ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Luglio - Agosto - Settembre 2017


LA COAZIONE A RIPETERE DI DAVID HOCKNEY - VICENTINI A TRENTO - JEANNE MOREAU, UNA BELLISSIMA, NON BELLA * 74a MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA: DOWNSIZING - THE SHAPE OF WATER - CASA D'ALTRI - SUBURBICON - THE LEISURE SEEKERS (ELLA E JOHN) - VICTORIA & ABDUL - SANDOME NO SATSUJIN (THE THIRD MURDER) - MEKTOUB, MY LOVE, CANTO UNO - LA PREMIAZIONE * TESORI DEL MOGHUL E DEI MAHARAJA - UN RICORDO PER GASTONE MOSCHIN - LYDA BORELLI - UNA GITA IN TERRAFERMA - LASCIVIA - WERNER BISCHOF - SECESSIONI EUROPEE - L'ULTIMA GLORIA DI VENEZIA
Alla Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Venezia, a Ca' Pesaro, dal 24 giugno, e sino al 22 ottobre prossimo, si puo' visitare un'importante mostra di opere dell'inglese David Hockney (Bradford 1937): 82 ritratti ed 1 Natura Morta. Uno dei fiori all'occhiello dei Musei Civici Veneziani, per questa estate.

Pittore interessantissimo e molto amato, dopo Londra e contemporaneamente a Parigi, sbarca in laguna. Questa esposizione di opere recenti, curata da Edith Devaney, e realizzata in collaboazione con la Royal Academy of Arts di Londra, sara' poi al Guggenheim Museum di Bilbao ed al Los Angeles County Museum of Art.

Tutti i ritratti sono fra il 2014 ed il 2016, la natura morta, (frutta su una panca) del 2014. E' un percorso immersione fra colori saturi, chiari, caldi, freddi, freschi, giovanili, e soprattutto una coerenza stilistica cromatico rappresentativa che lega gli ottantadue quadri, tutti del medesimo formato, e la natura  morta ne ha le stesse caratteristiche.

Gli sfondi sono di due colori: blu e verde, per il pavimento ed il fondale, ma alternati ed abbinati ai corpi, agli abiti, ai volti di tutte queste persone che fanno parte del suo entourage. Tutti son seduti sulla stessa poltroncina, qualcuno e' a proprio agio, altri, proprio no; i tempi di posa, sono mediamente di tre giorni, per un set tendenzialmente invariabile.

E' una serie di variazioni su tema, si direbbe, o di coazioni a ripetere, non compulsive, ma di approfondita ricerca estetica e psicologica. Peraltro negli, ormai lontani, anni ottanta del novecento, era una prassi esecutiva nello spettacolo, nella danza, nella musica, e nelle arti figurative.

Abbiamo cominciato ad amare la ricerca di Hockney, proprio in quegli anni,  lui, grande artista giocoso e sorridente, solare e sornione quanto, e non meno che notturno e profondo, fra zenith e nadir alla ricerca degli djin che sono dentro ognuno di noi.

Basta, proprio qui, pensare al ritratto di J.P. Conàalves de Lima, l'unico che si distacchi dagli altri, lui che ha uno strano tappetino sotto i piedi, e con la poltroncina su quello che pare un pontile, l'acqua alle spalle, lui, ripiegato su se stesso, la testa fra le mani. Il puntuale catalogo raffronta ed individua l'ascendente nell' : Uomo anziano nel dispiacere di Vincent Van Gogh, del 1890.

L'ottimo volume edito da Skira con i Musei Civici Veneziani, ricco di testi e d'immagini, racconta Hockney che si racconta, e riproduce perfettamente le opere esposte. Il titolo e', ovviamente: 82 portraits and 1 still-life, ed ha la bellezza di un bel libro per bambini. In questa linea, l'ultima sala dedicata ad un atelier per adulti e bambini, dove si puo' giocare a comporre il proprio autoritratto "alla Hockney".

Accurato, al solito, l'allestimento firmato da Daniela Ferretti, giocato su attenti ed abili contrasti cromatici fra pareti e ritratti, e sorvegliata ed efficace, l'illuminazione. Essendo a Ca' Pesaro, si puo' cogliere l'occasione per fare una nuova visita alle collezioni permanenti, recentemente risistemate con nuovi criteri, dal nove maggio scorso, quando venne anche presentata un'ampia scelta della collezione Chiara e Francesco Carraro, ora intengrata nel percorso espositivo. Il titolo e': Uno sguardo sul novecento. Opere che vanno da De Chirico a Donghi, da Morandi a Severini, Arturo Martini, Bugatti, Zecchin, Wildt.

Vetri magnifici firmati da Barovier, Martinuzzi, Buzzi, Scarpa, Bianconi, Seguso, Venini. All'ultimo piano e' ancora aperta la rara mostra di maschere teatrali indiane legate al Ramayana, di cui ho parlato precedentemente, e che si potra' visitare sino al 10 settembre. Poco lontano, a Palazzo Mocenigo, nel salone del piano nobile, la seconda esposizione della collezione Storp: Cabinet of curiosities, sino al primo ottobre.

Una scelta di straordinarie boccette da profumo dal 300 a.C. di un recipiente per l'unzione sacra, pezzo egizio di influenza siriana, in argilla ed a forma di pocospino, sino ad un teddy bear, l'Orsacchiotto Shuco con flacone, americano del 1927. Irrinunciabile per chi ami le arti applicate, esposto ed illuminato con grandissima cura. Al piano terra: Transformations, Six artist from Sweden. Gioielli creati e reinventati, partendo da oggetti di altro uso, sino al 10 ottobre; rientra nella rassegna Novecento, dei Musei Civici Veneziani.

emilio campanella


Sino al 5 Novembre, a Trento, al Castello del Buonconsiglio: Ordine e Bizzarria, il Rinascimento di Marcello Fogolino; sino al 6 Novembre; al bellissimo Museo Diocesano Tridentino della stessa città: Viaggi e incontri di un artista dimenticato.

Il Rinascimento di Francesco Verla. Due rare occasioni di poter raffrontare il lavoro di due artisti coevi, viaggiatori entrambi, per quanto per motivi molto differenti, esperimentatori di nuove forme acquisite da altri maestri, e che sensibilizzarono i contemporanei a stili nuovi per la regione, portando con le ventate di novita', anche una maggiore apertura della pittura locale, nei confronti di quella del centro Italia, ad esempio, ed al considerarne la modernita'.

La mostra al Castello del Buonconsiglio e' curata, non a caso, da Giovanni Carlo Federico Villa, direttore onorario dei Musei Civici di Vicenza, insieme con Laura Del Pra', direttore del Castello del Buonconsiglio, e da Marina Botteri, che ne e' la conservatrice. Friulano di nascita,  figlio di un pittore di buon livello, Marcello Fogolino fu mandato a Vicenza a bottega da Bartolomeo Montagna; successivamente visse e lavoro' a Venezia, quindi rientro' a Vicenza nel 1518.

A causa dell'accusa dell' omicidio di un barbiere commesso, pare, con il fratello, per questo ed altri motivi, quali la difficolta' di nuove commissioni, data la situazione, si trovo' a Trento dove s'iniziava la grande avventura della costruzione del Magno Palazzo nel Castello, cui parteciparono artisti e maestranze di altissimo livello.

Qui Fogolino lavoro' fra il 1528 ed il 1533 lasciando importantissime testimonianze nei magnifici cicli di affreschi che in occasione di questa esposizione, si possono vedere accanto ad opere pittoriche di non facile fruizione, grazie a prestiti determinanti come la Madonna col bambino e santi, dal Rijksmuseum di Amsterdam, mai esposta in Italia, dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, dalla Pinacoteca di Palazzo Chiericati a Vicenza.

Consiglio caldamente, magari a percorso ultimato, il ponderoso, completissimo catalogo, vera amplissima monografia su un pittore di grande interesse, da scoprire per il suo lavoro, il suo stile, le sue influenze, per la sua vicenda umana molto accidentata (non solo considerato assassino, ma anche delatore e spia).

Il volume, quinto della collana Castello in mostra, e dal prezzo importante, giustificato dalla mole, e' denso di saggi illuminanti,  di curatori e studiosi, e ricco di magnifiche illustrazioni cromaticamente molto fedeli. La pubblicazione e' sotto l'egida della Provincia autonoma di Trento, il Castello del Buonconsiglio, Monumenti e collezioni provinciali.

Altro discorso merita Francesco Verla, pittore veramente un po' riscoperto; personalita' poliedrica, gran viaggiatore, grande esperimentatore; se Fogolino lavoro' ad Ascoli Piceno, il nostro fu lungamente nel centro Italia, a Roma, a contatto diretto con Perugino, ne acquisi' certe morbidezze stilistiche che porto' al nord "contagiandone" il gusto, con quelle innovazioni.

La "piccola" mostra curata da Domizio Cattoi ed Aldo Galli, e' immersa nel magnifico Museo Diocesano Tridentino, primo museo diocesano italiano dei 218 esistenti attualmente, e che negli anni settanta erano solo trenta.

La mostra nasce da una collaborazione con l'Università di Trento. Verla fu a Roma negli anni del Papa Borgia e nel momento del lavoro di Pinturicchio e della scoperta della neroniana Domus Aurea,  fu anche fra coloro che "importarono" al nord le "grottesche" che divennero una vera e propria moda nella decorazione a fresco, ma anche presenti nei fregi delle pale d'altare, frequenti nelle architetture delle ambientazioni delle scene sacre, soprattutto, ma non solo.

Molto accurato il catalogo edito dallo stesso museo.

emilio campanella


Jeanne Moreau, volto che ci ha accompagnato dall'adolescenza di cinéfiles, é salita " au Paradis" come dicono i francesi, con il gioco di parole teatrale, siccome il Paradis francese puo' essere inteso come il loggione dei teatri all'italiana, quello, come si sa, frequentato da chi ama il teatro, ma ha pochi soldi.

