ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Marzo - Aprile - Maggio 2016


MAGNASCO - UOMINI E DEI - DON GIOVANNI, O DELLA GIOVANILE BALDANZA - MERAVIGLIE DELLO STATO DI CHU - GEMINIANO COZZI E LE SUE PORCELLANE - ALDO MANUNZIO, IL RINASCIMENTO DI VENEZIA - CI HA LASCIATI ANCHE LO ZIO BIRICCHINO - HELMUT NEWTON FOTOGRAFIE - CAPOLAVORI RITROVATI - VETRI VIENNESI - QUESTO TIZIANO VALE UN PERU' - LINO SELVATICO - LA CAPOSTIPITE DI SE'         
A periodi, si torna a parlare di Alessandro Magnasco, pittore molto apprezzato che ha i suoi estimatori, noto, ma abbastanza speciale nella sua maniera unica di affrontare temi molto frequentati tanto prima che dopo di lui, ed anche molto nel suo tempo.

La galleria Canesso di Parigi ha presentato una "piccola" esposizione nei suoi spazi eleganti di Rue Laffitte, ed ora la stessa mostra e' a Genova, in tre sale del primo piano di Palazzo Bianco in un allestimento particolarmente azzeccato e ben illuminato dove le opere sono presentate appese a pareti giallo paglierino a creare un notevole contrasto con i toni e cupi e freddi, a seconda delle opere del Lissandrino, con i suoi tipici guizzi di luce cosÏ "moderni".

La mostra parigina e' rimasta aperta al pubblico dal 25 Novembre 2015 al 31 Gennaio 2016; quella genovese, aperta il 25 Febbraio, si potra' visitare sino al 5 Giugno prossimo.

L'ultima mostra importante che vidi, dedicata ad Alessandro Magnasco, fu quella milanese di Palazzo Reale, nel 1996.

L'attuale iniziativa intitolata: ALESSANDRO MAGNASCO(1667-1749), Gli anni della maturita' di un pittore anticonformista, nasce dalla collaborazione della Galerie Canesso, con i Musei di Strada Nuova, il Comune di Genova, l'Ambasciata d'Italia a Parigi.

L'elegante catalogo e' edito dalla Galerie Canesso stessa anche per l'edizione italiana. Accurato e completo di schede, pur se non fedele nelle riproduzioni cromatiche, annoso problema che ogni tanto si ripresenta. Ventitre, le opere scelte con grande cura, su temi precipui dell'artista ed ambientazioni che si trovano in molti pittori del periodo: la società, l'ambito ecclesiastico, vizi e virtù puntualmente rilevati, e qui sempre in paesaggi "sofferti", in saloni cupi e fumosi, molto spesso; figure umane quasi sempre contorte e sinuosamente tratteggiate.

Gli ambienti incombono sulle persone, nei "campi lunghi" di interni affollati di figure ed episodi.

Le opere provengono da collezioni private, come dalla stessa Galleria Canesso, da musei, come da collezioni pubbliche, ad esempio il SEPPELLIMENTO DI UN FRATE TRAPPISTA, da Bassano, Museo Biblioteca Archivio, RIPOSO DI DIANA (E DI SILENO) FRA ROVINE ARCHITETTONICHE, entrambi da Genova, Banca CARIGE, IL FURTO SACRILEGO, quadro che definire inquietante e', per lo meno, limitativo, dal Museo Diocesano di Milano, Quadreria Arcivescovile, S.ANTONIO PREDICA AI PESCI, esposto solo a Genova, da Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale, IL PITTOR PITOCCO FRA ZINGARI E VAGABONDI, dal Museo Giannettino Luxoro di Genova Nervi.

Tre tele sono di Palazzo Bianco ed il percorso si conclude con il notissimo TRATTENIMENTO IN UN GIARDINO DI ALBARO; l'ultima illustrazone del catalogo riporta un'ulteriore riproduzione del quadro con l'indicazione delle ville e degli edifici ancora esistenti e riconoscibili in citta'.

Sia detto, la mostra vale un viaggio a Genova, che offre anche molto altro.


emilio campanella

Ero da poco sceso dal treno e superata via Balbi, ero arrivato attraverso la Piazza della Nunziata, in via Cairoli quando vidi uno striscione che mi colpi' e che pubblicizza la bella mostra: UOMINI E DEI, il '600 genovese dei collezionisti, nel da poco restaurato Palazzo della Meridiana nella piazza omonima.

Quindi, dopo la visita alla mostra dedicata ad Alessandro Magnasco e dunque, a pochi passi da Palazzo Bianco, sono entrato e mi sono trovato di fronte ad una scelta notevole di maestri della pittura genovese del diciassettesimo secolo.

La mostra aperta sino al 5 Giugno prossimo ha, per chi sia interessato, un biglietto cumulativo con quello dei Musei di Strada Nuova.

L'agile, puntuale catalogo e' pubblicato da SAGEP Editori, con la consueta cura. Il percorso simpaticamente tortuoso ed emozionante per il tête-à-tête con le opere, che si crea con il visitatore, consta di cinquantuno opere esposte e puo' essere molto interessante per chi conosca poco la pittura locale, ed e' piacevolmente emozionante per chi la conosca.

Si tratta, nella maggior parte, di opere provenienti da collezioni private. I temi scelti dai curatori spaziano da quelli sacri a quelli profani e mitologici (e qui l'argomento nel titolo e' rispettato pienamente e coerentemente), in una presenza notevole ed anche pittura di genere, si potrebbe dire, paesaggi per committenze private e, si vede dai formati, per fruizione intima di quadri di piccole dimensioni.

I nomi sono importanti e si va da Giovan Battista Castiglione a Domenico Fiasella, da Gioacchino Assereto a Luca Cambiaso, da Alessandro Magnasco (rieccolo!) a Pieter Mulier, Il Tempesta, da Bartolomeo Guidobono a Cornelis De Wael, da Andrea Ansaldo a Sinibaldo Scorza... Qundi ci sono anche i "fiamminghi genovesi" con la loro stagione unica, a contatto con i maestri locali. Giovanni Andrea Podesta' è presente con un interessante SILENO EBBRO di collezione privata, da Novi Ligure, inedito.

