostra Internazionale di Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, come ogni anno fluviale, poco divertente, un po' ingessata, un po' pasticciata.

Con sorprese, non troppe, delusioni, qualcuna.

Come tutti sanno, il premio maggiore e' andato al fluviale film filippino (226'): Ang Babaeng Humao, di Lav Diaz. Scelta cinefila che conferma una delle anime più profondamente radicate della manifestazione veneziana.

Il Leone d'Argento, Gran Premio della Giuria, e' stato assegnato, immeritatamente, a mio parere, a Nocturnal Animals di Tom Ford.

Qualche giorno fa avevo esposto le mie motivazioni, che confermo.

Di seguito un ex aequo, scelta che trovo sempre poco giusta nei confronti degli autori, ma almeno quest'anno, non si sono inventati riconoscimenti all'ultima ora, come in altre occasioni.

Comunque, il Leone d'Argento "segato in  due" per la migliore regia, e' andato ad Andrej Konchalovsky per il suo apprezzato Paradise, di produzione russa e tedesca, e ad Amat Escalante per La Region Salvaje, una coproduzione in cui sono coinvolti: Messico, Danimarca, Francia, Germania, Norvegia, Svizzera.

Recuperato dopo la premiazione, il film di Escalante e', a dir poco, insensato e dissennato nel suo raccontarci una vicenda di omofobia ed omosessualità occulta, per cosi' dire in un contesto sociale, peraltro ben delineato, cercando di coniugarlo con l'inconoscibile ed una sorta di horror vagamente misticheggiante e legato ad innominabili possessioni.

Imbarazzante, durante il lungo discorso di Escalante, vedere l'altro premiato, come in attesa in coda... ma da vecchio marpione, Konchalovsky, se l'e' cavata egregiamente con un conciso discorsetto nel suo pittoresco italiano.

La Coppa Volpi per la migliore attrica e' andata ad Emma Stone per La La Land, riconoscimento particolarmente immeritato, a mio avviso.

Quella per l'interpretazione maschile ad Oscar Martinez, unanimemente apprezzato protagonista di El ciudadano ilustre.

Un contentino a Jackie di Pablo Larrain con il premio alla migliore sceneggiatura, firmata da Noah Oppenheim. Trovo meritatissimo, invece,  il Premio Mastroianni per l'attrice emergente a Paula Beer, protagonista dell'interessante Frantz di François Ozon.

E poi una messe di premi maggiori e minori alle rassegne Orizzonti ed alla miriade di altre.

Gran discorsi, grandi ringraziamenti a compagni, compagne, mariti, mogli, mamme, babbi, zie, nonni, fratelli, sorelle... forse anche cugini, un po' il festival della stucchevolezza, ma, talvolta con qualche commozione sincera, e si vedeva.

All'anno prossimo


emilio campanella

Continuano all'Isola di S.Giorgio, a Venezia, le puntate dell'"enciclopedia del vetro veneziano e non". Sino all'8 Gennaio 2017: Paolo Venini e la sua fornace.

Trecento opere dagli anni trenta alla fine degli anni cinquanta del novecento.

Esposizione, al solito, accurata, scientificamente precisa, illuminata con grande attenzione, corredata da disegni preparatori dei pezzi esposti, e da molte foto d'epoca delle esposizioni, siano esse vetrine come sale della Biennale del 1954.

Un ulteriore piacere e' dato dal gusto estetico di curatori ed allestitori che hanno creato ritmi cromatici e di forme, ed oltre a questo, il riconoscere oggetti notissimi, come il ritrovare una folla di vecchi amici.

Paolo Venini imprenditore, artista, innovatore, che valorizzo' e reinvento' le tecniche muranesi con opere sue, come affidandosi a grandi artisti e designers quali GiÚ POnti, Riccardo Licata, Charles Lin Tissot, Ken Scott (impagabile una vetrina di magnifici suoi pesci, esposti come in un acquario), Tobia Scarpa, Tyra Lungren, con i suoi pescioni dall'aria pericolosa, ed in realta', tenerissimi, Grete Korsmo, Massimo Vignelli, Eugène Berman (una meraviglia, il suo centrotavola: Le rovine, del 1951), Piero Fornasetti. Il catalogone accuratissimo pubblicato da Skira, e', ormai un appuntamento fisso, un punto fermo, una certezza.

Naturalmente si fa la visita leggendo tutto: i sintetici ed esaurienti pannelli informativi, le didascalie di ogni pezzo, ma poi alla fine, resta un desiderio, quello di godere del piacere fisico visivo di abbandonarsi alla sensualita' dello stimolo trasparente di magnifiche forme, suggestioni di riflessi, colori satinati, opachi, che confluiscono l'uno nell'altro, di gioire dei disegni colorati , bianchi o trasparenti, contenuti nelle forme di vasi, di obelischi di modernissimi dolmen in miniatura.

Non manca, certo il divertimento guardando elegantissime bottiglie con spiritose testoline, in realta', serissimi tappi, ma non scevri da una certa strizzata d'occhio ironica; e che dire delle clessidre biricchine?

Sorprendente una serie di rython come strumenti musicali a fiato genialmente divertenti.

Insieme a questo la tentazione di esporre freddamente- all'apparenza - oggetti, ovviamente freddi. Concludo con la magnifica grande vetrina "in cinemascope" giocata su un grande numero di vetri e sulle nuances cromatiche di grande, elegantissimo effetto, nella stanza cinque, delle sette di cui si compone l'esposizione, con l'aggiunta del corridoio.


emilio campanella

Presentata ed inaugurata il 16 Settembre, si potra' visitare sino all'8 Gennaio prossimo, negli spazi dell'ex Convitto dell'Isola di S.Giorgio a Venezia, la mostra: Mindful hands, Capolavori miniati della Fondazione Giorgio Cini.

Siccome esporre volumi antichi ed in questo caso, quasi esclusivamente pagine o frammenti di gioielli decorativi risulta sempre una difficile sfida, i curatori (Federica Toniolo, Massimo Medica, Alessandro Martoni), si sono affidati allo Studio Michele De Lucchi, ed a Factum Arte, i quali hanno concepito un allestimento ed un percorso espositivo ineccepibili per eleganza formale e precisione luministica.

