Le recensioni di Emilio Campanella

Novembre 2004


LA 36a BIENNALE TEATRO

 


LA 36a BIENNALE TEATRO

Di gran carriera, subito dopo la caotica mostra del cinema, ci e' capitato addosso il 36° FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO strizzato fra il 15/IX ed il 2/X, per farci prendere un po' di fiato prima dell'indigestione della BIENNALE MUSICA: 16 concerti compresi fra il 14 ed il 23/X!!!

Si e' iniziato con LA MONACA DI MONZA al Teatro alle Tese il 15 e 16 settembre, naturalmente di Giovanni Testori e la regia di Elio De Capitani. Si tratta di uno spettacolo poco coerente e poco rigoroso in cui troppi materiali vengono utilizzati male, come al solito, insomma, De Capitani ch'e' cresciuto, poco, e che, ormai, temo, non andra' oltre. Il "miracolo" dei TURCS, che rimane un magnifico caso isolato, non si e' ripetuto.

Gia' il testo - fluviale - non risulta dei piu' riusciti dell'autore, e la scelta di considerarlo come scritto dopo della 'conversione', anziche' prima, ingarbuglia ulteriormente una direzione interpretativa gia' confusa, che non si salva con i riferimenti artistici (un incongruo Füssli, ed un piu' pertinente Tanzio da Varallo). Un modulo registico discusso che secondo alcuni risulta troppo urlato, per me troppo, e non abbastanza per esserlo con un senso. Marco Baliani ch'e' il 'peccaminoso' amante Gian Paolo Orso, sfodera, e con lui anche altri, un birignao poco convinto. Discorso a parte vale per Lucilla Morlacchi che, qui non utilizzata adeguatamente, rende comunque intensa e di notevole dolente statura la sua Marianna de Leyva, soprattutto nel finale che si apparenta alla Cattedrale e che nell'evocazione degli spiriti ritrova la felicita' dell'Arialda.

Proprio in questi giorni pensavo a Morlacchi, compunta e trepida Concetta nel Gattopardo viscontiano (durante una tardiva quanto emozionata lettura di Tomasi di Lampedusa), come sconvolgente Katrin in MADRE COURAGE, accanto a Lina Volonghi, in un antico spettacolo di Luigi Squarzina, ma anche magnifica ed affascinante Donna Felice nei RUSTEGHI ancora di Squarzina, ed ancora ancora indimenticabile madre (quasi pudovkiana) nei citati TURCS pasoliniani.

Secondo appuntamento e' stato AGAMENNONE da Eschilo, testo e regia di Rodrigo Garcia, il 16 e 17/IX alle Tese delle Vergini. Ho molto pensato e ripensato a questo spettacolo volutamente respingente che consiglio di vedere da lontano per l'uso di generi alimentari profusi e fatti volare "generosamente" tutto attorno, ma appunto questo e' cio' che m'indigna in uno spettacolo contro il consumismo, ed uso volontariamente una frase vecchia, poiche' sono vecchio, e queste cose le ho dibattute 30 anni or sono. Non accetto lo spreco quando si parla di gente che muore di fame, vero e' che un allestimento e' sempre molto costoso e che le simulazioni in materiale sintetico hanno prezzi esorbitanti, ma andando ai mercati generali ci sono tonnellate di cose, ogni giorno, che vengono gettate via perche' invendibili, guaste, avariate: Rialto non e' poi cosi' lontano dall'Arsenale. Aldila' delle mie remore morali diro' che c'e', ogni tanto, qualche idea, come la ragazza fatta volare con tutta la seggiola (un po' come il tavolo di NELKEN) c'e' anche la lezione del BUTO, stravolta, un superSILVIO tipo video arte, un momento di ritmi d'acqua rinascimentali, ed un gusto sudamericano dell'eccesso. Ma c'era gia' tutto nella FURA e certi discorsi sono gia' in Pippo Delbono come della Societas Raffaello Sanzio, ma se Pippo gioca con la baracconeria piu' cotta, la Societas ha un rigore ed una base culturale incrollabili. Ancora ricordo l'episodio bolognese della Tragedia Endogonidia, visto qualche mese fa con una emozione che ancora mi fa tremare, qui invece, oltre a certe interessanti torture alimentari, e qualche immagine forte, non si va. Certo, bei corpi nudi che si fanno la doccia sono un gran bel vedere, ma quasi esclusivamente i ragazzi, anche Anne Maud Mayer l'avrebbe meritato maggiormente, perche' graziosa e brava, oltreche' sottoutilizzata, quindi Rodrigo Garcia machista, oltre che in odore di omofobia? Ne avrei quasi l'impressione, e poi, mi domando se il regista sia "nudo".... ma aspetto un'altra occasione per un giudizio piu' netto.

