Le recensioni di Emilio Campanella

Agosto 2004


GENOVA DEL SAPER FARE!

BUONGIORNO NOTTE di Marco Bellocchio e STESSA RABBIA, STESSA PRIMAVERA di Stefano Incerti

BENVENUTI AL SECONDO FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA DANZA CONTEMPORANEA!


GENOVA DEL SAPER FARE!

Un titolo ch'e' un programma ed una scommessa: Genova sapra' fare? riuscira' a riscattarsi dalla sua lunga dolorosa decadenza?

Prendo le mosse dal titolo di una mostra in corso ai Magazzini dell'Abbondanza (Magazzini del Sale) sino al 25 luglio per spezzare una lancia nei confronti della citta' in cui ho vissuto trent'anni e che sta, gia' da tempo, compiendo un laborioso percorso di riqualificazione a vari livelli, e giocando (finalmente!) la carta turistico-culturale. Infatti, se ormai da diversi anni, Palazzo Ducale presenta esposizioni di livello internazionale ( Van Dyck, El Siglo de los Genoveses, per fare solo due esempi), ora gestisce tutto l'insieme delle mostre di questo anno Genovese della cultura, e se i palazzi ospitano percorsi culturali stimolanti, le strade del centro, e non solo, sono la prova di un grande sforzo per riportare la citta' ai suoi antichi splendori.

Qualche giorno a disposizione mi ha dato la possibilita' di darmi un'occhiata intorno e di vedere e rivedere luoghi, monumenti, esposizioni gia' visitati. Comincio con "L'eta' di Rubens" (a Palazzo Ducale, Palazzo Rosso ed alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola sino all'11 luglio) gia' vista all'inaugurazione ed ora analizzata con maggiore attenzione e che dimostra una scelta espositiva di grande acume, non gia' incentrata su Rubens, pur presente con molte tele, ma piuttosto attorno alla sua figura attraverso il tentativo di ricostituzione delle collezioni, e quindi soprattutto delle personalita' dei committenti attraverso le loro quadrerie. Una mostra non sterminata, ma costellata di opere ragguardevoli: Danae di Tiziano dall'Ermitage, Compianto sul Cristo morto di Jusepe de Ribera (National Gallery, London), ritratto di Raffaele Raggi di Van Dyck (National Gallery of Art, Washington), Artemisia Gentileschi, Lucrezia (coll. Etro, Milano), Cleopatra di Orazio Gentileschi, Ercole nel giardino delle Esperidi di P.P. Rubens (Galleria Sabauda, Torino), San Sebastiano di Guido Reni (Galleria di Palazzo Bianco, Genova), la straordinaria invenzione di Rubens per Giunone e Argo (Wallraf Richartz Museum, Colonia), Susanna e i vecchioni di Veronese (Carige) una tela di sontuosa eleganza e dall'"impianto scenico" mirabile, e molto altro! e da non dimenticare, ovviamente, la seducente marchesa Brigida Spinola Doria di Rubens (National Gallery of Art, Washington), salutata come una amica di ritorno da un lungo viaggio, e che sorride da tutti I manifesti sotto cui campeggia una frase festosa ed inequivocabilmente campanilista: "bentornata a Genova!" che si puo' ben perdonare. Oltre a Palazzo Ducale la visita continua in due sezioni a Palazzo Rosso (Via Garibaldi) ed alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola: tipica dimora Genovese del XVI° secolo (P.zza di Pellicceria).

A questa mostra si collega l'altra, intitolata: "L'invenzione dei Rolli" (Palazzo Tursi, Via Garibaldi 9, sino al 5 settembre 2004) che prende in esame il ruolo dei luoghi e delle personalita', partendo dai palazzi di Strada Nuova (Via Garibaldi), vera strada di rappresentanza, le cui sontuose dimore cinquecentesche avevano affascinato Rubens che nel 1622, ad Anversa pubblicava in volume le rappresentazioni grafiche di quei palazzi; sono presenti in mostra, provenienti da Londra, fogli di quella edizione. Un percorso semplice illustra anche didatticamente l'utilizzo di rappresentanza degli edifici finalizzata ad ospitalita' diplomatiche ad altissimo livello.

