ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

SETTEMBRE 2010


67a MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA: PRIMO FILM - LA BELLE ENDORMIE - LA PECORA NERA - MIRAL - LA PASSIONE - POTICHE - OVSYANKI - HAI PAURA DEL BUIO - ESSENTIAL KILLING - POST MORTEM - NOI CREDEVAMO - VENUS NOIRE - ET IN TERRA PAX - COGUNLUK - SEI VENEZIA - TEMPEST - PREMIAZIONE, DUE RIGHE DI COMMENTO * UNA MANCIATA DI MOSTRE  * RINASCIMENTO TRA VENETO E FRIULI 1450-1550


Anche quest'anno siamo arrivati nell'imminenza dell'inaugurazione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, la 67sima, con i lavori ancora MOLTO in corso, con la congenita, imperante disorganizzazione, con le scorrettezze e le sgarberie abituali, peggiorate ed aumentate, mentre il cantiere del nuovo Palazzo del Cinema e' fermo a causa del ritrovamento, nel gran buco, di pannelli d'amianto, smontati dai tetti delle cabine delle spiagge eleganti, ed occultati anni or sono!
Un bell'inizio, non c'e' che dire, ma insomma siamo qui per seguire la mostra, ed eroicamente, nella punitiva Sala Volpi, qualche ora fa, abbiamo visto un bel film cileno che ha aperto le GIORNATE DEGLI AUTORI: LA VIDA DE LOS PECES di Mathias Bize, della durata ideale di 84 minuti.
Ben costruito drammaturgicamente, aristotelicamene in unita' di tempo, di luogo e di azione, si svolge interamente all'interno di un appartamento durante la festa di compleanno di uno degli amici del protagonista, rientrato dopo dieci anni di permanenza a Berlino, ed in procinto di ritornarvi.
Piano piano ci accorgiamo ch' e' un uomo in fuga da se stesso, ed ogni incontro con persone del suo passato ormai lontano,mette in risalto quanto gli siano ormai molto lontane: gli dimostrano affetto, hanno ricordi, anche molto dolorosi, in comune hanno continuato la loro vita, hanno operato delle scelte.
Lui e' sempre in procinto di andarsene, saluta tutti, ad ogni incontro, ma esita, un po' sfugge, un po' cerca il confronto con una antica innamorata, sino ad una lunga spiegazione che sviscera, forse, i motivi della rottura-non rottura.
Rigoroso, con un buon ritmo ed un'ottima scrittura, questo piccolo film e' anche molto ben interpretato e diretto.

emilio campanella

Primo giorno ufficiale della 67sima Biennale Cinema a Venezia, questa volta nella Sala Darsena, ex Arena, Ex Palagalileo, ex non so cos'altro, ma luogo confortevolmente grande, dove ognuno ha il suo posto preferenziale, perfetto per farsi raccontare la favola della sera.
Quella proposta da Catherine Breillat, per la sezione ORIZZONTI, La belle endormie, e' particolarmente nota.
Il lavoro della regista che cura attentamente le varie ambientazioni, prende le mosse da qualche variazione, seppur minima, determinante per gli effetti sulla vicenda; infatti Carabosse punisce le tre giovani fate giunte in ritardo con il mortifero dono alla neonata, che verra' parzialmente vanificato dalle altre con il sonno di un secolo, come si sa, ma anticipandolo ai sei, anziche' ai sedici anni, per superare la noia dell'infanzia.
In piu' ci saranno delle escursioni onirico-esistenziali a giustificare e costruire un percorso di esperienze ed iniziazioni.
Lodevole l'assunto, modesto il risultato di una mancata scelta stilistico-ispirativa coerente, poiche' se molte sono le suggestioni e gli stimoli, anche l'incertezza fra visione onirica e realismo non proprio magico porta ad un insieme non chiaramente definibile di suggestioni ed artifici volti verso una lettura, a tratti esistenziale.

emilio campanella

Giovedi 2 Settembre, VENEZIA 67, primo film italiano in concorso: LA PECORA NERA di Ascanio Celestini, opera prima cinematografica di un uomo di teatro dei piu' umani della scena italiana.
Un pugno nello stomaco tremendo, un film che ti lascia senza fiato, che ti provoca un dolore sordo di quelli che non ti permettono neppure di piangere!
Non e' per nulla un film violento, e' pudico, sommesso e dolente, pure nei momenti piu' vivaci, anche grazie all'espressione malinconica, la voce dolcemente cantilenante dell'attore regista che ci racconta la storia terribile di un ragazzino internato perche' va male a scuola, perche' e' sognatore, perche' capisce che i fratellastri hanno ammazzato una donna, perche' il padre trucido non vede l'ora di liberarsene, tanto e' come la madre gia' internata e lobotomizzata.
Solo la nonna (la strepitosa Barbara Valmorin) ha pazienza con lui. Quando due ex compagni di scuola lo vanno a trovare, avendo fatto tardi e per scavalcare il cancello, uno di questi rimarra' atrocemente infilzato (s'intuisce soltanto, il racconto come ho detto e' molto misurato), ne fara' lui le spese con il primo elettroschock!
Ha trascorso tutta la sua vita in quel luogo, come alcuni attori del coro dei ricoverati; insieme ad un compagno di sventure (Giorgio Tirabassi) vive e sopravvive, va a fare la spesa con la suora vice-madre di una vita (Luisa De Santis, bravissima anche lei!) e nell'altro luogo di concentrata alienazione, il supermercato, reincontra la fidanzatina dell'infanzia (Maya Sansa, intensa anche piu' del solito) che fa la dimostratrice. Questa solo una traccia di storia percorsa da sottotesti, fremiti poetici, cantilene, coazioni a ripetere, ossessioni, ritorni di temi e frasi, quasi in una narrazione picaresca della follia, ma quella di tutti, chi e' chiuso dentro e chi e' chiuso fuori. Straordinaria la fotografia di Daniele Cipri'.