Jeanne Moreau aveva una solidissima formazione teatrale con studi ed esperienze anche alla Comédie Française che influenzo' tutta la sua lunga carriera di attrice cinematografica, interpretando ruoli di misteriosa, fascinosa, ribelle, pericolosa, depressa, altera, sprezzante.

Una galleria di figure femminili indimenticabili con grandissimi registi: da Truffaut ad Antonioni, da Louis Malle ad Orson Welles e fino a Fassbinder, ed ho citato pochi nomi a caso, ma Il primo: Truffaut, e l'ultimo, Fassbinder sono legati da due canzoni memorabili.

La prima: Le tourbillon de la vie da Jules et Jim che Moreau cantava con la sua piccola voce educata e l'espressione imbronciata della tragica ragazza indecisa fra due amori; l'altra, la ballata di Oscar Wilde musicata da Peer Raben: Ogni uomo uccide chi ama, che Moreau cantava disperata di sentirsi esclusa da quel mondo di uomini, lei la favolosa Lysiane di Querelle.

Tutti conoscono l'episodio legato al film, ma desidero raccontarlo ancora: Jeanne Moreau scritturata, era - ovviamente - a conoscenza della sua parte, aveva studiato la sceneggiatura, ma non aveva ricevuto alcuna indicazione.

Giunta sul set, un poco inquieta, essendo una serissima professionista che si confrontava con un giovane regista geniale, pare abbia domandato a Fassbinder in quale modo dovesse rendere il personaggio, al che, si dice che il grande Reiner le abbia risposto suggerendole di essere semplicemente se stessa.

Così Jeanne Moreau ha contribuito con la propria magnifica interpretazione alla costruzione di un straordinario film, testamento poetico di un grande regista.

Nata nel 1928, Jeanne Moreau, non solo ebbe una lunga ed importante carriera in cui come ho accennato, esperimentò molto e sempre con grandi registi, basti pensare ad un film misterioso come Eva di Losey, o tornando a Truffaut, la curiosa apparizione notturna ne I quattrocento colpi.

Fu regista cinematografica interessante, e ricordo con piacere il suo Lumière; purtroppo non ho visto L'adolescente.

Passo' da Becker (Grisbi) a Bunuel (Diario di una cameriera), da Bertrand Blier ad Elia Kazan (The last Tycoon), Wenders, Angelopulos, Ozon, Gitai, Oliveira, e molti lavori di Jose'e Dayan.

L'ho vista soltanto una volta a teatro ne "Le récit de la servante Zerline", con la regia di Klaus Michael Gruber, per cui ricevette il premio Moli'ere come migliore attrice, nel 1988, ed e' un ricordo indelebile.

Grazie di tutto  M.me Moreau, ora andro' a cercare La sposa in nero, ancora di Truffaut, e lo rivedro' con grande piacere, ed a proposito di musica riascoltero' con emozione la colonna sonora di Bernard Hermann, uno che se ne intendeva di atmosfere e di inquietudini.

emilio campanella

Settantaquattresima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica La Biennale di Venezia, 30 Agosto,  9 Settembre 2017.

Gia' da giorni fervevano i lavori in attesa dell'inaugurazione di oggi, in Piazzale S. Maria Elisabetta, al Lido naturalmente, era comparso un cubo di compensato, dall'approvazione popolare non ricompensato, un cubo abbandonato, un dado desolato che una mattina ci e' apparso blu notte, con su la scritta Esterno Notte  ed il programma delle proiezioni a Venezia.

In zona cinema ci si muove fra parallelepipedi blu... lo stesso blu con un riquadro rosso, ed un cubo rosso, quello della Sala Giardino, il rosso ed il blu, faranno la gioia dei tifosi genoani, ma con il Palazzo del Cinema bianchissimo, con molte lampade (gli annosi cuori che lo decoravano sino allo scorso anno, sono scomparsi, solitari e spezzati, forse, come sono volati via i tanti leoni invecchiati, da tempo non più dorati) e comunque, a pensarci bene i tre colori possono far pensare ad un omaggio alla Francia... chiederemo lumi.

Intanto ieri, a Mostra non ancora iniziata, si aggirava in un hard discount, fra casalinghe variamente inquiete, bimbi recalcitranti e mariti (?) infastiditi, un signore fiero del suo pass di accreditato, festivalier trionfante, cinéfile bulimico e vagamente incompreso, in quel luogo.

Il programma della kermesse, si e' aperto con il film in concorso di Alexander Payne: Downsizing, che puo' essere definito un dignitoso inizio di festival.

La situazione del pianeta e' preocupante, ed in questo il film e' di grande attualita'. Uno scienziato, dopo anni di tentativi, riesce a portare a compimento un processo grazie al quale gli esseri viventi possono essere ridotti drasticamente di misura. Per capirci, una persona di 180 cm verrebbe ad avere una statura di dodici.

Rivoluzionario e con grandi vantaggi di riduzione dell'impatto umano sul pianeta, ovviamente... le cose non sono semplici, ma procedono; molti si lasciano convincere e miniaturizzare, vivendo in citta' delle dimensioni di plastici per i trenini elettrici.

Bisogna dire che il film e' molto curato, ed a modo suo credibile, nella sua ipotesi. Gli incontri fra "giganti" e "piccoli" sono resi con grande attenzione formale e drammaturgica.

Il film ha una buona tenuta pur nei suoi centotrentacinque minuti cui gioverebbe una sforbiciata qua e la'.

Fra i tanti, ma non tantissimi, si lascia convincere Paul (Matt Damon), un brav'uomo dalla vita non riuscitissima, che al risveglio viene a sapere che la moglie ha ceduto all'ultimo momento e lo ha lasciato solo...sbarchera' il lunario tristemente, conoscera' il vicino di sopra (Christoph Waltz), simpaticamente maneggione, con un piede in un mondo ed uno nell'altro per i suoi traffici non pulitissimi.

Faranno tutti un viaggio in Norvegia per visitare la prim a comunita' miniaturizzata, ed insieme con una dissidente vietnamita rimpicciolita per punizione e viva per miracolo. La ragazza ( Hong Chau) oltre ad essere in un gruppo di colf, si occupa di tutti i diseredati che le stanno accanto, infatti vedremo che il mondo lussuoso ha il suo rovescio cui si accede con un vecchio autobus attraverso un angusto tunnel in un altisimo muro che divide i poveri dai ricchi.

Bisogna dire che il film e' sceograficamente prezioso e suggestivo, e che le parti scientifico-sanitarie sono di notevole effetto e molta intelligenza.

Non mancano spunti ironici che hanno permesso ai soliti, si sganasciarsi, alla prima proiezione per la stampa. Siccome la situazione precipita e lo scioglimento dei ghiacci provochera' l'avvelenamento di tutto il pianeta, a causa del metano, lo scienziato folle, eh beh si, pazzo lo e', anche se gentile e pacato... convince tutti a lasciare il mondo di superficie per poter sopravvivere in un organizzatissimo sotterraneo.

Paul sta per fare un'ulteriore scelta senza possibilita' di ritorno, salvo poi cambiare idea appena in tempo e ritornare fra le braccia della ragazza vietnamita con la quale il rapporto e' ormai chiaro. Continuera' ad aiutarla nel su compito umanitario... un finale a modo suo, ottimistico nei confronti dei valori della solidarieta', per quanto a tre quarti, il film perda un po' di mordente.

Comunque interessante la coppia Yankee/vietnamita... qualche decennio fa non si sarebbe neppure riusciti a pensarla.  Avverto che la sigla della Mostra e', finalmente cambiata, e che cita anche La La Land... e te pareva!                   

emilio campanella

The shape of water, in concorso per Venezia 74. Con la consueta, coltissima, cinefila abilita', Guillermo del Toro ha rivisitato il mito del Mostro della laguna nera ed ha ambientato la sua storia anche molto romantica, negli Stati Uniti del 1962, in piena guerra fredda, ad un anno da Dallas, in un cupo centro di ricerca scientifico-militare dove e' detenuta una creatura rapita al suo ambiente naturale sudamericano.

Vediamo arrivare il cassone con oblo' che contiene l'animale umano-anfibio, considerato una divinita' nei suoi luoghi di origine, e qui incatenato, picchiato, torturato, con pretesti scientifici di dressage, ma con un manganello elettrificato. La metafora e' trasparente.

A questo arrivo assiste Elisa (Sally Hawkins, molto brava, come tutti gli attori) ragazza muta per un trauma subito, di cui non sapremo mai, ma che sente benissimo.

Successivamente lei e la collega ed amica (Octavia Spencer), piu' di una volta dovranno ripulire il sangue della creatura torturata. Elisa all'inizio e' curiosa, poi e' mossa da compassione e riesce ad instaurare un dialogo con l'uomo pesce.

Siccome oltre cortina le spie lavorano alacremente, un infiltrato e' presente nel laboratorio, e lavora facendo il doppio gioco, ma soprattutto ee' umano ed è  uno scienziato coscienzioso, per cui tenta l'impossibile per salvare l'uomo-animale dalla vivisezione cui lo hanno condannato gli americani, o dall'iniezione letale caldeggiata dai russi per non permettere le ricerche del nemico. Il tempo stringe ed i buoni si uniscono per salvare la creatura amata ormai e difesa da tutti.

Una fuga viene organizzata nei minimi particolari, con episodi decisarmente divertenti e sempre molto intelligenti. Chi nascondera' la creatura? Elisa, naturalmente, con l'aiuto del simpatico vicino (Richard Jenkins), un cripto-omosessuale di mezza eta', decisamente simpatico, un altro diverso, dunque, come la collega di Elisa che e' nera.

La vita in appartamento non e' facile, una vasca da bagno e' appena sufficiente a sopravvivere, la soluzione salina , difficile da equilibrare, i giorni passano in attesa di grandi piogge previste per poter liberare la creatura nel suo elemento, quando il livello dei canali sara' sufficientemente alto.