La visita puo' continuare in citta' direttamente vedendo i molti edifici compresi negli "Elenchi dei Rolli", nelle altre sale di Palazzo Tursi stesso, e poi passando a Palazzo Bianco in un'ideale visita globale ai musei di questa strada, senza dimenticare Palazzo Lomellini, privato, aperto al pubblico per la prima volta e di cui sono visitabili sale affrescate dallo Strozzi.

Altra occasione importante e' rappresentata da "Mandylion"nel magnifico Museo Diocesano ospitato negli ambienti intorno al chiostro di S.Lorenzo, in cui sono presenti opere devozionali di notevole qualita', e, grande curiosita': una Passione ­processionale monocroma secentesca dipinta su tela blu genova (jeans!). Il luogo e' stratificato, componendosi di una domus romana, di ambienti alto medioevali, e sino al Rinascimento. La mostra, piccola ma notevole, se non altro per la presenza delle "Portelle del Sinai" provenienti dal Monastero di S.Caterina di quella Regione: ante laterali di Trittico rappresentanti S.Taddeo, Re Abgar che riceve il Mandylion, Santi, che da sole valgono il viaggio. E' un percorso sacrale/devozionale intorno alla rappresentazione del Sacro volto dall'epoca bizantina, e prima del tipo di raffigurazione detto "della Veronica".

Ritornando all'inizio, due righe su "Genova del saper fare" che si snoda in varie sale e su vari piani dell'edificio. Una mostra veramente multimediale, sul lavoro, sull'industria, il porto, le maestranze, le cooperative della citta', strutturato in maniera particolarmente inventive e stimolante (pare sia la gioia dei ragazzi), attraverso l'esperienza delle arti figurative contemporanee, utilizza video arte, installazioni sonore e visive con un approccio in cui la partecipazione attiva del pubblico risulta assolutamente indispensabile per entrare nel discorso espositivo.

Concludo consigliando perlomeno una passeggiata notturna per Strada Nuova illuminata in maniera accuratissima per godere dello splendore delle architetture nel silenzio (la via e' pedonalizzata) ed anche in Via del Campo (si', quella di Fabrizio de Andre'), anche questa, restauratissima ed illuminata con grande cura, e che pone solo un problema alle cervicali, data l'esigua larghezza, per riuscire ad intravvedere le facciate.

Di fronte ad un bell'arco Medioevale in pietra, che separa due edifici cinquecenteschi, un bel negozio dal nome: "Bangladesh Bazar", festosamente illuminato, frequentato e con un'offerta eterogenea di abbigliamento.

La citta' antica, la citta' moderna, l'oriente, l'occidente come sempre in un porto dalla grande storia.

emilio campanella

 

BUONGIORNO NOTTE di Marco Bellocchio e STESSA RABBIA, STESSA PRIMAVERA di Stefano Incerti

Confesso che all'annuncio di qualche mese fa che il nuovo film di Marco Bellocchio sarebbe stato attorno il sequestro Moro, sono rimasto un po' perplesso, infatti mi sembrava un argomento abbastanza lontano dalle sue tematiche abituali, ed in effetti lo sarebbe, in linea generale; l'approccio e' pero' quello di un film da camera, il dramma molto privato dei sequestratori dello statista nel chiuso dell'appartamento prigione.