Si possono vedere circa centoventi delle duecentotrentotto miniature di epoche medioevale e rinascimentale, che Vittorio Cini acquisto' dalla Libreria Antiquaria Hoepli di Milano, fra il 1939 ed il 1940, e donate alla Fondazione nel 1962. Si possono ammirare anche alcuni importanti codici miniati della medesima provenienza.

E certo, fa una certa impressione il contrasto fra volumi pressoche' intatti e le "povere pagine perse" e pietosamente raccolte dopo essere state violentemente strappate dai preziosi libri cui appartenevano, e fossero solo pagine sontuose e fantasiosamente decorate, ma sono anche capilettera ritagliati ed ulteriormente avulsi dal loro contesto originario, amorosamente ed accuratamente raccolti e composti, qui nelle elegantissime, semplici cornici in legno naturale, sottovetro, per la gioia di chi, miope come me, puo' guardarle anche da molto vicino.

Quella dei libri violentati e fatti a pezzi per venderne le sole pagine decorate e' stata una pratica molto in voga fra ottocento e novecento, allo scopo di smerciare piu' facilmente preziosita' nascoste nei volumi, e che ha devastato biblioteche del mondo intero, la stessa tecnica commerciale che faceva decapitare antichi bronzi orientali... ma sappiamo tutti benissimo come, ancora, continuino ad accadere queste cose, per cui maggiormente colpisce una delle tre "star"della mostra: l'Antifonario denominato Q di proprieta' della Basilica Benedettina di S.Giorgio Maggiore, prestato in occasione dell'esposizione, ed affiancato ad una pagina staccata della Collezione Cini, in antico, facente parte del grande volume.

Un ricongiungimento emozionante. Al primo piano, sale "didattiche" sulle tecniche della miniatura, ed anche invenzioni e reinvenzioni di meraviglie librarie, come l'Offiziolo di Carlo VIII di Francia, fatto realizzare da Lodovico il Moro per fargliene dono, un piccolo ( 6X3 cm.) preziosissimo Libro d'Ore. Lungo una parete, si susseguono, ingrandite, tutte le pagine decorate, ed accanto ad ognuna la copia 1:1 del volume originale, esposto di fronte aperto e con la sua minuscola custodia; poco lontano un tavolino, una seggiola, ed una copia perfettamente riprodotta dello stesso piccolo libro, che si puo' toccare e sfogliare.

La terza meraviglia e' costituita dal Martirologio della Confraternita dei Batutti Neri di Ferrara, in un contesto di installazione visiva e sonora, con riproduzione molto ingrandite di immagini di martirio, contenute nel volume. Non bisogna dimenticarne che lo scopo era quello di accompagnare i condannati a morte. Due volumi sono stati pubblicati da Silvana Arte, in margine all'esposizione: Le miniature della Fondazione Giorgio Cini, Pagine, ritagli, manoscritti, ed I capolavori miniati della Fondazione Giorgio Cini, guida breve alla mostra. L'occasione espositiva ed editoriale congiunta e' ghiotta per studiosi, appassionati ed occasionali fruitori.


emilio campanella

Domenica 18 Settembre, alle ore 20, il Teatro Goldoni di Venezia ha ospitato uno spettacolo di teatro No giapponese, rara occasione, siccome l'ultima rappresentazione di questo stile tradizionale, in citta', si era dato nel 1996 al Palafenice, il tendone dell'isola del tronchetto che sostituiva, sino alla sua ricostruzione, il bruciato Gran Teatro La Fenice.

Come allora, anche in questa occasione l'Universita' di Ca' Foscari ed il Professor Bonaventura Ruperti (anche autore di un testo del programma di sala), hanno seguito la manifestazione.

L'occasione e' data dal centocinquantenario del Trattato di Amicizia e Commercio fra Italia e Giappone.

La data e' il 1866, due anni prima della Restaurazione Meiji del 1868. La Compagnia guidata dal Maestro Sakurama Ujin ha iniziato la sua tourne'e al teatro Argentina di Roma( 14 Settembre), successivamente al Teatro La Pergola di Firenze (16 Settembre), e dopo Venezia, il 20 Settembre, al Teatro Olimpico di Vicenza, ultima data.

La compagnia, tutta composta da discendenti da famiglie di antica tradizione nella loro disciplina: danzatori, attori, strumentisti, cantanti. I programmi sono diversificati da citta' a citta', e proprio a Vicenza il programma prevede un No moderno ispirato al viaggio di quattro giovani giapponesi, dell'epoca Tensho (XVI sec.) in varie citta' italiane, in rappresentanza dei loro Daimyo cristianii.

La serata veneziana si componeva di due parti  introdotte da un'ampia, esauriente prolusione di Bando Mariko, che contestualizzava epoche, stili letterari, eventi storici, nascita di un teatro elitario, quale il No, e la personalita'e del suo autore: Zeami Motokiyo, creatore di una forma di rappresentazione che prese le mosse da precedenti danze di corte, autore di moltissimi testi, fra cui quello rappresentato.

La scena astratta nell'astrazione, appunto, era costituita da una immagine fotografica da un paravento giapponese, ovviamente, presente nelle collezioni del Museo di Arte Orientale, ospitato all'ultimo piano di Ca'Pesaro.

Sul palcoscenico uno stretto rettangolo sulla sinistra dello spettatore, che portava ad un ampio spazio quadrangolare, entrambi bianchi sul piano nero della scena; dunque non i tre pini sul "ponte", non la scena sollevata da una pedana e delimitata da codificate balaustre, non la scala sul davanti. Una richiesta di maggiore concentrazione fatta al pubblico, peraltro attentissimo, se si esclude un'unica defezione nella seconda parte.

La serata si e' aperta con un lungo racconto relativo alle vicende della guerra fra i clan Taira e Minamoto in epoca Heian, desunto dall'Heike Monogatari ( circa 1221): Chikubushima Moude interpretato con grande intensita' da Suda Seishu cantore ed esecutore al Biwa, strumento al centro della narrazione, come della pi'ece successiva. Dopo l'intervallo: Tsunemasa, interpretato da Sakurama Ujin (Shite- protagonista), Tateda Yoshihiro ( Waki-deuteragonista), Kamei Hirotada, Ko Masayoshi, Fujita Jiro, musicisti.