COEFORE di Eschilo, nella traduzione di Pier Paolo Pasolini e la regia di Monica Conti al Teatro Piccolo Arsenale il 17 e 18/IX, secondo parte della trilogia eschilea (che il direttore, Massimo Castri, ha affidato a tre differenti registi, ed a cui va riconosciuto il merito di non aver presentato nulla di suo, dimostrando una estrema correttezza: ...non cosi' altri!) e' uno spettacolino pulitino da stabile che fara' la felicita' degli abbonati, rappresentando un esempio di teatro apparentemente colto, apparentemente d'avanguardia, o di ricerca (a scelta) ed essendo, poi invece, di puro genere digestivo. Vero e' che qualche idea non manca, ma annegata nel grigiore totale. Una buona intuizione e' quella delle prefiche / perpetue, sacrestane, le brave Marisa e Paola Della Pasqua, che si agitano nel cimitero di questa cittaduzza, intorno alla tomba di Agamennone, ch'e' una cassettina come tante altre in mezzo a muri sbrecciati, Anna Maria Guarnieri e' una buona Elettra dimessa, ed anche come Clitennestra che fa pensare alla Lysiane di genettiana memoria non e' male, mentre Trifiro' non aveva un solo accento giusto, oltre a non capirsi un'acca di cio' che diceva. Anche l'Egisto un po' macro, un po' uscito dal Vittoriale, come la nutrice trans, potevano andare, perche' no? Ma, solo ideuzze, niente piu'!

EUMENIDI di Vincenzo Pirrotta, da Eschilo al Teatro alle Tese, il 19 e 20 settembre. Terza tragedia della trilogia che doveva essere affidata a Cader Manson, mentre invece e' stata messa in mano al regista appena citato grazie al quale abbiamo avuto, a mio avviso, il primo lavoro di valore della rassegna, infatti, Pirrotta, con umilita' ed idee molto precise, e che ha scritto il suo testo partendo dalla traduzione di Pasolini. Ha fatto una perfetta sintesi del prologo ed ha preso per mano tutta la rappresentazione essendone il presente demiurgo oltre al corpo sofferente di Oreste chiuso in una scatola trasparente (ispirata dichiaratamente a Bacon) e minacciato dalle furie / cagne fameliche. La regia mescola abilmente notevoli techniche del corpo e profonde basi musicali etniche, come si dice oggi, fra tarante e tammuriate oltre la metrica epica dei Pupi e quella ritmica ipnotica che riporta alla sua formazione con Mimmo Cuticchio. Da ultimo accennero' all'Athena ch'e' la sua statua e la sua voce di contraltista mutuata da un'estetica un po' alla Lindsey Kemp perfettamente pertinente. Spero di vedere presto, un altro spettacolo del giovane maestro Vincenzo Pirrotta che, oltre ad essere un buon regista, e' un attore di razza dalla fisicita' prorompente di magnifico giovane orso!

BESTIA DA STILE di Pier Paolo Pasoni, regia di Antonio Latella al Teatro Piccolo Arsenale il 22 e 23/IX.

Riporto i miei appunti, avari e laconici, scritti durante lo spettacolo: tra oratorio ed opera al leggi'o rigorosamente noioso / noiosamente rigoroso.

Ora mi spiego, premettendo che Latella e' un regista dalle caratteristiche geniali, il quale talvolta, propone terribili ciofeche. Colpa dello star system? Probabilmente si', ma bisogna saper resistere. Secondo alcuni, qui si tratta di un abbozzo (secondo altri restera' tale), vero e' che lo spettacolo ha numeri notevoli: un'ottima compagnia di giovani attori che sono anche buoni musicisti e cantanti, che non e' poco. La scelta oratoriale presuppone, pero' un testo messo in scena / non messo in scena come in un concerto, e gli abiti da sera lo suggerirebbero, abbia una sua struttura musicale di assoli, dueti, trii, concertati, etc., che qui manca totalmente, senza contare una fluvialita' non controllata ed una vicenda (quella di Jan Palach) troppo lontana da noi che stiamo vivendo altre tragedie, ed i cui agganci sono troppo labili per poterci coinvolgere. Se si doveva violentare il testo, cosa che si e' fatta, tanto valeva farlo con un senso, e tagliando su di una durata quasi sterminata che ha portata ad uno stillicidio di defezioni continuo, dalla meta' in poi della serata che dura 120' filati, non eccessivi, e' vero, ma provatevi ad immaginare un oratorio di Bach in un luogo dall'acustica sbagliata in cui il suono si rifrange e si disperde senza rendere gli effetti voluti... il risultato era quello. Per soprammercato si sta due ore con le luci negli occhi: un bell'impianto fisso merito di Giorgio Cervesi Ripa.