Peraltro ogni artista coerente segue un suo percorso poetico-espressivo che ruota intorno a determinate tematiche, e scegliendo Bellocchio il testo letterario Il Prigioniero della Braghetti opera una nella scelta optando per la visione famigliare della situazione. D'altronde siamo tutti italiani, quasi tutti cattolici apostolici romani, ed abbiamo quasi tutti la medesima formazione, e comunque ce l'ho io, e molti di voi, il regista, i brigatisti che racconta, per quanto molti di noi operino in modo da allontanare, rimuovere, rifiutare, analizzare, combattere, e, talvolta rivalutare questa origine. D'altronde abbiamo, ormai, imparato a riconoscere in certe durezze ideologiche - di qualunque colore ­ una base profondamente radicata in una educazione religiosa rigida e repressiva, ma il discorso e' lungo e MOLTO insidioso.

Bellocchio racconta logisticamente la preparazione al sequestro attraverso le azioni quotidiane di una coppia che cerca un appartamento, e poi lo arreda stando al gioco borghese dei novelli sposi, e semina trappole, poi pian piano fa entrare "in scena" altri personaggi che cominceremo a riconoscere. Al centro c'e' Chiara (Maya Sansa, lei, si', da premio), una bibliotecaria, l'unica che abbia anche un rapporto con l'esterno, e, da subito, sembra una che pensa un po' piu' degli altri. Il covo, stanza prigione, viene costruito ed occultato con una falsa parete scaffale, e siamo all'arrivo della cassa con il sequestrato; subito prima una vicina aveva suonato e mollato il bambino di pochi mesi nelle braccia di Chiara complicando una situazione gia' difficile, infatti mentre la cassa viene sballata (e pensare che c'e' una persona dentro!) il campanello suona nuovamente, e le pistole compaiono, ma va tutto liscio, ed il bebe' che Chiara non sapeva neppure tenere in braccio viene restituito con un respiro di sollievo.

Tutta la vicenda e' come vista attraverso l'occhio di lei che filtra tutte le situazioni, anche con la sua intensa attivita' onirica. Ci sono nel film, oltre a frequenti e precisi spezzoni di agghiaccanti telegiornali d'epoca, proiezioni particolarmente forti della protagonista, e, infatti, al desco "famigliare" di fronte a piatti di minestra i brigatisti si segnano! La vita claustrofobica dell'appartamento e' scandita anche dai rituali del pranzo e della cena oltre che, non meno dalle numerosissime lettere che il prigioniero scrive implorendo attenzione ed aiuto dall'opinione pubblica, dalle istituzioni, dagli esponenti del suo partito, fino al papa, come sappiamo, disgraziatamente senza sperenza! Uno degli episodî esterni che ho maggiormente amato riguarda il papa appunto, che dopo le letture delle lettere spazza rabbiosamente dalla sua scrivania tutti i fogli che tre suore sollecite si affanneranno, con altri a raccogliere. La cura estetica della scena, bagnata in una luce caravaggesca, riconduce alle parti piu' rituali e riguardanti il mondo religioso de L'ora di religione, cosi' come l'altro rituale della seduta spiritica, avvenuta realmente, ed alla presenza di noti esponenti politici anche attuali. Ma cio' che maggiormente mi interessa e' il legame con il mondo del regista ed il diretto legame con i film precedenti, ben chiarito ed esemplificato nel bel documentario di Incerti. Infatti, se questa vicenda e' costruita come una storia famigliare in cui c'e' un padre e dei figli degeneri che lo uccideranno, siamo in pieno nel percorso artistico di Bellocchio.

