Le recensioni di Emilio Campanella

Gennaio 2007


MOSTRE A VENEZIA - OPERA COMIQUE - DE CHIRICO - SOLA ME NE VO


MOSTRE A VENEZIA

Come si dice? Ah, si'! Prender due piccioni con una fava! E' proprio quello che mi / ci e' accaduto venerdi' 26 gennaio, quando nella sede dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti a Palazzo Franchetti a Venezia, si e' inaugurata la ghiotta mostra Autoritratti, 62 autoritratti dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, e poche ore dopo Officina Dürer, al Museo Diocesano nel magnifico chiostro di S.Apollonia, dietro S.Marco.

Il mattino, dunque a Palazzo Franchetti, e' stata presentata, con molta proprieta' e precisione, delle curatrici, una scelta di opere provenienti dall'ambito Corridoio Vasariano, da Filippino Lippi a Mimmo Paladino. Un excursus amplissimo, e' vero, ma essendo assolutamente monotematico, cosi' da riuscire molto meno faticoso di quanto si potrebbe pensare, considerando il rapido volo sopra cinque secoli di pittura.

Bisognerebbe citarli tutti, dato che dopo Lippi s'incontra un famosissimo Raffaello, che e' anche manifesto / logo della mostra, e poi e' tutto come un riencontrare, salutare, ritrovare vecchi amici.

Siccome sarebbero tutti, indistintamente da citare per i piu' svariati motivi, di qualita', esecutiva, di stile, per amore verso gli stessi pittori autorappresentati, scegliero' "fior da fiore": Federico Barocci, ombroso e fascinoso; Guido Reni, elegantissimo, e con uno sguardo "charmeur", Il Sassoferrato, molto intrigante, sguardo che incanto: da sposare subito (almeno per me!); ma aldila' delle seduzioni che travalicano i secoli, e', tante volte, proprio lo sguardo di questi protagonisti del mondo dell'arte, che ci colpisce, perche' ti guardano, eccome, e con che grinta, taluni, ma anche sofferenza, come Bernini, inquietudine, Carlo Dolci nel suo doppio ritratto! Ha occhi profondi e seduttivi l'elegantissimo Velasquez; in "primissimo piano, sfocato" Rembrandt, e qui faccio un appunto all'allestimento poiche' e' esposto in modo da non avere sufficiente profondita'. E' un quadro che non si puo' vedere troppo da vicino, proprio per dimensioni e tecnica esecutiva. Anche le luci sono talvolta, qua e la', imprecise, e la penombra puo' risultare eccessiva, talaltra i tagli bagnano di lame di luce imprecisa. S'incontra, poi Francesco Caccianiga che nasconde lo sguardo sotto l'ombra sapiente della tesa dell'ampio cappello; Angelica Kaufmann, occhi da bambola / bambina; Antonio Canova - copertina e retrocopertina del consigliabile catalogo edito da Skira - come sorpreso e colto nell'atto di dipingere, abile e seduttivo; Hayez: verdiano; drammaticissima l'espressione di Pellizza da Volpedo; intensissimo sotto molteplici aspetti, quello di Vittorio Corgos; l'altro, sorridente di Sartorio; ancora il sornione occhio di balla con il suo Autocaffe', petroso, invece quello di Carra', e Pistoletto, impellicciato e specchiante, al solito! Tutti gli altri meritano, ovviamente di essere salutati ed osservati con attenzione, anche perche' e' un piacere vagare per le sale del piano nobile del palazzo recentemente restaurato con molta accuratezza; e se talvolta alzerete lo sguardo, rimarrete senza fiato guardando i lampadarî. Avrete la possibilita' sino al 6 maggio prossimo.