PURIFICATI di Sarah Kane, regia di Marco Plini, 23 e 24 settembre, Teatro alle Tese. Un lavoro pulito e volenteroso nel senso migliore del termine, che "lima" ogni orrore ed efferatezza del testo da cui trasuda un infinito dolore ed un male di vivere che toglie il respiro.

L'ambientazione, algida, asettica, ospedaliera, psichiatrica ci porta ad orrori tipicamente inglesi di andersoniana memoria, anche se il medico folle di Malcom Mc Dowell, aveva una statura che solo lui poteva dargli. Tutto e' tipicamente inglese, violentemente punitivo e repressivo e sadico, non c'e' speranza, non ci sono valori durevoli (.......) l'amore viene svenduto e tradito poiche' non vi si crede (non esiste) ..... non esiste (non vi si crede). Ripeto, lodevole il regista, lodevoli i giovani attori, lodevole che assiste a tanto orrore, purtroppo, cosi' vero!

BINARIO MORTO di Letizia Russo, regia di Barbara Nativi, 24 e 25 settembre alle Tese delle Vergini.

Un comunicato stampa avvertiva, prima dell'inizio, che una seria malattia della regista aveva compromesso la realizzazione dello spettacolo, alla cui anteprima, ella stessa non poteva intervenire, essendo ancora ricoverata. Per questa ragione non giudico il lavoro, troppo informe per poterne dare una opinione, aldila' di una impressione di appena IN PROGRESS. Il testo che dovrebbe esserne alla base, sembra improponibile, una specie di Beckett rimasto sullo stomaco, e la digestione del quale provoca l'incubo secondo cui Godot sarebbe arrivato...! E' un delirio mio personale, ma mica tanto, comunque lo "spettacolo" e' risultato indigesto a molti!

PRIMA / DOPO di Roland Schimmelpfennig, regia di O Zoo Nô, 26 e 27/IX al Teatro Piccolo Arsenale. In una scena fissa rotante (Nicolas Bovey) dalle luci perfette (Christian Zucaro), alcune, tante, troppe coppie si alternano e si avvicendano vivendo rivivendo, ribaltando momenti speculari della loro vita. Tutto molto entomologico, ben diretto, ben recitato, aldila' di un tulle che raggela e che serve per proiezioni / "sovraimpressioni" magnifiche. Ancora un testo che tende alla fluvialita'.

LA SCIMIA da Tommaso Landolfi, regia di Emma Dante, 28 e 29 settembre, Tese delle Vergini. Premetto che insieme a quello di Pirrotta, questo della DANTE e' lo spettacolo che piu' mi ha colpito di questa BIENNALE, abbandonata, poi per impegni genovesi, prima delle ultime tre cose in cartellone (secondo alcuni colleghi, peraltro, non irrinunciabili). Guarda caso si tratta di due giovani registi siciliani. Mi e' piaciuto, in questo, l'asciuttezza, pur mantenendo temi tipicamente suoi, come l'oppressione della condizione femminile e l'ossessione religiosa, con caratterizzazioni compulsivo-ossessive cui fa da contrasto la folle liberta' incosciente della scimmia nuda, sacrilega e blasfema. Ma se la scimmia e' incosciente (?), non lo sono le due sorelle fanatiche ed innamorate (una in particolare) della bestia, come non sono indifferenti alla sua animalita', i due sacerdoti (e quello piu' fanatico e tendenzialmente violento, in special modo). In un impianto scenico fatto di pochissimi oggetti; una tenda di fondo si gonfia e rimanda le luci sapienti; una grande croce incombente talvolta dondola minacciosamente rischiando di colpire i protagonisti, vera e propria CROCE DI DAMOCLE, cui in una immagine rapidissima, ci apparira' crocifisso l'animale che il giovane attore (e di notevole appeal), grazie alla sapiente coreografia ed alla propria bravura riesce a far dimenticare la nudita'.

 

emilio campanella