Belli i quattro paesaggi innevati di Sinibaldo Scorza, di piccolo formato, dipinti su rame e molto di gusto nordico, ed il tondo su tavola: PAESAGGIO CAMPESTRE A FINE INVERNO, anche questo, di piccolo formato. Tutti esposti ed illuminati con cura, in una vetrina. Se la VENERE E CUPIDO di Paggi ha un'indubbia parentela, soprattutto nell'impianto, con la Danae tizianesca, la sua VENERE E AMORE CHE SI BACIANO e' di una fresca, delicata sensualita'.

Sette tele di Valerio Castello e cinque del "Grechetto" sono altrettante piccole personali incastonate nel percorso generale. Quattro le presenze di Gregorio De Ferrari del quale desidero ricordare BACCO E ARIANNA, opera dal bell'impianto dinamico.In chiusura, ricordo IL RATTO D'EUROPA di Domenico Piola (BANCA CARIGE), per l'elegante, arioso movimento.


emilio campanella

Potrebbe essere definito cosi' il tratteggio della regia che Lorenzo Regazzo ha proposto a Ferrara, al Teatro Comunale Claudio Abbado, il 4 ed il 6 Marzo, una regia molto spiritosa ed intelligente, anche comica, ma mai volgare, e tantomeno sguaiata, talvolta arbitraria, si, ma con proposte che sono una fine analisi del testo perfetto di Lorenzo da Ponte, ed anche molto del non detto, ma supposto, suggerito, e le forzature sono, tutto sommato veniali data la coerenza delle rispondenze drammaturgiche proposte.

Si inizia da subito, durante l'Ouverture, a meta' della quale ad apertura di sipario gia' la statua del Commendatore occupa il centro della scena; due uomini duellano ( scopriremo dopo, essere Giovanni ed Ottavio, rivali senza possibilita' di comunicazione, essendo caratterialmente lontanissimi), poi una donna giovane e bella percorrera' la scena con un libretto rosso che, vedremo, ritornerà ancora, ancora ed ancora.

Durante le sinfonie, le azioni sceniche disturbano e distraggono dalla musica, ma siccome ne' la direzione di Francesco Ommassini, ne' l'Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, almeno alla recita del 6, sono risultate memorabili, perdoniamo volentieri le intemperanze registiche.

La scena viene liberata grazie ad un siparietto dipinto: belle le scene dipinte, appunto e le quinte mobili, le panche da giardino, le belle scale laterali a balaustre colonnate, nella agile idea di teatro d'antan, che tiene conto anche dell'estetica delle marionette, non a caso, che s'inventa man mano, di Eugenio Monti Colla, il quale firma anche i bei costumi tradizionali, puntuali, eleganti e dai colori spesso sgargianti che rendono magnificamente sotto le belle luci di Roberto Gritti.

Le tre ore di spettacolo, come si sa, hanno una successione continua di episodi, e la notte del "Burlador" vola veloce verso un'alba livida che sappiamo, ma per ora vediamo Leporello (Lorenzo Grante, volenteroso, entusiasta, si, ma talvolta in difficoltà con il fraseggio, peraltro rapinoso di certe arie e certi recitativi), lamentarsi del suo mestiere; poco dopo irrompe Giovanni (Luca Dall'Amico, di bella grinta, bel piglio,  dal punto di vista scenico, perfettamente in parte, ma che spesso risente del peso del ruolo, pur non perdendosi d'animo) inseguito da Donna Anna (Valentina Varriale, voce potente che ha bisogno di affilare bene le armi che ha e di curare il fraseggio) furiosa... ma anche gia' segretamente innamorata del suo seduttore... lui scrivera' sul libretto rosso che il servo gli porge... quindi ci togliera' un dubbio che attanaglia da secoli, e che gia' Luca Ronconi, aveva proposto di toglierci...

Piu' tardi, ma non molto, faremo la conoscenza di Elvira, (Gioia Crepaldi, autorevole ed interessante), bella, addolorata, che, abbandonato un mantello nero, rivela un abito rosso come la sua passione (ricordate Milva?), l'aria del catalogo movimentata da molti libri rossi sempre più grandi, fino a quella di furore di lei che minaccia di malmenare un gruppo di giovanotti che ritroveremo alla festa di nozze che seguira'.

Bisogna notare che Elvira è accompagnata da una bella cameriera, ma qui tutti sono belli e giovani, che ritroveremo, ovviamente piu' tardi. Il matrimonio di Zerlina (Letitia Vitelaru, forse la migliore in scena) e Masetto ( Roberto Maietta, scenicamente ineccepibile, vocalmente meno ) e' vivace e rovinata dall'arrivo di Giovanni, come la sua seduzione di Zerlina sara' guastata dall'arrivo di Elvira, e l'incontro con Anna ed Ottavio( Davide Giusti, teneramente diligente e spaventatissimo da un ruolo molto impegnativo per un personaggio poco simpatico di noioso senza speranza ) dal nuovo sopraggiungere di Elvira.

Le feste si susseguono, ed arriviamo alla fine dell'atto con l'orgia in casa di Don Giovanni... nessuno ce lo dice, ma e' chiaro che si tratta di questo, basta vedere i quattro giovanotti inguainati di pantaloni aderentissimi, maschera nera sul volto, ed a torso nudo, per comprendere... peraltro, se la vicenda e' secentesca, qui e' riscritta un secolo dopo: quello di Sade,di Crèbillon fils, di Laclos e tanti altri, e da un librettista ch'era un noto libertino... bella la scena delle maschere, che tutti sappiamo chi siano, ed il solo Giovanni non vuol capire, infoiato com'e'!

Secondo atto, giochi quasi da commedia dell'arte, lazzi, frizzi e cupezze infernali...intanto i libretti rossi si moltiplicano ed anche le donne ne hanno... la serenata, le botte a Masetto, con una Zerlina giustamente biricchinissima e seduttiva, e poi via al cimitero per l'appuntamento con la statua del Commendatore (Federico Benetti, bel timbro e giusta carica sulfurea).

Ultima scena, grande festa, cena, musica, danze e chiusa con la dannazione del libertino schiacciato da un gigantesco libro rosso, idea molto divertente, ma realizzata in maniera imperfetta, peccato...intanto lui maneggiava un volumone come certi dizionari di greco di liceale memoria. Concertato finale con Elvira novizia che mostra le belle gambe al pubblico, tanto per capire...  Don Giovanni che riappare sul fondo, il mito, con il suo elegantissimo abito blu cobalto, e che verra' seguito da Leporello il quale sembra comprendere come il loro sodalizio sia ideale per i loro caratteri.