Emoziona sempre in queste rappresentazioni brevi ed estremamente ritualizzate, precise, codificate, come egualmente cresca la carica ed il coinvolgimento del pubblico, nel dramma, da quando i musicisti con gesti, movimenti precisi, prendono posto. I suoni secchi, le voci dal canto aspro, spezzato, all'entrata del Waki che introduce la cornice del dramma, sino all'ingresso lentissimo dello Shite, dal costume ancora pi˘ sontuoso.La maschera ne rende particolarmente sonora, la voce, esterna la sua tragedia di samurai morto in battaglia, attirato dal biwa portato dal Waki, ed a lui appartenuto, Strumento sacro e forse possibile agente di una agognata liberazione dalla sua infernale condizione di condannato a combattere indefinitamente i demoni.

Un fantasma, che noi vediamo benissimo, ma che il coro ed il deuteragonista, intravvedono come una nebbia vaga.

Il racconto della tragedia interiore, i movimenti precisissimi, quella capacita' di ruotare sull'asse, i cambiamenti di direzione veloci, gli scatti repentini, i passi scivolati, il battere furioso dei talloni, l'espressivo movimento del ventaglio sino all'uscita di scena rapida e silenziosa... si vorrebbe che non finisse mai!


emilio campanella

 Sembrerebbe di si, parrebbe proprio l'ideale continuazione di Pietro Bembo ed Aldo Manuzio, la bella mostra curata anche questa, con l'acume che gli conosciamo, da Guido Beltramini, insieme con Adolfo Tura, dedicata ai cinquecento anni dalla pubblicazione dell'Orlando Furioso, edito a Ferrara il 22 Aprile 1516.

La ricognizione degli studiosi s'intitola: Orlando Furioso 500 anni, cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dal 24 Settembre 2016 all'8 Gennaio  2017.

Dodici sale, dodici capitoli, dodici sezioni che giocano sulla fantasia e sulla fascinazione, sull'invenzione ed il riferimento colto, sempre.

Per una volta mi sono lasciato tentare dall'audioguida, per entrare un po' meglio, da subito, nello spirito dei curatori.

Ho fatto molto bene, poiche' la voce amichevole di Guido Bergamini accompagna di sala in sala con sintetica capacita' di mantenere continuamente vivo l'interesse illustrando esaurientemente ogni pezzo esposto, e sono oltre ottanta, fra volumi, tele, sculture, disegni, tavole, arazzi, oggetti, marmi, bronzi. In penombra, con luci sapienti, vetrine di design, il gioco della fantasia ha inizio con il libro aperto del poema prima di Ariosto:  Innamoramento de Orlando di Matteo Maria Boiardo, Venezia, Piero de' Piasi, 19 Febbraio 1486, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana.

Così come prima di Ariosto e' San Giorgio e il Drago di Paolo Uccello del 1440, dal Muse'e Jaquemart-Andre', Institut de France di Parigi. Esposto perche' i personaggi di questa storia hanno dei ruoli tipici dei poemi cavallereschi.

Nella sala quattro: Lacelot du Lac, Parigi, Antoine Ve'rard, 30 Aprile 1494, membranaceo,Vienna Osterreichiche Nationalbibliothek, Sammlung von Handschriften und alten Druken.

Nella seconda sala, un grande arazzo con La Battaglia di Roncisvalle, 1475/1500, Londra, Victoria and Albert Museum, e siamo nel pieno del fragore della battaglia, siamo attorniati da armi magnifiche, da bassorilievi, disegni incisioni che riportano affollatissime scene di battaglia.

Si procede analizzando la struttura del poema ariostesco, ci si ritrova a corte, le molte corti italiane ed i loro legami, intanto incontriamo capolavori che vanno da Botticelli a Raffaello, da Giorgione a Pisanello, da Piero di Cosimo a Michelangelo da Mantegna a Cosmè Tura, da Ercole De Roberti, a Dosso Dossi... certo, l'"officina ferrarese", la fa da padrona ed ee' anche logico.

Ma non manca neppure Tiziano, il cui Baccanale degli Andrii, 1522-24, Madrid, Prado, creato per la corte estense, non fu esposto neppure alla grande mostra veneziana del 1990, e torna a Ferrara dopo alcuni secoli. Nulla Ë casuale in questa esposizione che gioca con la fantasia; neppure il Globo dell'Obelisco Vaticano, bronzo dorato, diametro cm 80,5, Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori. Impallinato dai lanzichenecchi durante il sacco di Roma, fa da evocazione della luna e del viaggio di Astolfo... ma di archibugi si parla nelle ultime sale, dell' "aggiornarsi" di Ariosto ed il suo reagire alle nuove armi da fuoco.

Nell'ultima, dodicesima sala, un grande arazzo con la battaglia di Pavia e la sconfitta di Francesco I (Manifattura Fiamminga, 1528-1531, Napoli, Museo di Capodimonte)... accanto la sua spada recuperata da Gioacchino Murat e conservata da Napoleone I.

In chiusura di percorso, una copia del poema di Cervantes, dalla British Library. Una manifestazione importante e molto caldamente consigliabile.

Ho fatto un secondo giro, con molta calma, e mi sono convinto che il bel catalogo edito da Ferrara Arte, utilissimo agli appassionati, e' un ottimo vademecum alla visita, anche per la dimensione volutamente maneggevole.


emilio campanella

 E' la mostra dell'anno di Palazzo Zabarella a Padova, che continua a studiare la pittura italiana dell'ottocento, ed in special modo, quella fra otto e novecento.

Il titolo dell'esposizione, aperta al pubblico dal 1 Ottobre 2016 al 29 Gennaio 2017, risulta volutamente programmatico, la ricorrenza e' il centenario della morte dell'artista veneziano, avvenuta a Parigi, dove visse lungamente, nel 1917.

La ricognizione parte dall'inizio della carriera di Zandomeneghi, ma nelle primissime sale, anche prima, dalla famiglia di scultori; viene sinteticamente tratteggiato l'ambiente artistico circostante, e di pari passo, la carriera del pittore, dall'Accademia a Venezia, a Brera, avendo lasciato la propria citta', ancora sotto l'Austria, per Milano gia' indipendente, continuando gli studi a Brera; l'arrivo in Sicilia, seguendo Garibaldi, poi a Firenze, e nuovamente a Venezia divenuta italiana.