emilio campanella

MIRAL di Julian Schnabel in concorso per VENEZIA 67, Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Abitualmente non scrivo di cose che non amo, quest'anno, forse e' diverso, e se in altre occasioni non avrei speso una riga per un film come questo, che rappresenta, per me, il modo peggiore per affrontare la tragedia dei rapporti israelo-palestinesi, forse, nel caso specifico gioca il mio coivolgimento emotivo viscerale nei confronti di un paese che potrebbe essere il paradiso, e che e', invece un inferno!
La conoscenza che ne ho e' minima, per quanto di prima mano, mi sono solo affacciato due o tre volte, e ne ho ricavato delle impressioni, anche agli amici e colleghi che mi hanno ospitato.
Due cose non dimentichero' mai: il Muro Est (Muro del Pianto) all'alba e le pietre della Citta' Vecchia che man mano diventano rosa al sorgere del sole ed il posto di blocco di Betlemme (anche qui c'e' un muro, tremendo!).
Certo i luoghi li ho ritrovati, ma non volevo certo un film turistico, cosa che peraltro non e', ma sarebbe stato meglio un documentario, piuttosto che un racconto infarcito di mélo, buoni sentimenti lotte giuste fatte in modo sbagliato, il tutto buttato in una ciotola ed agitato ad effetto, no grazie!
Sono vicende troppo importanti per ridurle in questo modo, nonostante alcune scene di massa efficaci, un buon equilibrio con immagini di repertorio,e dei buoni attori, no, non basta proprio, anche se, forse il testo da cui e' tratto puo' avere un valore che non gli conosco, ed essendo della giornalista Rula Jebreal, compagna del regista, l'impressione e' quella di un'operazione furba fatta in famiglia!


emilio campanella


Venezia 67, LA PASSIONE di Carlo Mazzacurati, in concorso. Silvio Orlando e' un regista cinematografico la cui vena sembra essersi inaridita, tanto che da cinque anni non fa film; tempestato di telefonate dal produttore, si trova ad annullare un appuntamento proprio con lui poiche' costretto a correre in Toscana dove ha una casa (che affitta a turisti), e nella quale ci sono grossi guai, in effetti, all'arrivo trova la porta sfondata, muri picconati, tubi disastrosi e fatiscenti a vista, ed il contatore sigillato.
Gli viene imputata, pare a ragione, l'incuria di non aver messo a norma gli impianti, e come non bastasse il danno ad affreschi cinquecenteschi! L'incontro con il sindaco (la sempre impagabile Stefania Sandrelli), lo vedra' costretto da un ricatto morbido, ma non troppo, ad accettare la regia di una sacra rappresentazione, pena la partenza di una raccomandata alla Soprintendenza locale.
Come dire, i guai non vengono mai soli, per cui cerca febbrilmente un sostituto, ma tutti sono impegnati, e questa e' una prima notazione sulla crudelta' del mondo del cinema.
Le telefonate del produttore continuano e lui cerca disperatamente d'imbastire un soggetto decente per un'attricetta da soap opera in gran voga; sono esilaranti questi futuri anteriori di film inesistenti con la protagonista che ad un certo punto protesta trovando qualche cosa che non le piace.
Intanto il tempo passa, e gia' quattro giorni sono pochi.
Il casuale incontro con un ex allievo (Battiston, sempre piu' bravo, gia' divertente nello spettacolo di strada, ed umano povero cristo) lo fa decidere scegliendolo come collaboratore.
Ci sono molti spunti divertenti, certo, non da sganasciarsi come fa certa gente, non so se sia una qualita' veneziana o di tutti i festival, non sono ancora riuscito a capirlo. Il film e' molto ricco di spunti e di omaggi attenti e consapevoli, da Fellini, ad esempio nel personaggio dell'affittacamere, un po' tabacchina, un po' vaporiera, ma in versione meno giunonica, che si riscatta nel finale come soprano solista durante la cantata.
Ovviamente si pensa al Pasolini, tanto della Passione che della Ricotta.
E' un film sul cinema, ma non solo, con un poco di film nel film, ma non troppo. Direi che Mazzacurati ha intrapreso una strada molto accidentata, ma e' riuscito ad evitare ogni ostacolo, ogni buca di cui e' costellata, riuscendo anche abilmente a fare un film in costume, risultato non da poco. Cito ancora Corrado Guzzanti in una caratterizzazione azzeccatissima, e Franco Graziosi, oltre ai molti altri di un cast d'alto livello. Silvio Orlando. credibile, sconfitto, amaro e che pure tanto ama la sua professione, degnissimamente affiancato da Giuseppe Battiston, perfetto deuteragonista.      
Qualche mese fa, a Padova, la Galleria Cavour, ha ospitato la mostra CARLO MAZZACURATI nelle immagini di Lucia Baldini e Giovanni Umicini (11 Aprile-22 Maggio) a cura di Enrico Gusella, così come il bel catalogo ricco di testi e che riproduce immagini dei set di alcuni film del regista, fra cui quello di cui ho appena scritto.


emilio campanella

Venezia 67: POTICHE di Daniel Ozon. Il trionfo della commedia borghese, spumeggiante, caustica, e con eleganti risvolti da pochade, un gioco rutilante di situazioni apparentemente irreprensibili, e man mano sempre meno, ambientate nel 1977 dove Fabrice Luchini, industriale degli ombrelli tiranneggia gli operai della sua fabbrica e la famiglia.
Uno sciopero fara' precipitare la situazione, ed un infarto portera' la moglie, la divertita e divertentissima Catherine Deneuve alla direzione dell'azienda, gia' del padre.
Un seguito di battute brillanti e pungenti portera' a rivelazioni talvolta inaspettate, talaltra meno.
L'abilita' del regista sta nel condurre un testo teatrale con mano sicura, e senza contraccolpi, così da calibrarne al meglio gli effetti. Simpaticamente sornione, Gérard Depardieu completa questo trio, divertito e divertente anche lui. L'ascendenza si puo' ben ritrovare nella commedia sofisticata americana, ma con un testo sottilmente francese.
Molto divertimento, molte risate, motivate, questa volta, ed ul lungo, convinto applauso alla fine.