Sipario, applausi non solo di cortesia. Lo spettacolo e' una coproduzione fra il Teatro Comunale di Ferrara, Teatri e Umanesimo Latino S.p.A. creato per il Teatro Comunale di Treviso nel 2015. Valentina Varriale, Gioia Crepaldi, Lorenzo Grante, Roberto Maietta e Letitia Vitelaru, sono vincitori del XLV Concorso Internazionale per Cantanti lirici "Toti dal Monte".

La nota finale riguarda i libriccini, libretti, libri, libroni che sono il leitmotiv estetico della regia di Regazzo. Siccome tutti vi scrivono e le dimensioni aumentano durante lo spettacolo direi che l'affermazione di Giovanni: Mi par ch'oggi il Demonio si diverta/ D'opporsi a' miei piacevoli progressi:/Vanno mal tutti quanti" ATTO I, sia totalmente disattesa... Regazzo abilmente arbitrario, ma, siccome "L'Ateista fulminato" e' un bugiardo matricolato, forse va anche bene cosÏ...rileggiamoci Giovanni Macchia, ma anche Kierkegaard, non fara' male.


emilio campanella

Ammetto che sarebbe difficile da pubblicizzare, ma sarebbe maggiormente onesto e meno fuorviante che questa mostra, come dire, diffusa, fosse intitolata: MERAVIGLIE DELLO STATO DI CHU, fra Adria, Este e Venezia, siccome i poco piu' che settanta antichissimi e magnifici pezzi provenienti dalla Cina Centrale, sono divisi fra i tre suddetti musei.

Vero e' che la manifestazione durera' sino al 25 Settembre, a coprire l'intera stagione balneare, e dare l'occasione a bagnanti scottati od annoiati da giornate di brutto tempo, di spingersi nell'entroterra ricco di fiumi, di argini ombrosi e suggestivi del Polesine e di visitare, o ritrovare due straordinari musei nazionali (MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE di ADRIA, MUSEO NAZIONALE ATESTINO di ESTE).

Quello di Venezia e' a parte, non solo per l'aggiunta tardiva nel novero, ma anche perche' specificatamente Museo d'Arte Orientale. La manifestazione e' organizzata dalla trevigiana CULTOUR ACTIVE che  si e' occupata anche del catalogo stampato da L'Artegrafica Snc. di Casale sul Sile (TV).

Sulla pubblicazione ho molte riserve, poiche' i testi sono veramente esigui, le schede degli oggetti esposti appena sufficienti, anche se tutto e' bi, ed anche tri lingue, in qualche caso.

Belle foto, si, ma tutto ha un'aria divulgativa da libro delle Scuole Medie Inferiori, e neanche didatticamente al meglio.

L'avventura e' proposta dal curatore Adriano Madaro, figura conosciuta per aver, fra l'altro, seguito le quattro puntate, per dire cosi', trevigiane, sulla civiltà cinese, alcuni anni or sono.

I reperti, recuperati in campagne di scavo fra gli anni sessanta e gli anni settanta del novecento, appartengono ai periodi dei cosiddetti: PRIMAVERE E AUTUNNI( 770-454 a.C)e degli STATI COMBATTENTI (453-221 a.C).

Gli oggetti sono esposti in Europa per la prima volta, e nelle intenzioni c'e' un tentativo di raffronto fra l'antica cultura cinese e quella veneta, ospitante, nelle epoche coeve.

La mostra e' suddivisa in cinque sezioni: LEGNO DIPINTO E LACCATO, CONTENITORI RITUALI, LA MUSICA, ARMI E ARMATURE, PREZIOSA ELEGANZA.

Una delle curiosita', se si può chiamare tale, data la tragica vicenda, e' quella detta dei nove tumuli, uno solo dei quali nasconderebbe la sepoltura sontuosa di un generale immeritatamente caduto in disgrazia e giustiziato.

A posteriori riabilitato, gli furono riservate esequie principesche ed una tomba ricchissima sotto uno dei nove tumuli creati per depistare i saccheggiatori, ma ogni appassionato di archeologia sa come questi escamotages non riuscissero che raramente nel loro intento di evitare le violazioni dei predoni senza scrupoli.

Comunque i predatori moderni scoprirono il nascondiglio, i suoi tesori, ma non la testa d'oro che l'imperatore aveva fatto forgiare per metterla sulle spalle del povero corpo che aveva perso la sua, non certo per distrazione, ma per troppa fedelta' ripagata con l'invidia, l'ingiusta delazione, la morte ignominiosa... storie d'altri tempi... mica tanto!


emilio campanella


Fino al 12 Luglio, a Venezia,  Ca' Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, ospita svariate centinaia di pezzi della manifattura storica veneziana, esposti al piano nobile del palazzo e corredati dal monumentale, accuratissimo catalogo pubblicato per i Musei Civici Veneziani, da Antiga Edizioni.

Un'importante esposizione di arti applicate dopo quella dedicata al collezionista Nani Mocenigo, e la successiva, sulla famiglia Pisani Moretta.

Quegli oggetti, sono in deposito per un periodo molto lungo di tempo, e possono essere ammirati al secondo piano nobile del palazzo, stesso progetto riguarda anche gli attuali in esposizione.

Il Modenese Geminiano Cozzi riusci' ad importare i materiali adatti a creare una porcellana di alta qualita', subito dopo Meissen, con concorrenze locali, e lotte senza quartiere anche in tribunale; produsse dal 30 Luglio 1765, e fino al 1808... data fatidica, quando nel 1804 era mancato il fratello Vincenzo sopravvissuto sei anni a Geminiano.

La mostra e', ovviamente, di quelle in cui ogni oggetto andrebbe guardato con attenzione: ogni servizio, ogni tazzina, ogni piattino, ogni figurina, ogni gruppo.

Il criterio e scientificamente tematico oltrechè stilistico. Le vetrine storiche nelle sale accanto al Salone da Ballo sono abitate da tazze con stemmi delle famiglie per cui furono create, ma anche di "piccoli" servizi con semplici decorazioni a righe, quasi un'anticipazione dèco.

Le mode cambiano e le figure colorate diventano elegantemente tutte bianche.

Centinaia di deliziosi soprammobili per la gioia dei collezionisti: cavalieri e nobildonne, maschere e pitocchi, non mancano neppure numerosi nani spiritosi ed anche erotici, rivisitazione sui generis degli eroti pompeiani... un affollatissimo trionfo di piccole sculture da disporre sui tavolini, le consolles, nelle credenze, per la gioia, oggi, di collezionisti, appunto, ieri, delle dame che ne facevano il vanto delle loro eleganti dimore.