Peregrinazioni risorgimentali, sperimentazioni e ricerche artistiche in cui coniugava la sensibilita' veneziana e la tecnica sulla ricerca della luce dei Macchiaioli; come si disse successivamente, che la sua pittura francese aveva sempre una sensibilita' veneta, nelle luci, nel modo di comporre i gruppi di figure, un calore mediterraneo molto interessante per un artista.

Ad un certo punto quasi assimilato con la pittura parigina a cavallo dei due secoli, a buon diritto e con grande merito e riconoscimento di altri artisti. Piu' difficile il rapporto con la critica, soprattuto in Italia dove peraltro, inizialmente, ben poco si sapeva del cosiddetto impressionismo, infatti, quando Vittorio Pica, critico ed organizzatore di Biennali, nel 1914 allesti' una sua mostra proprio in una di quelle importanti occasioni, la critica non comprese ne' Zandomeneghi, ne' la sua pittura francese.

A Parigi il veneziano "rustego" si scontrava amichevolmente con Degas e gli altri trovando come il suo lavoro fosse partito da lontano, facendo un tipo di ricerca non dissimile. Molto piu' tardi Roberto Longhi nel 1952, caldeggio' il pittore, e piano piano i galleristi, ed in particolare la Galleria Pesaro inizio', grazie a collezionisti-editori, come Sommaruga e Mondadori, a scoprirlo, soprattutto a Milano. Certo, tornando indietro, una personalita' come Diego Martelli (presente in mostra un bel ritratto del 1870, da Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti) lo stimo' molto, ed infatti la stagione macchiaiola e' molto presente nel percorso espositivo e corrisponde alla seconda delle sei sezioni in cui si suddivide. Ci sono i temi, le tecniche, le luci, ritratti, paesaggi, talvolta con una certa tentazione bozzettistica.

A Parigi e' lo sguardo sulla vita della citta', sui riti sociali, le strade, i caffè, e molta attenzione per la figura femminile. Molto interessante la capacita' di cogliere movimenti ed atmosfere con al centro ampi gruppi di persone, come ne: La Terrasse del 1895, collezione privata, oppure: MatinÈe musicale, 1895-1900. anche questo di collezione privata.

E' un interno affollato durante un concerto in un salotto, con una qualche distrazione degli ascoltatori, sembra di vedere M.me Verdurin dardeggiare con sguardi di fuoco, i distratti...Riti sociali, ma anche donne sole nella loro intimita', le loro confidenze, le loro passeggiate, la loro eleganza, il loro fascino, le loro letture, ad esempio: Paul De Cock, 1869, ancora collezione privata, in cui due amiche sedute vicine, una che ride beata, nel suo chiaro abito a righe, l'altra, piu' raccolta, in nero, reagiscono diversamente alla lettura di un autore definito ameno; peraltro, alcuni decenni dopo Leopold Bloom portera' romanzi di questo autore alla moglie Molly, che li apprezzava molto, ed Ulisse si svolge nel 1904.

Un piccolo quadro che riassume una situazione coniugale gia' cristallizzata è Luna di miele, a pesca sulla Senna, 1878 c.a, Gallerie degli Uffizi, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti.

Una piccola tela( cm. 16X29 ) dall'inquadratura "fotograficamente" perfetta, giocata sul'orizzontalita' spaziale degli argini e del corso d'acqua. la giovane, elegante signora spezza le linee con la sua presenza, seduta su uno sgabello pieghevole, il parasole fra le mani guantate, di lui si vedono appena spuntare, in basso, il cilindro e la canna da pesca...un matrimonio gia' spento...Questa bella ed ampia esposizione, corredata da un catalogo Marsilio, al solito alto livello qualitativo, sara' una scoperta per molti, una riscoperta per altri.


emilio campanella

  A questa domanda tenta di rispondere, con un certo buon margine di riuscita, bisogna dire, Giandomenico Romanelli, curatore della mostra: I Nabis, Gauguin e la pittura italiana d'avanguardia, a Palazzo Roverella a Rovigo, sino al 14 Gennaio 2017.

Bisognera', pero', sgombrare il campo da un equivoco, spero involontario, benche' il battage pubblicitario dell'esposizione abbia troppo puntato su un nome ch'e' si, citato nel titolo, ma che ha una presenza esigua, per quanto importantissima per il movimento, ed ee' quello di Paul Gauguin.

Non è una mostra su di lui, ma sull'influenza iniziale che quell'artista ha avuto su questo movimento e sui suoi esponenti che facevano riferimento alla cosiddetta scuola di Pont Aven.

 E' essenzialmente una ricerca di semplicita' non solo formale, che questi pittori desideravano, come fortemente allontanarsi dall'impressionismo'imperante e che allora cominciava a furoreggiare dopo i violenti rifiuti dei primi tempi.

Per questo nomi quali 'Emile Bernard, Paul Se'rusier, Georges Lacombe, Paul 'Elie Ranson, Charles Filiger, Jan Verkade, George-Daniel de Monfreid, Cuno Amiet, sino a Maurice Denis, (che ebbe un'evoluzione un po' speciale, si veda il curioso: S.Giorgio Maggiore, i venditori di arance del 1908, collezione privata, gia' quasi surrealista), tutti questi artisti cercarono nuove vie espressive, forme, cromatismi, suggestioni, anche mistiche, tenendo sempre presente la lezione di Gauguin (in mostra, comunque, ma con cinque opere minori) come continuo riferimento stilistico e di scelte formali, spesso, radicali.

A questo punto l'esposizione si sposta a Burano dove operavano artisti schivi ed intensi, ed anche incompresi a lungo come Gino Rossi; con uno spostamento dell'obiettivo seguiamo la ricerca pittorica in un altro "borgo selvaggio", non più in Bretagna, ma nel poverissimo Veneto e troviamo  Arturo Martini, Umberto Moggioli, Teodoro Wolf Ferrari, personalita' forti che compivano una ricerca simile, ma che erano in contatto diretto od indiretto con la Francia, la' si torna con Vallotton, e con l'interessantissimo Marius Bourgeaud, mai esposto in Italia, presente con tre tele notevoli, una fra tutte: Giocatori di bocce del 1918 (Pully, Musèe d'Art), misterioso, nella luce forte del sole pomeridiano, le figure appena accennate; di grande espressività.