emilio campanella







OVSYANKI di Aleksei Fedorchenko. Passato ieri e recuperato oggi nel primissimo pomeriggio, nel punitivo PalaBiennale, accolto da un buon applauso, racconta in settantacinque minuti, un viaggio rituale, compiuto da un uomo che ha perduto la giovane, amatissima moglie, accompagnato da un dipendente che, forse, anche lui amava questa donna morta prematuramente e misteriosamente.
Lavano il corpo amato, compiono riti come d'imeneo, l'avvolgono in una coperta, ed in un'automobile, la portano su un grande fiume teatro della luna di miele, innalzano una pira e compiono il rito di purificazione.
Le ceneri verranno versate nell'acqua.
I ricordi riportano il deuteragonista al padre poeta, alla madre morta di parto, e sepolta nello stesso modo insieme alla bimba deceduta con lei, ma anche alla macchina da scrivere affondata dallo stesso padre nel fiume ghiacciato, anche lui, peraltro morto dolorosamente, ed affidato alla corrente che tutto avvolge come una grande madre.
Paesaggi straordinari, fotografati con molta intensa interiore sensibilita', molte parole per questo film ben scritto, umanissimo, e non triste come si potrebbe pensare.
Due  pennuti appena acquistati e che non potevano essere abbandonati, saranno testimoni del viaggio senza ritorno.                                                                                                           

Settimana della critica: HAI PAURA DEL BUIO di Massimo Coppola. Opera prima di tutto rispetto, e per il rigore formale (prologo e sottofinale in rumeno) di un giovane regista proveniente da esperienze con MTV, riconoscibili dalle scelte musicali a volte ingombranti.
Ci sono diverse indiduabili paternita' ed un eccessivo uso della macchina a mano, ma la scelta tematica e' importante e svolta con sensibile mano, tanto per gli interessanti parallelismi fra le due giovani donne, la rumena e l'italiana, il tema della famiglia ed i suoi disastri, l'estrema vecchiaia ed i suoi problemi.
Forse qualche spunto di troppo, ma un lavoro che ha meritato l'affettuoso applauso tributatogli.                        

emilio campanella


Venezia 67. ESSENTIAL KILLING di Jerzy Skolimowski.
Un abile prodotto, dall'ottimo ritmo, che presumibilmente andra' bene nelle sale.
Le storie di uomini braccati in solitario piacciono sempre molto! Il film ha dalla sua l'ottimo mestiere di un regista di notevole esperienza, una colonna sonora efficace, anche se talvolta ingombrante e dei paesaggi straordinari, il film e' quasi totalmente in esterni.
La vicenda s'inizia in Afghanistan in un paesaggio desertico visto dall'elicottero, uno dei protagonisti della pellicola, tanto che molto spesso ho pensato al vecchio CACCIA SADICA di Losey.
Due uomini americani accompagnati da un militare stanno percorrendo il luoghi, per affari segreti, pare, guidati da un militare e seguiti da un elicottero, appunto, ad un certo punto un talebano (?) finisce sul loro percorso, e per difendersi fa le prime tre vittime.
Inseguito, ferito e catturato finira' in una spirale di orrori, torture, trasferimenti in volo, sino ad un incidente stradale in un luogo del grande nord...si ritrovera' libero e fara' l'impossibile per restarlo e sopravvivere a tutti i costi, lasciando una scia di sangue.
Cio' che non mi ha convinto e' il modo di usare un tema di attualita' per fare spettacolo, e peraltro, molto bene, tengo a ribadirlo. I paesaggi sono straordinari, la fotografia coglie sempre nel segno, il respiro della natura e' profondo, il protagonista, Vincent Gallo, credibile, anche se non si tratta di un ruolo di grande difficolta'.
Non ci e' simpatico perche' e' un assassino, per quanto per necessita', ed anche perche' il cattolico Skolimowski ce lo descrive attraverso abili flashbacks e proiezioni, come uno proprio indottrinato e, presumibilmente convinto. Al di la' di cio', dal punto di vista dell'intrattenimento, si tratta di buon cinema.                                                                                         

POST MORTEM di Pablo Larrain. Un'altra operazione a freddo, dopo Tony Manero, un'altro personaggio ambiguo e disturbatissimo che cerca di rimuovere il golpe, sino al momento in cui, lavorando alla morgue di un ospedale di Santiago, proprio non puo' far finta di nulla,soprattutto quando si tratta dell'autopsia di Salvador Allende!
I colleghi ed i superiori crollano, lui no, lui e' innamorato della sua Nancy, una vicina suubrette di quart'ordine al BIM BAM BUM.
Divertenti questi nomi degli anni '70 qui siamo nel '73, mentre in POTICHE di Ozon eravamo nel '77 ed il locale frequentato da Mr. Pujol, si chiamava BADABUM!
Ritorniamo, pero' alle nostre cupezze cilene, un po' di maniera, questa volta direi, perche' il gioco funzionava, e meglio, nel film precedente, mentre qui tutta questa freddezza risulta un po' telefonata, non completamente convincente, di maniera.
Tutto e' ben fatto, i luoghi sono squallidi, i personaggi disgustosamente reali, gli attori molto bravi, e questo e' un merito, ma tutto un po' troppo perfetto, entomologico e distante.