Officina Dürer, inaugurata "post eventum" la sera dello stesso giorno (era gia' aperta dal 16 dicembre) e piu' piccola, e piu' segreta, un po' piu' "difficile" poiche' e' una mostra di grafica. Il cui titolo si richiama proprio al lavoro di ricerca tecnico-stilistico-espressiva dell'artista, grazie a varie tecniche vieppiu' raffinate, e di cio' da' testimonianza la presenza di varî soggetti ripetuti e variati, pur nei cicli completi proposti (Vita della vergine, Passione incisa, Piccola passione xilografica), come nei fogli indipendenti; Melancholia I, S.Eustachio, La carne, La morte e il diavolo, ed a conclusione Il grande carro trionfale di Massimiliano I. L'artista, in varî momenti, ritornando sui temi, esperimentava modi differenti e piu' efficaci, tanto per la resa del chiaro-scuro, in molti casi, sorprendente, che dello studio del paesaggio, dell'ambientazione, della natura. In molti casi si coglie come il lavoro sia diretto in un senso, trascurando altri punti di vista, essendo di volta in volta l'equilibrio spaziale delle figure, come la dinamica dei gruppi e del movimento. Per cogliere tutto cio', sono a disposizione lenti d'ingrandimento per osservare i particolari, per cui, volendo, e' consigliabile guardare ogni foglio da vicino: essendo sottovetro non ci sono problemi di distanza.

emilio campanella


OPERA COMIQUE

Si parte pieni di entusiasmo per vedere uno spettacolo, e ci si trova di fronte a qualche cosa di completamente diverso dall'aspettativa.

E' quello che mi e' accaduto vedendo Opéra comique di Nicola Fano, da un'idea di Antonio Calenda, che firma anche la regia, il 5 gennaio scorso, al Teatro Goldoni di Venezia. Premetto che avevo letto, qualche mese prima, un articolo costellato di lodi sperticate, che mi ha spinto ad "affacciarmi" per vedere di cosa si trattasse, un po' sperando in qualche cosa dalle parti della gatta Cenerentola (Beh!), ma io vivo molto spesso nel paese di Utopia!

Aggiungo che non mi piace parlare male delle cose che vedo, di solito evito, ma in questo caso, mi sento costretto, avendo promesso il pezzo al caro ufficio stampa del teatro, persona di squisita cortesia!

Per cui dovro' proprio cominciare col dire che su 150 minuti di spettacolo ne salvo 20; che alcuni colleghi accanto a me, uno anche musicologo, erano schiacciati, quanto me, dalla noia; molti spettatori non sono tornati dopo l'intervallo!

In Goldoni, il canovaccio inventa una storia che si svolge fra Napoli, con lo storico impresario Barbaja, e Parigi dove due sciagurati, da lui inviati, dovranno acquistare - a qualunque prezzo - la nuova opera (falsa, sappiamo noi) di Rossini, scritta dopo decenni di silenzio. Indubbiamente un'idea stimolante, ma annegata in mezzo ad una macedonia di tormentoni eterni interpretati da Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, i due comici siciliani (copia edulcorata di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia), dai tempi slabbrati, intorno ai quali e' costruito lo spettacolo.

Volevo, sulla carta, essere un'operazione un po' come 'Na sera 'e maggio, la cui sorvegliata e discreta regia (dello stesso Calenda), non faceva che valorizzare le qualita' straordinarie di tre eccezionali artisti.

Qui tutto e' lento e stanco, ed i pochi momenti di brio corrispondono alle percentuali calcolate sopra.

I primi dieci minuti della prima parte, con il brioso isterismo dei cantanti in attesa di essere ascoltati, che accennano scale, vocalizzi, e brani d'opera affastellati in un divertentissimo caos.

Un brevissimo momento nella cucina di "Casa Rossini" dove si svolge la parte parigina sulle note della Petite Messe solennelle, ed un breve episodio napoletano con cantanti di strada che passano disinvoltamente (?!?) da Rossini a Mozart.

Mortale, invece, la falsa opera, che prende le mosse da I promessi sposi (nientemeno!), anche questa, un'idea simpatica, sulla carta, ma poi, si sa, e' cosi' difficile scrivere un pastiche! che la battuta facile, ve la pensate da soli!

