Le recensioni di Emilio Campanella

Aprile 2004


BILL T.JONES / ARNIE ZANE DANCE COMPANY al Teatro Comunale di Ferrara

(Foto: Marco Caselli, per gentile concessione di Irene Veronesi Segr. Ufficio Stampa - Teatro Comunale di Ferrara)

Mercoledi' 7 aprile alle 21, il Teatro Comunale di Ferrara, ha offerto al suo pubblico, e a quello accorso anche d'altrove, un'ulteriore perla della sua pregevole stagione di danza: la Bill T.Jones / Arnie Zane Dance Company che ha presentato un programma, a suo modo, antologico, composto, da quattro pezzi uno piu' emozionante dell'altro.

THE GIFT / NO GOD LOGIC

Coreografia Arnie Zane (1987).

Lavoro per quattro danzatori (Catherine Cabeen, Ayo Janeen Jackson, Malcolm Low, Erick Montes), non a caso su pezzi dell'opera verdiana innominabile interpretati dalla 'Señora' Caballe' al suo meglio. Si tratta di una coreografia in cui e' riconoscibile la cifra tipica del 'modern' americano costituito di velocita' e dinamismo, di splendori plastici, di magnifici porte'e ed eleganti pennellate di ironia. Un pezzo che riporta alla gioia della danza che pochi anni prima comunicava anche la compagnia Luis Falco. Dal 1987 e' molto 'cresciuto' nel tempo ed ha, forse, maggior senso oggi in confronto ad allora. Ci rendiamo conto della sua forza intatta, a distanza di 17 anni.

BLAUVELT MOUNTAIN (A fiction)

Coreografia Bill T. Jones & Arnie Zane (1980) rev. da Bill T. Jones (2002)

Musica composta ed eseguita da Helen Thorington

Si tratta di un duetto storico creato dai due coreografi per loro stessi che gia' l'avevano immaginato per un uomo ed una donna o due donne (le magnifiche Catherine Cabeen e Leah Cox) come in questo caso. Sono contrasti di coppia, incomprensioni, tenerezze, irsutaggini e lunge discussioni intendendo la medesima cosa, ma partendo da punti di vista, ovviamente differenti. Una coreografia con delle ciclicita', dei ritorni, ma non delle coazioni da ripetere, bensi' intere episodi che vengono riproposti e variati, alternati e ribaditi con estrema attenzione ed equilibrio alla costruzione della sequenza di movimento, di grande rigore.

CONTINOUS REPLAY

Coreografia Arnie Zane (1978)

Riallestita con nuovi materiali nel 1982

Musica John Oswald

Pezzo di estrema precisione formale ed equilibrio fra i varî elementi della compagnia al completo. E' un'unica legazione che viene eseguita da Erick Montes dal principio alla fine e che man mano viene raggiunto dagli altri che, pero', variano, abbandonano, fuggono via, ritornano, cambiano direzione, vengono sostituiti. Le musiche sono costituite da varî frammenti, come da un 'sacre' accelerato e stravolto (cui anche coreograficamente si fa un riferimento / cameo). Dapprima i corpi hanno la loro nudita' come abito, poi, a poco a poco appaiono qua e la' indumenti neri, e da ultimo tutti in bianco, fuorche' il corifeo (E.M.) che danza senza mai uscire di scena, coerentemente nudo ripetendo ancora, ancora, ed ancora la medesima sequenza: testardo, tenace, ispirato ed eroico e ... bellissimo, lasciatemelo dire, della bellezza che mi ha ricordato i corpi nudi delle sale dei giochi del Castello Estense affrescati da Bastianino, rivisti nel pomeriggio. E qui l'applauso, ovviamente, per tutti, e' stato ancora piu' convinto che per le coreografie precedenti.