emilio campanella

VENEZIA 67  NOI CREDEVAMO di Mario Martone.  Confesso che qualche giorno fa, rendendomi conto della durata, ed ancora questa mattina, prima dell'inizio della proiezione ero un poco spaventato, e non ero il solo, poi mi sono lasciato andare alla fluvialita' del racconto, e la prima volta che ho guardato l'orologio erano passati sessanta minuti dei duecentoquattro complessivi, quindi buon segno!
Il lungo racconto, in parte tratto dal romanzo omonimo di Anna Banti, si dipana dal 1828 per arrivare agli anni settanta del medesimo secolo ed accompagna sogni, aspirazioni, aneliti di liberta' attraverso tre personaggi immaginari, riferentisi, pero' a persone vissute ed avvenimenti reali.
Il film e' condotto con un ritmo sempre controllato e con alternanze di episodi, particolarmente efficaci; c'e' un ovvio andamento operistico, e molto teatro, pero' motivatamente contestualizzato, od anche suggerito dalle scelte scenografiche, ma sempre subordinato al ritmo cinematografico.
Una colonna sonora attenta che comprende brani strumentali di Verdi: Don Carlo e Macbeth, Rossini e Bellini, eseguiti dall'Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, diretta da Roberto Abbado.
Fondamentale e' il continuo riferimento alla pittura dell'epoca, da Silvestro Lega, i Fratelli Induno, testimoni diretti delle battaglie del Risorgimento, a Giovanni Fattori, ovviamente.
Ma senza insistenze didascaliche, o bellurie fine a se stesse, e' piuttosto un lavoro sull'inquadratura, sulla luce grazie alla fotografia di Renato Berta.
E' la storia di un grande sogno, di un grande fallimento a monte dei nostri disastri attuali. C'e' chi ha passato parte della propria esistenza in galera per un'idea, chi ha dato la vita, ci sono stragi, rovina, distruzione, errori madornali, e tutto cio' ci parla di noi, da dove veniamo e cosa siamo ora, infatti lo sguardo e' talvolta veramente trasparente, e si legge in controluce che veramente e' di noi oggi che si parla, con il filtro storico.
Ribadisco come la costruzione di ascendenza letteraria amalgamata a quella del melodramma, funzioni benissimo, l'episodio teatrale parigino della rappresentazione di Le roi s'amuse di Victor Hugo ( che in Verdi diventera' Rigoletto) e' magnifico, come notevolissima e' la scena dell'attentato a Napoleone III:  e' un vero grand opéra e l'occhio di Martone, e' come sempre sulle vittime innocenti.
Notevolissimi Luigi Lo Cascio e Valerio Binasco, cosi' come Francesca Inaudi, volitiva Cristina di Belgiojoso, ancora Andrea Renzi, Sigismondo di Castromediano; Renato Carpentieri, Carlo Poerio; Toni Servillo come Giuseppe Mazzini, ancora Luca Barbareschi, Luca Zingaretti (Crispi), Alfonso Santagata, Vincenzo Pirrotta, Anna Buonaiuto, fra gli altri.

emilio campanella

VENEZIA 67  VENUS NOIRE di Abdellatif Kechiche. E' arrivato il leone? Chissa', sicuramente ha buoni numeri, considerando poi che due anni or sono il bellissimo CUS CUS ha avuto piu' o meno un premio di consolazione.
Ma anche una Coppa Volpi alla protagonista sarebbe piu' che meritata!
Perche'? Eccone le ragioni. Si tratta di un film rigorosissimo, dalla ricostruzione primo-ottocentesca impeccabile, che in centosessanta minuti dal ritmo controllatissimo racconta la vicenda umana dolorosissima della cosiddetta Venere Ottentotta, una venticinquenne sudafricana di quella etnia portata in Europa da un olandese di cui aveva allattato i figli e per cui aveva fatto la cameriera.
La narrazione e' divisa, com'e' nello stile del regista, in ampie scene articolate.
S'inizia con una lezione al Musée de L'homme di Parigi, e viene mostrato il calco in gesso della donna, cosi' come parti in formalina, del suo corpo, intanto la macchina scruta i volti degli uditori seguendo un suo percorso critico sulla frenologia, quasi a contraddire motivatamente le affermazioni dello scienziato.
Tutto e' gia' accaduto, l'inferno europeo di Saartjie si e' compiuto.
A Londra viene mostrata come un fenomeno da baraccone dal suo antico negriero (Andre Jacobs) che la sfrutta per il suo aspetto esotico, il malessere della ragazza e' evidente, costretta com'e' a comportarsi come un animale ammaestrato, si rifugia nell'alcool ed e' sempre piu' depressa, l'atmosfera dickensiana e' di una cupezza che toglie il respiro.
E' sempre come una bestia alla fiera, anche nel tribunale dove viene trascinato il suo padrone per una denuncia, che non avra' seguito. Poi finira' nelle mani di un francese ancora piu' crudele e bieco (Olivier Gourmet); nel frattempo ci sara' l'invito, da parte degli studiosi del Musée de l'Homme per studiarla e scoprire se avendo determinate particolarita' genitali, sia veramente ottentotta.
Viene studiata come un pezzo di carne, misurata, girata, rigirata, valutata, sino alla fuga della ragazza di fronte al tentativo di violare la sua piu' segreta intimita'.
In Francia un altro baraccone, presumibilmente sul Boulevard du Crime,ed uno spettacolo ancora piu' ributtante che a Londra, sino ad una festa privata in un ambiente come quello di Violetta Valéry e Flora Benois, dove, per la seconda volta Saartjie dimostra la sua grande sensibilita' musicale, ma poi nell'orgia sara' lei a fare le spese della violenta curiosita' dei parigini. Di seguito finira' in un bordello e dopo la diagnosi della lue, il marciapiede e la morte nel piu' totale abbandono.
A fine proiezione un applauso commosso. ed un secondo durante i titoli di coda durante i quali immagini di repertorio mostrano la proposta di legge del 29 Gennaio 2002 per il ritorno dei resti di Saartjie Baartman nel suo paese, ed i suoi funerali, il 9 Agosto dello stesso anno, un po' in riparazione della risata sguaiata, udita in sala, che accompagnava l'incedere dell'attrice, di fronte al suo pubblico, nel baraccone.
Imbarazzo, scherno, eccitazione per il corpo opulento, giunonico della bellissima Yashima Torrés, indimenticabile per i suoi sguardi, le sue rare parole, la sofferenza interiore profonda con cui si immedesima nel suo personaggio.
Il film e' durissimo, anche per la sua estrema serieta', non ci sono colpi di scena, scene madri, a parte rari momenti, ma tensione drammatica, molta, partecipazione tantissima, come la scena dell'arrivo di Saartjie cadavere al museo che paga per farla a pezzi studiarla come una farfalla trafitta, farne un calco da archiviare fra i mostri della natura!

emilio campanella

VENEZIA 67, Le Giornate degli Autori; ET IN TERRA PAX di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini.
Un' opera prima lodatissima e recensita con definizioni sperticate, che hanno fatto si che lo recuperassi il giorno seguente.
Che dire?
Lodevoli gli intenti, un poco meno i risultati complessivi, siccome si puntava stilisticamente un po' troppo in alto.
Si' certo Vivaldi, Alessandro Marcello, belle musiche colte, qualcunaltro occupandosi di borgatari usava Bach!
Altri tempi, altro cinema, altri attori, soprattutto, per quanto qualcuno sia volenteroso, ma non di piu', ed il senso di giornate vuote,  di noia di fiacca di questi vitellini feroci ci parla di ben altro, anche se il risultato complessivo non e' male, il montaggio funziona, c'e' qualche bel movimento di macchina.