Cio' che rende impervia la lettura del film, ma solo apparentemente, e la coesistenza di differenti piani espressivo-narrativi: due li abbiamo visti, poi c'e' quello ulteriore della quotidianita' esterna e in aggiunta quello onirico di Chiara, decisamente preponderante la vicenda volgendo verso la conclusione. E' un'idea vincente che lei sia leggendo le Lettere dei condannati a morte della Resistenza Europea e che nasca ovvio e naturale il raffronto con quelle che il sequestrato viene spinto ad inviare ovunque. Cio' che conta e' la coesione della struttura e l'equilibrio fra i varî piani accennati. Confesso di essere tornato molto indietro negli anni, anche piu' indietro, quando, a Genova le Brigate Rosse compirono una delle prime sanguinose azioni: l'assassinio del giudice Coco. Non dimentichero' mai quel pomeriggio; lavoravo in un magazzino editoriale ed ancora facevamo l'orario spezzato come i negozi e chi abitava vicino come me, era arrivato al lavoro puntualmente, altri, letteralmente dopo ore, infatti ovviamente tutta la citta' era rimasta bloccata, anzi divisa a meta' fra levante e ponente, l'episodio efferato essendosi verificato poco lontano dalla Stazione Principe. Poi con il passare delle ore erano cominciate a giungere le notizie, e dopo anche le persone. Eravamo tutti sgomenti: eravamo nel pieno degli ANNI DI PIOMBO! qualche anno dopo, fra i tanti tragici episodî anche il sequestro di Aldo Moro, e tornando al film, il sogno che tutti abbiamo avuto che venisse prima o poi liberato e senza condizioni come chieste da Paolo VI, in un modo o nell'altro, per cui le proiezioni di Chiara in cui il prigioniero esce dalla stanzetta prigione e guarda le cose, i libri, lei addormentata e si accorge di cosa sta leggendo, come un genitore che vada nella stanza dei bambini, rimbocchi le coperte, raccolga il libro di favole e l'orsacchiotto, e dopo aver spento la luce accosti la porta per proteggere quel sonno dai rumori, questo padre, sogna anche che possa infilare il cappotto, e, trovando la porta aperta, uscire all'aria libera in una mattina romana piovosa, quasi saltellando dalla gioia (Herlitzka e' bravissimo in questa scena umanissima, dopo la misura dimessa e rigorosa di prima). In Stessa rabbia, stessa primavera di Incerti questa scena di pioggia sul set con Bellocchio e Herlitzka vicini, fotografati durante le riprese: due uomini anziani, dall'espressione seria, entrambi con i capelli grigi ed intenti ad un lavoro in comune.

Invece no, verra' condannato dai figli violenti che non gli perdoneranno il suo essere uomo di potere diliberatamente dimenticando l'essere umano, anche il loro stesso essere umani (bravissimo Lo Cascio nel suo feroce e freddo fanatismo). I figli uccidono il padre e il movimento praticamente si sfascia (vedi le attuali interviste ai protagonisti di quegli anni, ed in quelle file, ancora in Incerti) perdendo l'occasione per una schiacciante vittoria morale quale sarebbe stata la liberazione di Aldo Moro. C'e' un'altra vicenda che s'intreccia a questa ed e' di un giovane collaboratore della biblioteca, intellettuale controverso arrestato sul luogo di lavoro prammaticamente dinamico che terrorizza Chiara e restituisce tutta l'atmosfera di minacce di quegli anni dopo che una gigantesca stella rossa a cinque punte era stata dipinta nell'ascensore dell'edificio. Il film si chiude con le immagini di repertorio di funerali di stato.

Mi sembra tecnicamente impossibile una distribuzione abbinata dei due film, ma sarebbe utilissimo poterli vedere l'uno di seguito all'altro.

A Montre'al, pochi giorni dopo, grandissimo entusiasmo ed ovazioni, per cui il film non e' cosi' solo italiano, anche se bisogna dire che in quella citta' la comunita' italiana e' numerosissima. Se fosse andato, poi, a Cannes sarebbe stato un successo come quello de L'ora di religione.

Settembre 2003

8 / VIII / 2004

Mi ero ripromesso di rivedere il pezzo, prima di consegnarlo, dopo una ulteriore visionatura. Solo in questa data ne ho avuto l'occasione (meglio tardi che mai!) e confermo il mio punto di vista dello scorso anno consigliando di vedere o rivedere il film.

emilio campanella

BENVENUTI AL SECONDO FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA DANZA CONTEMPORANEA!