Ovviamente la bella, non bellissima, ma credibile ed il mostro, non mostruosissimo, si innamorano, e se la prima volta fanno l'amore nella vasca di casa, la seconda, Elisa riesce a riempire la stanza da bagno, come un acquario, certo l'acqua filtra di sotto, nel bellissimo cinema, e la situazione precipita. Il cattivo cattivisimo (Michael Shannon) e' sulle loro tracce e ci saranno due rese dei conti.

La seconda sotto una pioggia battente, con molte vittime, ma non bisogna dimenticare che la creatura ha dei poteri speciali e che e' quello che in occidente consideriamo, un semidio, infatti ne abbiamo avuto le prove in momenti differenti. Una vicenda anche molto romantica, condotta con grande intelligenza ed attenzione. Con notazioni puntuali e precise a connotare i caratteri dei personaggi, le situazioni, dall'ambientazione accuratissima  la notevolissima fotografia.  Film di un regista cinefilo che inanella eleganti citazioni discrete e puntuali in una vicenda che ha un sapore anche un po' espressionista.

Ci sono alcuni momenti memorabili: quando la creatura entrata nel cinema rimane affascinata da un peplum; la canzone di Elisa che rirova la parola (solo in quel momento) e la danza con il mostro, in un momento di godibilissimo musical'; lei che con il suo amico guardano i divi della celluloide in televisione e fanno un delizioso tip tap seduti sul divano. Va da se' che Sally Hawkins danza molto bene. Nel finale che non rivelo, un omaggio a L'Atalante.

Un convinto applauso alla fine della proiezione di questo film apparentemente ludico, ma quanto profondo nelle sue notazioni sulla diversita', il razzismo, il maschilismo, problemi ancora irrisolti.                  

emilio campanella

Casa d'altri, di Gianni Amelio, fuori concorso, un corto di sedici minuti, dedicato al terremoto del 24 Agosto dello scorso anno, girato con la consueta, umana sensibilita' di questo regista sempre alla ricerca dell'approfondimento dei rapporti umani, dei rapporti fra le persone ed in relazione con il proprio ambiente, e qui il luogo: Amatrice, e' distrutto  ed ancora oggi stenta ad essere ricostruito.

Amelio ha scelto alcuni volti, alcune parole, dei frammenti di storie e li ha montati con il pudore che gli conosciamo. Vediamo dei cumuli di macerie e delle macchine che lavorano a frantumarle fra nuguli di polvere grigia; si avanza una coppia che si fa due foto sullo sfondo della distruzione.

Un ragazzino di fuori parla al telefono con un amico lontano, stentando a fargli comprendere l'orrore che sta vedendo e che gli stringe il cuore.

Parla delle piccole case costruite, carine ed in cui "si può vivere", dice.

Davanti ad una di queste, un uomo anziano stende il suo bucato, poi rientra, guarda delle cose, quelle che sembrano immaginette, le bacia, poi lava i piatti. Esce e per strada mostra ai passanti quella che era una piccola foto, nella speranza che qualcuno possa riconoscere quel volto, dargliene qualche notizia.

E' un uomo solo, isolato, incompreso, pochi guardano veramente quella immagine, i piu' si allontanano infastiditi.

Sentiamo le parole di una giovane donna che racconta il destino di una coppia di vicini e si dice indignata ed addolorata contro chi si fa le foto in quella distruzione, contro chi chiede indicazioni per vedere le macerie... che sono poi gli stessi che intralciano in caso di incidenti e rallentano i soccorsi con la loro morbosa curiosità, o che vanno a spiare una nave semiaffondata.

Ascoltiamo le parole dense di significato di un operaio che si interrompe commosso e si allontana. Un pianosequenza ci mostra lo stato della citta', poi vediamo arrivare l'uomo anziano che si ferma in un punto preciso, si china, comincia a spostare sassi, frammenti di materiali, terriccio, polvere, raspa, scava alla ricerca di qualcosa irrimediabilmente perduto... ricordi, cose, persone, una vita intera.

E siamo daccapo, praticamente un anno dopo con il sisma che ha colpito Ischia.  

Uscito da questo "piccolo" film. ed ancora pensoso, dopo essere salito sull'autobus che in pochi minuti porta all'imbarcadero dei battelli, sempre in Piazzale S.Maria Elisabetta, scendendo mi sono accorto che due dei leoni gia' dorati, ed ora color bronzo, sono volati sui cubi blu, si, ora sono diventati due, io avevo parlato, in effetti, di uno, e sono certo che  ne scoprirò altri.

Ricordo che erano un gran numero...alcune decine, uno per ogni anno del festival...se dovessero decidere qualche azione per i loro diritti di animali mitici dimenticati, potrebbero bloccare l'isola od oscurare il sole, volando in formazione!                  

emilio campanella

Suburbicon di George Clooney, in concorso. George Clooney torna per la terza volta da regista, alla Mostra di Venezia, e con un film partito da lontano, infatti i fratelli Cohen ne scrissero la sceneggiatura nell'85, subito dopo Blood Simple.

Nel titolo una piccola citta' modello immaginata su la reale Levittown creata da William Levitt dopo la Seconda Guerra Mondiale e riservata a persone di "razza caucasica".

Anche Suburbicon e' una cittadina bianca ed ariana, indipendente ed autosufficiente, tranquilla ed idilliaca... fino all'arrivo di una famigliola afroamericana, i Meyers... un orribile neo da estirpare in tanto candore.

Le reazioni non si fanno attendere, ed intanto si cominciano ad inchiodare palizzate intorno al loro giardino, per non vederli. Non dalla parte dei Lodge, famiglia tranquilla e normale, composta da Gardner Lodge (Matt Damon non espressivissimo, ma adatto al ruolo), Margaret (Julianne Moore) e la sorella gemella di lei (ancora Juliane Moore, brava come sempre, ma non più del solito; un'interpretazione molto corretta, ma prevedibile) ed il figlio Nicky ( Noah Jupe, bravissimo!).

Il film e' ambientato nel 1959 ed ha potenti agganci con la realta' attuale, tanto perchee' la storia parallela della famiglia nera è stata aggiunta alla vicenda dei Lodge consentendo un notevole lavoro di montaggi alternati, interno-esterno, come dire, ma non certo meccanici, quanto fluidamente motivati dall'ambientazione generale della vicenda.

Una sera due energumeni irrompono in casa vessando e narcotizzando tutti, con il risultato di uccidere Margaret, piu' fragile perchè paralizzata.

Tutti sono scioccati, sconvolti, addolorati, una formale solidarieta' li avviluppa. La polizia indaga ed al confronto all'americana i due adulti negano di riconoscere i due malviventi. Nicky sgattaiolato non visto nella stanza li riconosce, tace, e si accorge della menzogna degli adulti.

Da quel momento comincia a vedere le cose in una luce gradualmente differente; intanto continua la sua amicizia con il coetaneo nero, esortata fin dall'inizio da madre e zia.

La vita continua, e la tensione, in citta' cresce sempre piu' fino a dei disordini anche sanguinosi ed al rischio del linciaggio della famiglia nera, evitato per molto poco.  Intanto la polizia ricontatta Lodge che non sembra veramente interessato alle indagini. I malviventi si rifanno vivi, e qualcosa cominciamo a capire, delle molle che li hanno spinti alla loro azione. Intanto un investigatore della compagnia che dovrebbe liquidare l'assicurazione di Margaret si presenta e dichiara la propria perplessita' nei confronti di certe scelte amministrative del capofamiglia; abile ed insinuante incastra la vicemadre di Nicky, ma non ha fatto i conti con una donna che da bambina e' stata sicuramente un'assidua frequentatrice del Piccolo Chimico, come dimostrera' anche in un'altra occasione.

Mentre fuori le strade sono a ferro e fuoco, in casa Lodge si precipita nell'inferno piu' profondo. Il film molto accurato e montato con estrema accuratezza, risulta un ottimo prodotto di genere che ha un po' un sentore di factory, inevitabilmente, ma un'attualit‡ sorprendente, considerando che è stato terminato nello scorso inverno, e che i disordini americani sono di poche settimane fa.

Consiglio di fare molta attenzione ai molteplici segnali di cui è disseminato il film, ad esempio alla domanda che un malvivente pone a Margaret. L'investigatore sembra quasi un doppio del regista. Anche in questo film l'onnipresenza televisiva e le sue interviste che fanno accapponare la pelle.

Questa e' una comunità "ideale" di potenziali assassini, e con un bubbone che esplodera' al suo interno.L'ultima notazione riguarda il ragazzino traumatizzato svegliato durante la notte da rumori provenienti dalla cantina dove dorme il padre. Passato in cucina prendera' un coltello e brandendolo scendera' le scale, tirera' la cordellina dell'interuttore ed illuminera' una "scena secondaria" potremmo definirla, fra suo padre e la zia; interdetto tirera' nuovemente la cordicella ed il buio della rimozione coprira' la sua sorpresa.

Dopo una strage, lo zio accorso per salvarlo lo nascondera' nell'armadio della madre consegnandogli una pistola, il padre lo trover‡ e lo disarmera'. Due volte Edipo rinuncia di fronte al potere del padre, ma seguiranno delle spiegazioni che il ragazzo potrebbe anche evitare, avendo gia' compreso molto piu' di noi. Poi sara' giorno fatto, i Meyers sono stati aiutati a ripulire il loro giardino, anche dalla loro auto andata a fuoco, non certo da sola. Nicky uscira' a giocare a baseball con il suo amico.

Mi scuso di non essere sceso in dettagli, ma la sorpresa, e qui non ne mancano, e' determinante.              

emilio campanella

The Leisure Seekers (Ella e John), di Paolo Virzì. in concorso. Una seconda fuga, dopo quella delle pazzerelle meravigliose di La pazza gioia, ci racconta, Paolo Virzì, in questo suo film di ambientazione americana, ma che non manca delle qualità precipue del suo cinema.