Dai ragazzotti romani a quelli di Istambul nel bel film di Seren Yuce; COGUNLUK (Maggior eta'), sempre nella stessa rassegna. E' un ritratto di famiglia in un interno.
Un padre imprenditore, autoritario e fascista, una madre incompresa, oppressa,stanca ed un poco alcolizzata, un figlio che cerca di crescere, e di comunicare il suo disagio in un'atmosfera asfittica. E' un tardo adolescente che non si lascia emancipare e che morde il freno; conosce una ragazza definita zingara, e si lascia plagiare dal padre che gl'impone di lasciarla a causa della sua etnia.
Ci saranno altri guai, piccoli, perche' lui e' un bravo ragazzo e soffre ma non riesce a ribellarsi,,,di quelli che se non si sta attenti combinano l'irreparabile contro se stessi. Verra' mandato in quarantena in un cantiere lontano e comincera' a farsi rispettare, al ritorno per un week-end, trovera' i genitori in migliore armonia; quando i figli si allontanano, i genitori si ritrovano, molto spesso; lui stesso sta cambiando, speriamo che non diventi come o peggio del padre.
Gli attori sono bravissimi e sono stati a lungo, meritatamente applauditi a fine proiezione, insieme con il regista e parte dello staff tecnico.

emilio campanella

VENEZIA 67, fuori concorso, SEI VENEZIA di Carlo Mazzacurati. Un documentario attento e partecipe della vita della citta', da un uomo di terraferma, per quanto vicino, ed attraverso i ritratti autoritratti di sei persone che vivono la citta'.
Fotografato splendidamente da Luca Bigazzi, Montato da Paolo Cottignola, con la colonna sonora lussuosa di Eleni Karaindrou che ha scritto una partitura interessantissima e varia, a seconda dei luoghi, delle persone, delle suggestioni.
Ascoltiamo le parole di Giovanni Galeazzi che, pensionato, collabora con l'Archivio di Stato dei Frari, grazie al quale, ed ovviamente, gli studiosi che lo dirigono, e' venuto a conoscenza di storie straordinarie sul passato della citta', intanto ci racconta la sua vita ed il suo rapporto di abitante di Mestre, con la citta' lagunare.
Poi e' la volta di Roberta Zanchin, cameriera ai piani all' Hotel Danieli, che ci parla dei divi del cinema e del piacere di lavorare in mezzo al lusso. Ernesto Canal racconta la sua antica passione per l'archeologia, i suoi ritrovamenti fra isole e canali, le sue intuizioni, tante cose ormai assodate sulla vicenda antichissima dei primi abitatori della laguna, dei paleoveneti, dei romani, presenti sempre durante tutta la loro storia, cio' che ora e' assodato, ma che alcuni decenni or sono sembrava un cumulo di teorie fantasiose!
Ernesto Canal pescatore e pittore da Torcello, trapiantato a Burano, del suo rapporto con il colore, le forme, l'astrazione, detto con parole semplici, che chiunque potrebbe comprendere, un grande amore per l'arte , la vita, la natura. Ramiro Ambrosi, si presenta con semplicita' come ladro,e con la sua faccia vera e sofferta sviscera i motivi delle sue scelte, un po' obbligate, di gioventu', la sua vicenda umana, una moglie amatissima che ha perduto, una vita attuale di casalingo coatto, data la disoccupazione, l'occuparsi della casa e della famiglia.
Da ultimo, Massimo Comin, un simpatico e vivace adolescente che fa un colorato ritratto della famiglia, dell' isola in cui vive, Sacca Fisola, accanto alla Giudecca, delle sue aspirazioni, del piacere di lavorare nel ristorante dei genitori.
Merito del regista, aver evitato le turisterie, come il carnevale, per fortuna, appena intravisto, il Redentore, colto con sguardo dall'interno, l'acqua alta in tutte le sue contraddizioni

emilio campanella

        
VENEZIA 67 Film di chiusura: TEMPEST di Julie Taymor.
Non e' il caso di dire che si tratta di un lavoro accuratissimo costruito su intuizioni estetiche e scelte paesaggistiche di grandissima suggestione.
Girato nei luoghi selvaggi e vulcanici delle isole Hawaii. L'incipit della pellicola e' straordinario: un castello grigio dalle alte torri e le cuspidi acure si disfa sotto la pioggia, ed il mucchietto di sabbia e' sostenuto dalla mano di Miranda (Felicity Jones), rivelata dalla carrellata indietro.
Prospero, che qui e' donna, Prospera dunque, maga perseguitata  ha il volto serio, l'espressione autoritaria, ma anche trepida per amore della figlia, di Helen Mirren, attrice poliedrica completamente a suo agio con la lingua de bardo ed anche in mezzo alla furia degli elementi provocata dalle sue magie e da  elegantissimi effetti speciali di cui fa parte l'Ariele aereo-acqueo, interpretato con eterea sfuggente sinuosa proprieta' da Ben Whishaw, di contro al Calibano corrusco terragno plantigrado del pericoloso Djimon Hounsou.
Praticamente tutto e' in esterni, spiagge, baie, mare tempestoso o calmo, ai comandi della maga, rossi deserti, rocce, caverne, foreste, in cui vengono ambientati i vari episodi della commedia, ed in cui i prodigi risaltano particolarmente, contrastando con una natura antichissima.
Il luogo di Prospera e' una caverna con una costruzione costituita da un angolo di mura con scale convergenti che portano ad un balcone puntuto che si immagina altissimo, creato probabilmente dagli stessi suoi prodigi.
Ripenso ai tanti Prosperi della mia carriera di spettatore cinematografico e teatrale, e trovo che Helen Mirren possa stare tranquillamente accanto a loro, aggiungendo una qualita' femminile importante ad un personaggio che sfida il tempo e lo spazio, e che rinuncera' al suo potere per amore della figlia, che perdonera' i suoi persecutori, tornera' a Milano nella durezza delle convenzioni sociali: questo significa il busto dell'abito di corte stretto da Ariel prima di essere liberato.
I bellissimi costumi rinascimentali, ma con elementi di attualita, come le cerniere, o le canottiere, sono di Sandy Powell.
Spezzera' sugli scogli il suo bastone magico, rinuncera' ai suoi libri, che cadranno nell'acqua durante tutti i titoli di coda. La commedia e' finita e tutto si dissolve, non siamo, peraltro, tutti, fatti della materia dei sogni? Una nota di merito speciale meritani i due buffi: il Trinculo scatenato di Russel Brand ed Alfred Molina, Stefano, una spalla di lusso. Non vedo l'ora che esca per rivederlo! Una bella chiusura di Mostra, non c'e' che dire.