Ci siamo sentiti ripetere almeno 15 volte questa frase di benvenuto dalla direttrice di quest'anno della Biennale Danza: Karole Armitage, ed ogni volta, io, che ho una formazione essenzialmente di contemporaneo, mi sono domandato quanto questa frase avesse senso, e quale, dato il programma incentrato sulla tecnica classica e talvolta neppure tanto innovativa...

Il programma monstre si e' esteso dal 11/6 al 30/7 diviso in due parti: vecchio mondo, nuovo mondo:

Il VECCHIO MONDO e' stato inaugurato dalla non memorabile ABCDANCECOMPANY, austriaca, tecnicamente agguerrita, ma non indimenticabile; ci si aspettava qualcosa dalla GUANGDONG MODERN DANCE COMPANY, cinese, che dimostra un notevole sforzo d''nnovazione lodevole, una accurata preparazione generale, ma un percorso ancora all'inizio prima di poter proporre temi veramente stimolanti, pur apprezzando un pezzo, si', molto "Scuola di Essen", ma che ha per protagoniste due donne ed il loro rapporto d'amore, scelta certo coraggiosa. Il BALLET FREIBURG PRETTY UGLY AMANDA MILLER propone un po' di tutto sulla scia di Forsythe, da Bausch alla scuola di Essen (ancora!), dalle legazione di Malou Airaudo al vecchio glorioso Vittorio Biagi: un bel potpourri di superficialita'! JACOPO GODANI, italiano, ha una bella personalita' in scena, ma come coreografo deve ancora staccarsi dai suoi maestri, sempre che ci riesca, ed e' un altro epigono di Forsythe per ora. Con la CHARLES LINEHAN COMPANY, inglese, arriviamo al primo gruppo che mi abbia colpito per validita' coreografica e motivazioni drammaturgiche dei due pezzi presentati: Grand Junction e New Quartet. Non c'e' naturalmente nulla di nuovo (non c'e' MAI nulla di nuovo!), ma il discorso e' molto coerente e mescola abilmente diverse influenze, fino al Contact Improvisation con alcuni notevoli porte's... poi finisce lo spettacolo, purtroppo!

Con Bones in Page del giapponese SABURO TESHIGAWARA si e' giunti, secondo me, al punto piu' alto di tutta la rassegna. L'ambientazione, la scena, e' una magnifica istallazione del coreografo, della quale non capiamo bene all'inizio, i materiali, che scopriamo poi essere libri sistemati come a rovescio sugli scaffali, non chiusi quindi, ma aperti, troppo aperti, squadernati a ventaglio verso di noi. Teshigawara seduto ad un tavolino irto di vetri aguzzi fa minime azioni; sopra due scatole trasparenti contenenti mobili sezionati, una cornacchia segue attentamente, sulla parete destra un esagramma (?) mancante di una linea. Siamo in un Giappone espressionista in cui T. ripercorre una storia della danza da Mary Wigman a Kazuo Ohno senza soluzioni di continuita' e molto fluidamente. Talvolta misteriosi varchi si aprono nelle pareti e si scompare come si riappare. Due signore sono in questa strana "storia": una mi ha fatto pensare a Musidora in Les Vampires di Feuillade, e l'altra molto androgina alla creatura "dello Studente di Praga". Tutta la parte finale e' nuovamente di T. che danza con il volatile, il quale, precisissimo, attende, sempre piu' attento, il momento per partecipare attivamente allo spettacolo, dopo un momento in cui Saburo sembra volare in un tornado di pagine mulinanti nello spazio. Aggiungo che Bones in Page e' un oggetto scenico coltissimo e ben agganciato alla tradizione teatrale nipponica di cui ripropone stravolgendola la struttura scenica: volendo sono ben riconoscibili il ponte ed il pino del Nô, come la passarella del Kabuki, una sola cosa non mi trova d'accordo, l'uso del tulle / quarta parete che viene colpita, si tende, e fa rimbalzare indietro gli oggetti che la colpiscono: perche', invece, non lanciare quelle che sono scarpe in testa agli spettatori che grazie a questo potrebbere raggiungere il KOAN? Comunque un lavoro di grande qualita' ed accuratezza, molto apprezzato ed applaudito.