Chi fugge in questa occasione, sono sue anziani coniugi dalla salute molto compromessa: John (Donald Sutherland, di una simpatia travolgente, affascinante parlatore, tenero, fragile, caparbio, capriccioso, sperduto... perfetto ed impagabile), ex professore di letteratura, molto amato e stimato sta cadendo nel baratro del morbo di Alzheimer ed Ella (Helen Mirren, magnifica donna forte sino alla fine), malata di cancro, praticamente terminale.

Un altro magnifico film "on the road" per un'ultima vacanza, lasciandosi alle spalle terapie, medici, ospedali, cliniche, ospizi per anziani paventati come i collegi, dai ragazzi di una volta.

Dopo la prima proiezione per la stampa, ho sentito lamentarsi della durata, forse della lentezza, siccome il film dura 112 minuti, non certo eccessivi, ma forse la lentezza che percepiamo e' voluta e corrisponde ai ritmi della morte, abbiamo il coraggio di dirlo, per quanto Ella e John siano vitali e straordinariamente capaci di assaporare ogni momento di questa loro ultima vacanza insieme.

Ovviamente i figli sono terrorizzati da quello che potrebbe accadere, e non hanno torto, infatti questi strepitosi "vecchi pazzi" di rischi ne corrono non pochi, ma si sa, come si dice, c'e' sempre un santo per gli incoscienti, ed il viaggio picaresco prevede molteplici episodi divertenti e drammatici, situazioni anche molto rischiose dalle quali i due riescono a sfuggire , anche molto grazie alla grande intesa, la stima reciproca, l'amore profondo che li lega. Si sostengono a vicenda nei momenti, molti bisogna dire, di difficolta'.

Quando lei si sente male, lui si riscuote dalle sue fantasticherie in un mondo di decenni prima; quando lui si perde, lei lo aiuta a ritrovare la strada, le parole, le frasi, i nomi. La tragedia più grande e' rendersi conto che una mente brillante, una persona colta, intelligente, spiritosa si riduca a balbettare frasi di cui ricerca il senso... ma poi ci sono i "miracoli", basta una mezza parola suggerita, ed ecco alzarsi il velario sullo splendore di una magnifica lezione di letteratura incentrata su Hemingway, grande passione dell'anziano docente che intavola lunghi discorsi come con la camerierina nera bellissima che gli suggerisce una frase dimenticata de Il vecchio e il mare, felicissima di dirgli di aver dato la sua tesi su quel testo, o l'ex studentessa casualmente incontrata, di cui ricorda, a decenni di distanza, curriculum accademico, nome, cognome e qualità di studentessa intelligente e devota.

Se si puo' fare un appunto al film e', forse, di aver inserito una crisi coniugale semidimenticata e riaffiorata per la confusione di John, pero' questo porta ad un episodio di grande importanza in sottofinale, quindi, forse ha una sua utilita' nell'economia del racconto; peraltro i due anzianoi coniugi che al campeggio, fuori del loro camper, guardano vecchie diapositive, tecnica che lei utilizza per tenerlo agganciato alla realta', incuriosisce i vicini, affettuosamente molto interessati ad un mondo che non hanno conosciuto...ma questo portera' anche a qualche piccola resa dei conti, poi superata brillantemente, come si dice.

Un lungo applauso ha accompagnato le immagini durante i titoli di coda. Una pausa sotto un sole quasi caldo, dopo una mattinata grigia e molto fresca e due passi guardando chi si apprestava a passare la giornata appoggiato alla recinzione del tappeto rosso, fra ombrellini colorati, che dopo la pioggia, sarebbero serviti a proteggere dai raggi di un sole ancora estivo, coloro che si apprestavano ad ammirare i protagonisti della passerella, di là a qualche ora.

Rientrati nella sala Darsena ci si preparava ad assistere alla proiezione di VICTORIA & ABDUL, di Stephen Frears, fuori concorso.

Diciamo subito che la protagonista, Judy Dench, quasi sempre al centro dello schermo, vale da sola la visione di un film, peraltro, ammettiamolo, non proprio utilissimo, siccome riflessioni sul potere, sulla solitudine dei potenti, sulla presenza incombente delle corti, sugli obblighi, l'etichetta e tutto il resto, ne abbiamo visti molti, e lo stesso Frears ha detto cose ben più forti ed importanti.

Qui sembra un po' di essere ritornati ai tempi in cui il cinema inglese veniva liquidato come: ben fatto. Certo e' sempre l'opera di un grande regista, e con momenti notevoli, come il primo sguardo fra la regina ed il giovane indiano (Ali Fazal), ma non sono moltissimi, ed alla lunga ci si stanca un po' di tanta accuratezza formale un po' fine a se stessa.              

emilio campanella

Sandome no Satsujin (The thirth murder) di Kore-eda Hirokazu, in concorso.                              

Il terzo assassinio, si, forse, perche' nulla e' sicuro in questa vicenda, e nessuno dice la verita', come sentenzia una ragazzina al centro di questa cupa e misteriosa storia.

All'inizio assistiamo ad un omicidio in cui la vittima viene cosparsa di benzina e bruciata.

L'assassino in carcere incontra uno staff di avvocati che sostituisce il precedente e che cerca di trovare delle motivazioni per smontare l'impianto accusatorio.

Viene detto che l'assassino reo confesso e' una persona che mente in continuazione e smentisce, trasforma le dichiarazioni, modifica le versioni.

Il film, formalmente rigorosissimo si svolge praticamente quasi tutto in interni, fra lo studio degli avvocati, il carcere, quasi essenzialmente, e pochi altri luoghi dove si svolgono le indagini.

E' un po' in un certo modo un film giudiziario, ma con un notevole lavoro di sceneggiatura che delinea, attraverso i dialoghi, i caratteri.

Se nella prima parte, l'attenzione e' messa alla prova dal susseguirsi di elementi che vengono proposti,  in seguito, la faticosa ricerca della verita'...di una verita' che possa aiutare ad allontanare una condanna a morte, costituisce la suspence del film, se cosi' si può dire.

Uno degli avvocati, separato, ha una figlia adolescente che ogni tanto combina qualcosa, ed ha un evidente un bisogno di attenzione. Quella dell'omicida vive lontano e sembra non aver desiderio di riavvicinarsi al padre. La figlia della vittima accusa il padre assassinato, di stupro reiterato. Evidentemente ci viene suggerito un forte conflitto generazionale fra padri e figlie, in questo caso. 

Non ci si ferma qui, ad ogni incontro, l'imputato aggiunge una nuova visione della storia di cui e' protagonista. Dipendente sfruttato, data la sua storia giudiziaria pesante, suggerisce di aver ucciso su spinta della vedova...assicurazione? Tangenti? Poi non esclude di aver voluto aiutare la ragazzina, liberandola dal padre mostruoso.

Mah... a chi credere? Che cosa credere? E tutto questo, comunque, per allontanare lo spettro della pena capitale. La lettera di scuse dell'assassino, viene strappata, senza essere aperta, dalla vedova, e questo viene giudicato crudele...visioni un po' differenti dalle nostre, bisogna dirlo, come la considerazione della pena di morte, un punto di vista, per fortuna, molto lontano da noi.

Una pellicola assolutamente non facile, e che richiede moltissima attenzione da parte dello spettatore, per l'importanza delle parole, la sottiglieza dei giri di frase.

Interessantissima la presenza del padre dell'avvocato, ex giudice, che su richiesta del figlio produce i faldoni del processo in cui aveva risparmiato la vita all'imputato attuale, il quale aveva scontato trent'anni. Pentimento, dubbio... afferma che quello, forse, fu un errore, siccome ha permesso la nuova uccisione di cui ci si sta occupando.

Verso la fine, l'accusato ritratta la confessione che dice essergli stata suggerita ed imposta dal precedente avvocato... sarò vero? Si dichiara innocente dell'omicidio, afferma che la fabbrica per cui lavorava compiva frodi alimentari... la difesa si trova ulteriormente compromessa. Nell'ultimo incontro in carcere, un serrato confronto fra due uomini: l'imputato ed il difensore, su temi fondamentali che li coinvolgono.                                 

emilio campanella

Mektoub, My Love, Canto Uno di Abdellatif Kechiche, in concorso.                                           

Dopo la proiezione del film di cui parlerò sotto sono uscito dalla sala Darsena e mi sono guardato intorno, il cielo era vagamente cosparso di nubi tranquille, con un sole pacato e tiepido che un po' appariva, un po' si nascondeva.

Ancora un bel po' di gente a passeggio di fronte al Palazzo del Cinema, persone sedute sui cubi bianchi accanto alla passerella, chi consultando i programmi dellle proiezioni, chi conversando, ovviamente di cinema, ma pacatamente, senza le fibrillazioni delle primi giornate, d'altronde mancano solo tre giorni alla conclusione.

Il film di Kechiche, per la quarta volta a Venezia dopo La faute
Voltaire ( 2000, Premio Opera Prima); Le grain et le moulet, Cous cous  (2007, Gran Premio della Giuria, e che avrebbe meritato il Leone d'Oro); Venus Noire ( 2010).

Ora presenta la prima parte di un progetto cinematografico che dovrebbe essere una trilogia, tratta dal romanzo: La blessure, la vraie, di François Bégaudeau.

Con l'abituale tecnica costruita su lunghe scene e dialoghi complessi, sia a due, che di gruppo, solitamente create attraverso elaborate improvvisazioni (non so qui, trattandosi di un soggetto preesistente), ci introduce in una realta' quotidiana di giovani del sud della Francia, autoctoni ed immigrati tunisini, seconde e terze generazioni, integrate totalmente nel tessuto sociale con attivita', famiglie complesse ed allargate.

Insomma si torna nei dintorni di Marsiglia, esattamente a Sète e si segue con gli occhi di Amin, come dire l'io narrante, l'osservatore, aspirante sceneggiatore, appena rientrato da Parigi, per una vacanza in famiglia e raccogliere materiali di vario tipo per il suo futuro lavoro.