emilio campanella


VENEZIA 67 DUE RIGHE DI COMMENTO intorno alla premiazione di cui tutti, ormai sono al corrente.
Non discuto il leone d'oro e quello d'argento, primo perche' non ho visto i film, e non ho particolarmente fretta di farlo, ho provato l'ultima sera con quello di de la iglesia, ma la proiezione era solo per il pubblico, quindi ho lasciato perdere.
Mi rallegro del leone speciale a Monte Hellman, che comunque si meritava un leone 'normale' per il film presentato, ma cio' che m'indigna e' il premio a Skolimowski, per in lavoro solo molto abile, fatto benissimo , ma che al di la' dell'involucro non ha assolutamente nulla da dire.
Ancora di piu' trovo discutibile il premio al protagonista, per un ruolo di tutto riposo: quando mai si recita nei film d'avventura!, una menzione, piuttosto, andrebbe alla controfigura!
Passo subito al leone del futuro, premio Venezia opera prima (Dino de Laurentis) andato a COGUNLUK (Majority) del turco SEREN YUCE che ho molto amato, che consiglio e spero di rivedere. Anche per quest'anno e' andata, fra pasticci, disservizi, arie condizionate polari, sale troppo piccole, personale eroico nel dribblare i problemi.  

emilio campanella
Sempre, a Venezia, quando inaugura la Biennale, la citta' si anima di eventi, e le istituzioni fanno a gara proponendo le offerte culturali piu' stimolanti.
Lo scorso week end ha aperto i battenti la 12a Mostra Internazionale di Architettura che, al primo sguardo, mi e' sembrata molto stimolante e che meritera' una trattazione ampia ed accurata, ma l'apertura delle manifestazioni si deve alla Fondazione Cini, all'isola di S.Giorgio che sino al 21 Novembre, ospitera' una straordinaria mostra intitolata: LE ARTI DI PIRANESI.
L'interesse dell' esposizione non e' dato soltanto dal nome del dedicatario, e dai circa trecento fogli , tirature di notevolissima qualita', e gia' non si tratta di cosa da poco, ma specialmente dalle differenti angolazioni di considerazione di questo artista geniale e fortunato in maniera, perlomeno strana; si pensi ad esempio che in una monumentale pubblicazione di storia dell'arte degli anni sessanta del novecento, della stessa Fondazione Cini, non compare neppure! Secondo autorevoli studiosi, essendo artista che lavorava sulla carta, anziche' sulla tela, veniva considerato meno, benche' il pubblico, da subito gli decretasse un grandissimo successo!
Diversi punti di vista hanno concertato un allestimento ch'e' un'avventura ed una continua sorpresa. Tre anime abitano queste stanze: l'architetto, il fotografo, 'l'artigiano'. Michele De Lucchi, creatore della biblioteca della Manica Lunga nell'ex convento, ha inoltre immaginato un intrigante oggetto multimediale, un cono-impalcatura semi costruito, dentro il quale di possono percorrere virtualmente le architetture; il modello della Basilica di S.Maria del Priorato, unica costruzione realizzata dal nostro Giovanni Battista.
Adam Lowe ha creato, ricreato oggetti affiancati ai disegni di partenza che li hanno ispirati, una scommessa rischiosa, ma dal risultato decisamente stimolante.
Al piano superiore le magnifiche fotografie di Gabriele Basilico, affiancate alle incisioni che rappresentano le medesime architetture romane. Il lavoro e' accuratissimo poiche' si e' cercata la medesima angolazione prospettica, il contrasto bianco nero si avvicina il piu' possibile a quello piranesiano, le dimensioni sono le medesime. Le riproduzioni fotografiche del bel catalogo Marsilio sono dello stesso Basilico, e per questa ragione risultano così vicine agli originali. Un discorso a parte merita il repertorio di disegni dall'antico, che testimoniano l'interesse per l'archeologia.
Altra chicca che desidero citare e' la riproduzione della decorazione egittizzante del Caffe' Inglese, oltre al magnifico camino. Una mostra ch'e' il trionfo dell'intelligenza.

STANLEY KUBRICK fotografo, 1945-1950, a Venezia a Palazzo Cavalli Franchetti sino 14 novembre. Arrivata in laguna, da Milano, dopo l'esposizione di Palazzo della Ragione, la mostra prende nuova vita nelle eleganti sale del piano nobile che risultano particolarmente adatte ad incorniciare i capitoli della scelta di immagini del giovanissimo fotografo che diverra' uno dei più importanti registi cinematografici della seconda meta' del novecento.
E' sorprendente pensare che un ragazzino diciassettenne potesse avere uno sguardo talmente acuto ed una tale padronanza tecnica, ma si sa les enfants prodige... con tutto quel che segue! A parte le battute e' interessantissimo notare come gia' il giovanissimo Kubrick sia interessato a raccontare delle storie, ed altrettanto sia attento al dato sociale, alla notazione di costume; un'attenzione, una precisione che ritroveremo poi in tutto il suo cinema.                                                                                                       

TONY CRAGG IN 4D, a Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d' Arte Moderna,  sino al 9 Gennaio 2011. Una volta tanto saro' critico negativamente, soprattutto poiche' si tratta di un artista che amo moltissimo e di cui seguo il lavoro da quasi trent'anni, che mi tocca delle corde segrete, profonde, che risuonano a lungo, dagli assemblaggi di plastiche colorate degli anni ottanta - qui ce n'e' uno azzurro molto bello, ma solo uno.
Poi fui emozionato anni orsono da una spirale di teddies in bronzo... chissa' dov'era, ed ancora un bel bronzo pieno di aria e di respiro, che vedevo dalla finestra dell'hotel viennese dove ho a lungo soggiornato; ancora, a Genova, a Palazzo Ducale, alcuni mesi fa, una mostra intorno alle isole, un'opera in vetro, parente stretta di quella esposta qui, al secondo piano.
La presente scelta e' ampia, ma non troppo, l'allestimento, praticamente inesistente, ma non e' un bene, questa volta, ed appunto, al secondo piano, avrei voluto qualche cosa di piu', anche se sono uno che non ama le mostre intasate, grazie comunque dei disegni preparatori.