Nel settecento, un nuovo materiale molto piu' duttile del legno, del marmo, del bronzo, stimola a creare opere scultoree originali, in miniatura, e non, come fino ad allora, copie e modelli di statue famose.

La difficolta' del trattamento del materiale, le sue differenti cotture, la qualita' del risultato della pasta ne determina la preziosita'.

Prima, a Venezia, venne usato il vetro lattimo, per imitarla. Sontuosi e numerosissimi i servizi, ed i prestiti sono molteplici per cercare di dare idea di completezza, siccome chi ha un piattino, chi una tazza, chi due piatti, etc.. .e su un tavolo sono esposti piatti piani e fondi, zuppiere di varie dimensioni, coppe, coppette, lattiere, bricchi per il caffè e la cioccolata, gelatiere, piattini speciali da dolci, in forma di conchiglia o di foglia.

In un altro salone, vertine elegantemente disposte, presentano molti soggetti e stili, da quello cineseggiante, ed una serie di "Buddha della Buona Fortuna", in realta' il bodhisattva Hotei della tradizione zen, e l‡ del Buddismo Chan, uno dei quali, che si e' giustamente meritato manifesto e copertina del catalogo, porta in mano un piccolo cartiglio con scritto: Venezia.

I soggetti sono anche sfondi con architetture d'invenzione, giardini, trionfi di fiori. Una mostra imperdibile, per gli appassionati.                       


emilio campanella


Alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, sino al 19 Giugno, la prima esposizione allestita nelle sale restaurate e da poco riaperte al pubblico, dell'ex convento, che portano la firma di Andrea Palladio.

Prende le mosse dove si concludeva la mostra: Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento, tenutasi a Padova nel Palazzo del Monte di Pieta' nel 2013.

Stessa la casa editrice, Marsilio, che pubblica un importante catalogo, ancora una volta e nello stesso formato.

Due dei curatori sono i medesimi, l'impianto generale ha una rispondente struttura ed un simile intendimento generale: attraverso la figura dell'importantissimo stampatore veneziano, restituire un quadro evocativo della cultura del tempo, nell'insieme delle arti, delle lettere, dell'architettura, delle posizioni scientifiche, della societa' colta del tempo.

Societa' che conosceva tutti i riferimenti mitologici e le loro implicazioni metaforiche, di cui erano ricche le tele dei pittori, i testi pubblicati, le incisioni, le sculture, i bronzi, una cui un'ampia scelta esemplificativa e significativa e' presente nell'esposizione.

L'impressione e' che l'attuale mostra sia piu' "difficile", non tanto perche', tenga presente la "puntata" precedente padovana, anche se non lo escludo, ma che. invece presupponga, nel rarefatto, alto ed evocativo percorso, una piu' importante preparazione del pubblico lagunare...

Si richiede molta attenzione, ma altrettanto si creano stanze dell'emozione, come quella dalle pareti nere cui sono applicate tutte le pagine illustrate dell'Hypnerotomachia Poliphili. Ovviamente sono molti i magnifici volumi esposti, e fra questi, ovviamente, di Pietro Bembo, Gli Asolani, del 1505, dalla British Library di Londra, ed il De Aetna del 1496 da Cambridge, The Syndics of Cambridge University Library.

Non e' il caso di ricordare l'invenzione tecnologica di Manuzio: i volumi di piccolo formato, preziosissimi, stampati con grandisima cura, ricchi d'illustrazioni, miniature, incisioni, ma che il lettore poteva agevolmente portare con se' a passeggio od in viaggio, mentre fino allora i volumi erano di grande formato, pesanti, sontuosi, certo, ma pressoche' inamovibili, praticamente.

Qui se ne vede un esempio nel S.Gerolamo nello studio di Vincenzo Catena, dalla National Gallery di Londra. Invece, nell'abside finale della mostra, il cui colore rosso non e' piaciuto ad alcuni, sono riuniti quattro ritratti: Tiziano Vecellio, Ritratto di Gentiluomo (Jacopo Sannazzaro?) 1514-1518 c.a, Londra, Royal Collection Trust/hm Queen Elisabeth II; Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio: Ritratto di donna, 1520 c.a, Lione Musèe des Beaux Arts; Francesco Mazzola detto Il Parmigianino: Ritratto d'uomo con petrarchina, 1526, Montecarlo, collezione privata; Lorenzo Lotto: Ritratto di Laura da Pola, 1543-1544 c.a, Milano, Pinacoteca di Brera.

Ognuno di loro ha fra le mani un piccolo, prezioso libro, e sono pensosi, il loro sguardo e' lontano, il pensiero sta riandando alle evocazioni delle letture appena effettuate ed interotte per riflettere...prima di arrivare qui siamo passati davanti a tele, tavole dipinte, disegni, incisioni, sculture, bronzi, marmi dei maggiori autori del secolo, molti dei quali sono dello stesso museo ospite.

Ulteriore scelta che collega, fonde, lega strettamente il luogo all'esposizione temporanea, naturalmente lo scopo e' quello, a fine mostra, di salire e ritrovare gli stessi grandi autori nelle sale delle Gallerie.


emilio campanella


Non me lo aspettavo proprio, anche perche' non sapevo che fosse malato, ma forse lo avevo rimosso; ci ha lasciati anche Paolo Poli, il nostro elegante ottantasettenne, interprete e continuatore del teatro all'antica italiana sul lato brillante e caustico (ho sempre considerato Carmelo Bene l'esponente principe del versante tragico della stessa tradizione), della commedia borghese, del romanzo d'appendice, delle buone cose di pessimo gusto, delle canzoncine, canzonette, canzonacce d'antan che ti martellano in testa senza riuscire a liberartene, ma che, in fondo, ti divertono anche.

Riusciva a raccontare un romanzone in cinque minuti, un dramma verista in trenta battute, una tragedia in quattro gesti, infarcendo tutto di coltissime esilaranti citazioni, couplets ammiccanti, sorrisi e strizzate d'occhio indirizzate con precisione, con un'eleganza, un aplomb invidiabili, e mai una caduta di gusto.

Dagli anni cinquanta del secolo scorso alla genovese Borsa di Arlecchino, attraverso radio, e che radio! Ed anche televisione di gran gusto, facendo coppia ad esempio, lui bambino per bene con i calzoncini all'inglese, con una Sandra Mondaini, indimenticabile bambinaccia!