Si prosegue con Oscar Ghiglia, livornese, allievo di Fattori, Mario Cavaglieri, Felice Casorati, Cagnaccio di San Pietro, ognuno a modo suo legato da un filo sottile, al discorso iniziale pur distaccandosene per stile, personalita', scelte formali, ma mantenendo certe direzioni, ed una qualita' nel loro lavoro, che li apparenta alla Francia, quando poi come Cavaglieri non vi si trasferiranno definitivamente per buona parte della loro vita.

Non e' assolutamente una mostra facile, anche se le opere esposte possono sembrarlo... anche troppo, certe... bisogna scavare un po' per trovare il nocciolo, ma ne vale assolutamente la pena.

Strumento utilissimo e' il puntuale catalogo pubblicato da Marsilio.


emilio campanella

 Mercoledi 5 Ottobre a Vicenza, a Palazzo Leoni Montanari, sede locale delle Gallerie d'Italia di Banca Intesa, e' stato presentato il progetto/percorso belliniano che interessera' per il notorio cinquecentenario della morte del pittore, la città per i prossimi mesi, fra il palazzo stesso dove e' esposta la Trasfigurazione di Giovanni Bellini, proveniente dalle Gallerie di Capodimonte a Napoli, che sarà L'Ospite Illustre sino all'11 Dicembre.

L'opera era stata eseguita, intorno al 1479, per la Cappella Fioccardo del Duomo di Vicenza.

Poco lontano, in Santa Corona, il Battesimo di Cristo (1500-1502). A Palazzo Chiericati, si può ammirare il Cristo crocifisso in un cimitero ebraico (1501/1503 ?) che però, quel giorno non era ancora arrivato dal vicino Palazzo Thiene, sede della Banca Popolare di Vicenza.

Questi importanti dipinti su tavola rientrano in un progetto d'itinerario belliniano in citta'.

Ricordo che a Palazzo Leoni Montanari e' ancora in corso, sino al 23 Ottobre: Dioniso Mito, rito e teatro, una preziosa piccola esposizione intorno a vasi greci di cui ho parlato alcuni mesi or sono. Il palladiano Palazzo Chiericati apre l'ala novecentesca al pubblico e se ne possono ammirare per  buona parte le opere e le quadrerie in allestimenti molto accurati e suggestivi.

Anni fa s'era visto l'inizio di un lavoro che sembrava gia' molto interessante, di questo ch'e' il vero Museo della Citta', legato alla sua storia ed alle famiglie che l'hanno fatta.

Fra i diversi piani e le differenti sezioni dal XIII al XV secolo da Paolo Veneziano a Memling, Bartolomeo Montagna ( la suggestiva ideale ricostruzione della perduta Chiesa di S.Bartolomeo), Carpioni, Maffei, Jacopo Bassano, Tintoretto, Veronese, Fasolo. Attendiamo ora l'ultimazione del lavoro con l'esposizione delle collezioni dal settecento al novecento.

Ma per intanto si puo' salire nel sottotetto e godere del lascito Roi, una intera biblioteca ed opere antiche e moderne, disegni, incisioni, edizioni rare in tre ambienti di grandissimo fascino e testimonianze sul raffinato collezionista.

Invece, in quelle che erano le cantine del palazzo, la mostra: Ferro fuoco e sangue! Vivere la Grande Guerra, sino al 26 Febbraio 2017, un intenso, umanissimo percorso di riflessione sul tragico conflitto, attraverso le sentite fotografie di Giuliano Francesconi in un allestimento che presenta, suggerisce, propone con luci giuste, in ambientazioni forti ed umanissime, oggetti ritrovati nelle trincee. Notevole il catalogo edito da Silvana.


emilio campanella

  Poco lontano dalla chiesa di S. Stae, sullo stesso lato del canale, si trova Ca' Pesaro, magnifico edificio progettato da Baldassarre Longhena, ticinese che molto lavoro' a Venezia, firmando capolavori architettonici, (come tutti sanno, la Basilica di S.Maria della Salute, e moltissimo altro).

Qui ha sede la Galleria Internazionale di Arte Moderna, al primo piano nobile; al secondo piano nobile vengono ospitate le esposizioni temporanee, ed all'ultimo piano si trova il Museo d'Arte Orientale (Nazionale) nella sua sede provvisoria da ormai moltissimi decenni.

In questo momento, al secondo piano nobile si puo' visitare: La donna che legge (sino all'8 Gennaio 2017) un'interessantissima, e per certi versi, sorprendente, esposizione dedicata alla biblioteca di Gabrielle (Coco) Chanel, faro del gusto femminile per molti anni, e riconosciuto arbiter elegantiarum. Creatrice, innovatrice, inventrice della donna moderna. Ma Madame Gabrielle aveva anche una biblioteca vasta e raffinatissima, amici letterati, pittori, filosofi, scriveva i suoi pensieri per se e ne parlava con i suoi amici pi˘ intimi, aveva i suoi miti, i suoi punti fermi morali, e le sue ben precise idee sul posto della donna nella societa'.

Il percorso espositivo si snoda lungo sette sale tematiche,l'ultima delle quali, molto ampia. E' affollatissima di volumi, molto spesso prime edizioni dedicate dagli autori, incisoni, disegni, oggetti antichi e creazioni della stilista, pezzi della sua collezione personale, come prestiti da grandi musei, per accompagnare i temi delle sezioni.

Consiglio caldamente l'audioguida, siccome la mostra e' molto densa,  per evitare di perdere di vista pezzi importanti ed anche per comprendere il senso della "narrazione". Culture Chanel, che segue il suo progetto culturale in molti spazi espositivi, qui, ovviamente, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, ed il palazzo che ospita, ha proposto un tipo speciale di  punto di vista della personalita' di Gabrielle Chanel.

L'allesimento e' accuratissimo, le teche hanno un'ottima visibilita' e l'illuminazione e' perfetta al loro interno, nella penombra circostante. Non manca certamente, la moda, ma come sullo sfondo, come qualcosa che sappiamo benissimo, lasciando in primo piano l'argomento scelto.

Certo ci sono le boccette del "Numero 5" mitico, ma anche altri numeri, ci sono gioielli creati negli anni trenta, accanto alla loro ispirazione antica, ci sono i bei modelli creati da Karl Lagerfeld, anche recentissimamente, per la maison.