D-MAN IN THE WATERS ­ prima parte

Coreografia Bill T.Jones (1988 rev. 1998)

Musica Felix Mendelssohn: Ottetto per archi in mi bemolle maggiore, op. 20

Una coreografia estremamente dinamica ed ardita, giocosa, fantasiosa ed inaspettatamente acrobatica, e' danzata da tutta la compagnia che 'gioca' nell'acqua accettando la difficile scommessa di evocare quell'elemento per persone come i danzatori che hanno piu' facilmente rapporti con l'aria, ma tant'e', l'elemento liquido si percepisce, e qualcuno, di tanto in tanto si tuffa, compie qualche bracciata, e le tavole del palcoscenico sembrano quasi incresparsi di piccole onde, sino all'ultimo tuffo compiuto da Erick Montes, quando c'accorgiamo che in effetti, era ancora lui il protagonista: nel mare degli amici che con questa coreografia ricordano Demian Acquavella, il danzatore scomparso cui il pezzo e' dedicato.

Alla fine della serata una vera oviazione per tutti con delle punte per Catherine Cabeen, Leah Cox e Erick Montes, oltreche' per il grande Bill che ha improvvisato una danzina fuori programma, fra un applauso e l'altro. Eh si', difficile per un danzatore con la sua carica, non buttarsi, anche solo un poco, nella mischia!

Gli spettacoli di questa compagnia, al di la' della qualita' professionale, sempre molto alta, hanno qualcosa in piu' perche' sappiamo che ci sono, dietro, delle scelte di impegno umano e civile, e questo si sente, si percepisce, trasuda, traspare da come questi danzatori si muovono, vivono in scena, comunicano fra loro come con il pubblico...Non e' una cosa tanto frequente, e per questo ogni loro spettacolo e' sempre un'emozione molto forte.

emilio campanella


TRE MOSTRE AL CASTELLO ESTENSE DI FERRARA

Sembra diventare sempre piu' una moda, quella di prendere a pretesto una grande dinastia rinascimentale italiana, per costruire eventi espositivi.

Anni orsono erano stati i FARNESE a Roma, poi i BORGIA ancora a Roma, a Palazzo Ruspoli lo scorso anno in una mostra molto pasticciona affastellata e caotica, cui aveva dato una risposta Ferrara dove nella Palazzina di Marfisa d'Este, Pizzi aveva curato le scenografie (parlare di allestimento sarebbe riduttivo) di una piccola esposizione su Lucrezia Borgia ch'era una vera chicca, e per interesse e per eleganza (ça va sans dire!) non scevra da una certa ironia giocata mescolando l'indubbia deferenza nei confronti di un tale personaggio. Intanto Mantova, a Palazzo Te', nonostante un'architettura espositiva tanto suggestiva quanto sadica proponeva il discorso sui GONZAGA, forse a tutt'oggi piu' completo per cio' che concerne un simile excursus.

Il 13 marzo scorso ha inaugurato le sue mostre estensi il Castello di Ferrara, scopo di queste note mentre ai DELLE ROVERE sono dedicate quattro manifestazioni nei Palazzi Ducali di Senigallia, Urbino, Pesaro, Urbania; inaugurate ai primi di aprile resteranno aperte fino al 3 ottobre 2004. Su queste non posso dare giudizio non essendo potuto intervenire alle inaugurazioni a causa di altri impegni.

Al Castello di Ferrara dunque riaperto ed ampiamente restaurato dopo il trasferimento negli uffici pubblici che occupavano molte sale sono organizzati i tre percorsi. In effetti l'interesse e' generalmente costituito nel confluire delle mostre, l'una nell'altra, partendo dalla prima, storico-architettonica (Il Castello per la citta') per passare all'altra (Este, una corte nel Rinascimento) che espone opere, oggetti, manoscritti, libri a stampa (tornati nella loro sede naturale dopo la trionfale esposizione a Bruxelles nel 2000) ripercorrendo le vicende di ogni esponente della dinastia attraverso cio' che ha caratterizzato ciascuna delle personalita' riguardo alle arti figurative e al mecenatismo, con esempi come quello di Leonello ed il suo sogno culturale culminato nello studiolo di Belfiore (a lui, molti anni orsono il Museo Poldi-Pezzoli di Milano aveva dedicato una mostra proprio attorno a questo studiolo e le rappresentazioni delle muse ormai disperse per il mondo), oppure la costruzione di Schifanoia su idea di Borso, od ancora l'appena citata Palazzina Marfisa d'Este, tutti luoghi alternativi alla Corte in cui ognuno creava una sua societa' particolare, da ultimo la riproposta del CAMERINO D'ALABASTRO, ispirazione di Alfonso II che si affido' ad Antonio Lombardo.