Ma tornando alla radio, e vado a braccio, non voglio consultare archivi, ma affidarmi alla memoria: partecipazioni a dei Tre Moschettieri memorabili in cui faceva i personaggi peggiori (come Milady ) divertendosi follemente, e poi, più recentemente, sempre su Radio3 le letture delle Sorelle Materassi di Palazzeschi, con uno scavo feroce dei caratteri e di un umore cattivo e perfetto; senza contare un Pinocchio forse quasi più sottile e crudele di quello del gia' citato Carmelo Bene.

Spazio' dalla letteratura di ricerca (Gli esercizi di stile di Queneau) all'agiografia tradizionale (Rita da Cascia, anche in una edizione sonora in audiolibro, di storica pubblicazione, in cui ricopre tutti i ruoli), dalla reinvenzione della tradizione (La leggenda di S.Gregorio), alle favole-anche-per bambini, alle serate d'onore (Favole e Mezzacoda). Dichiaratamente ed elegantemente omosessuale, legato ad una gaiezza antica, gioiosa e solare, fine dicitore, attore, mimo; a suo agio in abiti sontuosamente femminili come in frac bianco o nero (Mezzacoda, ancora) lettore di poesia liberty e decadente, sempre con molto rispetto e sorniona ironia ed autoironia.

Memorabili certi suoi ruoli cinematografici, come la centenaria in H2O di Roberto Faenza.

Indimenticabile anche nella memoria degli amici, come dei conoscenti occasionali, per la sua capacita' di conversatore sempre interessante e spiritoso, capace di creare spettacolini inventando, ricordando, raccontando con abile funambolica memoria.

Generosissimo in scena riusci' ad improvvisare ed inventare per un'ora, (quando in anni lontani, i suoi spettacoli avevano un mese di rappresentazione nel perduto Teatro del Ridotto di Venezia) in occasione di un guasto tecnico fortunosamente risolto, deliziando il pubblico che si era goduto un'ora di Paolo Poli a sorpresa in regalo.

Ci manca gia' , ovviamente molto, questo inossidabile ragazzaccio!


emilio campanella


Prende le mosse da tre volumi: White Women, Sleepless Night, Big Nudes - che sono anche sottotitolo - la mostra che la Casa dei Tre Oci di Venezia, dedica al maestro tedesco di nascita sino al 7 Agosto.

I tre piani del palazzo sono la corrispondente suddivisione delle grandi sezioni citate nel sottotitolo, e portano i titoli di altrettante pubblicazioni di raccolte fotografiche: White Women del 1976 (84 immagini, di cui 44 a colori), Sleeples Nights del 1978 (71 fotografie, di cui 33 a colori) e Big Nudes del 1981 (49 scatti in bianco e nero).

E' un'esposizione, come si puo' ben immaginare, in cui la figura femminile e' preponderante, sono donne, donne bambole, donne pericolose, pericolose bambole.

Il gioco che Newton crea e' sempre estremamente accurato e millimetricamente  giocato sugli effetti drammatici, anche con molti e colti riferimenti pittorici.

Sono set ambientati accuratamente, giochi di riferimenti ed evocazioni, suggestioni anche molto erotiche, ma sempre plasticamente mostrate, e mai volgari.

Due citta', essenzialmente, fanno da sfondo: New York e Parigi, dove le situazioni proposte sono molto differenti, come gli interni e gli esterni.

Nato nel 1920, a Berlino, da un' importante famiglia di origine ebraica, emigro' a causa delle leggi razziali e comincio', gia' giovane, la carriera di fotografo, sposo' Alice Spring (June Brunnell), fotografa affermata, a sua volta.

Nel 1961 inizio' ad occuparsi di moda e pubblicita' in modo decisamente innovativo ed anche fortemente provocatorio, spostando il fulcro dell'attenzione dell'immagine.

Frequenti sono i riferimenti alla pittura barocca, ma senza stucchevoli imitazioni, quanto attraverso collegamenti quasi subliminali.

Sempre interessante, e qui particolarmente puntualizzato il raffronto fra l'abito ed il corpo nudo come nelle famosissime Sie Kommen (dressed) e Sie Kommen (undressed) del 1981.

Curioso sapere, se vogliamo, che Newton era daltonico, non so dire se avesse una visione cromatica diversa dalla media, senza contare che ognuno di noi non puo' che avere una visione unica del colore: basta fare una qualunque discussione intorno a sfumature, nuances e contrasti, per accorgersene, o se la sua fosse una vera e propria acromatopsia, fatto sta che lavorava e girava sempre con due macchine: una per il bianco e nero, l'altra per il colore.

Con il risultato che il bianco e nero e' straordinario per sfumature, il colore, sempre perfetto.

Gli uomini sono quasi delle comparse nel suo mondo, a volte meno, ingannati come noi, spesso, da bellissimi, elegantissimi, affascinanti, seduttivi manichini provocando chi guarda, seducendolo con qualcosa che poi risulta, non solo fittizio, ma proprio artificiale, e di cui, pero' puo' non accorgersi subito, od anche per nulla.

Talvolta partiva con una foto di moda, che diventava ben altro come nel caso di Self portrait with wife and model del 1981 che iniziando dalla pubblicita' di un impermeabile compone una successione di piani visivi con la modella di spalle, in primissimo piano (sono sempre indossatrici professioniste, attrici, star dello sport, amiche felicissime di essere fotografate da lui).

In uno specchio la bellissima e' di fronte, ma in un angolo ginocchia gambe e scarpe dal tacco altissimo, di un'altra figura,  che neanche La Sheer di Allen Jones; in fondo, Newton che fotografa, con l'impermeabile troppo grande per lui, tolto all'indossatrice; all'estrema destra, apparentemente fuori campo, inconsapevole, seduta, in attesa di uscire a cena, la moglie: almeno cinque piani visivi, ed un dichiarato omaggio a Vel‡squez.

Non posso non ricordare: Sylvia in my studio, Parigi 1981, grande nudo quasi espressionista, fra posa, acconciatura ed in un bianco e nero che fa pensare a Man Ray, però con bellissime scarpe "alla" Allen Jones, ancora. Aggiungo la presenza di Liza Lyon, che fu musa anche di Mappelthorpe, di una giovanissima Charlotte Rampling. Hotel Nord-Pinus I, Arles 1981 ed a conclusione, un magnifico, inaspettato ritratto di Karl Lagerfeld, del 1973, e due "ambientati" di David Hockney.


emilio campanella


Per sei mesi, sino al 15 Novembre, la Fondazione Cini di Venezia, riapre le sale di Palazzo Cini a S.Vio con una nuova ed importantissima esposizione di opere provenienti dalla collezione di Vittorio Cini: Capolavori ritrovati, della Collezione di Vittorio Cini.