GRAFIC DESIGN DAL GIAPPONE, 100 poster 2001-2010, The International Hokusai Research Centre e DNP Foundation for Cultural Promotion Tokyo, a Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa, p.zza S.Marco.
Una mostra piccola ed agile, con alcuni pezzi anche molto noti, alcune pubblicita' di marche notorie, cose molto azzeccate, altre meno, ma un insieme accurato che culmina con una sezione molto importante, quella dedicata alla ricorrenza dell'immane deflagrazione atomica.
E' vero che cento e' un bel numero, ma avrei amato, piu' ampia, proprio questa sezione.

Il percorso fra le mostre veneziane di tarda, fine-estate, inizio autunno, continua con quella dedicata a GIACOMO FAVRETTO, pittore veneziano della seconda meta' del diciannovesimo secolo, ed aperta, al Museo Correr, sino al 21 Novembre.
Proveniente dal romano Chiostro del Bramante, questa mostra, se e' lodevole l'intento di valorizzare, e far conoscere a chi non lo conoscesse, appunto, un artista locale di tutto rispetto che ha avuto il torto (ahilui!) di vivere troppo poco (1849-1887) per veder maturare dei germi d'ispirazione, d'intuizione, di concezione spaziale, capacita' di cogliere atmosfere, caratteri ambienti e ridare il calore e la vivacita' di esterni cittadini che sono testimonianza  e documento di costume, dall'altra non  convince completamente.
Il notevole senso dell'inquadratura, proprio in senso cinematografico ante litteram e la liberta' e l'arditezza degli impasti cromatici, da'nno l'idea di un fermento creativo interrortto tragicamente nel momento di maggiore spinta della ricerca artistica. La mostra in se' avrebbe potuto essere e piu' accurata, e maggiormente approfondita.                  

ADOLPH GOTTLIEB alla Fondazione Peggy Guggenheim sino al 10 Gennaio 2011. Il curatore Luca Massimo Barbero, con la consueta attenta precisione ha preparato una mostra 'chicca' di raffinatezza ed interesse su un artista notevolissimo e sconosciuto ai piu', e che dagli anni'20 del novecento, al 1974, ha compiuto una sua ricerca stilistica e formale coerente e personalissima, pur restando in sintonia con il mondo artistico circostante.
La RETROSPETTIVA, questo il sottotitolo, parte da molto lontano ed arriva agli ultimi lavori che mi hanno fatto pensare a certi esiti della pittura zen per il rigore, il nitore, l'attento studio degli effetti cromatici di contrasto in una ricerca profonda, fra pieno e vuoti, resa con una tecnica di sovrapposizione degli strati di colore, peraltro non lontana dai risultati degli Spazialisti, proprio in quegli anni. La bella presentazione del curatore, ha messo in luce proprio questi aspetti, ed anche cio' che riguarda certi superamenti stilistici, oltre la giusta impressione che si tratti di una pittura per chi guarda.
Una bella scelta di ritratti fotografici, ci rimanda il volto di un artista sempre sorridente. Il bel catalogo e' pubblicato da Giunti.

GIORGIONE a Palazzo Grimani. Ora, non saprei dire se la notizia sia GIORGIONE, o Palazzo Grimani, fatto sta che se riuscite a fare un salto a Venezia entro il 10 Ottobre, come si dice, prenderete due piccioni con una fava!
Quando questa iniziativa venne presentata, il 27 Agosto scorso, inaugurava tutto, ed allora decisi di occuparmene successivamente, poi fu la volta della Mostra del Cinema, e finalmente in questa mattina di una giornata uggiosa di uno scirocco soffocante, ho trovato il momento per compiere la visita ad un luogo che non conoscevo ancora.
Prima si poteva visitare solo su appuntamento, da ora sara', invece, regolarmente aperto al pubblico, e sede di mostre temporanee. L'idea del curatore, Vittorio Sgarbi, recentemente nominato Soprintendente ai Musei ed alle Gallerie statali di Venezia, che viene dopo la mostrra di Castelfranco, e prima di quella padovana dei prossimi mesi, e' stata di ospitare tre capolavori del pittore, in un magnifico edificio che ancora pochi conoscono.
Se l'incontro con delle 'vecchie amicizie' come LA VECCHIA, LA TEMPESTA e LA NUDA, questo, affresco strappato proveniente dal Fondaco dei Tedeschi, in prestito, tutte dalle Gallerie dell'Accademia, e' sempre una grande emozione, ancora maggiormente lo e' data la magnificenza delle sale le ospitano. Il percorso e' al piano nobile del palazzo, intorno ad un cortile colonnato.
Giusto per la memoria, la famiglia dogale Grimani e' anche quella cui si deve il primo nucleo di uno dei primi, forse il primo museo archeologico al mondo in assoluto. Inizialmente i pezzi, alcuni calchi dei quali sono presenti, come opere appartenenti da sempre al palazzo, erano posti ad adornare le nicchie di un ardito ambiente rinascimentale, la Tribuna, e che poi vennero trasferite nella scamozziana Antilibreria della Biblioteca Marciana.
 Il grande piacere e' dato dall'ammirare nel loro splentore, questi ambienti privi di arredi, e solo con alcune opere, peraltro, di notevole importanza, cosi' da fruirne integralmente la bellezza delle decorazioni, siano essi frammenti di affresco, stucchi, grottesche,oppure il meraviglioso soffitto della Sala a fogliami, che mi ha molto ricordato le pitture della villa di Boscotrecase.
In fondo al Cameron d'oro, e' esposta una bella copia in gesso, settecentesca, del Laocoonte, illuminata con grande cura ed effetto. Le opere pittoriche esposte vanno da Tintoretto: ritratti di Marco, Vincenzo ed Ottavio Grimani, Francesco de' Rossi, detto il Salviati, Vincenzo Schiavone; bronzi rinascimentali originali e copie classiche.