 

 

RUSSELL MALIPHANT COMPANY si presenta con One Part II ­ Solo. Pezzo in cui riempe la scena di energia ed espressivita', fascino psicofisico; continua con Two Times Three, rigorosissimo lavoro per tre danzatori (qui sono tre donne), e Choice per cinque, con momenti intensissimi specialmente nei pas-de-deux maschili, ma che con qualche sforbiciata qua e la' guadagnerebbe in forza, comunque, come si dice: avercene!!! La prima sezione si e' conclusa malissima con la RAMBERT DANCE COMPANY che una volta si chiamava BALLET RAMBERT, mitica compagnia fondata nel 1926 da Marie Rambert, ed ospite di Nervi nel 1980, ultima esibizione in Italia, prima di questa, con uno straordinario, memorabile spettacolo: Cruel Garden, con coreografia di Christopher Bruce e regia di Lindsey Kemp, attorno al "duende" ed al mondo poetico di Garcia Lorca. Questa volta la formazione, tecnicamente di altissimo livello, ha presentato tre pezzi assolutamente trascurabili, tra cui A Tragedy of Fashion, arbitrario e mancato tentativo di riproposta di un pezzo di Ashton (1926) di cui sono rimaste due immagini: come dire, una sfilata..., ma c'e' gia' stata Re'gine Chopinot... ed e' gia' un po'!

Considerando, a meta' percorso tengo a sottolineare alcune cose: che la rassegna, come gia' accennato, e contrariamente a quanto veniva ribadito ad ogni appuntamento, era orientato unicamente verso la tecnica classica piu' rigida, e purtroppo, a parte pochissime eccezioni, ben poco inventiva ed innovativa, e che la programmazione risultava particolarmente ripetitiva. Era accaduto gia' lo scorso anno con Fre'deric Flamand ed anche nei tre anni di Carolyn Carlson che pero', avendo avuto molto piu' tempo a disposizione, aveva potuto spaziare maggiormente, questo e' ovvio. Vedremo il prossimo anno con Ismael Ivo che sara' congeniale ad alcuni (me compreso, credo), ma nullamente ad altri, ma questo e' dovuto alla scelta di un coreografo alla direzione, che optera' sempre per cio' che corrisponde al suo modo di vedere la danza.