Si ritrova catapultato in mezzo alle complicazioni dei rapporti umani dei ragazzi suoi coetanei, viene a conoscenza di segreti che, peraltro, tutti sanno, ma che fingono di ignorare. Il cugino Toni ha una relazione intensa con Ophélie, fidanzata con Clément, su una portaerei in zona di guerra, siamo nel 1994, come nel romanzo.

In spiaggia i due ragazzi fanno conoscenza con due nizzarde in vacanza, una purtroppo per lei, si innamora di Toni che Ë un incredibile farfallone un po' fanfarone e tombeur de fammes come lo zio simpaticissimo e sempre brillo.

La vita procede fra mare, ristoranti, discoteche, sballi solo a base di alcool, e neanche troppo; amori, seduzioni, gelosie, pettegolezzi per tre ore.

Conosciamo le qualità del regista che dirige benissimo gli attori e colpisce la capacita' di suscitare e mantenere vivo l'interesse cosi' a lungo, con una vicenda narrativamente orizzontale.

Forse un po' troppa discoteca, per quanto la bellissima, commovente scena del parto gemellare della pecora, che Amin fotografa, nella fattoria del padre di Ophélie, subito prima delle serate di ballo dei ragazzi, comportamento animale l'uno come l'altro, in rapida sequenza, sia un'idea molto interessante, certo ritroviamo la sua ossessione per il corpo femminile, ripreso con una visione molto maschile, ovviamente, ma anche quasi voyeuristica.

La stessa impressione della scena d'apertura, un erotismo torrido, per quanto ben girato, che ha per protagonisti Toni e la bellissima, bisogna ammetterlo, Ophélie. Fra gli ottimi attori si riconoscono volti gia' apparsi nei suoi film, specialmente quello di Hafsia Herzi, Premio Mastroianni per Cous Cous.

Mi resta una perplessita': mi domando che senso abbia mettere in concorso un film ch'e' ancora solo un frammento, per quanto importante, di un'opera molto piu' ampia.

emilio campanella

74a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, la premiazione. Eccoci arrivati alla fine, ai premi, alle ovazioni, alle delusioni, ai rimpianti ed agli arrivederci al prossimo anno.

La fluviale cerimonia, molto piu' lunga del solito e noiosotta, anche per inutili perdite di tempo dovute alle traduzioni dei discorsi di ringraziamento dei premiati, talvolta logorroici, infantili ed un po' lacrimosi, che potrebbero usufruire anche quelli del sistema della traduzione simultanea in cuffia, e' stata condotta da Alessandro Borghi con acconciatura e barba improponibili, e che ha ha pronunciato, un numero incalcolabile di volte, la parola: davvero!... si, anche con il punto esclamativo!

Ha inciampato in una battuta con Gianni Amelio, il babbo protettivo, presidente della giuria di Orizzonti che ha assegnato il premio maggiore a Susanna Nicchiarelli per il suo: Nico 1988.

Simpaticissimo, disinvolto, affabile, John Landis, presidente della nuovissima sezione: Venice Virtual Reality. Molto signorile, serissima e sobria, Annette Benning, presidente della giuria del concorso principale.

Il Leone d'oro e' stato assegnato al bel film di Guillermo del Toro: The shape of water. ma si era capito gia' dal suo atteggiamento, sorridente, affabile, amichevole con i fans, a scrivere autografi, stilare dediche, sottoporsi mansueto, alle foto ricordo.

A Foxtrot, di Samuel Maoz, il Gran Premio della Giuria. Le Coppe volpi per la migliore interpretazioni, sono state assegnate, a Charlotte Rampling, protagonista di Hannah di Andrea Pallaoro, ed a Kemel el Basha, per l'interpretazione in : The insult di Ziad Doueiri. Jusqu''a la garde di Xavier Legrand ha ricevuto tanto il premio Opera Prima Dino De Laurentiis, accettato con contenuta, ma evidente commozione; quando e' stato richiamato per la consegna del Leone d'Argento per la migliore regia, si e' sciolto in lacrime, tanto da non riuscire neppure a parlare.

Tenerone che come gli altri ha posato il suo-secondo-leoncino sul leggio, facendo anche lui un rumore sordo intercettato dal microfono. Le Coppe Volpi, invece, siccome sono pesanti, sono state posate sul pavimento...curiosita' della serata.

Il Premio Mastroianni per un giovane attore emergente e' stato assegnato a Charlie Plummer per l'interpretazione di Lean on Pete Andrew Haig. Premio Speciale della Giuria all'australiano Sweet Country di Warwick Thornton, e da ultimo Martin McDonagh, premiato per la migliore sceneggiatura di Three Bilboard Outside Ebbing, Missouri, che avrebbe meritato molto di piu'.

emilio campanella

Tesori dei Moghul e dei Maharaja, aVenezia, Palazzo Ducale, dal 9 Settembre 2017 al 3 Gennaio 2018.

Una scelta di oggetti preziosissimi da The Althani Collection (Qatar).

Duecentosettanta pezzi, dal XVI al XX secolo divisi in sette sezioni ed ospitati nella Sala dello Scrutinio, nella giusta penombra che evoca mistero ed ovviamente, sfarzo, grazie a luci sorvegliatissime che valorizzano il riflesso e lo sfavillio di pietre mirabolanti ed anche di grandi dimensioni.

Insieme ai gioielli, ai diademi, ai colliers, anche una magnifica scelta di oggetti in giada "bianca" del XVI sec. ed una nutrita gamma di pugnali dall'impugnatura, sempre nella stessa pietra, che sono vere e proprie raffinatissime sculture.

Non si puo' non nominare il ciondolo che ha l'onore di rappresentare l'esposizione: una perla di forma irregolare e di grandi dimensioni montata con oro, diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri, vetro, smalto, lacca, a raffigurare, probabilmente un dio serpente.

Il lavoro e' indiano, datato fra il 1575 ed il 1625, e s'ispira molto al gusto barocco europeo. Il percorso espositivo accenna un certo trattamento fra tematico e cronologico, in modo da contestualizzare provenienze, stili ed epoche diverse, accomunate dal lusso sfrenato.

La mostra, che ha gia' toccato il Metropolitan Museum of Art di New York nel 2014, e' stata poi a Londra, Parigi, Kyoto, ed ora Venezia, unica tappa italiana, per il suo secolare legame con l'oriente, e che sarebbe un po' il pretesto per giustificare il suo allestimento nalla sede del potere della Serenissima Repubblica, in Palazzo Ducale.

Se non fosse lo sforzo per la vista, fra penombra suddetta e riflessi che ribadisco, alcuni, tali da giustificare degli occhiali scuri... scherzo, ma non troppo, la visita sarebbe di tutto riposo.

Certo, ci sono oggetti di grande pesantezza estetica, non solo per quello specifico o le dimensioni delle gemme, ma proprio per il gusto sovraccarico, e questo in pezzi antichi, come moderni. Sicuramente non aiuta il tipo di scenografia creata e che affianca l'estetica, diciamo così, di certe catene di negozietti monocolore, che impazzavano negli anni ottanta dello scorso secolo, e proponevano gioiellini a prezzi molto contenuti, ad una proposta semi architettonica in quello che è stato creato come una specie di grande abside, il quale molto ricorda lo stile di certi grandi negozi di cristalli sfaccettati centro europei.

Skira ha pubblicato un catalogo di grande peso, ed altrettanto grande prezzo, ma la visita alla mostra e' compresa nel costo del biglietto del Palazzo.

emilio campanella

Anche lui, ci ha lasciati qualche giorno fa, l'eta' era avanzata, ma io non riuscivo ad immaginarlo diversamente dal giovanottone che interpretava Jean Valjean nello sceneggiato di Anton Giulio Majano (1964), allora si chiamavano cosÏ, insieme ad uno stuolo di attori, i migliori del teatro italiano di quegli anni.

Quella era la televisione degli anni sessanta! Indimenticabile, affettuoso e protettivo, accanto a Cosette ( Giulia Lazzarini).

C'era stato anche Il mulino del Po, da Bacchelli (Sandro Bolchi 1963) ma non avevamo ancora la tv.

 Passarono gli anni e giovane appassionato di teatro, lo ritrovai come Zio Vanja in un allestimento del Teatro Stabile di Torino, per la regia di Mario Missiroli (!977), e due anni dopo, indimenticabile Mago Cotrone sempre a Torino, ancora con Missiroli, in un magnifico allestimento di Enrico Job, una meravigliosa conchiglia metallica specchiante sulla quale tutti scivolavano entrando in scena. Ilse era la straordinaria Anna Maria Guarnieri.

Questo dopo le esperienze al Teatro Stabile di Genova, ed al Piccolo di Milano. E poi fu il cinema, per questo grande poliedrico attore perfetto in ruoli drammatici e brillanti, buonissimo o perfido. Una gamma di possibilità vastissima.

Questo mio ricordo e' limitato a cio' che ho visto, cio' che ricordo e cio' cui sono legato maggiormente di una lunga, ricchissima carriera. Suggerisco solo alcuni film che ho molto amato: La visita, di Antonio Pietrangeli (1963), il camionista innamorato di Sandra Milo, maltrattata da François Périer, mentre il personaggio di Moschin e' quello di un buono.

Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini (1966) e dello stesso anno il Ragionier Bisigato, personaggio comico e tenerissimo in Signore & Signori di Pietro Germi. nel 1970, Nini' Tirabuscio', elegante commedia di Maurizio Fondato, con Monica Vitti, e lo stesso anno: Il conformista di Bernardo Bertolucci in cui e' il fascistissimo Maraniello, accanto a Jean Luis Trintignan.

Questi titoli scelti giusto per rilevare l'ampiezza di registri e la differenza di personaggi che Gastone Moschin era in grado di sostenere con grande, convincente capacita'. Questo scritto viene dopo la conclusione della Settantaquattresima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, la notizia del decesso di Gastone Moschin, e' arrivata in pieno festival , molti hanno scritto subito, altri no, io sono rimasto talmente colpito e commosso che ho preferito aspettare e scrivere a fine Mostra.