Questa rubrichetta che mi sono divertito ad intitolare cosi' come riferimento-omaggio ad un'opera letteraria molto nota, sta diventando una cornucopia inesauribile, infatti oggi ci occuperemo dell' AUTUNNO A PALAZZO FORTUNY e delle sue sette mostre sette!
Confesso che il numero delle esposizioni, gia' prima di affrontarlo, mi creava un certo timore, non certo per la fatica, dato che conosco molto bene il luogo, i suoi spazi, e la dimensioni umane di questo bellissimo museo, ma piuttosto per il rischio di tante diversificate compresenze.
Si parte, fisicamente dal basso, al piano terra dove la dublinese Nuala Goodman propone suggestioni, installazioni, dipinture, messe in scena, ritratti, mimetismi, giochi di tessuti, abiti e mobili, quindi ospite ideale di questo palazzo;i lavori sono raggruppati sotto il titolo: GARDENS. Al primo piano nobile e' stata prorogata: MARIANO FORTUNY, LA SETA E IL VELLUTO, ma ci sono anche opere di Marco Tirelli che ritroveremo al secondo piano nobile.
Nelle vetrine scopriamo scopriamo opere di Alberto Zorzi, della serie UNICUM - GIOIELLI E ARGENTI 2000-2010, mentre in due salette laterali sono ospitate ventuno opere di piccolo formato, di Giorgio Morandi, provenienti nella quasi totalita' dalla Galleria d'Arte Maggiore di Bologna, una sola dal Museo Morandi della medesima citta', che l'ha in deposito da una collezione privata.
Tutte vanno sotto il nome di SILENZI. Si sale una scala ed al secondo piano nobile si ritrovano le interessanti, concentrative tele di Marco Tirelli, ed alcune sue sculture, lo spazio ne valorizza la rarefazione, cosa che al piano inferiore viene soffocata in mezzo alla fantasia, il colore, la geniale follia del 'padrone di casa'. Avrei preferito altrove anche Morandi, che sembra un po' relegato e stretto nelle sue, peraltro elegantissime e meditative salette, assediato dalle esplosioni di Fortuny! Forse si poteva provare una vicinanza con Tirelli, chissa'?
Spiace comunque che la porta dell'atelier sia chiusa. All'ultimo piano, ALTRE NATURE di Giorgio Vigna: sfere di vetro, strutture metalliche,'caramelle' trasparenti, una corona di coralli in rame, scatole di bronzo, piante inquiete...Tutt'attorno, grandi foto di Luca Campigotto della serie MY WILD PLACES, tutte immagini di grandi spazi. Anche qui una compresenza difficile...troppe cose insieme? Sembrerebbe di si. Tutto cio' mi ha fatto pensare alla pedagogia francese del rinascimento: '...il vaut mieu une tete bien pleine!...' E' SEMPRE MEGLIO UNA TESTA BELLA PIENA!

emilio campanella

A Portogruaro, una cittadina dal bel centro storico fra medioevo e rinascimento , ad un passo da Concordia Sagittaria, che ancora porta il nome di colonia Romana, ha sede, sino al 17 Ottobre, una mostra molto stimolante: RINASCIMENTO TRA VENETO E FRIULI 1450-1550 , allestita nel Collegio Marconi, gia' sede del seminario locale; costituisce un suggerimento di percorso culturale, piu' che altro, poiche' fra l'esiguita' degli spazi e le opere in sito del circondario, che non sono poche, puo' ben essere considerata il primo capitolo introduttivo di un viaggio consigliato per una giornata, od anche un fine settimana, nutriti di emozioni.
Confesso che all'inaugurazione, il 6 Agosto, proprio, non me l'ero sentita, ma ora tra la dolcezza del clima e la morbidezza dei colori, esorto ad una visita. Consiglio anche il bel catalogo edito da Terraferma per il Comune di Portogruaro, che si puo' anche ordinare on line ad un prezzo molto conveniente. In effetti l'osservazione relativa alla esiguita' degli spazi e' vera solo in parte, poiche' se non puo' essere che ribadita per le prime sei sezioni, viene smentita per le due successive che vivono dell'ampio respiro dell' annessa chiesa dedicata ai santi Cristoforo e Luigi, dove sono esposte le opere di maggiori dimensioni.
Nella prima parte, invece, si vedono, e da molto vicino, cosa di notevole impatto emotivo, documenti, opere a stampa, pezzi di alta oreficeria sacra, ed ovviamente, anche opere pittoriche, frammenti di affresco, pitture su legno, ma cio' che e' molto interessante, una scelta molto ampia di sculture lignee policrome di Andrea di Bortolotto de Foro detto Bellunello (c.a 1435-1494), interessantissimo maestro di origine bellunese di temperie estetica equivocabilmente nordica, ma con delle sue morbidezze mediterranee.
Un'altra grande presenza e' quella dell' udinese Giovanni Martini (1470-75 c.a -1535). Altra gloria della zona e' Pomponio Amalteo, continuatore della bottega del Pordenone, maestro minore locale bistrattato, ma anche incensato quant'altri mai! Confesso di subire il fascino della sua pittura affollatissima di personaggi e di ammirare profondamente i suoi affreschi, che secondo alcuni, ed io sono d'accordo, sono, in alcuni casi, autentici capolavori.
Qui sono esposte cinque tele, dal duomo locale dedicato a S.Andrea, appunto con episodi della sua vicenda terrena. Le opere furono eseguite fra il 1546 ed il 1547, a decorazione dell'organo. Accanto, il magnifico affresco rappresentante MADONNA CON BAMBINO FRA I SANTI GIACOMO E CRISTOFORO, di una vivezza ed una forza dinamica rare, con uno sfondo montano che spinge lo sguardo verso l'alto, sulle rocce dove s'intravvedono costruzioni battute da un vento che trasporta grandi nubi bianche.
Se il consiglio ad un giro per il centro storico e' inevitabile, anche perche' solo la facciata del palazzo comunale merita una sosta, cosi' come l'antico mulino sul fiume Lemene, le porte, le chiese ricche di tesori, il catalogo non e' molto pesante, portatelo con voi!
E proprio accanto alla sede della mostra, il magnifico Museo Archeologico Nazionale (MUSEO ARCHEOLOGICO CONCORDIESE).

emilio campanella

P.S.: Cari ORSOTTI, fate un salto a Portogruaro, si mangia bene, il vino e' buono, e la fauna locale e' MOLTO consigliabile!


ORSI ITALIANI