Si tratta di una trentina di opere mai viste raggruppate e, da alcuni, anche studiosi (come il Tiziano), mai viste.

Tutte di maestri veneziani, dal Trecento al Settecento, organicamente divise nelle differenti sale del secondo piano dell'edificio.

L'accuratissimo allestimento, l'illuminazione sorvegliatissima contribuiscono ad una ottima fruizione visiva delle opere, che in sale non troppo grandi, si possono vedere anche da molto vicino, con grande emozione.

Il salone centrale ha su un tavolo. Esposti tre grandi album di disegni di Giovanni Antonio Guardi con trentasette rappresentazioni di Fasti Veneziani; alle  pareti affrontantisi, due tele di Antonio Canal, detto Canaletto: Veduta ideata con rovine romane in riva al mare e Veduta ideata con ruderi romani, medievali e architettura rinascimentale, di grande bellezza e malinconia.

Nella piccola sala adiacente: Cibele, Vulcano e Nettuno, tele sagomate realizzate da Antonio Guardi per il soffitto di un ambiente del palazzo veneziano dei Zulian.

Oltre la bellezza delle opere, la felicita' di poterle godere grazie ad una visione cosÏ ravvicinata, cosa che un soffitto, come si sa, generalmente, non permette.

Dopo la sala del Trecento e del primo Quattrocento, con opere da Guglielmo Veneziano a Nicolo' di Pietro, ecco introdurre il Rinascimento, la Madonna Speyer di Carlo Crivelli; successivamente, l'importantissima: Madonna con il bambino e i Santi Francesco e Giovanni Battista, di Bartolomeo Montagna, che ha comunque gran bisogno di restauro, o per lo meno, di pulitura.

Concludo queste note- temo, molto imprecise siccome la cartella stampa  che ho a disposizione e' gravemente incompleta, ed il piccolo catalogo Marsilio non e' stato distribuito - con la sala rinascimentale.

Il Tiziano cui accennavo sopra: San Giorgio, tela frammenteria e d'interpretazione controversa quanto dalla storia d'attribuzione molto accidentata, e comunque, interessantissima; il magnifico piccolo Ritratto di Giovane di Bernardino Licinio; sempre suo il Ritratto Virile ed un bel Lorenzo Lotto: Ritratto di gentiluomo ( Fioravante Avogadro degli Azzoni?).

Nei prossimi mesi, quando tutte le esposizioni di Primavera/Estate saranno aperte, questa dovra' essere una tappa obbligata per chi ami l'arte antica. 


emilio campanella


All'Isola di San Giorgio, a Venezia, la Fondazione Cini, ancora una volta con Pentagram Stiftung propone, dal 18 Aprile al 31 Luglio una nuova importante esposizione de Le Stanze del Vetro: Il vetro degli architetti. Vienna 1900-1937.

Un raffinatissimo percorso espositivo che si snoda lungo tutta l'esperienza dei quasi quarant'anni presi in esame, attraverso la reinvenzione di un materiale millenario e dalla grande tradizione boema, sulla spinta ispirativa delle esperienze inglesi e francesi coeve.

Oltre trecento pezzi che faranno la gioia di appassionati e collezionisti e provenienti, per la maggior parte, dal museo MAK  Museo Austriaco di Arti Applicate/Arte Contemporanea di Vienna.

Per la seconda volta si guarda oltre la tradizione muranese, come precedentemente a proposito dell'esperienza finlandese.

La mostra si divide in sette stanze, ognuna con una carta da parati in stile con gli oggetti esposti, sempre con l'abituale affiancamento di disegni preparatori, e questa volta, e piu' importante che in altri casi, foto d'epoca di allestimenti espositivi, negozi, arredamenti con cui le belle vetrine dall'esposizione dall'ottimale illuminazione si sposano alla perfezione. in conclusione un lungo corridoio, evocazione omaggio di un'antico allestimento scarpiano.

Il viaggio fra iridescenze e trasparenze s'inizia con una vertina introduttiva che porta in nomi degli architetti che progettarono gli oggetti che si vedranno: una loro fotografia ed un vetro esemplificativo dello stile, si tratta di: Josef Hoffmann, Koloman Moser, Joseph Maria Olbrich, Leopold Bauer, Otto Prutscher, Oskar Strand, Oswald Haredti, Adolf Loos, accomunati nell'avventura attraverso la Secessione Viennese, la Wiener Werkstatte, il Werkbund.

Queste le stanze sezioni della mostra: 1, Verso una moderna arte del vetro austriaco: la nascita di un nuovo stile. 2 Affermazione del nuovo stile, fondazione della Wiener Werkstatte. Anni creativi per Bakalowits, Loetz e Lobmeyr. 3 I vetri austriaci tra il 1910 e il 1913: il "Bronzit" e il vetro della Wiener Werkstatte. 4 L'esposizione del Werkbund a Colonia e i vetri del periodo bellico.5 Il periodo classicista, i vetri colorati di Joseph Hoffmann. 6 L'arte del vetro in Austria negli anni venti e trenta - L'Esposizione di Parigi del 1925 e il vetro austriaco. 7 "Boudoir d'une grande vedette", la sala di vetro di Joseph Hoffmann per l'Esposizione universale di Parigi del 1937. Corridoio: Il design del vetro moderno a Vienna. Dalla stencil al disegno autonomo - Progetti espositivi per il vetro moderno a Vienna tra il 1900 e il 1937. Promozione ed esposizione.

Ho deciso di riportare integralmente i titoli e gli argomenti delle sezioni per rendere l'idea della precisione scientifica che contraddistingue questa importante esposizione che, agilmente percorre alcuni decenni della storia di quello che era l'impero Austro Ungarico di "Cacania" attraverso la ben nota Finis Austriae, il crollo Imperial-Regio con la disfatta della I Guerra Mondiale, immane tragedia per tutti, vincitori e vinti.