Lo sguardo sul NUOVO MONDO si e' iniziato con SARAH MICHELSON, statunitense, attorno alla quale il discorso e' piuttosto complesso e potrebbe spiazzare, cosa che ha fatto un po' con tutti, specialmente la prima parte di questo progetto "ambientato" all'inizio delle Corderie dell'Arsenale, spazio di cui la "nostra" non ha capito un'acca! Il lavoro si chiama Shadowmann, e quello di cui parlo e' la Part 1 in cui i varî personaggi vagano, si muovono, "danzano", soprattutto alcuni non-danzano nel senso del grado zero di questa disciplina, si potrebbe dire; sotto luci orrende con uso di sagomatori che si direbbe casuale, discutibilissimo progetto sonoro; un gruppo di ragazzine da una qualificata scuola di danza classica locale: serissime, professionalissime, messe veramente in un angolo, a lato delle file degli spettatori, per ripetere all'infinito alcune sequenze per tutta la durata dello "spettacolo" ed alle quali, purtroppo, si bada poco... peccato! meglio loro degli elementi della compagnia specialmente per cio' che sono costretti a fare! Ribadisco che l'uso dello spazio, un luogo di grande forza ed inesauribili possibilita' di utilizzo, non e' stato minimamente sfruttato! La Part 2 invece, forse perche' mi aspettavo il peggio, ma non solo, mi e' sembrata piu' interessante, anche se a ben vedere, i temi erano gli stessi, ma allestita-ambientata a qualche giorno di distanza, in altro ambiente, sempre dell'Arsenale, meno bello, sicuro, ma piu' raccolto e concentrativo, piu' vicino alla performance in un loft, od in una galleria d'arte, con un numero limitato di spettatori coinvolti da vicino dalle azioni degli interpreti, con un sottofondo musicale elegiaco, ripetitivo ed incantatorio che riusciva a motivare ben diversamente i temi proposti anche nella prima parte. L'americana ALONZO KING'S LINES BALLET e' un'ottima compagnia tecnicamente ineccepibile costretta a danzare coreografie decrepite (anche se talune recentissime) del capo compagnia. ISABEL BUSTOS / RETAZOS: che dire, aspettativa, delusione? Massi', entrambe le cose, al di la' della possibilita' di confrontarsi con altri coreografi, questa signora ha invece un imprinting da pronipote del Tanztheater tedesco francamente imbarazzante, e cio' ch'e' peggio, la sua compagnia e' molto al di sotto di una resa tecnico-professionale accettabile. Echoes from the Streets di KAROLE ARMITAGE avrebbe dovuto essere, secondo alcuni, il clou della stagione, invece la coreografa ci ha proposto un lavoro che con le strade non sembrava aver alcun legame se non la sponsorizzazione dell'ANAS, dunque, alcuna eco e semmai non si capirebbe da dove, eventualmente lontanissima da Be'jart (!). Ancora una volta ci si domanda: se Mrs. Armitage considera questo il contemporaneo, quale sia, secondo lei, il classico; per fortuna magnifiche musiche sono state scelte (Bartok, Bryars e Ives) con il risultato che si stava ad ascoltare quelle senza molto badare a cio' che di veramente poco interessante, stessero facendo i pur bravi danzatori. JOHN JASPERSE, USA, Just two dancers, posso dire decisamente ch'e' un lavoro che mi ha scosso (mentre lo scorso anno non avevo per nulla amato Giant Empty) conquistandomi a poco a poco, gia' con l'uso rivoluzionato dello spazio in cui i danzatori (lo stesso coreografo e la bellissima, bravissima Juliette Mapp) si muovono, non solo in palcoscenico, ma anche su praticabili dislocati in varî punti della sala, piu' alti delle teste degli spettatori, ma agendo in punti lontanissimi ed anche opposti cosi' che ogni spettatore viene fornito di un piccolo specchio in modo da poter seguire lo spettacolo piu' agevolmente. In questo modo le spezzature spaziali / visuali sono anche costellate da piccoli riflessi che si muovono insieme con i ballerini i quali sono talvolta l'uno di fronte a noi e l'altro alle nostre spalle. Le magnifiche musiche sono di Chris Peck che esegue dal vivo con la violinista Regina Sadowski. Il pezzo e' un crescendo di intensita' emotiva, in sottofinale i due si avvinghiano l'uno all'altra come se il vento dell'Ade (qui il pathos musicale e' altissimo) rischiasse di allontanarli per sempre, ed e' ad Orfeo ed Euridice che ho pensato (e