In effetti vengo dopo il commosso e rispettoso, ed ammirato omaggio di Radio 3 che domenica 10 Settembre, ha rimandato in onda un gia' trasmesso Cinema alla Radio, incentrato su Signore e Signori, programma che proponeva anche interessanti interviste con l'attore.

Per quel film, insieme con Olga Villi, come interprete femminile non protagonista, aveva ricevuto il Nastro d'Argento per la migliore interpretazione maschile non protagonista. Ho tralasciato molti altri film notissimi di cui tutti hanno parlato.

emilio campanella

Vittorio Zecchin: i vetri trasparenti per Cappellin e Venini, alla Fondazione Giorgio Cini, sull'Isola di S.Giorgio a Venezia, la mostra d'autunno de Le Stanze del Vetro, dall'11 Settembre 2017 al 3 Gennaio 2018, nell'ormai abituale collaborazione fra la Fondazione stessa, con Pentagram Stiftung.

Nome di artista importante e notissimo per la speciale pittura ornata, in cui la decorazione e' preponderante, il colore determinante, e soprattutto nel suo connubio con l'oro in rilievo dagli effetti affascinanti nell'ispirazione dichiaratamente orientalista.

Colpisce quindi il contrasto con questi suoi vetri di grandissima, elegante semplicita', realizzati fra il 1921 ed  il 1926. La consueta attenzione nell'allestimento e nell'illumnazione contraddistingue questa bella esposizione, curata da Marino Barovier, la quale, ancora una volta contestualizza i magnifici manufatti esposti con molte e grandi foto d'epoca.

Nella prima sala, anche, in un breve, antico filmato che si spia dagli scuri aperti di una finestra, il lavoro di una fornace. Vittorio Zecchin ( 1878-1947), muranese, figlio di un tecnico vetrario inizio' le sue collaborazioni con l'antiquario Cappellin e poi con l'avvocato Venini, i quali ebbero un primo negozio in S. Moisè, e successivamente a Milano, in via Montenapoleone dove pensarono a dei manufatti creati appositamente per una clientela molto elegante.

Zecchin, staccandosi dalla tradizione ottocentesca ancora molto viva, propose forme di estrema semplicita' ed eleganza, riferite all'antico, quando non direttamente ispirate, come nel caso del vaso su modello di  quello raffigurato nell'Annunciazione di Paolo Veronese ora alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, una forma-modello che si chiama, appunto: Veronese. Un altro esempio notissimo si chiama: Libellula ed e' un cono campaniforme fornito di due manici sottili e dalla curva elegantemente ampia e leggera, i colori scelti e proposti da un artista che sapeva bene come farne uso e valorizzarli, sono tutta la gamma di quelli lagunari in sfumature delicate di una tale bellezza da non saper quale preferire.

Sette grandi sale, con molte proposte estetiche; al solito, gli interessanti progetti, i disegni preparatori, ed in questo caso, anche una bella scelta di incisioni. Si propongono i vasi con i manici, quelli senza decorazione, i costolati, cosi' ispirati a tanti reperti di scavo, quelli, invece, decorati, le compostiere, le bomboniere, i servizi da tavola, ed anche un grande lampadario; vasi con piede, candelieri e candelabri.

Si puo', naturalmente, anche saltare ogni indicazione, didascalia, pannello e gioire delle forme, dei cromatismi, degli accostamenti, ma sono certo che ad un certo punto, si vorra' sapere la storia di un vaso, la motivazione della forma di un altro, il perche' della decorazione di un terzo, ed allora, ecco in aiuto, un esauriente apparato informativo. Per chi non si accontenta, c'e' sempre l'aiuto dell'abitualmente, monumentale catalogo edito da Skira.

emilio campanella

Lyda Borelli, Primadona del Novecento, a Venezia, Palazzo Cini sino al 15 Novembre, a cura di Maria Ida Biggi.

Si e' appena conclusa la Mostra del Cinema, abbiamo reso omaggio a Gastone Moschin, grande attore fra cinema e teatro, ed eccoci nuovamente ad occuparci di una grande personalita' che inizio' giovanissima la sua luminosa carriera, proprio in teatro, per poi divenire una vera e propria diva del cinema degli albori, grazie alla sua bellezza, il suo fascino, la sua recitazione di grande modernita'.

Lyda Borelli nacque a La Spezia nel 1887, debutto' in palcoscenico, a quattordici anni, interpretando piccoli ruoli nella Drammatica Compagnia Italiana diretta da Francesco Pasta. Nel 1903 entro' nella Compagnia Drammatica Italiana Talli-Gramatica-Calabresi; l'anno successivo fu Favetta nella prima assoluta de La figlia di Jorio di Gabriele D'Annunzio.

Dal 1905 fu prima attrice giovane accanto ad Eleonora Duse e nel ruolo del titolo in Fernanda di Sardou. Dopo importanti esperienze, sempre piu' ampio successo e considerazione, divenne prima attrice, via via assumendo un rilievo sempre maggiore, in grandi compagnie.

Nel 1909, e per il trienno successivo, fece parte della Compagnia Drammatica Italiana diretta da Ruggero Ruggeri. Nel Marzo di quell'anno, al Teatro Valle,  con successo straordinario, fu Salome' nella pi'ece di Oscar Wilde.

Nel 1912 divenne capocomica della Drammatica Compagnia Italiana Gandusio-Borelli.Piperno diretta da Flavio Ando', e sara' anche l'occasione della prima messa in scena de Il ferro, di D'Annunzio. All'apice di una carriera anche internazionale, nel 1913, avvenne il debutto nel cinema con:  Ma l'amor mio non muore, di Mario Caserini.

Faranno seguito altre importanti pellicole fra cui Malombra di Carmine Gallone, 1917, e nello stesso anno, Rapsodia Satanica di Nino Oxilia, oltre ad altri, sino al 1918, data dell'abbandono delle scene, in seguito al matrimonio con il Conte Vittorio Cini.

La mostra celebra la diva attraverso un'ampia scelta di documenti, fotografie, ritratti, ricostruzioni di abiti e costumi, caricature, repertori da emeroteca, scelte epistolari relative ai rapporti dell'attrice, con gli scrittori, le testimonianze delle importanti tournèes all'estero.

A margine di questa importante esposizione, con cui l'Istituto per il Teatro ed il Melodramma celebra il proprio decennale, una rassegna di film, sino al 10 Novembre prossimo. Alinari ha pubblicato un volume-catalogo intitolato: Il teatro di Lyda Borelli. Nel caso che l'Ufficio Stampa dovesse fornircelo, come promesso, tornero' sull'argomento per recensire la pubblicazione.

emilio campanella

Da quando il tram collega Venezia con Mestre ed oltre, arrivare a Forte Marghera e' diventato facilissimo.

C'e' una fermata omonima, un viottolo fra le erbe alte, un attraversamento stradale da fare con molta attenzione, e poi ci si avvicina all'ingresso principale di questo luogo affascinantissimo, come un grande parco costellato di edifici ancora molto in rovina, ma di grande forza, ed alcuni dei quali restaurati con grande attenzione.

Luogo molto animato nelle serate estive, ha una bella organizzazione di locali differenti per la ristorazione, una colonia di magnifici gattoni, una tranquillita' fuori dal traffico, pur essendo poco lontano dal centro della citta'. In questi mesi ci sono due occasioni importanti legate al mondo dell'arte: un padiglione decentrato della Biennale, con importati installazioni e video, e sull'altro lato del viale, per  Contemporaneo, Musei Civici Veneziani, Venezia 2017, Gruppo di famiglia, una scelta di trentatre capolavori della scultura da fine Ottocento e fine Novecento, scelti fra le opere del Museo Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro; su due pedane, altrettanti grandi gruppi di opere divise per epoca; quelle figurative, e quelle astratte, lungo pareti opposte.

Quattro sole, solitarie ed illuminate come tutte le altre, naturalmente, con grande cura: Piastra di Aldo Calo', del 1962, Hiper Ovum Spaziale di Mirella Bentivoglio, del 1992, opera in legno di tiglio, sospesa e le cui ombre incrociate si allungano, sapientemente sul pavimento; il Nudo di Alberto Viani del 1951, ed il Cardinale di Giacomo Manzù del 1955.

I due gruppi, nutriti e su praticabili ad altezze sfalsate, sono come cori di tragedie antiche, voci forti ed intense, ma anche silenzi pensosi e meditativi. La mostra sara' aperta sino al cinque novembre prossimo, e l'orario di apertura e' dalle quindici alle ventidue, mentre il Padiglione della Biennale e' aperto dalle dodici alle venti, e sino al 26 Novembre.

Un consiglio pratico: se le calure estive sono ormai drasticamente passate ed il percorso dal tram non risulta piu' troppo faticoso per la temperatura, di converso occorre fare attenzione alla pioggia, siccome il pur breve itinerario e' completamente allo scoperto ed un ombrello puo' non bastare, siccome possono spirare venti molto forti, con il rischio d'inzupparsi molto rapidamente.

Ritornati sani e salvi alla fermata del tram, si risale e si scende al capolinea di Mestre Centro ; in pochi minuti si raggiunge il Centro Culturale Candiani dove, sino al 5 Novembre si puo' visitare il terzo " Corto Circuito, dialogo tra i secoli" dopo: Attorno a Klimt ed Attorno a Tiziano. Il titolo e': Attorno alla Pop Art nella Sonnanbend Collection, Da Johns a Rauschemberg, da  Warhol a Lichtenstein a Koons. Una scelta oculata e coerente, di nomi determinanti ed opere di riferimento, da una delle collezioni d'arte contemporanea,  piu' importanti al mondo.