Gli allestimenti curati da Gae Aulenti, sono differenti fra di loro, ed infatti si parte dagli ambienti al pianoterra seguendo l'evoluzione dell'edificio con un percorso 'avventuroso' che porta alle sale del piano nobile ed all'ammirazione degli affreschi delle volte di tre sale che grandi specchi posti in posizione sgemba rimandono con suggestivi giochi di rifrazione allo scopo e con il risultato di godere delle pitture senza affaticare troppo i cervicali, idea notevole per acume, in aggiunta ai leggi'i informativi a giusta altezza atti ad indicare i riferimenti temporali. Le sale sono tre: Sala dell'Aurora, Saletta dei Giochi, Salone dei Giochi, ed il nome piu' importane e' Bastianino. Poi si continua verso la seconda mostra ospitata in una fuga di sale tutte rivestite e un po' reinquadrate e ridotte ad ambienti che mi hanno fatto un po' pensare a preziosi portagioie, data l'importanza delle opere esposte (una manciata di nomi a caso: Cosme' Tura, Ercole de' Roberti, Franceso del Cossa, Sebastiano Serlio (immagine), Pisanello, Dosso Dossi, Giudo Mazzoni, Bastianino, Tiziano, Garofalo, Girolamo da Carpi...) in morbido color salmone, in equivocabile stile Aulenti, varazione sul tema di Palazzo Grassi, Gare d'Orsay etc., con le porte aperte al centro ed in alto, cifra inconfondibile. Fortunatamente i soffitti si riescono a vedere, e cosi', in generale, le stanze anche se tutte ridotte di dimensione da quello che un po' un corridoio d'accesso ad ognuna di esse.

Confesso che un po' ho rimpianto la discrezione espositiva de IL TRIONFO DI BACCO, capolavori della scuola ferrarese da Dresda, dello scorso anno, sempre al Castello, mostra anche quella che riportava opere, in antico appartenenti a questo edificio.

Da ultimo il CAMERINO DI ALABASTRO, anche questo esposto in maniera discutibile, presenta la decorazione della Via Coperta (che unisce il Palazzo di Corte al Castello): plastiche bianche di fondo agli straordinarî rilievi messi uno in fila all'altro, che si fruiscono molto agevolemente, questo almeno si', ma non rendono idea alcuna di quale potesse essere la disposizione originale.

Al di la', comunque, delle mie opinioni sugli allestimenti, in generale il giudizio e' positivo e consiglio tre ore a disposizione per una visita al solo Castello, piu' un'altra abbondante, dopo uno spuntino ed un caffe', ovviamente, per una visita MOLTO consigliata alla Pinacoteca Nazionae di Palazzo dei Diamanti compresa nel biglietto. Le mostre saranno aperte fino al 13 giugno. Va da se' se avete visto la Leggenda del Collezionismo (1996) e Dosso Dossi (1998) non potete mancare a questo appuntamento.