non solo io). Alla fine, del duetto dai gesti geometrici dell'inizio rimane soltanto un monologo di Jasperse desolatamente rivolto verso il fondo della scena. Poi una meritatissima ovazione per tutti. SHEN WEI DANCE ARTS. Lo spettacolo si divide fra il Sacre di Stravinsky (interessante la scelta della versione per pianoforte a quattro mani), ma non e' che una Sagra della Primavera in piu'. Una gatta da pelare, premesso, con la quale si sono confrontati i piu' grandi e talvolta con esiti non proprio entusiasmanti, per cui si puo' un po' perdonare anche se e' un rischio ch'e' meglio non correre per poi proporre un repertorio limitato e molto visto in una coreografia che non racconta, ma neppure sceglie di non farlo. Altro discorso bisogna fare per Folding, anche qui la coreografia e' del capo compagnia; si tratta di un lavoro di raro fascino ed equilibrio, di continua elegante invenzione e suggestione in cui i riferimenti coltissimi sono continui dal lavoro dei Sankai Juku a Bob Wilson passando per l'opera cinese classica. Lunghe gonne con coda mobilissima grazie al passo scivolato: corrono, appaiono, scompaiono, fluttuano per la scena come in un'Atlantide, come antiche dame di corte sognate da qualcun'altro, nel senso onirico piu' ampio e con giri magico-ipnotici su musica tibetana; senza che ce ne accorgiamo gli abiti si trasformano da rossi in neri per poi tornare nuovamente rossi: quando ce ne rendiamo conto il cambiamento si e' prodotto gia' da un po', ma eravamo talmente ammagliati da non prenderne coscienza sul momento. Saluti elegantissimi, variati, collaudati ed applaudatissimi concludono 40 minuti perfetti. BALLET DE LORRAINE di Karole Armitage: Rave. Tutto ha inizio alle Gaggiandre, uno dei begli spazi dell'Arsenale: padiglione sansoviniano con grandi colonne e due specchi d'acqua coperti utilizzati in antico per riparare, su zattere i cannoni. Qui sulla Musica sull'Acqua di Händel (originale, no?) arrivano due o tre barche con su alcuni personaggi dipinti dai colori piu' contrastanti che fanno cose senza senso: musini, gestini, saltelli su di una pedana fissata tra due barche, oggetto di rara bruttezza; unica immagine coerente lo scivolare dei natanti sullo specchio d'acqua spinti dai rematori nella semplice eleganza delle loro divise contro il cielo cangiante riflesso dalle piccole onde appena dopo il tramonto, e tra l'altro, loro si', in musica. Poi tutti all'interno del Teatro alle Tese, poco distante, a sopportare un'estenuante sequenza (32 minuti interminabili) di passetti da sfilata di moda, zompetti, vezzi, sempre tutti colorati nella maniera piu' assurda, ad attraversare il palco in tutti i sensi con le mises piu' "fantasiose", anche con stupide maschere "di circostanza". Il pensiero e' andato a vecchissime, gia' noiosissime cose di Eric Hawkins, e meglio, ma con rimpianto a Twyl Tharp (che meraviglia rivedere Hair rispolverato proprio in questi giorni!). Terzo atto: Happening dei danzatori su di una passarella rialzata in altro ambiente del medesimo edificio con lo scopo di coinvolgere il pubblico: talmente riuscito da spegnere negli intervenuti ogni entusiasmo. Gli ultimi dopo aver atteso due ore (pare fosse tutto esaurito!) ed aver pagato profumatamente ogni velleita' di partecipazione deluso da massicce defezioni. Altro che andare avanti sino a notte alta! A Venezia, poi, dove la gente va a dormire prima delle galline, ma tu pensa! E si conclude (MALE!) con PETER BOAL & CO. che ha proposto un nutrito programma anche, sulla carta, interessante (due pezzi, fra l'altro, erano uno di Balanchine e l'altro di Forsythe), ma il tutto esposto con poche emozioni, poche emozione e molta noia, poche emozioni e molta noia, e nel terzo pezzo entrate ed uscite senza vere motivazioni, poi, talvolta, brani talmenti brevi da non comprenderne il motivo, dall'altra stimolanti lo sbadiglio, tanto soporiferi, e con un uso delle luci per nulla inventivo e per soprammercato, tanto il capo compagnia quanto Wendy Whelan e Sean Suozzi di poca o punta comunicativita'. Al prossimo anno e, speriamo, MEGLIO.

Ma non al volenteroso PALAFENICE che pare verra' smontato dopo anni di onorato servizio.

emilio campanella