Esposta con grande sobrieta', semplice mostra di opere di grande forza. Da un certo punto di vista, il risultato maggiormente riuscito dei tre, pur con un successo di pubblico piuttosto limitato, purtroppo, pare. L'esposizione si apre con il doppio ritratto di Ileana Sonnanbend, di Andy Warhol del 1973, ed accanto, quello di Michael Sonnanbend, di George Segal, sua scultura tipica, del 1963; poi si passa a Schifano ed Arman, l'Empaquetage sur diable, del 1964, di Christo, L'uomo seduto di Michelangelo Pistoletto, del 1963, poi Jasper Johns; tre opere di Rauschenberg, tre di Jim Dine.

Warhol la fa quasi da padrone, ma non mancano ne' Tom Wasselman, nè James Rosenquist, Claes Oldemburn e John Chamberlain. Sette lavori di Roy Lichtenstein su supporti di diversa natura e con tecniche diversificate, fra cui: Little Aloha del 1962, che ha l'onore di rappresentare la manifestazione. In chiusura: Haim Steinbach e Jeff Koons. Una magnifica scelta, contenuta, e di altissimo valore e qualita' artistica. Non amo tutti gli artisti scelti, alcuni invece moltissimo, ma ritengo che costituisca un esemplificativo campionario, per dire cosi', in modo da dare l'idea dell'importanza della collezione. Il piccolo, agile catalogo e' edito a cura dei Musei Civici Veneziani e dalla Sonnanbend Collection Foundation.

emilio campanella

"Lascivia" e "divozione" Arte a Firenze nella seconda meta' del Cinquecento. A Firenze, a Palazzo Strozzi, la terza ed ultima mostra dedicata al Rinascimento ed all'epoca della Controriforma, dopo Bronzino (2010), Pontormo e Rosso Fiorentino (2014), dal 21 Settembre sino al 21 Gennaio 2018: Il Cinquecento a Firenze, "Maniera moderna" e Controriforma, curata da Carlo Falciani ed Antonio Natali.

Alla presentazione alla stampa, Antonio Natali ha sottolineato come questa esposizione conclusiva del trittico, presenti anche opere meno note, ma di grande importanza.

Non solo, quindi, i divi della pittura e della scultura del tempo, ma anche altre personalita' di non minore rilievo e determinanti per comporre quello ch'e', in questo caso, un ampio quadro della cultura del tempo.

Dal padre nobile quale e' Andrea del Sarto , di cui si presenta il Compianto su Cristo morto ( Pieta' di Luco ), 1523-1524  Firenze, Galleria degli Uffizi, Galleria Palatina. Vero e proprio manifesto della "riforma cattolica", lo ha definito lo stesso curatore, per quel ribadire visivamente e coraggiosamente il mistero della Transustanziazione. Artista di riferimento, imitato, seguito ed ammirato, non solo a Firenze.

Il percorso espositivo giunge fino ad Pietro Bernini (San Martino divide il mantello con il povero, 1598 c.a, Napoli, Certosa e Museo di S.Martino, uno di coloro che continueranno nel secolo successivo l'evoluzione dei germi seminati nel Cinquecento.

Fra queste due opere, un "viaggio" ragionato in sette sezioni e poco piu' di settanta opere accuratamente esposte ed accostate con sapienza; illuminate con effetto e discrezione mettendone in risalto la teatralita' , anche nella relazione, delle une con le altre. Certo, conta molto la scelta e l'accostamento dei dipinti o delle sculture, e nella prima sala il possente torso del Dio Fluviale michelangiolesco, del 1526-1527, Firenze, Accademia delle Arti  del Disegno  (in deposito presso Museo di Casa Buonarroti), una delle diciannove opere restaurate per l'occasione, e'  di fronte alla pala citata di Andrea del Sarto. In quella successiva, tre deposizioni, per cosi' dire, l'una accanto all'altra: la Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino, del 1521, dal Museo Civico di Volterra, la Deposizione di Pontormo, del 1525-1528, dalla Chiesa di Santa Felicita di Firenze, ed il Cristo Deposto di Bronzino, del 1543-1545, da BesanÁon, Muse'e de Beaux Arts et Arche'ologie, opera che torna a Firenze dopo cinquecento anni.

Altra importante presenza e' quella di Giambologna, con opere sacre e profane, come il Crocifisso del 1598, dalla Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, o la Fata Morgana del 1572, Collezione privata, Courtesy of Patricia Wengraf Ltd. Dopo: I maestri, Prima del 1550, Altari della Controriforma, la quarta sezione della mostra riguarda i Ritratti con una importante scelta di volti e figure, visi noti ed ignoti, ed anche molte figure femminili scelte per la loro determinante presenza nella societa' del tempo. Di grande rilievo, la sezione: Gli stili dello Studiolo. E oltre, Opere sacre e profane, volti, figure, allegorie, che si ritrovano appunto in Allegorie e miti, sesta sezione, quella proprio che riconduce  al primitivo titolo della mostra, che fa da intestazione a questo articolo, come citazione-omaggio al lavoro di preparazione dell'esposizione per cui si e' poi scelto come definitivo, l'altro, ma che ribadiva le due anime compresenti nella cultura dell'epoca.

A conclusione: Avvio al Seicento, e poi, naturalmente consiglio di fare almeno un secondo giro di visita. Il ricco ed ampio catalogo, che contiene un notevole numero di saggi, fra cui, in apertura quello che s'intitola come si voleva inizialmente, la mostra, edito da Mandragola, non e' sempre perfetto nelle riproduzioni cromatiche.

emilio campanella

Werner Bischof, Fotografie 1934-1954. Alla Casa dei Tre Oci della Giudecca di Venezia, un'ampia retrospettiva del fotografo svizzero, sino al 25 Febbraio 2018. Sui tre piani del palazzo si estende l'esposizione di 250 immagini scelte dal curatore, il figlio Marco Bischof, venti delle quali, riguardanti l'Italia, inedite.

La manifestazione per celebrare il centenario della nascita del fotografo. Zurighese, prematuramente scomparso nel 1954, in un incidente stradale sulle Ande, il 16 Maggio, nove giorni prima di Robert Capa, morto in Indocina. Se Capa fu fondatore dell'Agenzia Magnum, Bischof, entro' a farne parte nel 1949, anche per i motivi morali che caratterizzavano il suo lavoro rigoroso e lontano dallo scoop. Basta percorrere le sale, scorrere le immagini alle pareti, per rendersi conto dell'importanza dell'aspetto umano al centro della composizione dell'immagine di Bischof.

Questo e' evidentissimo in quelle riguardanti l'immediato dopoguerra di vari paesi europei, in ginocchio dopo l'immane conflitto: Italia, Grecia, Germania, Romania, Ungheria, Polonia. Una piccola sala del piano terreno, e' dedicata ai provini, e sono da guardare uno per uno siccome il periodo e' il medesimo delle immagini appena viste, ma sono in grande numero e riprendono i temi precedentemente incontrati approfondendone le scelte estetiche, drammatiche, umane ribadisco.

Al secondo piano : Neorealismo, Italia 1946; sono qui gli inediti cui ho accennato, ed e' un'italia poverissima, una miseria diffusa dal sud al nord, come avevamo gia' visto anche precedentemente. Io, genovese, non riconosco scorci di vicoli, discese al mare, abitati da persone poverissime, ma anche da bambini atrettanto poveri, ma pieni di vita e di forza, quella che Bischof sottolinea su tutti i volti infantili, come prova di una speranza nel futuro e di ripresa dopo le tragedie.

Allo stesso piano un'ampia scelta di fotografie a colori del Nord e Sudamerica. La ricerca formale e' spiccatissima, ma mai fine a se stessa, i cromatismi sono ricercatissimi, cosi' come le composizioni dalle geometrie molto evidenti. Al primo piano il Fotogiornalismo ed i viaggi in Asia del 1951-1952: il Giappone, la Corea, l'Indocina, l'India, il Kerala, la Cambogia, Hong Kong. In tutte queste fotografie, una ricerca dei contrasti fra tradizione e tentativo di modernita', di comportamenti in contrasto con con un mondo, tante volte, ancora arcaico.

Un esempio per tutti, l'India fra danze tradizionali come il Barata Nathyam, le prove e la scuola del Kathakalj, l'industrializzazione, la miseria estrema, la profonda spiritualita', e poi l'Indocina ed il suo dramma, la Corea dove ancora dura.

emilio campanella

Negli spazi particolarmente infelici di Palazzo Roverella a Rovigo, la nuova mostra che si potra' visitare sino al 21 Gennaio 2018:  Secessioni europee, Monaco, Vienna, Praga, Roma.

L'onda della modernita'. Sulla carta avrebbe potuto essere un'idea stimolante, ma sarebbe occorso il quadruplo degli spazi a disposizione, mentre ogni sezione, invece, risulta poco piu' di un accenno, e se sulla Secessione viennese c'e' appena una spruzzata di suggerimenti, che possono anche bastare, volendo, siccome sull'argomento si e' presentato moltissimo, negli ultimi anni, e non solo, e' su Monaco e Praga che occorrerebbero maggiori approfondimenti , qui impossibili.

Un altro problema e' l'illuminazione: assolutamente inadatta, e non certo studiata per l'esposizione; talvolta l'impressione e' che si sia usato il poco che c'era alla bell'e meglio, e se non fosse cosi' sarebbe anche più grave, dati i risultati.

Bisogna ammettere, pero', che il grande numero di opere esposte, e la notevole qualita', a detrimento della loro, talvolta, molto difficile fruizione, merita un'attenta visita, magari cercando di sorvolare sul discutibile assunto curatoriale.

Iniziamo con Monaco e la sua vivace stagione, analizzata qui, fra il 1898 ed 1910 ed il cui teatro fu il quartiere di Schwabing, quello stesso raccontato da Edgar Reitz nella sua Zweite Haimat, intorno ai fermenti degli anni Sessanta del Novecento, e che poi fu scena delle innovazioni musicali egli anni Ottanta dello stesso secolo.