Il proseguimento di una esperienza artistica con manifatture che erano a quel punto, all'estero, la continuazione di esperimentazioni professionalmente di altissimo livello, dallo Stile 1925 al Dèco vero e proprio, e poi verso la successiva catastrofe, ma questa volta ci fermiamo appena prima. Skira ha pubblicato l'abituale, direi tradizionale, magnifico, monumentale, accuratissimo catalogo.


emilio campanella


SCOPRIRE TIZIANO, alla Pinacoteca Manfrediniana di Venezia, l'esposizione di una inedita versione della Deposizione di Gesu' nel sepolcro, accompagnata dalla pubblicazione di: Tiziano, indagini sulla pittura edito da etgraphiae di Roma.

L'occasione della tela inedita, visibile sino al 2 Luglio si affianca alla visita di una preziosa pinacoteca che pochi conoscono, e delle opere di Tiziano presenti tanto nella Basilica della Salute, che nella Sacrestia.

Sino all'11 Maggio un ciclo di conferenze su temi tizianeschi. Essendo l'ingresso del Seminario Patriarcale sul Campo della Salute, questa manifestazione rientrera' naturalmente nel MUSEUM MILE, il Miglio dell'Arte, dalla Punta della Dogana, il Seminario, appunto, la Collezione Guggenheim, Palazzo Cini e le Gallerie dell'Accademia.

Responsabile della coraggiosa iniziativa e' Andrea Donati, che dopo lunghe ricerche, aver fatto studiare fotograficamente la tela a Parigi, ed averla fatta restaurare in Italia, la presenta e la racconta nel volume citato di cui e' autore. Un detective dell'arte, dunque, simpatico ed appassionato, dall'eloquio coinvolgente e dalla scrittura colta ed intrigante.

Il libro presentato, ampiamente documentato, anche iconograficamente, si compone di quattro saggi intorno a temi ricorrenti, differenti versioni e trasformazioni nel tempo dei temi stessi affrontati in gioventu' e rielaborati, per cosi' dire, e ripensati nella grande maturita' del pittore.

Le quattro sezioni dell'opera sono quindi: La deposizione di Gesu' al sepolcro, Il tributo della moneta, Giuditta e Salome', I ritratti Acquaviva d'Aragona.

Naturalmente, siccome la "scoperta" e' quella della tela esposta, sara' la sua storia, che grazie alla pazienza del Professor Donati tempestato di domande, cerchero' di raccontare, nella sua avvincente complessita'.

Il fiuto dello studioso lo aveva portato sulle tracce di un' opera tizianesca non nota, presente a Parigi, e conosciuta da studiosi locali che lo accompagnarono a vedere la tela appartenente ad una collezione privata. Vistala, rimanendone colpito, nonostante lo stato di grande degrado, venne deciso di fare delle analisi fotografiche che sotto una pesantissima patina di vernici, rivelarono un impianto corrispondente alle deposizioni del Prado ed a quella dell'Ambrosiana di Milano.

A quel punto iniziarono i tre anni di studi e di ricerche per appurare se si trattasse di un'opera del maestro, e del suo percorso nei secoli, prima di arrivare fino a noi, come la vediamo oggi, dopo un accurato restauro. Si sa che alcune opere ebbero grandissimo successo e vennero molto richieste da differenti committenti, come si sa che nei lunghi viaggi, alcune andarono perdute, e questo si desume dalla corrispondenza di Tiziano con Filippo II, destinatario proprio dell'opera in questione, e due delle cui versioni sono a Madrid, ma altre, andarono perdute per terra e per mare, potremmo dire.

Il porto di arrivo da Venezia era Cartagena, e anche il quadro ritrovato potrebbe essere proprio passato di la', forse acquistato da un pittore spagnolo (JerÚnimo S‡nchez Coello), anche allievo di Tiziano, che aveva alcune opere del maestro nella propria collezione, a Siviglia; della presenza di una deposizione incompiuta tizianesca parla, pi˘ tardi,  Luis Tristan, allievo di El Greco.

A questo punto entra in scena, possiamo dire, l'importante famiglia italo ispanica che si trasferi' nel nuovo mondo, in Peru', dove peraltro ebbe un importantissimo ruolo nella storia di quel paese, nel settecento, e da cui mantenne sempre stretti rapporti con la Spagna. Il quadro rimase sempre proprietao' dei De la Riva Aguero che si unirono ad un ramo Della Rovere nel 1735... passati i secoli... a Parigi si teneva un Tiziano in biblioteca, dove Andrea Donati lo ritrovò.

Questa, per sommi capi, l'avventurosa ed appassionante vicenda che riguarda un tema molto dibattuto e studiato, quello degli originali multipli, come li definiscono gli studiosi, una teoria ribadita proprio dal Professor Paul Joannides (Universita' di Cambridge), presente a Venezia il 14 Aprile, nella sede che ospita il quadro, in occasione della sua conferenza: Titian's paintings of Danae, e che pare sia rimasto, come altri,  molto positivamente impressionato alla vista dell'opera.

Concludendo, dopo secoli e le tappe dallo studio di Tiziano alla Spagna, dal Per˘ alla Francia, questa Deposizione di Gesu' nel sepolcro, torna a Venezia, ed e' una fortunata occasione per vederla. Consiglio caldamnente il volume citato, accessibile non solo agli studiosi, ma anche agli appassionati, per la sua colta e "facile" possibile fruizione.


emilio campanella

Lino Selvatico, Una seconda Belle 'Epoque.
E' il titolo della piccola, purtroppo piccola - peccato che sia cosi' piccola- mostra dedicata ad un pittore veneziano, padovano di nascita (1872), figlio di quel Riccardo Selvatico ch'ebbe ruolo di punta nella vita cittadina, fu sindaco dal 1890 al 1895, e creo' la Biennale.

La pubblicazione dell'accattivante monografia catalogo dallo stesso titolo si deve LSWR GROUP insieme con i Musei Civici Veneziani.

L'esposizione, in due sale del secondo piano di Ca' Pesaro, si potrao' visitare sino al 31 Luglio.

Un limitato percorso costituito da ventisei dipinti per la produzione peraltro ampia di un artista deceduto prematuramente, in un incidente motociclistico, nel 1924.

Partecipo' a varie edizioni della Biennale, viaggio' a Parigi nel 1914, vide molto di cio' che accadeva intorno a lui in quegli anni, ma rimase coerentemente ancorato al suo stile, alla sua ricerca formale, ai suoi ritratti.

La curatrice, Elisabetta Barisoni, e' riuscita, con bell'equilibrismo, a costruirvi intorno tre sezioni, nelle sua proposta di tentativo di un percorso espositivo, se cosi' lo si vuole chiamare.