emilio campanella


MEDEA di Emma Dante al Teatro al Parco di Mestre

Entrando in teatro la scena e' gia' occupata da una struttura che puo' ricordare tanto un tabernacolo, come un confessionale, od un'iconostasi, ma anche l'accenno stilizzato di un paesucolo di case addossate, vicoli stretti, sul cucuzzolo di un monte, con il campaniletto che ostenta la sua croce protettiva (?!). Poi queste strutture sono anche gelosie e scuri e finestre e piccoli balconi che si aprono, ed anche abitazioni delle donne di Corinto per quello ch'e' l'inizio della Medea da Euripide di Emma Dante, regista in rapida ascesa grazie a spettacoli interessanti e premiati (mPalermu, Carnezzeria). I cinque elementi sono: Gaetano Colella, Luigi Di Gangi, Stefano Miglio, Alessio Piazza, Antonio Puccia, ottimi, varî e sfaccettati, sono urlanti, pettegoli, bercianti, imploranti, beceri (se mi si passa il toscanismo) e ci introducono nella vicenda grazie all'invenzione drammaturgica di un sogno, quasi gravidanza isterica, di una delle donne che racconta dietro la sua gelosia alle altre comari ed alla luce della sua lampada un desiderio di maternita' accarezzandosi l'abbondante pancia da orso-mamma-babbo. Successivamente entrera' in scena Medea / Iaia Forte, la diversa, lei, napoletana, fra siciliane/-i dopo l'importante primo intervento musicale degli straordinarî fratelli Mancuso che saranno un ulteriore coro.

Verra' portato in scena Creonte (Gaetano Colella) su di un carrellino-casa (tutti gli elementi scenici sono montati su rotelle e spostati velocemente per cambiare le prospettive) mentre in accappatoio bianco si sta radendo, e tenta, mentre impone l'esilio alla maga di tener dritto in capo un elmo con cimiero, con isteriche coazioni a ripetere che mi hanno riportato a Carmelo Bene. Medea gioca il tutto per tutto provocandolo eroticamente e ad ogni rischio il tiranno si irrigidisce vieppiu', insidiato, lui seminudo, orso in mutande bianche, accarezzato sulle cosce massicce dai piedi insinuanti di lei. Cedera' su di un punto, come si sa, e sara' la rovina per tutti!

Le donne dalle loro casette, poi, cucinando, commenteranno l'azione prima dell'ingresso di Giasone: un Tommaso Ragno giustamente sgradevole, sinistro e respingente, che arriva in scena con un valigione da emigrante pieno di regali, vestitini per i bimbi in previsione dei parti: anche Medea e' vistosamente incinta.

Nella seconda parte (quella piu' fragile) la protagonista ci appare come sposa allucinata (tema gia' presente in Carnezzeria) in una scena un po' lunga, come altre, che da una maggiore stringatezza acquisterebbero in efficacia. Si prepara poi a compiere la sua feroce e spaventosa vendetta, e se le azioni cruente sono, ovviamente, fuori scena, pero' il finale e' davanti ai nostri occhi con la madre a lutto, velata di nero, che spinge una carrozzella-bara (nipote diretta di certi oggetti scenici di Kantor) da cui tutto il coro oltre al messaggero/Egeo/sacerdote (Francesco Villano, molto bravo anche lui come tutti gli attori), pescheranno, e proprio il caso di dirlo, tutti i gia' visti abitucci fradici d'acqua, appendendoli a grandi incroci di fili e sistemando poi sotto ad alcuni, bacinelle che con lo sgoccioli'o saranno, spente le note dei musicisti, l'immagine ed i suoni finali della tragedia.

Uno spettacolo che consiglio pur ribadendo la mia impressione, se non di ripetitivita' di qualche scena, piuttosto le lunghezze di alcune di esse quando, invece, una maggiore asciuttezza gioverebbe a rafforzare quelle che, nella gran parte sono idee registiche di notevole forza.

Degli attori del coro ho detto, rimarchevoli sempre: che facciano pediluvi, che sbattano le uova che bagnino le piante del balcone, con intensi ed accorati accenti partecipati. Da ultimo Iaia Forte densa, viscerale, terragna Medea che difficilmente dimenticheremo.

emilio campanella


COSI' FAN TUTTE al Comunale di Ferrara

Ruggero Raimondi, di concerto con Daniela Mazzuccato, tesse le trame di una feroce scommessa, cinica e veritiera, ai danni di due ragazze oneste, ma poste ai cimenti piu' crudeli. Ogni volta che ascolto una delle tre opere italiane di Mozart, su libretto di Lorenzo Da Ponte mi dico: ecco quella delle tre che preferisco, che siano Le Nozze, Don Giovanni, o, come in questo caso, Cosi' fan tutte, insomma, le amo follemente e le conosco praticamente a memoria, per cui e' ogni volta un piacere ritrovato di intelligente divertimento e di gioia d'ascolto, in questo caso, poi, essendo sul podio una personalita' della statura di Claudio Abbado che da' una lettura, a dir poco, scintillante per precisione, ed una esecuzione che apre, fra l'altro, molti tagli, ed alla testa della duttile Mahler Chamber Orchestra, il piacere e' assoluto!