emilio campanella


DE CHIRICO

Una mostra notevole, e' aperta a Palazzo Zabarella di Padova dal 20 gennaio, e sara' visitabile sino al 27 maggio. Curata da Paolo Baldacci e Gerd Ross, nel percorso abituale del palazzo, si compone di un centinaio, scarso, di opere divise in 12 sezioni che, agilmente, partono dai primi anni, sino al settimo decennio del Novecento e seguono, puntualizzando con acume, il lavoro di Giorgio De Chirico. Pare che abbia occupato due anni e mezzo per la preparazione, e' indubbiamente pensata ed e' costata molta fatica, pare! Definita da Paolo Badacci, una esposizione non commerciale, cosa che mi sembra abbastanza vera, aldila' dell'inevitabile richiamo del nome; sembra abbia costituito, come ha aggiunto nella sintetica e simpatica presentazione, una gran lotta per ottenere i prestiti da parte di collezionisti particolarmente "difficili"! Si tratta, come detto, di una esposizione molto accurata, e questo puo' essere il problema!

Per alcuni si tratta di un pittore sopravvalutato, scaltro ed abile, anche se, a modo suo, testimone di un'epoca tremenda! Ma quale non lo e', in un modo o nell'altro?

Il catalogo edito da Marsilio puo' fungere da utile guida nei meandri delle ispirazioni che sono dietro certe scelte tematiche, oltreche' stilistiche.

Ci sono, e' vero, notevoli intuizioni, anche se poi riproposte sino alla noia, e stemperate nelle ripetizioni tarde ed anche tardissime.

Certo e' che sino all'inizio degli anni '20 c'e' uno sguardo a certo immobilismo tipicamente italiano, ad una chiusura culturale vista, invece da un uomo molto colto ed attentissimo osservatore che si muoveva con estrema disinvoltura fra le sponde del Mediterraneo e fra le epoche, navigando agevolmente nell'infido pelago del mito anche troppo!

Citero' solo tre opere: Il ritornante IV (Il cervello del bambino) del 1924 (collezione privata) per il suo fortissimo legame con la scultura classica; La nostalgia del poeta del 1914, della Collezione Guggenheim di Venezia, per il suo legame con il surrealismo, e Paesaggio romano del 1922 (collezione privata), che riassume l'arte classica, ancora e sempre l'occhio dell'architettura, la pittura italiana del '400 e le atmosfere borghesi ferme, provinciali, angoscianti, del nostro paese di quegli anni, che si ritrovano in tanto nostro teatro coevo, da Betti a Bontempelli, a Pirandello, oltre ad altri.

Il grande merito di questa mostra, sta nel confermare De Chirico, tanto in chi non lo ama, come in chi lo ama, con estrema precisione.

emilio campanella


SOLA ME NE VO

Di passaggio a Genova, il 28 gennaio, ho colto l'occasione per andare al Teatro della Corte, e vedere Sola me ne vo di e con Mariangela Melato, one woman show scritto insieme a Vincenzo Cerami, Riccardo Cassini e Giampiero Solari, anche regista. Uno spettacolo ricco e sfaccettato che ha bisogno, secondo me, di un po' di rodaggio ancora, e, fra qualche settimana, scorrera' su binarî oliatissimi. L'impianto scenico di Marcello Mazzetti, che cura anche le belle luci, si avvale di tre specchi / evocatori di immagini contornati da lampadine, e di un boccascena ornato nello stesso modo: un po' varieta', lunapark, cabaret berlinese, dove appaiano, tanto un'orchestra coi fiocchi, una Mariangela Fedra, come altro. I costumi sono straordinarî.

Rimpiango un po' che l'attrice non canti di piu', anche se comprendo che parlare "a ruota libera" per oltre un'ora, cantare e danzare - ed anche bene - e sicuramente meglio dei sei boys professionisti mai a tempo (ma si puo'?), peraltro, malissimo serviti dalle coreografie di Luca Tommassini, non sia facile. Il canovaccio in cui Mariangela Melato si racconta, piu' o meno, dall'infanzia, saltabeccando con brio avanti e indietro nel tempo, e' un crescendo che ha il suo colpo d'ala, e vola alto con il Meckie Messer di Kurt Weill.

Ci sono alcune piccole, garbate preziosita' scenotecniche, come la discesa dell'abito "luminoso" di Wanda Osiris. Il coinvolgimento del pubblico in varî momenti, e' sempre garbato, attento e controllato.

Direi proprio, una scommessa vinta, Signora Melato, complimenti!

emilio campanella



ORSI ITALIANI