Donna, che presenta ritratti di attrici, nobildonne, danzatrici, elegantemente "fatales", come si usava.

Grandi tele che risentono di una profonda cultura figurativa e di una notevole tradizione alle spalle: dalla pittura veneziana del cinquecento, a Gainsborough e Reynolds, ma volendo anche Van Dick e Goya, giocando con suggestioni, atmosfere, evocazioni di personalita' di grande "allure". Famiglia, che propone una scelta di ritratti della moglie, della musa ispiratrice, dei figli, in vari modi, in varie eta', in situazioni teatralizzate ed intriganti, se non addirittura d'inquietudine e quasi di tentazione simbolista.

Modella, la terza sezione, con opere di piccolo formato, piu' spesso su tavola, di studi del corpo femminile, sempre al centro della produzione dell'artista, ed ovviamente, anche in questa scelta. La maggior parte delle opere esposte e' di collezione privata della famiglia, alcune, molto importanti, dello stesso museo ospitante, ed entrate a far parte delle collezioni, grazie a storiche acquisizioni di esposizioni Biennali ormai antiche, come: Ritratto della Contessa Annina Morosini, 1908; Cappuccetto Grigio, 1903; Mamma e bambino, 1922.


emilio campanella


A conclusione del ciclo di conferenze organizzate in occasione della mostra: Scoprire Tiziano, intorno all'inedita e ritrovata Deposizione di Gesu' nel sepolcro, esposta nella Pinacoteca Manfrediniana, ospitate nell'Auditorium del Seminario, si e' svolta  lo scorso 11 Maggio, introdotta dalla Professoressa Ileana Chiappini, e dal Professor Andrea Donati, la presentazione del volume: La capostipite di se', una donna alla guida dei musei. Caterina Marcenaro, a Genova, 1948-'71, di Raffaella Fontanarossa, edito da etgraphiae di Roma.

Lavoro documentatissimo che offre un quadro molto ampio sulla situazione museale genovese dall'immediato dopoguerra e per i decenni successivi. Il ritratto professionale e non solo di una donna forte, e non poteva altrementi, soprattutto in quegli anni. Inflessibile docente di storia dell'arte al locale Liceo Andrea Doria, altrettanto dura e pura dirigente dei Musei Civici Genovesi, invisa per le sue scelte ardite e coraggiose, responsabile della rinascita, della ricostruzione, del restauro di importanti edifici semidistrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Invisa perche' donna e perche' antifascista convinta da sempre.

Bersaglio di strali della stampa polemico/scandalistica di giornali destrorsi molto letti all'epoca, si difese, controbatte' e ricevette pubbliche scuse per attacchi immotivati e spesso maldestri.Il volume, nelle sue abbondanti e documentatissime trecento pagine divise in dodici parti e numerosissimi paragrafi utilissimi per ritrovare temi, argomenti, episodi; nella fattispecie: edifici, restauri, allestimenti, mostre, si leggono con molto interesse, e qui parlo in prima pesona, essendo genovese, e conoscendo tutti i monumenti di cui si tratta, ricordando voci legate a giudizi che correvano in citta', su certe scelte, e che non potevo certo giudicare, ma che registravo.

Mi ha molto colpito leggere il capitolo dedicato alla mostra: Pittori Genovesi del Seicento, a Genova del 1969. Una delle prime mostre temporanee a Palazzo Bianco, che vidi in anteprima con i miei...non ci capii un'acca, ovviamente, ma ancora la ricordo, anche perche' era in un'ora serale, di tarda primavera, e comunque qualcosa ha lasciato, dato che ho continuato ad amare l'arte per tutti i cinquant'anni successivi. Nel volume, che ha un amplissimo apparato di note, oltre un notevole apporto iconografico, si puo' scegliere il livello di approfondimento desiderato di ogni argomento. Riportati molti frammenti, anche importanti, di carteggi, come quello intercorso con Roberto Longhi, proprio a proposito della mostra appena menzionata. Intensissimo il rapporto con gli architetti; intanto Albini ed i suoi allestimenti di Palazzo Bianco, ormai quasi inesistenti, e di Palazzo Rosso, per fortuna, maggiormente rispettato.

Magnifica l'invenzione del sotterraneo Museo del Tesoro di S.Lorenzo, recentemente restaurato, e, per fortuna mantenuto nella forma originaria vincente che Albini invento' su suggestioni micenee. Durezza di pietra e cemento per racchiudere preziosissimi tesori di oreficeria sacra. Si parlo', per un periodo, della ricostruzione del Teatro Carlo Felice, e venne interpellato Carlo Scarpa, ma il progetto non ando' in porto, e fu realizzato molto piu' tardi, quello che si conosce, di Aldo Rossi. Il legame con Venezia, che ha giustificato la presentazione in laguna e' dato da diversi fattori come la truttura museale simile delle due citta', lo storico allestimento di Albini per la mostra di Guardi, le frequentazioni di Caterina Marcenaro, alle Biennali, per acquisti di opere contemporanee.

Uno dei lavori piu' recenti di cui ha merito e' il Museo d'Arte Orientale Chiossone, dall'architettura perfettamente inserita nel verde della Villetta Dinegro di Piazza Corvetto, e cosÏ modernamente giapponese nella sua struttura razionale. Ancora, il Museo della Scultura Ligure, di S.Agostino, che, dopo il laboriosissimo restauro custodisce, fra i suoi tesori, i meravigliosi frammenti del monumento funebre di Margherita di Brabante di Giovanni Pisano, ritrovato negli anni sessanta e di cui fu discussissima l'esposizione con il supporto albiniano, a Palazzo Bianco (1963).

Molto lavoro, molta decisa coerenza e difesa delle proprie scelte, che risulta chiaro nell'esposizione scritta del volume, come lo e' stata dalle parole della bella presentazione dell'autrice. Si consiglia caldamente la lettura a chiunque sia interessanto ai problemi della Museologia, soprattutto in questo momento di grandi difficolta', a chi ama l'arte in generale, ai genovesi, ovviamente, ma non solo a loro, anche per riparare all'ingiustificata damnatio memoriae di cui Caterina Marcenaro e' stata fatta oggetto. In conclusione, la biografia professionale di una donna che ha contribuito alla ripresa di una citta' in ginocchio nel dopoguerra, in un paese che cercava di risollevarsi, ma anche uno sguardo sulla figura privata di una personalita' apparentemente dura, ma che, soprattutto dalle foto private, si scopre essere stata, di grande, umana sensibilita'.

emilio campanella