Ci sono foto intime della nostra protagonista, i molti disegni di Picasso a lei dedicati e pure: La donna che legge, 1953, dal Museo Picasso di Parigi; disegni di Bourdelle per Nijinski, bozzetti di costumi del Sacre di Stravinski, un bel disegno della Gontcharova, e tanti anche bellissimi di Cocteau; accanto ai tragici greci, l'Oedipus rex di Cocteau, appunto, ed un suo magnifico "disegnino" dedicato a Giocasta; una foto di Jean Marais in Orfeo.

C'è anche Proust, ovviamente, ma Les Plaisirs et les jours, Pastiches et Mèlanges, e della Recherche solo Sodome et Gomorre, in tre volumi, del '22! Cito a Caso, ma la ricchezza e l'intelligenza delle scelte di accostare volumi ed oggetti come mosaici da Torcello e vasi greci antichi e' ammirevole. Una mostra, possibilmente, da non perdere.

In omaggio la guida all'esposizione, che porta tutti gli oggetti, l'elenco completo dei volumi, con dati esaurienti e piccole foto per copertine importanti, disegni, incisioni ed altro.

Pare che non sia ancora disponibile il catalogo. Ci auguriamo che lo sia presto.

Un po' più avanti, sull'altro lato del canale: Il Fontego dei Tedeschi, edificio imponente ricostruito nel 1505-1508, a seguito di un incendio, e già esistente dal XIII sec. Era il "quartier generale" dei commercianti tedeschi in citta', grande e non bellissimo, ebbe decorazioni pittoriche esterne, firmate da Giorgione e Tiziano, andate perdute, a parte un frammento esposto alle Gallerie dell'Accademia.

 Nel 1937 venne effettuata un'orrenda copertura tuttora esistente, quando gia' da molto tempo aveva perduto le torrette eliminate nel XIX sec. Fu a lungo sede provinciale delle Poste. poi ebbe varie vicissitudini di compra vendita sino all'attuale passaggio di mano ad una multinazionale (DFS) che diede il progetto di ristrutturazione in mano a Rem Koolhaas, molte polemiche molte proteste, il ritiro della firma dell'archistar che non pare aver accettato la realizzazione del"restauro". Nel frattempo siamo arrivati all'Ottobre 1916 ed all'inaugurazione e successiva apertura al pubblico di un palazzone Grandi Firme, peraltro questo non tradisce la sua storia originaria, ma la realizzazione, l'uso dei materiali, i colori soprattutto si.

Un insieme pacchiano, volgarotto e molto pretenzioso...nemmeno kitsch, magari, almeno potrebbe essere divertente, invece, no, e' tronfio e poco simpatico. Per fortuna ci sono molte finestre, e quello che si vede aldila' e' molto bello. Nel sottotetto, che dovrebbe essere un salone per eventi, un'installazione di Fabrizio Plessi (Under Water)... un po' con la mano sinistra, e lo dice uno che apprezza, di solito, molto, questo artista. Ci si puo' consolare con la vista dalla terrazza: un'altana un po' piu' grande del normale, da cui si gode una magnifico panorama sui tetti e sul Canal Grande nelle due direzioni, al di qua e al di la' del Ponte di Rialto, e sull'elegantissimo, quello si, appena restaurato Palazzo dei Camerlenghi(1525-1528).

Peraltro e' una bella vista che si gode da molti palazzi della citta'. Non sono riuscito a capire se l'antica vera da pozzo ch'era al centro del cortile coperto del palazzo, sia rimasta sepolta sotto un praticabile moquettato nero con composizioni di fiori al centro e dentro un quadrato di marmo cui ci si può appoggiare.. .per fare il punto della situazione, visto che non ci si siede da nessuna parte, tolto  negli spazi commerciali, per motivi di prova... oppure se sia stata eliminata...!


emilio campanella

A volte un errore porta a delle scoperte, talaltra a delle possibilita' non previste.

E' stato così giovedi 13 Ottobre, quando mi sono reso conto che la presentazione al Museo Correr di Venezia, sarebbe stata per il giorno seguente, e ne perlero', infatti, successivamente.

Essendo in zona ho deciso di andare in Calle Giustinian, la stessa dove ha sede la direzione della Biennale , di salire al terzo piano dell'edificio che ospita il negozio/emporio, decisamente elegante di Luis Vuitton, ed entrare nello spazio espositivo che ospita in questo momento: Fondation Luis  Vuitton building in Paris by Frank Gehry con l'intervento di Daniel Buren, aperta il 27 Maggio, che non avevo ancora visitato, prevista sino al 26 Novembre, e ch'e' stata prorogata al 27 Febbraio 2017.

La mostra e' stata ripensata, dopo la sua edizione parigina, da Daniel Buren, per lo speciale, raccolto ma arioso spazio veneziano: modelli, materiali, varie versioni in progress, verso la realizzazione finale dell'edificio. Nel pomeriggio ho continuato il mio percorso per recuperare esposizioni non ancora viste.

Sono arrivato al Ghetto ed alla Ikona Gallery di Ziva Kraus dove si puo' visitare, sino al 27 Novembre: Peggy Guggenheim in photographs, allestita in collaborazione con la Peggy Guggenheim Collection. Occasione ideale data la presenza dell'animatrice del luogo, gran dama della cultura veneziana, dalla brillante e coltissima conversazione (con lei bisognerebbe prendere appunti continuamente) visitando la piccola, preziosissima esposizione e commentando ogni importante fotografia, e per gli autori e per i momenti fermati dall'obiettivo: Peggy Guggenheim giovanissima, in giro per il mondo, con opere d'arte fra le mani, piu' tardi mentre sistema un Mobile di Calder alla Biennale, elegantissima con un abito che sembra un Delphos di Fortuny, sui gradini della sua casa sul Canal Grande...Ca' Venier dei Leoni, in gondola, un libro fra le mani, i famosissimi occhiali da sole inforcati.

Il giorno seguente. data giusta, la presentazione del restauro di modelli lignei di edifici, realizzati in epoca settecentesca. La Fondazione Luis Vuitton, ancora una volta collabora con i Musei Civici Veneziani e sostiene il restauro di opere delle collezioni. Si possono vedere, dal 14 Ottobre 2016, nella Sala delle Quattro Porte, al secondo piano del Museo Correr, due grandi modelli, uno, probabilmente corrispondente ad un progetto per Ca' Rezzonico, poi realizzata diversamente, frammentario, ma affascinantissimo, e che grazie a questo permette di vedere un magnifico scalone interno, e l'altro, di Palazzo Venier dei Leoni, di cui fu costruito solo il primo piano, sede della Peggy Guggenheim Collection, e che della signora dell'arte contemporanea a Venezia, fu abitazione.