L'allestimento, una ripresa di quello del 2000, che non avevo visto, portato, poi, anche a Modena ed a Reggio Emilia e' firmato da Mario Martone per la regia che risulta a tratti discreta e molto presente, ma sempre attenta e mai invadente, un lavoro che tiene conto dei precedenti e cura molto i particolari, movimentando le situazioni in un impianto fisso che usa tutto il palcoscenico (le scene sono di Sergio Tramonti) oltre a due praticabili laterali sui quali molti saltano scavalcando i due palchi di proscenio: a sinistra e' la stanza di Despina cui bussa Don Alfonso che "abita" a momenti nel palchetto di destra, talvolta legge, talaltra siede a tavola (immagine che molto mi ha ricordato la scena del ristorante di Barry Lyndon di Kubrick). Le strutture continuano, poi, perprendicolarmente verso il centro e parallelamente al palcoscenico, proprio sopra il golfo mistico, Accorgimenti, insieme alla pedana centrale quadrata che finge la camera delle sorelle i cui letti quasi gemelli (uno in ferro, l'altro in legno) sono il fulcro di tutta l'azione, e, talvolta, ospitano i personaggi in varie situazioni non solo di erotismo riferito all'iconografia del tempo, e ben giustificato, trattandosi di due "albanesi focosi" e di due ferraresi giovani, belle e sensuali! E questo e' un punto di forza della regia che contrappone l'erotismo "infantile" di Mozart a quello "scafatissimo" di un libertino matricolato come Lorenzo Da Ponte che conclude amaramente la vicenda ricomponendo le vecchie coppie mentre le nuove... Cosi' Martone fa unire i lettini in un solo lettone creando un'unica camera da letto... Non escludendo aperture che se sono poco del mondo erotico di Mozart, lo sono molto di quello di Da Ponte, appunto!

Sul fondo viene aperto, da valletti in livrea, un grande balcone affacciato su di un mare estivo: in una scena molto bella, mentre Ferrando (Charles Workman, tanto fragile, quanto bravo nell'eroismo di tutte le sue arie col da capo, e dal fraseggio, anche lui come gli altri, assolutamente perfetto) si addolora, su di uno dei praticabili di cui sopra, dopo il cedimento di Dorabella (tanto bella e tanto brava, Anna Caterina Antonacci!!!) Guglielmo (Nicola Uliveri) che sembra di quelli che non lasciano scampo a chi corteggiano, anche per il bel modo di porgere note che incantano, e Don Alfonso (in questa edizione, come detto, per la prima rappresentazione, Ruggero Raimondi che sopperisce con consumato mestiere ai danni del tempo, dando una interpretazione da grande attore, ed approfondendo il lato sottilmente malinconico del personaggio, nella sua disillusione, anche da lui non perdiamo una sola sillaba di questa commedia perfetta) si appoggiano alla balaustra guardando lontano, ed in un accenno c'e' tutto il vedutismo della fine del '700. Luci molto accurate di Pasquale Mari trasformano illuminando i varî elementi di arredamento o creando ombre di fronde per il pomeriggio in giardino.

Despina era Daniela Mazzuccato, impagabile per brio, ironia, precisione. Da ultimo Rachel Harnisch, una Fiordiligi, anche lei, fragile, ma corretta e che ha preso peso, spessore ed autorevolezza nel corso della serata.

Se non fosse stato tutto esauritissimo, sarei tornato due giorni dopo per ascoltare anche il secondo cast, ma gia' avevo avuto la fortuna di trovare posto, praticamente, appeso al soffitto di un palco!!!

emilio campanella