Le recensioni di Emilio Campanella


I Masnadieri al Comunale di Bologna

Masnadieri si rappresenta poco e le ragioni ci sono, infatti si tratta di una delle opere cosiddette 'di galera' e soprattutto viene dopo Macbeth ch'e' un vero capolavoro giovanile, quindi ancora piu' difficile per l'autore dopo il risultato precedente. Si aggiunga che il libretto di Andrea Maffei, per altro attento traduttore di Schiller, e' un vero pasticcio, una specie di bignami del dramma cui manchino le pagine fondamentali per la comprensione della vicenda, quindi le situazioni sono talvolta rabberciate, talaltre per nulla chiare.

Dal punto di vista musicale la struttura e' abile e funziona, pur non aggiungendo nulla. Interessante l'ouverture che ha un po' la struttura del concerto romantico per violoncello ed orchestra, poi e' un po' un susseguirsi di arie, cori e concertati dal principio alla fine. Insomma non ci si annoia assolutamente, quando poi si ha a che fare con una direzione sorvegliatissima come quella di Daniele Gatti ed una buona compagnia, il gioco e' fatto. Fiorenza Cedolins interpretava ottimamente Amalia; Giacomo Prestia i giusti accenti dolenti di Massimiliano Moor; Fabio Sartori, Carlo dal timbro molto gradevole (in tutti i sensi, anche di persona, incontrato e complimentato l'indomani mattina a passeggio per Corso Indipendenza con il suo bel cane) e caldo nonostante la recente indisposizione che gli lasciava un minimo residuo di affaticamento, superato, comunque brillantemente; Roberto Frontali, ottimo Francesco, un malvagio fratello minore di Macbeth, appunto, ma purtroppo meno riuscito; Massimiliano Tonsini, Arminio, che ricopriva molto bene il ruolo di un comprimario molto presente e che ha partecipazioni notevoli in due concertati; Marco Spotti, corretto Moser, ed Alessandro Cosentino un Rolla un po' fragile.

La regia di Elijah Moshinsky ripresa da Andrew Sinclair, e proveniente dalla Royal Opera House Covent Garden di Londra era servita da una scena unica (Paul Brown) rappresentata da una grande vetrata su di un perno centrale che veniva utilizzata abilmente per i passaggi dall'interno all'esterno con l'aggiunta di particolari elementi scenici neutri quali tavoli, seggiole, piccoli monumenti, lampadarî a suggerire le atmosfere come quando durante la prima aria di Amalia, Carlo cui lei pensa, appare al di la' della vetrata come evocato, quasi una gibigianna; o quando si vede all'esterno il monumento funebre di Moor e verso l'interno una sala con lampadarî bassi, un po' lugubri e qualche ospite arrivare alla spicciolata: feste poco frequentate, quelle dei Moor, dopo il 'colpo di stato'.

In sottofinale gli episodi vengono resi un poco piu' credibili dalla rapida successione e dalla concomitanza fisica degli ambienti rappresentati. Nel finale la regia fa un colpo di mano violento decisamente comprensibile e che rende un po' piu' coerente la situazione precedente: Carlo dopo aver opinabilmente accoltellato Amalia viene quasi immediatamente fucilato dai suoi compagni di misfatti.

Adeguati i costumi (Paul Brown) e pertinenti le luci di James Whiteside.

Successo pieno all'ultima rappresentazione cui ho assistito pur con un pubblico un po' 'sufficiente' per dover ascoltare un Verdi 'minore'.

 

emilio campanella