Interessantissimi gli interventi relativi al tipo di restauro conservativo, e non troppo invasivo, rispettando le patine del tempo, pur cercando di integrare mancanze grazie a frammenti ritrovati e ricomposti: un gioco affascinante fra puzzle tridimensionale e "lego" d'antan che puo' apprezzare solo chi ami la modellistica nel suo livello piu' alto e dall'utilita' indispensabile per le maestranza, quando gli edifici prendevano molto tempo per la loro costruzione. I modelli sono tutti smontabili e si possono vedere i particolari degli interni, le decorazioni proposte, le diverse soluzioni delle facciate, i travi dei tetti, le scale interne, i cortili, i saloni.

Al Museo Fortuny quattro modelli corrispondenti all'edificio principale di Villa Pisani a Stra', e tre altri destinati al giardino, uno dei quali non realizzato. questi ultimi erano stati esposti alla mostra: Andrea Palladio e la Villa Veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a Palazzo Barbaran da Porto di Vicenza, nel 2005. Questi quattro importanti modelli, il piu' grande dei quali fra poco verra' restaurato-per ora e' visibile solo un saggio di lavoro- sono esposti al primo piano nobile del palazzo, insieme al percorso museale ed alla mostra temporanea: Quand fondra la neige...ou' ira le blanc... Collezionismo Contemporaneo a Palazzo Fortuny, sino al 6 Novembre.

emilio campanella

Il Globe Theatre di Londra, al Teatro Goldoni di Venezia (Con il Verdi di Padova ed il Teatro Nuovo di Verona) una delle tre sedi del Teatro Stabile del Veneto, con le quattro rappresentazioni del testo shakespeariano, del 19, 20, e 21 Ottobre ha concluso la sua tournée internazionale, mentre il teatro veneziano inaugurava la propria stagione.

Occasione importante per godere di un magnifico testo in lingua originale e con una pronuncia perfetta, interpretato da una compagnia di alto livello.

Queste note fanno riferimento alla recita pomeridiana del 20 Ottobre, comoda per l'orario, ma affollatissima di studenti, di solito rumorosi ed intemperanti, in quella occasione, attentissimi, silenziosi e partecipi anche delle giocose improvvisazioni del fool Stefan Adegbola (Launcelot Gobbo), spiritoso, acrobatico, sornione e coinvolgente tanto nella dialettica signorile, come nelle battute sotto la cintura.

Fin dall'inizio, la regia ha previsto un antefatto di musica e danza, a questo proposito, e' doveroso definire sempre magnifica la scelta di esecuzione dal vivo di temi musicali d'epoca, cantati ed interpretati dal vivo; bellissime le coreografie danzate con grande divertita capacita', dagli attori. Lo spettacolo si e' iniziato con grande puntualita', ha luci perfette, elementi scenici agili e riprende un poco la struttura generale dello storico teatro londinese.

Una regia stringata ed efficace, quella di Jonathan Munby, che contiene in tre ore, compreso il breve intervallo, i cinque atti quasi integralmente. I vari piani narrativi dell'opera, i diversi stili teatrali abilmente giustapposti, che lo compongono, sono attentamente diversificati stilisticamente nell'unità dell'insieme.

Una compagnia affiatatissima, compresa intorno alla punta di diamante della guest star: Johathan Pryce, uno Shylock umanissimo e quasi simpatico, ma non troppo, nella sua addolorata ferocia, uomo incattivito dall'ambiente spietato in cui vive.

Tutti sono inumani qui, a cominciare da Antonio (Dominic Mafham, intenso, fragile e violento), mercante, si comprende, senza scrupoli, salvo il cedimento amoroso per Bassanio, farfallone, charmeur, marchettone come pochi(il convincente Dan Fredenburgh), per il quale e' pronto a sacrificare la vita, e si salva per un pelo, anzi, per una goccia, come sappiamo.

Tutti perfettamente in parte, anche i comprimari ed i doppi ruoli, come Ignatius Anthony ( Doge/Tubal), e soprattutto quelli che si sdoppiano, come nel caso di Portia, Rachel Pickup, ineccepibile padrona di casa mondana ed elegantissima (con abiti stupendi come tutte le signore in scena, praticamente un'unico modello in colori e fantasie variate, ma tutti i costumi sono molto belli), trepida fanciulla durante le tripla scena dei tre scrigni, come nelle favole, con la magica sacralite' del numero tre triplicato e portafortuna.

Grazie alle caratterizzazioni di razza ( Giles Terrera, Prince of Morocco; Christopher Logan, Prince of Arragon)  ed allo scioglimento felice della prova, fino poi al travestimento del giovane avvocato reso con un efficace cambio di voce attento e mai eccessivo, per poi tornare signora della commedia nello scioglimento del legale/amoroso inganno. Le sfaccettature del testo sono messe in rilievo con leggerezza, o forza, a seconda delle situazioni. Si racconta l'addolorato commiato fra Bassanio ed Antonio che si volta per non mostrare le lacrime, e questo lo vediamo dietro un velario.

C'è molta diversita' in questo testo e molta sofferenza dichiarata di certi personaggi. Shylock e' solo e vessato, aggredito e battuto, malmenato e gettato a terra, Antonio e' solo e solo rimarra' quando le tre coppie saranno formate ed ufficializzate: Portia e Bassanio, Gratiano (Jolyon Coy) e Nerissa (Dorothea Myers Bennett, divertente e divertita), Lorenzo ( Andy Apollo, appassionato ed elegante), e Jessica.