Fra i molti, importanti esempi  esposti, mi soffermo subito sul Lucifero di Franz von Stuck, tela fascinosa ed inquietante gia' vista qui alla bella mostra: Il demone della modernita', nel 2015. Dipinto del 1889-1890( Sofia, National Gallery for Foreign Art), esposto accanto al bozzetto del 1889-1890 (Monaco di Baviera, Kunkel Fine Art) ed un'acquaforte del 1890-1891 (Monaco, Museum Villa Stuck).

Se la tela e' nella completa oscurita', il bozzetto s'intravvede, mentre il lavoro grafico e' sotto una luce violenta, non certo adatta ad un'incisione su carta.

Va meglio per le molte opere anche di scultura dello stesso artista, presenza forte della sezione che offre altre occasioni non frequenti d'incontro con risultati artistici molto noti, e questo viene a merito dell'esposizione; fra i tanti begli incontri, cito il pubblicatissimo arazzo di Otto Eckmann: Cinque cigni, del 1896 (Berlino, Brohan Museum, Landesmuseum fur Jugendstil Art Deco und Funktionalismus).

Il capitolo successivo e' quello Viennese che fa un "bignami" fra Ver Sacrum, la Wiener Werkstatte, pittura, disegno, manifesti, epocali manifestazioni, arti applicate, oggetti, mobili, sculture, e che potrebbe essere un bellissimo stand in una fiera dell'antiquariato, ma non certo una sezione di mostra scientificamente rilevante. Veroe' che i nomi sono da capogiro: Klinger ( Busto di Beethoven, 1904-1907, Collezione Sigfried Unterberger), Klimt [ Amiche I (Le sorelle) 1907, Vienna, Klimt Foundation], Shiele, Moser, Hoffmann, Thonet, Olbrich, Hodler, Khnopff, Kokoschka, e non sono tutti, e rappresentati da molte opere determinanti, e con un' ampia presenza grafica. Praga e' la terza "capitale" della Secessione, presa in esame, grazie a personalita' quali BÏlek, V'achal, Kobliha, Ad'amek, Konupek, Horejc, Zrzavy.

E qui un'altra nota dolentissima, siccome le magnifiche opere plastiche di Jaroslav Horejk sono illuminate nella maniera peggiore, tanto quelle a tutto tondo, che veramente non si sa da quale parte si possano guardare per coglierne un minimo di cognizione delle forme e delle proporzioni, mentre quelle a bassorilievo subiscono luci sparate che le appiattiscono orrendamente! Scendendo di un piano si incontra Roma, ed anche qui le cose non vanno meglio, anzi, se possibile, anche molto peggio.

Le pareti bianche e le luci insensate rendono tutto privo di rilievo e di fascino, eppure i quadri e le sculture di artisti importanti non  mancano: dalla Danzatrice Giavanese di Galileo Chini del 1914 (Collezione privata) al Meriggio d'Autunno di Aleandro Terzi del 1913 (Tortona, Il Divisionismo, Pinacoteca della Cassa di Risparmio di Tortona) dal Kimono di Guido Cadorin del 1914 (Collezione privata in deposito a Palazzo Fortuny, Venezia), alla Grazia Deledda di Plinio Nomellini del 1912-1914 (Collezione privata), e poi Balla, Ferrazzi, Wolf ferrari, Oppo, Cavaglieri, Carena, Drei, Andreotti, Mestrovic,  Casorati, Arturo Martini, ed ho lasciato per ultimo Gino Rossi caso, qui, emblematico, il cui Foglie e fiori del 1914 (Collezione privata, courtesy Galleria Copercini e Giuseppin, Arqua' Petrarca) e' ridotto ad un buco nero nell'abbaglio generale che lo circonda.

Gli rende merito il bel catalogo di Silvana, restituendogli sfumature e delicati contrasti cromatici fra le varie tonalita' dei verdi, i bruni, i rosa, i gialli, i rossi di cui e' ricco il dipinto ad olio su cartone. Tutt'altra aria si respira nel poco lontano Palazzo Roncale che, dati i lavori di restauro al secondo piano di Palazzo Roverella, ospita nel  bello spazio del secondo piano, le opere dell'Accademia dei Concordi, ben esposte, benissimo illuminate e disposte tanto cronologicamente che tematicamente, come nel caso di Bellini e dei suoi epigoni, gia' protagonisti della bella mostra: Bellini e i belliniani, a Palazzo Sarcinelli di Conegliano.

emilio campanella


Canova, Hayez. Cicognara. L'ultima gloria di Venezia. A Venezia, alle Gallerie dell'Accademia, sino al 2 Aprile 2018, la nuova irrinunciabile, colta, intrigante, imperdibile, stimolante, affascinantissima mostra temporanea, curata da Fernando Mazzocca, Paola Marini, Roberto de Feo.

Una esposizione storica che attraverso i tre grandi nomi del titolo, e molti altri, fa il punto sulla vita dell'istituzione, a duecento anni dalla sua costituzione, ricordandone i motivi legati al ritorno delle opere requisite-razziate da Napoleone.

La manifestazione si pone come lavoro di studio in attesa del definitivo riallestimento del primo piano del museo, e si tratta di una scelta legata ad attivita' di ricerca, valorizzazione e restauro, tanto degli spazi, come delle opere delle Gallerie stesse. Ancora una volta, meritoriamente, una mostra legata alla citta' ed al luogo specifico.

L'arco temporale preso in esame va dal 1815, al 1866 sotto il governo austriaco, e l'inizio del percorso espositivo, parte dal ritorno delle opere a Venezia; il Leone, che a Parigi era di fronte a Les Invalides, ed i Cavalli di S. Marco, sull' Arc du Carrousel, per cominciare. Una storia vicina ebbe l'Accademia di Brera che pero', venne costituita nel 1802.

Altra sezione importante, riguarda la morte di Canova, un nome di lustro per il rapporto con l'antico e per il sostegno ai giovani artisti. Il ferrarese Leopoldo Cicognara, visse poco nella sua citta' di origine, ed a lungo, invece, a Milano dove svolse intensa attivita' politica ed ebbe non pochi contrasti con Napoleone stesso.

Nel 1808 licenzio' un trattato storico sulla scultura e da quell'anno fu Direttore dell'Accademia di Venezia, difendendo un patrimonio sempre minacciato, quasi che Venezia dovesse essere continuamente punita per il suo glorioso passato. Canova dal 1802 era conservatore delle opere della Chiesa, carica che fu, secoli prima, di Raffaello. Cicognara comprese l'importanza di proiettarsi verso il futuro promuovendo fra gli altri, un talento come quello di Francesco Hayez, veneziano che fu anche a Roma , il quale rispose a quelle esigenze e fu protetto da Canova ed anche da Cicognara, ovviamente, compiendo quel passo determinante dalla scultura alla pittura, e dal Classicismo al Romanticismo.

Si inizio', al contempo, la valorizzazione di quelle che oggi definiamo arti applicate. Importanti i rapporti con la letteratura, anche, infatti una piccola, raccolta sala e' dedicata a George Byron, che fu a Venezia dal 1816 al 1819. Non mancano importanti riferimenti alle mondanita' del salotto/cenacolo di Hayez ed ai rapporti con la letteratura, infatti da testi di Byron come Marin Faliero ed I due Foscari, attraverso le interpretazioni di Hayez, si giunge successivamente alle opere liriche di Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi. Altro punto di vista importante di una mostra molto sfaccettata e fruibile a molteplici livelli, riguarda il tributo-dono di nozze per l'Imperatore Francesco I e l'Imperatrice Carolina Augusta.

Avvenne creando una "lista di nozze" di assoluti capolavori realizzati per l'occasione a dimostrazione dell'alto valore delle maestranze artistiche veneziane. Collegato a questo una mostra di quelle opere create per gli augusti sposi, e che qui si ricrea, radunandoli dopo molti decenni, insieme con le pubblicazioni che le riproducono, veri e propri cataloghi antichi. Due copie, una per ognuno degli sposi, ovviamente, edite e con sontuose coperte decorate con la riproduzione in rilievo di due temi canoviani:  La danza dei figli di Alcinoo e Le Grazie e Venere danzano davanti a Marte, per l'imperatrice. Riproducente il cameo Zulian con la rappresentazione di Giove Egioco, (II sec.d.C. Museo Archeologico Nazionale, Venezia), presente in mostra, per l'Imperatore; omaggio delle province venete.

Si tratto' integralmente di opere di artisti veneziani viventi che lavoravano all'Accademia. L'esposizione avvenne nella sala del Capitolo. L'attuale mostra riprende e celebra quella, il piu' possibile da vicino. La Musa Polimnia di Canova ( 1812-1817, Vienna, Hofburg), e' la vera star di questa esposizione, al centro di una delle sale pi˘ belle, ed e' difficile dire quale in generale lo sia meno, siccome sono tutte accurate ed interessantissime; con molte opere di scultura che la circondano; rimase allora un anno esposta.

Di questa magnifica statua si conoscono le vicissitudini decisamente complesse e "letterariamente" appassionanti dovute all'asse ereditario che la fece passare successivamente da Elisabeth ( Sissi"), via Mayerling e fino ad Hitler nel 1943; venne recuperata dagli americani nel 1945 e restÚ a Monaco finche' il governo tedesco non la "dono'" alla Repubblica Austriaca nel 1964-1965. Tornando indietro nel tempo, ritroviamo Cicognara stesso che porto' tutti i lavori a Vienna.

Le pareti riproducono i colori originali dell'esposizione antica. Duecento anni dopo, i pezzi creati tornano nel luogo  dove furono realizzati e da dove partirono. Il catalogo edito da Electa e Marsilio contiene molti saggi, illustrazioni ed una messe di informazioni storiche che stanno alla base dell'esposizione cui fara' seguito, nel mese di novembre, un importante convegno. A conclusione, e' importante dire che una visita accurata a tutto il museo, sara' molto consigliabile, siccome specifici cartellini sono stati posti accanto alle opere ritornate a Venezia, dopo il "rapimento".

emilio campanella