Antonio e' solo con il suo amore che non osa dire il suo nome. Ma anche Jessica, ebrea convertita e' sola e diversa, e questo si vede quando prova ad adattarsi agli usi mondani, cerca di danzare, con difficolta', non osa, esita, sempre (bravissima e credibile Phoebe Pryce) ed alla fine intonera' un dolentissimo canto, mentre dal fondo si avanzera' in costumi bianchi abbacinanti, il corteo della conversione e della violenza del battesimo cui Shylock e', fra le altre cose, stato condannato. Chiusa forte e dolorosissima della sconfitta dell'outsider. Un lungo applauso ha salutato la prova di tutti, lungo, ma non lunghissimo, siccome novanta minuti dopo un'altra recita aspettava la troupe!

emilio campanella

 Il 29 Ottobre, a Treviso, verranno aperte al pubblico, quattro nuove mostre d'arte, fra Palazzo Giacomelli ed il Museo di S.Caterina. La prima in ordine d'importanza, se vogliamo, a causa del tema ch'e' uno dei privilegiati da Marco Goldin, curatore ed anima delle iniziative portate avanti con Linea D'ombra, organizzazione e casa editrice del catalogo, e' quella "impressionista".

Il progetto ha avuto una gestazione, pare di un anno e mezzo, ed in effetti, gia' diversi mesi or sono, se ne parlo', poi venne ritardata la realizzazione di queste che ora si chiamano: Storie dell'Impressionismo, i grandi protagonisti da Monet a Renoir, da Van Gogh a Gauguin, che il pubblico potra' visitare sino al 17 Aprile 2017.

Sede privilegiata, questo bel museo, pur se a detrimento della collezione permanente, cacciata per liberare le molte sale e far posto a questa faraonica mostra temporanea che consta di circa centoquaranta opere. Divisa in sezioni tematiche, soffre un po' di didatticismo, un po' di didascalismo, per quanto sia ben esposta, in sale intime molto ben illuminate, temo, un po' piccole, per le folle che tutti sperano di dover fronteggiare nei prossimi mesi.

Un altro appunto e' al sottotitolo che mette insieme nomi che ben poco hanno a che fare, l'uno con l'altro, a parte essere coevi, e che rischia di continuare l'equivoco della definizione di impressionisti, come movimento, e mettendo in quel calderone anche chi non vi ebbe mai a che fare direttamente, a parte conoscerne gli esponenti, chiamiamoli così...si sa che esistevano molti contrasti e che molti artisti lavoravano contemporaneamente in direzioni stilistiche molto differenti.

Questo cerca di mostrare l'intendimento sotterraneo, ma non troppo, del curatore, affiancando opere ed artisti molto diversi per maniera e modo d'intendere la pittura. Giusta e puntuale la scelta di esporre un buon numero di stampe giapponesi cosÏ importanti per l'influenza che ebbero sugli artisti di cui ci stiamo occupando.

Suggestiva la sala delle onde che mette insieme Hokusai, Courbet, due fotografie di Gustave Le Gray ed Hiroshige. Giusto per fare il gioco dei numeri, le stampe giapponesi esposte sono trentasette, quattordici  solo dal Museo d'Arte Orientale "Edoardo Chiossone" di Genova, le altre provengono da collezione privata bolognese e dalla collezione Unicredit di Milano, in comodato al Museo d'Arte Orientale di Torino.

Da una sala all'altra si entra a si esce dalle antiche celle del convento, e nella manica lunga s'incontrano meraviglie che vanno da Cima da Conegliano, a Tiziano, da Lorenzo Lotto a Jacopo Bassano, da Pozzoserrato a Rosalba Carriera, solo per citare a caso, e questo in alternanza con i piu' noti esponenti della pittura francese dal 1804 al 1918.

Si sale, si scende, fughe di scale e di ringhiere semplici e suggestive che ricordano quasi una visione di Piranesi stilizzata...si scende ancora, si continua, si scende ulteriormente, e ci si trova in un'altra, debbo dire, suggestivissima mostra, concepita con grande acume ed intelligenza...il problema e' che si hanno grandi emozioni alle spalle, ed il fuoco di fila di artisti scelti, come rappresentativi di ogni anno, dal 1946, con Bruno Cassinari, al 2000 con Guccione, non lascia tregua. Da Guttuso, a Vedova a Schifano. Il filo della pittura in Italia nel secondo Novecento, il titolo.

Forse sarebbe consigliabile una pausa, anche perche' non e' finita, ed un giro alla bella sezione archeologica e' molto consigliabile. Siccome e' bene rifare una visita riassuntiva puo' essere l'occasione per entrare con attenzione in una sala a parte in cui s'incontrano tre tele antiche provenienti dalla Scottish National Gallery di Edimburgo, e scelte come regalo per il ventennale citato, da 'donare' al pubblico e perche' legate, come si sa, a pittori francesi esposti accanto. Si tratta di: Venere che sorge dal mare del 1520, circa, di Tiziano, Una donna nel letto di Rembrandt van Rijn, 1647, e soprattutto il Banchetto di Erode, di Pieter Paul Rubens, 1635-38 c.a.

Grande tela dall'impianto teatralmente straordinario, affollata di personaggi, e dai molti episodi drammatici che si svolgono contemporaneamente davanti ai nostri occhi. Prima di spostarci a Palazzo Giacomelli, ricordo la sala con tre opere nuovissime di Matteo Massagrande, il primo degli artisti, a confrontarsi con i Sillabari di Goffredo Parise, nel trentennale dalla scomparsa dello scrittore.La manifestazione s'intitola: Massagrande legge Parise. Da un chiostro all'altro, consiglio di arrivare alla chiesa, ai suoi magnifici frammenti di affresco, ed a quelli staccati di Tommaso Da Modena, provenienti dalla chiesa di S.Margherita degli Eremitani.

Al poco lontano Palazzo Giacomelli, sede di Unindustria Treviso: De Pictura, a vent'anni dalla mostra: Pittura come Pittura a Palazzo Sarcinelli di Conegliano, sempre curata da Marco Goldin. Sono esposte opere di: Claudio Olivieri, Claudio Verna, Marco Raciti, Piero Ruggeri, Pierluigi Lavagnino, Aldo Forgioli, Ruggero Savinio, Franco Sarnari, Alberto Gianquinto, Piero Guccione, Piero Vignozzi, Gianfranco Ferroni, Vincenzo NuccL, per quest'ultimo, un omaggio ad un anno dalla scomparsa. Se i cataloghi di Storie dell'Impressionismo e Da Guttuso a Vedova A Schifano sono pubblicati da Linea d'Ombra, quello di De Pictura è stato edito a cura di Unindustria Treviso.

emilio campanella